L’Angelo e la Cacciatrice di teste
Una lettura della tavola 47 dell'Atlante Mnemosyne
a cura del Seminario Mnemosyne, coordinato da Maria Bergamo, Giulia Bordignon, Monica Centanni, con: Silvia De Laude, Enkelejd Doja, Bianca Fasiolo, Anna Fressola, Alberto Giacomin
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La lettura della tavola 47 dell'Atlante Mnemosyne che qui si propone è illustrata per percorsi tematici e per percorsi plastici. Una prima analisi taglia la tavola in due sezioni verticali, articolate in sottogruppi tematicamente omogenei: nella parte sinistra sono raggruppate figure tratte da testi neo- e vetero-testamentari che inscenano episodi di protezione (Gesù adolescente che fa ritorno dal Tempio; Tobia accompagnato dall'Angelo); nella parte destra, figure di ascendenza biblica, protagoniste di atti di aggressione violenta (Giuditta, Salomè, Sansone). Una seconda fase di analisi individua Pathosformeln plasticamente definite che incrociano i percorsi tematici precedenti: il gesto di protezione e di cura del 'prendere per mano' (dell'angelo o di Maria); il gesto della guida che indica il cammino (dell'angelo); il gesto dell'aggressione (di Giuditta, di Sansone); l'incedere dell'antica ninfa che riemerge nelle movenze aggraziate dell'angelo, o nel passo seducente della cacciatrice di teste (di Giuditta e di Salomè).
Percorsi tematici
Il fulcro tematico della tavola è rintracciabile nelle due opere poste al centro del pannello: Tobia e i tre Arcangeli di Francesco Botticini [47.15] e l'incisione su rame Giuditta con la testa di Oloferne [47.22a]. Queste due immagini per la loro collocazione centrale creano una sorta di cerniera che partisce il montaggio della tavola in due sezioni.
I personaggi dell'antico e del nuovo testamento che compaiono nel pannello sono protagonisti di diverse forme di impresa, in un montaggio in cui si incrociano i temi della iniziazione all'età adulta, della protezione, della giustizia, di un'azione eroica o cruenta: figure che si toccano e si sovrappongono in percorsi meta-tematici, iconografici e posturali.
Nella sezione a sinistra un primo gruppo include immagini relative alla Disputa di Cristo tra i Dottori, e in particolare il tema del ritrovamento di Gesù nel tempio da parte di Maria e Giuseppe, un episodio – presente soltanto nel Vangelo di Luca – che ha la funzione di sottolineare la consapevolezza di Gesù fanciullo della propria missione. Giuseppe e Maria con Gesù dodicenne (età iniziatica nella tradizione ebraica e non solo) si erano recati a Gerusalemme com'era usanza per la festa di Pasqua:
Mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, seduto in mezzo ai Dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". Ed egli rispose: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. (Lc 2, 41-50)
L’iconografia del Ritrovamento di Gesù al Tempio ha due varianti: in una è Giuseppe a cercare il bambino e a riportarlo dalla madre che, seduta, lo accoglie con un gesto insieme di apprensione e di rimprovero [47.4]; nell’altra variante, sono entrambi i genitori a ritrovare e condurre Gesù a casa, portandolo per mano [47.6, 47.8b). L'episodio ha un'ampia fortuna iconografica dalla fine del XV secolo: nella rappresentazione il tema si incentra soprattutto sull’apprensione di Maria e Giuseppe per il figlio smarrito a Gerusalemme, e l’elemento patetico umanizza la visione di Maria come madre, ma anche di Gesù come figlio fanciullo che necessita, come un qualsiasi bambino, di cure e di protezione [47.2, 47.5, 47,9].
La prima immagine, in alto a sinistra – tratta da un sarcofago del IV secolo d.C., reimpiegato come tomba di Sant'Egidio nella Chiesa di San Bernardino a Perugia – è correntemente interpretata come Cristo in trono con le personificazioni di Ecclesia e gli Apostoli [47.1]. L'immagine è inserita nel montaggio probabilmente per affinità tematiche: il giovane Cristo, seduto nell'atto di ammaestrare gli anziani apostoli e affiancato da una figura femminile, è assimilabile all'iconografia convenzionale di Gesù tra i Dottori e la figura femminile (Ecclesia) è interpretabile come Maria che va al Tempio a recuperare il figlio [47.5]. L'immagine dell'affresco proveniente dalla Cappella di San Nicola di Tolentino [47.6] rappresenta una sintesi che monta insieme i due episodi.
