La guerra è come l’amore: trova sempre il suo fine
Bertolt Brecht
Come Aby Warburg e Ernst Jünger anche Bertolt Brecht può essere considerato un ‘figlio di Marte’. Un “abicì della guerra” è l’esito del lavoro che impegna Brecht nella creazione della Kriegsfibel, nell’arco di tempo che lo vede in esilio in fuga dalla Germania nazista. La fuga dalla guerra permette al regista di conquistare lo sguardo lucido del migrante; il periodo dell’esilio è stato, dal punto di vista teorico e creativo, il più produttivo in assoluto. E la Kriegsfibel è uno dei suoi prodotti più interessanti.
Bertolt Brecht (1898-1956), teatro epico di una vita migrante
Bertolt Brecht è stato uno dei principali protagonisti del teatro del Novecento. Scrittore, poeta, drammaturgo, regista tedesco, la stagione della sua attività, tra gli anni ’20 e ’50, si colloca tra la prima e la seconda riforma delle avanguardie teatrali novecentesce, sotto l’influsso della poetica di Max Reinhardt e di Erwin Piscator.
Brecht si pone come riformatore dell’arte scenica: a partire dalle stesse premesse dell’avanguardia storica, la sua denuncia colpisce la distanza accumulata dal teatro rispetto alla vita, l’incapacità di parlare del e al tempo presente, l’attaccamento a stilemi obsoleti che assecondano un pigro gradimento del pubblico. Contro l’estetizzazione formalista di tutte le forme d’arte e dell’arte teatrale in particolare, Brecht propugna la necessità di una rinascita dell’energia e della vocazione politica del teatro, chiamato a risvegliare le sensibilità del pubblico da una fruizione disinteressata, distratta, volta meramente allo svago e al divertimento. In nome di una particolare declinazione del “realismo socialista”, Brecht muove la sua accusa al teatro decaduto, di cui fanno parte anche le messe in scena dei classici – un teatro che, nella bellezza formale di facciata, riflette stancamente immagini falsificate della realtà.
Coerente all’impegno sul fronte teorico della lotta di classe e all’adesione all’ideologia comunista e al marxismo, la poetica di Brecht è connotata da un segno eminentemente politico: l’arte teatrale ha il potere e il dovere di trasformare il pubblico, e con il pubblico la società.
Sulla base di questa intenzione, Brecht inizialmente qualifica il suo teatro come “didattico”, in seguito lo definirà “epico e narrativo” e, in una riflessione più matura, che risente dell’esperienza del lungo esilio dovuto alla Seconda guerra mondiale, il teatro epico si qualificherà ulteriormente come “teatro dialettico”.
Contro il teatro definito “aristotelico” – il teatro finalizzato alla catarsi, che provoca una immedesimazione acritica e un ‘divertimento’ divagante e consolatorio – Brecht avverte l’urgenza di un teatro capace di stimolare la distanza critica del pubblico, di provocare uno shock per cui lo spettatore è chiamato a prendere posizione rispetto a ciò a cui assiste.
Funzionale a questo effetto è la tecnica dello straniamento (Verfremdungseffekt) adottata in scena per mostrare in atto il meccanismo della finzione: attraverso l’interruzione del normale svolgimento di un’azione, la discontinuità, il rendere strani, sorprendenti, non ovvi eventi di per sé normali e consueti, il giudizio critico è stimolato a una visione differente, nuova e inusuale della realtà rappresentata, e lo spettatore, provocato a provare stupore, interesse, piacere o fastidio, è coinvolto attivamente, esteticamente e intellettualmente, nel dramma. Strumentale a questa tecnica è l’uso del montaggio applicato a tutti gli elementi che compongono la messa in scena – un dispositivo che disarticola la narrazione e la percezione abituale dell’evento e lo mostra in un nuovo ordine di senso.
Nella più matura riflessione sulla natura “dialettica” del teatro, Brecht teorizza il dovere di presentare in scena i conflitti e le contraddizioni di una realtà sociale in continua modificazione, e recupera il valore della funzione artistica del godimento estetico – non più intesa in contrasto con la funzione eminentemente politica del teatro, ma come un suo importante elemento.
Die Kriegsfibel
La Kriegsfibel è un sillabario per immagini della Seconda guerra mondiale che Bertolt Brecht compone durante il periodo dell’esilio (1933-1947) e pubblica nel 1955 a Berlino Est per la casa editrice Eulenspiegel. La prima edizione italiana intitolata Abicì della guerra è del 1972, per i tipi Einaudi; l’edizione inglese, War Primer, è edita da Libris nel 1998.