Un secondo gruppo della sezione di sinistra include immagini relative all'episodio biblico di Tobia accompagnato dall’Arcangelo Raffaele, soggetto di un libro dell'Antico Testamento accettato dalla Chiesa Romana soltanto con il Concilio di Trento, ma non incluso nel canone biblico dai Protestanti e dagli Ebrei. Il giovane Tobia lascia la casa del padre per trovare fortuna, e quindi moglie (Sarah). Nel racconto l'Arcangelo Raffaele compare sotto le mentite spoglie di un accompagnatore fidato, e non viene riconosciuto come angelo:
Disse il padre Tobi al figlio: "Cercati dunque, o figlio, un uomo di fiducia che ti faccia da guida". Uscì Tobia in cerca di uno pratico della strada che lo accompagnasse nella Media. Uscì e si trovò davanti l'Angelo Raffaele, non sospettando minimamente che fosse un angelo di Dio. Gli disse: "Di dove sei, o giovane?". Rispose: "Sono uno dei tuoi fratelli Israeliti, venuto a cercare lavoro". Riprese Tobia: "Conosci la strada per andare nella Media?". Gli disse: "Certo, parecchie volte sono stato là e conosco bene tutte le strade" (Tobia 5, 3-6).
Questa la descrizione del commiato del figlio cha lascia la casa paterna:
Tobia si preparò per il viaggio e, uscito per mettersi in cammino, baciò il padre e la madre. E Tobi gli disse: "Fa' buon viaggio!". Allora la madre si mise a piangere e disse a Tobi: "Perché hai voluto che mio figlio partisse?" [...]. Le disse: "Non stare in pensiero, non temere per loro, o sorella. Un buon angelo infatti lo accompagnerà, riuscirà bene il suo viaggio e tornerà sano e salvo". (Tobia 5, 18-22)
Il viaggio del giovane è connotato da una forte componente iniziatica: il passaggio verso l'età adulta, il matrimonio e il successo. Nel viaggio Tobia e il suo divino custode pescano insieme un pesce, che si rivelerà un talismano taumaturgico: lo stesso pesce diviene l'attributo iconografico per eccellenza dell'Arcangelo Raffaele, il cui nome in ebraico significa "medicina di Dio".
Nella Firenze del XV secolo questo soggetto ebbe fortuna in una particolare accezione devozionale e votiva che bene esprime la complessità delle credenze e dell'immaginario di quella borghesia mercantile che Warburg elesse a exemplum delle tensioni contrastanti proprie del primo Rinascimento.
Nel 1455 la "Compagnia dell’Arcangelo Raffaello", fondata dalla classe mercantile fiorentina all’inizio del XV secolo, ottenne il permesso di radunarsi presso la Chiesa di Santo Spirito. Fin dal 1483 è accertata l’esistenza di un altare della Compagnia (il secondo nella navata destra), sopra il quale era posta la tavola con i Tre Arcangeli di Francesco Botticini [47.15]: Botticini stesso era membro della Compagnia (come altri celebri artisti dell’epoca, tra cui Neri di Bicci e Verrocchio, autori di opere con lo stesso soggetto) e volle chiamare il proprio figlio Raffaello.
Nella Firenze del Quattrocento l'Arcangelo Raffaele era patrono dei giovani figli di mercanti mandati all’avventura in viaggi d'affari lontano dalla casa paterna: in questo senso, opere che avevano a soggetto Tobia e l'Angelo costituivano perfetti ex voto per imprese commerciali condotte a buon fine. In un'altra opera di Botticini presente nella tavola [47.10], Raffaele accompagna e protegge Tobia che ha le fattezze di Raffaello Doni, figlio di Attaviano di Jacopo, un membro della Confraternita, mercante e tintore di lana, residente a Badia Fiorentina, dalla cui chiesa proviene il dipinto. Le compagnie dei mercanti fiorentini affidano dunque all'alato protettore più che le loro anime, le vite dei figli e le loro fortune, continuamente esposte ai venti della sorte o, in altre parole, al disegno divino. Angeli che insomma, in questa accezione votivo-mercantile, ereditano il ruolo di protettrice della vita e dei beni dalla pagana Tyche-Fortuna (e al tema della Fortuna è dedicata non casualmente la seguente tavola 48).
In continuità con la tradizione e con il culto popolare, è il successivo slittamento della figura dell’Arcangelo Raffaele, che accompagna Tobia nel suo viaggio, in quella dell’angelo custode [47.11, 47.13]. Raffaele, da angelo personale di Tobia – che custodisce e protegge il ragazzo iniziandolo alla vita adulta – perde progressivamente la sua personalità, il pesce come attributo iconografico e il ruolo che aveva nell'episodio biblico, per diventare un generico angelo custode; parallelamente Tobia perde la sua personalità e l'età di giovane ragazzo e regredisce anagraficamente fino alla figura di un bimbo in tenera età.
Il tema della protezione, sotteso a questo soggetto figurativo, sfonda il confine tematico di derivazione biblica per radicarsi in un culto popolare molto diffuso che, a partire dal secolo XVI, venne ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa di Roma. Il culto dell’angelo custode venne istituito all’inizio del secolo XVI dal vescovo di Rodez François d’Estaing, che celebrò la prima messa in onore dell’angelo il 3 giugno 1526, e fu favorito successivamente dai Gesuiti, che ne fecero uno dei cardini dell’educazione dei giovani e promossero la creazione di confraternite ad esso titolate. Al contrario, i Protestanti, nella loro lettura rigorosa delle fonti bibliche e nella strategia di revisione del culto dei santi e di tutte le figure secondarie di devozione, posero un veto al culto dell'angelo custode, considerato alla stregua di una superstizione.
La progressiva assimilazione della devozione all’Arcangelo Raffaele con il culto, più tardo e molto più longevo, dell’angelo custode, è segnalata anche visivamente dalla sovrapponibilità del gesto e degli attributi della figura dell'angelo custode con le figure di Raffaele nelle opere di Botticini e di Guercino. L’iconografia dell’angelo tende, nel tempo, a generalizzarsi: da accompagnatore del viaggio – con tutti gli attributi del pellegrino: il bastone, la bisaccia, il pesce e il cane – passa a figura in vesti svolazzanti che indica il cielo.
Passando alla seconda sezione, al centro della tavola campeggia un’immagine di Giuditta, con la spada sguainata e la testa di Oloferne [47.22a], sopra la personificazione della Speranza [47.22b]: l’immagine dell’eroina vetero-testamentaria ha un ruolo forte di snodo tematico e segna uno slittamento iconografico importante tra la sezione destra e la sezione sinistra del pannello. Nel testo biblico Giuditta – un libro intero a lei dedicato – è la fanciulla che salva il suo popolo dalla dominazione delle truppe assire, seducendo e poi decapitando il loro capo Oloferne:
Rimase sola Giuditta nella tenda e Oloferne buttato sul divano, ubriaco fradicio. Allora Giuditta ordinò all'ancella di stare fuori della sua tenda e di aspettare che uscisse. Giuditta, fermatasi presso il divano di lui, disse in cuor suo: "Signore, Dio d'ogni potenza, guarda propizio in quest'ora all'opera delle mie mani per l'esaltazione di Gerusalemme. È venuto il momento di pensare alla tua eredità e di far riuscire il mio piano per la rovina dei nemici che sono insorti contro di noi". Avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma e disse: "Dammi forza, Signore Dio d'Israele, in questo momento". E con tutta la forza di cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa. Indi ne fece rotolare il corpo giù dal giaciglio e strappò via le cortine dai sostegni. Poco dopo uscì e consegnò la testa di Oloferne alla sua ancella, la quale la mise nella bisaccia dei viveri e uscirono tutte e due; attraversarono il campo, fecero un giro nella valle, poi salirono sul monte verso Betulia e giunsero alle porte della città. (Giuditta 13, 1-20)
Giuditta è la donna condotta da Dio a riscattare la libertà di Israele dall'oppressore, e il suo popolo per lei intona una benedizione molto simile a quella di un'altra "cacciatrice di teste", Giaele, la cui storia è narrata nel libro dei Giudici (4, 17-22). È interessante che gli stessi accenti dell'inno in onore delle eroine bibliche risuonino nel Magnificat, il canto di Maria all'incontro con Elisabetta (Lc 1, 46-56; sull'identificazione tra il profilo di Maria e quello delle eroine vetero-testamentarie, si veda, M. Bergamo, Maria: la donna della forza, in Engramma n. 6, febbraio/marzo 2001).