Dal punto di vista formale e strutturale l’Abicí della guerra si compone di immagini tratte dai giornali dell’epoca di varia nazionalità, con o senza le relative didascalie, e di composizioni poetiche di quattro versi scritte dallo stesso Brecht sul modello degli epigrammi della lirica greca antica. Nell’insieme questi elementi compongono quadri in cui una foto o una composizione di foto è accompagnata o meno dalla didascalia e da un epigramma: “Fotoepigramm” è la definizione di questa tecnica compositiva. La prima edizione a stampa del 1955, in particolare, si compone di 69 quadri, e si apre e chiude con un’immagine di Hitler. Dal punto di vista tematico l’Abicí della guerra segue cronologicamente lo svolgimento del conflitto mondiale: dalla guerra di Spagna alla controffensiva degli Alleati e al ritorno dei prigionieri.
L’idea di combinare fotografie ed epigrammi fu suggerita a Brecht dal giornale berlinese “Arbeiter-Illustrierte Zeitung” e da Hanns Eisler, suo amico e collaboratore, che compose una cantata su alcune poesie che Brecht aveva scritto in Danimarca, con l’intenzione di commentare materiale fotografico o documentario. Le prime composizioni a commento di fotografie risalgono al 1938, l’ultimo anno dell’esilio danese; e le prime composizioni in quadri al 1940, quando, lasciata la Svezia, Brecht era di passaggio in Finlandia.
Sono del 1944, durante l’esilio americano, le prime raccolte in forma completa di sillabario che Brecht confeziona con l’aiuto della collaboratrice Ruth Berlau per farne dono ad amici. Oltre a Karl Korsch ne ebbe un esemplare anche l’amico di lunga data Lion Feuchtwanger.
Dal 1947 – data in cui Brecht chiese all’allora Comitato culturale per l’editoria della Repubblica democratica tedesca di pubblicare una raccolta di 72 quadri – all’effettiva data della pubblicazione nel 1955, il progetto editoriale subì molte modifiche, dovute soprattutto ad azioni di censura: l’opera non rispecchiava a sufficienza l’ideologia della Germania orientale, più precisamente non accusava “gli esponenti del nuovo fascismo”, ossia “i gruppi di potere americani e i loro propagandisti” considerati “i traditori della Germania occidentale”. Contro queste censure Brecht oppose una forte resistenza arrivando infine alla pubblicazione in forza del suo insindacabile giudizio, in quanto autore e in quanto membro dell’Accademia delle Arti di Berlino.
Il lavoro sull’abbecedario è il frutto della condizione di esiliato di Brecht, costretto in una situazione di precarietà in cui è esposto alla guerra. La necessità di parlare per immagini è da un lato un modo per far fronte alla violenza del conflitto mondiale, e dall’altra la volontà di denunciare il sistema dominante che faceva della stampa e della fotografia un potente organo di controllo. La composizione dell’Abicì della guerra usa la tecnica del montaggio – fondamentale anche nell’opera teatrale di Brecht – come strumento poetico per dire la verità.
In ciascun quadro si condensano e interagiscono dialetticamente piani differenti: l’evento storico selezionato da Brecht, l’immagine fotografica del giornale che lo immortala, assieme alla didascalia esplicativa, che di per sé rappresenta già una interpretazione, e il suo commento poetico. L’effetto complessivo è una visione assolutamente inedita degli accadimenti in corso durante la guerra.
Il montaggio, dispositivo essenziale nella composizione di tutti questi elementi, disarticola la percezione abituale dell’evento, o la percezione che passa attraverso la cronaca o il suo dettato storico, e costruisce un nuovo ordine di senso. Oltre che per il frangente storico in cui viene concepita e creata, l’opera è significativa anche per la forma compositiva e per il fatto che, pur essendo “poesia fotoepigrammatica”, è rivelatrice del metodo adottato da Brecht anche nelle sue opere teatrali. Un principio fondamentale che agisce nell’Abicì della guerra come nell’opera drammaturgica del regista tedesco.
Nella mostra “Figli di Marte” è presentata una riproduzione del manoscritto regalato a Feuchtwanger, esiliato anch’esso in California negli stessi anni del soggiorno americano di Brecht. L’originale è conservato nella collezione della Feuchtwanger Memorial Library presso la University of Southern California, ed è consultabile online nella sua interezza. Questa versione dell’Abicì della guerra si differenzia – oltre che nel formato anche, parzialmente, per i contenuti – dall’esemplare del 1955 attualmente conservato presso il Bertolt Brecht Archiv a Berlino, che era stato pensato per la pubblicazione: su questa versione si sono basate tutte le edizioni successive. La versione americana del 1944 è infatti composta da 71 quadri, anziché i 69 della versione berlinese, e presenta 9 sostituzioni oltre a una successione variata dei quadri rispetto all’incunabolo precedente.