Dal XIV secolo, in ambito politico e civile, Giuditta diventa allegoria della vittoria sui tiranni e simbolo della vocazione alla libertà dei comuni e delle signorie italiane. Nello sviluppo di questa traslazione allegorica l'eroina diventa anche figura della Giustizia, un'assimilazione favorita dal gioco paretimologico Iudith/Iustitia e dalla presenza della spada sia come attributo convenzionale di Giuditta, sia come simbolo della Giustizia. L'allegoresi Giuditta/Iustitia è molto vitale nell'ultimo quarto del XV secolo: un esempio è la Giuditta-Giustizia negli affreschi di Giorgione e Tiziano sulla facciata d’acqua del Fondaco dei Tedeschi, come raffigurazione della 'Giustizia di Venezia'.
Giuditta appare quindi come figura di Libertà-Giustizia, ma anche della speranza nella liberazione, come pure della protezione dal pericolo – intesa non già come custodia o cura affettuosa (come nella sezione sinistra della tavola) ma portata a compimento attraverso un'azione cruenta. A questo proposito è interessante rilevare come nell’Iconologia di Cesare Ripa la Custodia e la Difesa contro i pericoli vengano illustrate e descritte proprio come fanciulle armate di spada, ovvero come ‘Giuditte’.
Un’altra figura accostata all’angelo e a Giuditta per evidenti parentele tematico-formali, e per altrettanto evidenti contrasti, è Salomè. Nel testo evangelico, la giovane figlia di Erodiade chiede al patrigno Erode come ricompensa per la sua seducente danza la testa di Giovanni Battista:
Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: "Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista". Il re ne fu contristato, ma a causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data e mandò a decapitare Giovanni nel carcere. La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre" (Mt 14, 3-12; cfr. Mc 6, 17-28).
Nella ratio compositiva di questa tavola la controfigura negativa di Giuditta, l’eroica "cacciatrice di teste" che seduce e decapita il nemico per salvare il suo popolo, è Salomè, che per lussurioso capriccio, suo o della madre, fa decapitare il Battista.
Chiude la sezione destra della tavola il disegno di una fontana di mano del Giambologna [47.26] in cui Sansone è colto nell’atto di abbattere un filisteo con una mascella d'asino (così in Giudici 15, 9-20). L'inserzione nella serie della figura di Sansone si spiega in forza dell'affinità tematica tra episodi di liberazione dalla sopraffazione tirannica. Anche sul piano formale la figura di Sansone che brandisce come arma contro il nemico la mascella d'asino è sovrapponibile a quella di Giuditta che alza la spada nell'atto di decapitare Oloferne. Nel mito biblico di Sansone però, in particolare nell'episodio che vede coinvolta Dalila (Giudici 16, 4-21), interferisce anche un altro fattore che attraversa tutte le figure di questa sezione della tavola, da Guditta a Salomè: il pathos della seduzione come incentivo o deterrente dell'impresa eroica.
Tutta la tavola 47, alla luce di questi elementi, appare attraversata dal tema dell'impresa, come spazio mentale della ricerca, dell'instabilità, del passaggio da una condizione a un'altra; come luogo dell’incertezza e del pericolo, in cui si gioca, in negativo e in positivo, la potenza della Fortuna. Significativo è il fatto che tutti i viaggi intrapresi dalle figure protagoniste degli episodi evocati nel pannello vadano a buon fine e si concludano con la vittoria e il coronamento delle speranze. Ma diverse sono le modalità secondo cui si svolgono gli itinerari dell'impresa (una volta di più si rivela importante la relazione antinomica individuata tra le due sezioni verticali della tavola): il viaggio iniziatico di Tobia e Gesù gode di una forma di protezione affettiva; il viaggio di Giuditta, così come le azioni di Salomè e di Sansone (nelle opere della sezione destra della tavola), hanno come elementi caratteristici la seduzione, la violenza, la lotta vittoriosa, il sangue e la morte.
Percorsi plastici: Pathosformeln della protezione, della guida, dell'aggressione
I. Gesti di protezione
Ritornano, nelle opere che occupano tutta la sezione sinistra della tavola, gesti di protezione della figura adulta nei confronti della figura giovane (Gesù fanciullo o adolescente; il ragazzo Tobia; il bimbo protetto dall'angelo custode), variati in diverse tonalità affettive: dalla mano posta sulla spalla [47.4, 47.5], al prendere per mano con dolcezza [47.10, 47.12, 47.15], o con decisione [47.8b, 47.9, 47.11, 47.13, 47.14].
II. Gesto dell'indicare la via
Nella sezione sinistra della tavola ricorre il gesto con cui la figura adulta indica la via al giovane. È Giuseppe o Maria che mostra la via del ritorno alla sicurezza della casa all'indisciplinato Gesù [47.4, 47.6]; l'angelo che indica la strada a Tobia [47.11] e poi, nelle opere di Botticini, l'angelo-Fortuna che riconduce a casa il giovane mercante dopo che ha compiuto con successo l'impresa [47.10, 47.15]; infine l'angelo custode che indica al bambino la via della salvezza verso il cielo [47.12. 47.13].
III. Posture dell'aggressione violenta
Contrapposte ai gesti di protezione e di guida che caratterizzano le figure degli angeli e le storie di Gesù sono la Pathosformeln dell’aggressione violenta che pervadono tutta la sezione destra della tavola. Il braccio alzato nell'atto di sferrare il colpo di Giuditta e di Sansone [47.21, 47.26]; la postura eroica [47.22a] o il passo trionfale [47.20, 47.23, 47.24] che siglano la conclusione dell'impresa per Giuditta con l'arma in pugno e la testa di Oloferne esibita da lei stessa o affidata all'ancella canefora [47.23, 47.25]; la grazia danzante e assassina di Salomè [47.16, 47.17, 47.18], che nel paliotto d'altare del Pollaiolo porge personalmente alla madre Erodìade il trofeo della testa del Battista [47.19].
IV. Il passo della Ninfa
Nel 1893, così scrive Warburg:
"La ninfa fu una di quelle attraenti creazioni, in cui il Quattrocento italiano seppe fondere in modo felice e tutto suo proprio, il genio dell’arte col sentimento dell’antichità".
Aby Warburg, I costumi teatrali per gli intermezzi del 1589, [1895] trad. it. in La rinascita del paganesimo antico, a cura di Gertrud Bing, Firenze 1966, 94.
Il fantasma della Ninfa, impronta formale dell’antico in cui è fissata in icastica formula espressiva la grazia della fanciulla dal passo leggiadro e dalle vesti mosse dal vento, prosegue il suo cammino attraverso le tavole dell’Atlante (vedi soprattutto tavola 39 e tavola 46, a partire dalle preconiazioni archeologiche presentate nelle tavole 4-8) mutando nome, sesso e ruolo narrativo.
È lo stesso Warburg a indicare questa riapparizione; la parola "Ninfa" (in italiano!) apre l’appunto relativo al pannello 47 in cui la forma antica riemerge nelle due figure, a una prima considerazione molto distanti, dell’Angelo e della Cacciatrice di teste:
“Ninfa als Schutzengel und als Kopfjägerin. Herbeitragen des Kopfes”
[Ninfa come angelo custode e come cacciatrice di teste. Trasporto della testa]
L’assimilazione angelo/ninfa trova una conferma anche nella trattatistica tecnico-artistica rinascimentale, esplicita in questo passo del Trattato della Pittura di Leonardo:
“Farai scoprire la quasi vera grossezza delle membra a una ninfa o uno angelo, li quali si figurino vestiti di sottili vestimenti, sospinti et impressi dal soffiare de’ venti; a questi tali e simili si potrà benissimo far scoprire la forma delle membra loro”.
Leonardo, Trattato della Pittura IV, 527 (citato da Warburg in La nascita di Venere e la Primavera di Sandro [1893], trad. it. in La rinascita del paganesimo antico, a cura di Gertrud Bing, Firenze 1966, 55).
Angelo o cacciatrice di teste: la ninfa appare non solo come figura benefica, ma anche nelle vesti di Salomè, la fanciulla che ottiene la testa del Battista come premio per la sua danza, o nell'incedere fiero della seducente Giuditta (sulle prime riemersioni della figura della ninfa vedi il saggio di A. Pedersoli, I capelli delle ninfe fiorentine in Engramma n. 68, dicembre 2008).