Bertolt Brecht e Walter Benjamin
L’amicizia tra Brecht e Benjamin risale al 1929 quando si conoscono a Berlino collaborando entrambi al progetto di una rivista. Si ritrovano in seguito durante l’esilio dove alloggiano nello stesso albergo a Parigi. Parigi infatti è la prima tappa che Benjamin raggiunge fuggendo da Berlino il 17 marzo del 1933; Brecht, che era fuggito già il 28 febbraio del 1933, vi arriva dopo essere passato per Praga e Zurigo.
Da Svendborg Brecht propone a Benjamin di trasferire gran parte della sua biblioteca in Danimarca. Quando numerosi volumi arrivano, Brecht cerca di convincere Benjamin a raggiungerlo nella cittadina danese. Il filosofo dopo una lunga esitazione lo raggiunge nell’estate del 1934, poi nell’estate del 1936 e in quella del 1938.
Nell’estate del 1934 Benjamin alloggia, da giugno a ottobre, in una piccola pensione chiamata Stella Maris, vicina al casale dove alloggia Brecht. I due sono legati da una profonda amicizia che dura fino alla morte del filosofo avvenuta nel 1940, mentre Brecht si trova in California. Benjamin è stato, a suo tempo, il pensatore che ha compreso più profondamente l’opera di Brecht.
Bertolt Brecht, Hans Eisler e l’ambiente degli emigrati tedeschi negli Stati Uniti
Negli Stati Uniti Brecht ha modo di approfondire anche l’amicizia con il compositore tedesco Hanns Eisler che già dal 1929 aveva collaborato con lui e influenzandone le idee sulla musica. Tra i lavori più importanti ci sono le musiche per Madre coraggio e i suoi figli e Vita di Galileo. Eisler ha inoltre ispirato Brecht nella creazione dell’Abicì della guerra suggerendo l’accostamento tra composizione musicale e materiale fotografico documentario.
In America Brecht acuisce la critica nei confronti gli intellettuali emigrati colpevoli, secondo lui, di essere comunque complici del sistema contro cui credevano di opporsi; in particolare prendeva di mira gli intellettuali della Scuola di Francoforte che aveva soprannominato “Frankfurturisten”, una tipologia particolare di “Tui”, termine coniato da Brecht per identificare l’intellettuale che vende il suo pensiero al sistema come fosse merce.
Negli Stati Uniti il drammaturgo scrive La resistibile ascesa di Arturo Ui, Schweyk nella Seconda guerra mondiale, Il cerchio di gesso del Caucaso.
Nel luglio 1947 è in scena a Los Angeles Vita di Galileo, che denuncia la sconfitta dell’intellettuale e afferma la responsabilità dello scienziato nei confronti della società.
La presenza di Brecht in America diventa sempre più scomoda con l’avvento dell’era McCarthy, e il 30 ottobre del 1947 è convocato dalla Commissione per le attività antiamericane (HUAC) per rispondere delle sue idee politiche. Il giorno seguente Brecht lascia gli Stati Uniti, e, senza neanche aspettare la imminente messa in scena di Vita di Galileo a New York, si dirige a Zurigo. Il ritorno in Europa segna la nuova e produttiva attività teatrale che Brecht inaugura con la costituzione del Berliner Ensemble.
“Andammo noi, cambiando più spesso paese che scarpe”: gli anni dell’esilio 1933-1947
L’esilio di Bertolt Brecht in fuga dalla Germania nazionalsocialista, prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale, dura per ben quindici anni, dal 1933 al 1947. È possibile mappare, in estrema sintesi, una sorta di atlante delle peregrinazioni che lo portano in giro per il mondo, da oriente a occidente. Durante questi lunghi anni, la sua produzione teorica e artistica, sia in forma di prosa che di poesia e di scrittura drammaturgica, è ricca per quanto frammentaria e in uno stato di elaborazione non sempre definitivo: si tratta di decine di racconti, romanzi, dialoghi, storie, trattatelli filosofico-morali, opere teatrali. Sono tutte produzioni che riflettono, anche nell’aspetto formale, non solo la fragilità e precarietà del periodo dell’esilio, ma anche la continua contraddizione che Brecht si trova a vivere, tra l’urgenza storica che ne detta la creazione e la volontà di astrazione con cui egli cercava di dominarne il carattere contingente, di distanziarsi per farne oggetto di riflessione.
Berlino: 1933 – la fuga alla volta di Praga
Il giorno dopo l’incendio del Reichstag, il 28 febbraio, mentre le SA di Hermann Göring già rastrellavano gli oppositori per le strade, Brecht – insieme alla moglie Helene Weigel, il figlio Stefan, la figlia Barbara e alcuni amici – senza nemmeno passare di casa, riempì una valigia e in fretta e furia abbandonò Berlino per raggiungere Praga. Nei giorni precedenti, la messa in scena di La linea di condotta (1930), considerato il suo primo compiuto dramma didattico con espliciti riferimenti all’ideologia marxista, è interrotta dalla polizia.
Vienna: 3-12 marzo 1933
Anche Vienna, la capitale austriaca è una tappa del suo esilio. Qui è accolto dall’amico Karl Kraus.
Zurigo: maggio 1933
Dall’Austria Brecht e la moglie si spostano in Svizzera, a Zurigo, dove nel frattempo si erano rifugiati molti intellettuali. Da qui Brecht viene a sapere che il regime nazista a Berlino ha fatto bruciare pubblicamente le sue opere.
Parigi: 1933-1935
La città di Parigi è un’altra tappa dell’esilio di Brecht; qui nell’estate del 1933 mette in scena I sette peccati capitali del piccolo borghese, un balletto musicato da Kurt Weill, che fu un fiasco e segnò la fine della collaborazione col musicista con cui nel 1928 aveva avuto un enorme successo per L’opera da tre soldi.
Nel giugno del 1935, quando nel frattempo si era stabilito in Danimarca, partecipa al “I Congresso internazionale per la difesa della cultura” all’allora Palais de la Mutualité, dove oppose il rifiuto di considerare il fascismo un’esplosione di barbarie e invitò a riflettere una buona volta sulla vera “radice del male”: “Compagni, parliamo dei rapporti di proprietà!”.
Danimarca: dicembre 1933
Dopo un breve soggiorno a Copenaghen, nel dicembre del 1933 Brecht e il suo entourage si rifugiarono, su invito dell’amica scrittrice Karin Michaëlis, a Skovsbostrand, un paese danese alla periferia della cittadina di Svendborg. Il villaggio si trova sulla costa meridionale dell’isola danese di Fyn, situata a poche dozzine di chilometri dalla costa tedesca e dalla città di Kiel. Qui Brecht visse continuativamente – seppure con le interruzioni di frequenti viaggi – per circa sei anni, fino all’aprile del 1939.
Durante l’esilio in Danimarca Brecht ampliò significativamente la nozione di teatro epico oltre a iniziare quelle che sarebbero diventate alcune delle sue principali opere: Madre coraggio e i suoi figli, Vita di Galileo e L’anima buona di Sezuan che vennero completate – almeno nella prima stesura – solo dopo il periodo danese, di fatto tra il novembre del ’38 e il maggio del ’40, con l’aiuto delle collaboratrici Margarete Steffin e Ruth Berlau.
Verso la fine del soggiorno in Danimarca, Brecht cominciò a lavorare anche al testo teorico L’acquisto dell’ottone che però abbandonò incompiuto un anno prima di morire.
Svezia: aprile 1939
Nel 1939, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale Brecht si trasferisce in Svezia, nell’isola di Lidingö. Qui termina di scrivere Madre coraggio e i suoi figli. Nell’aprile del 1940 con l’occupazione nazista della Danimarca e della Norvegia Brecht è costretto a lasciare anche la Svezia, diventata non più sicura.
Helsinki: 1940-1941
Dalla Svezia Brecht si rifugia a Helsinki, ma già nel marzo del 1941 le truppe tedesche invadono anche la Finlandia ed è costretto a fuggire nuovamente. In questo periodo lavora a La resistibile ascesa di Arturo Ui, il signor Puntila e il suo servo Matti e ad alcuni saggi teorici sul teatro. Risale al 1940 anche l’inizio della composizione per quadri dell’Abicì della guerra (Kriegsfibel) di cui già dal ’38 Brecht aveva cominciato a raccogliere ritagli di giornale. Il progetto di questo sillabario per immagini della Seconda guerra mondiale è parallelo alla stesura dell’Arbeitsjournal (Diario di lavoro), a cui Brecht si dedica a partire dall’esilio e per tutta la vita, per annotare attraverso un montaggio di immagini, foto, documenti e testi, le tappe varie della composizione delle sue opere.