Lo stesso appunto di Warburg e collaboratori relativo al pannello 47 fornisce una precisazione per la lettura della tavola: la formula figurativa del “trasporto della testa” assume nel montaggio una propria autonomia rispetto all’azione della protagonista della decapitazione. Non è sempre l'eroina Giuditta/Salomè – nuova nympha gradiva – ad esibire la testa di Oloferne/Giovanni come trofeo della sua impresa, ma il trasporto del capo mozzato può essere demandato a una figura secondaria: un'ancella dal leggiadro passo segue infatti, in alcune delle opere inserite nella tavola, la protagonista dell’episodio biblico. È la stessa ancella canefora di tavola 46 – la “Brigitta-porta-in-fretta”, ninfa che riemerge in contesto domestico (così nell’appunto warburghiano a tavola 46: "Eilbringitte" im Tornabuoni-Kreise. Domestizierung”) – che non reca più sulla testa il cesto colmo di frutti ma, in versione cruenta, il capo mozzato della vittima.
L'angelo, Giuditta e Salomè compaiono insieme in un altro scritto di Warburg pubblicato nel 1905, come figure capaci di tessere i fili espressivi e tematici poi visualizzati nella trama del pannello dell’Atlante:
"Così si mostravano le Vittorie alate sugli archi trionfali romani o quelle Menadi danzanti che, coscienziosamente imitate, appariscono per la prima volta nelle opere di Donatello o di Fra Filippo e ridestarono l’antico stile più nobile ed esprimente una vita più movimentata: quella vita che anima la Giuditta o Raffaele che accompagna Tobiolo o la Salomè danzante, figure alate che volarono via dalle botteghe del Pollaiuolo, del Verrocchio, del Botticelli e del Ghirlandajo, prodotti di un felice innesto del ramo sempreverde dell’antichità pagana sull’albero inaridito della pittura borghese 'fiandreggiante'".
Aby Warburg, Delle 'Imprese amorose' nelle più antiche incisioni su rame fiorentine, [1905], trad. it. in La rinascita del paganesimo antico, a cura di Gertrud Bing, Firenze 1966, 187.
Ma l'associazione fra Salomè, Giuditta, l'Angelo e l'ancella della Cappella Tornabuoni era già stata evocata nell'intensa corrispondenza tra Warburg e Andrè Jolles incentrata sull'ossessione per la Ninfa, di cui resta traccia in un sapido gioco epistolare che ha inizio nel 1900:
“Che cosa è successo? Cherchez la femme, mio caro. Si tratta di una signora che fa con me un gioco crudele. Ho iniziato un flirt intellettuale e ne sono diventato vittima. La rincorro, o piuttosto è lei a rincorrermi? Non lo so più [...] Ora è Salomè, che giunge danzando con fascino letale davanti al licenzioso tetrarca; ora è Giuditta che, fiera e trionfante, porta con passo allegro il capo del condottiero assassinato. Quindi sembra celarsi sotto la grazia fanciullesca del piccolo Tobia che, coraggioso e gaio, va con passo baldanzoso dalla sua sposa fatale. Talvolta la scorgo in un serafino, che vola in adorazione verso Dio, e poi in Gabriele, che porta la lieta novella. La vedo gioiosa e innocente come la damigella allo Sposalizio, la trovo nelle vesti di una madre terrorizzata e in fuga nella Strage degli Innocenti. Ho cercato di vederla nuovamente come l'avevo scorta per la prima volta nel coro di S. Maria Novella, ma nel frattempo si è decuplicata. […] Detto altrimenti e con serietà: qual è la storia di questa fanciulla?”
Lettera di Jolles a Warburg del 23 dicembre 1900, in Warburg, Opere I, a cura di M. Ghelardi, 248 (sullo scambio epistolare Warburg-Jolles si rimanda a S. Contarini, M. Ghelardi, "Die verkoerperte Bewegung": la ninfa, "aut aut" 321-322, 2004, 32-45, seguito da A. Jolles e A. Warburg, La ninfa: uno scambio di lettere, ivi, 46-52).