Russia: 1941
In fuga dalla Finlandia Brecht, dopo un breve soggiorno a Mosca, attraversa la Siberia e, raggiunta Vladivostock, si imbarca per gli Stati Uniti. In Russia era già stato nel 1932 e nella primavera del 1935 restandoci per tre mesi ed entrando in contatto, a Mosca, con molti protagonisti della vita culturale dell’epoca.
Stati Uniti: 1941-1947
Il 21 luglio del 1941 Brecht sbarca a San Pedro, in California. Come molti intellettuali tedeschi in fuga dall’Europa, approda così negli Stati Uniti, trovando dimora a Santa Monica. Come altri esuli, Brecht trova il sostegno finanziario dagli Studi di produzione cinematografica di Hollywood, anche se la sua attività sarà limitata: nel ‘43 cura la sceneggiatura del film di Fritz Lang, Hangmen Also Die.
Tra le frequentazioni importanti di questo periodo c’è quella con lo scrittore tedesco di origini ebraiche, nonché amico di lunga data, Lion Feuchtwanger, in fuga dalla Germania per la sua dichiarata avversione a Hitler e al Nazionalsocialismo. La sua casa, Villa Aurora, sarà un luogo di riunione di emigrati intellettuali e artisti e intellettuali americani. I due in America lavorarono al dramma The Visions of Simone Machard, la storia di una ragazza francese attiva nella resistenza, da cui la Metro Golden Mayer aveva in progetto di trarre un film, che però non fu mai realizzato.
A Lion Feuchtwanger nel 1944 Brecht regala una delle prime versioni della Kriegsfibel (Abicì della guerra) che aveva confezionato con l’aiuto di Ruth Berlau. In questa versione, come pure nella definitiva, è presente anche una foto che ritrae il suo amico quando era rinchiuso in un campo di internamento in Francia.
Svizzera: 1948
Lasciati gli Stati Uniti, Brecht prima di rientrare a Berlino si stabilisce un anno in Svizzera, dove, il 15 febbraio del 1948 presso lo Staddtheater di Coira, mette in scena l’Antigone des Sophokles. Significativamente, dopo l’esperienza della guerra, Brecht muta atteggiamento nei confronti della messa in scena dei classici, che fino ad allora ha sempre rifiutato di portare in scena perché considerati parte del teatro decaduto, vuoto nella bellezza formale della facciata e capace di riflettere solo immagini falsate della vera realtà; così per la prima volta decide di confrontarsi con una tragedia greca.
Berlino: 1949-1956
Dopo quindici anni Brecht torna in Germania stabilendosi a Berlino Est. Qui decide di inaugurare la rinata carriera teatrale con la messa in scena, presso il Deutsches Theater, di Madre coraggio e i suoi figli, la cui protagonista è l’attrice e compagna di vita Helene Weigel. Questa rappresentazione segna la nascita del Berliner Ensemble, la compagnia con cui Brecht ha lavorato fino alla morte nel 1956.
Riferimenti bibliografici
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- E. Wizisla, Benjamin and Brecht. The Story of a Friendship [2004], London-New York 2016.
Bertolt Brecht, a central figure in 20th-century theatre, can be likened to a "child of Mars," similar to Aby Warburg and Ernst Jünger. During his exile from Nazi Germany, Brecht developed significant works, including the Kriegsfibel (War Primer), a collection of images and epigrams reflecting on the experience of World War II. His poetic approach opposed traditional theatre, rejecting Aristotelian catharsis in favor of a critical perspective aimed at stimulating social reflection. Brecht defined his work as "epic" and later "dialectical," employing the technique of alienation (Verfremdungseffekt) to encourage audiences to maintain a critical distance from the action on stage. The Kriegsfibel, published in 1955, combines newspaper photographs and poetic verses, creating a visual narrative that denounces war and critiques media manipulation. This work arose from Brecht's urgency to express the violence of conflict and challenge the dominant systems controlling the press. His significant friendships, notably with Walter Benjamin, and collaboration with composer Hanns Eisler profoundly influenced his work. Brecht's experience of exile, which lasted from 1933 to 1947, led him to various countries, including Denmark, Sweden, Finland, and ultimately the United States, where he intensified his critiques of intellectuals he deemed complicit in oppressive systems. Upon returning to Germany in 1949, he founded the Berliner Ensemble, continuing to revolutionize theatre until his death in 1956. His work, characterized by precariousness and critical reflection, remains a powerful tool for social and political denunciation, using theatre as a means to transform audiences and society.
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Per citare questo articolo / To cite this article: Daniela Sacco, Brecht ‘sotto il cielo di Marte’, “La Rivista di Engramma” n. 127, maggio-giugno 2015, pp. 263-275 | PDF