Relazione con gli altri pannelli
Analizzando contenuti e posture presenti in tavola 47 in relazione con i pannelli precedente e successivo nell’Atlante, emerge una lettura complessa e stratificata che prosegue sia per soggetti e nuclei tematici, sia per ricorrenze e trasformazioni di Pathosformeln e di convenzioni iconografiche. Già in tavola 46 l’immagine della Ninfa antica riemerge come figura della vitalità e come irruzione del movimento, e la portatrice-gradiva compare nelle opere del pannello nelle sue diverse epifanie e in risemantizzazioni funzionali ai contesti. Nella tavola 46 sono inoltre anticipati i temi della cura del fanciullo, e della gestualità ‘affettiva’ [46.3].
Nella successiva tavola 48 è messa in scena una ennesima tappa della rinascita dell’antico: il pannello è dedicato a una figura cruciale della cultura umanistica, l’immagine della Fortuna dalla ventilata veste. Simbolo dell’emancipazione intellettuale dell’uomo dall’asservimento alla predestinazione divina, l’antica personificazione continua però a nutrirsi del conflitto e dell’oscillazione tra il tempismo di chi riesce ad afferrare l'occasione (metaforicamente, ad afferrarla per il ciuffo) e i timori di chi a lei si affida devotamente. Esempio di contrastante coesistenza di fede e autoconsapevolezza, è proprio quella stessa classe mercantile che abbiamo visto essere committente degli ex-voto all’angelo Raffaele e che nella figura della Fortuna con la vela troverà un’immagine consona all’instabile equilibrio delle fortune materiali.
A distanza nel percorso dell'Atlante, la tavola 76 torna sul tema della protezione del bambino illustrato con opere di ambito nordico (XVI-XVII sec.) i cui soggetti sono Tobia e l’angelo, il Ritorno dal tempio, il Riposo durante la fuga in Egitto. Le opere assemblate in tavola 76 sono caratterizzate a livello formale dall’associazione di una figura adulta (l’angelo; la Vergine) che tiene per mano un fanciullo (Tobia; Gesù). La gestualità affettuosa del personaggio-guida ribadisce il suo ruolo di protezione, ma nella figura adulta in movimento – suggerisce il montaggio – riverbera il riflesso formale e semantico di modelli antichi: il rilievo con Cristo-Ecclesia (già in tavola 47) risulta apparentabile alla statua di Vestale della Loggia dei Lanzi; la figura delle madre disperatamente e inefficacemente protettiva è impersonata da Niobe (già protagonista di tavola 5), prototipo mitico che non può mettere in atto alcuna difesa in favore dei figli aggrediti dalla furia divina.
Proprio alla fine dell'Atlante, nei pannelli dedicati alla riemersione di formule antiche nella più stretta contemporaneità, tornano i temi dell' Angelo e della Cacciatrice di teste: è Warburg stesso a segnalarlo nell'appunto relativo a tavola 77 "Nike und Tobiuzzolo in der Reklame". Ora Giuditta si reincarna nello scatto fotografico della Giocatrice di golf, immortalata nel momento di tensione dinamica nell' atto di sferrare il colpo; ora Tobia riappare nell'immagine pubblicitaria di un libro di ricette, come il Bambino testimonial delle virtù salutari del pesce, con lo slogan "EßT FISCH".
English abstract
The Angel and the Head-huntress. A Reading of Plate 47 of the Mnemosyne Atlas
This reading of table 47 of the Atlas Mnemosyne is illustrated through thematic and plastic paths. The thematic analysis cuts the panel into two vertical sections, divided into homogeneous subgroups. On the left hand side, figures from the New and the Old Testament stage episodes of protection (a young Jesus returning from the Temple; Tobias saved by the Angel). On the right hand side, we recognize figures from the Old Testament, protagonists of violent acts of aggression (Judith, Salome, Samson). In the second phase, the analysis aims to identify some Pathosformeln plastically defined, which cross over the thematic paths: the gesture of protection and care 'taking by hand' (Angel or Mary); the gesture of the guide that shows the way (the Angel); the act of aggression (Judith, Samson); the pace of the ancient nymph which emerges in the graceful movements of the angel, as well as in the seductive stride of a head-huntress (Judith and Salome).
To cite this article: Seminario Mnemosyne, L’Angelo e la Cacciatrice di teste. Una lettura della tavola 47 dell’Atlante Mnemosyne,“La Rivista di Engramma” n. 116, maggio 2014, pp. 38-53 | PDF of the article