"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

74 | settembre 2009

9788898260195

Monica Centanni
Nota ad Aristotele, Poetica 1451a36-1451b32
(e a Supplici a Portopalo, Portopalo, 19.09.2009, h. 21.50)

Sul tema della relazione inquieta tra storia e poesia, tra realtà e finzione, è utile tornare sui due passaggi del trattato aristotelico sull’arte poetica:

1451a36-1451b8
φανερὸν δὲ ἐκ τῶν εἰρημένων καὶ ὅτι οὐ τὸ τὰ γενόμενα λέγειν τοῦτο ποιητοῦ ἔργον ἐστίν ἀλλ᾽οἷα ἂν γένοιτο καὶ τὰ δυνατὰ κατὰ τὸ εἰκὸς ἢ τὸ ἀναγκαῖον. ὁ γὰρ ἱστορικὸς καὶ ὁ ποιητὴς οὐ τῷ ἢ ἔμμετρα λέγειν ἢ ἄμετρα διαφέρουσιν (εἴη γὰρ ἂν τὰ Ἡροδότου εἰς μέτρα τεθῆναι καὶ οὐδὲν ἧττον ἂν εἴη ἱστορία τις μετὰ μέτρου ἢ ἄνευ μέτρων) ἀλλὰ τούτῳ διαφέρει τῷ τὸν μὲν τὰ γενόμενα λέγειν, τὸν δὲ οἷα ἂν γένοιτο. διὸ καὶ φιλοσοφώτερον καὶ σπουδαιότερον ποίησις ἱστορίας ἐστίν, ἡ μὲν γὰρ ποίησις μᾶλλον τὰ καθόλου ἡ δ᾽ἱστορία τὰ καθ᾽ ἕκαστον λέγει

È evidente che mestiere del poeta non è raccontare cose che sono accadute, ma cose che possono accadere, che sono possibili secondo verosimiglianza e necessità. Lo storico e il poeta non si distinguono per il genere di scrittura, in prosa o in versi (ché si potrebbe mettere Erodoto in versi e nondimeno quella, in versi o non in versi, sarebbe storia), ma in questo sta la differenza: allo storico spetta di narrare cose accadute, al poeta cose che possono accadere. Perciò la poesia è più filosofica e più seria della storia: la poesia tratta piuttosto di cose generali, mentre la storia tratta piuttosto di particolari.

1451b29-1451b32
κἂν ἄρα συμβῇ γενόμενα ποιεῖν οὐθὲν ἧττον ποιητής ἐστι. τῶν γὰρ γενομένων ἔνια οὐδὲν κωλύει τοιαῦτα εἶναι οἷα ἂν εἰκὸς γενέσθαι καὶ δυνατὰ γενέσθαι, καθ᾽ὃ ἐκεῖνος αὐτῶν ποιητής ἐστιν.

E anche se capita che il poeta tratti di cose accadute, non per questo è meno poeta: nulla osta infatti che alcune delle cose accadute accadano secondo verosimiglianza, e per questo egli può essere loro poeta.

Se pure la storiografia, al suo nascere come genere, ha adottato una forma espressiva propria – la prosa – la differenza tra storia e poesia, nota Aristotele, non è formale: un Erodoto in versi resterebbe indiscutibilmente  ἱστορία (e viceversa, ribaltando l’esempio, il futuro genere del romanzo ellenistico, pur trovando nella prosa la sua forma espressiva più consona e fortunata, sarà purtuttavia ascrivibile senza dubbi alla classe ποίησις-fiction). La differenza sta nel contenuto e nel metodo del lavoro dello storico e del poeta. La scelta dello storico è legata alla materia disponibile fornita da τὰ γενόμενα, da quanto è accaduto: il participio γενόμενα ha nel contesto del ragionamento aristotelico il senso preciso di "cose accadute (almeno) una volta", e diventa quindi, logicamente, "cose (già) accadute" e quindi "accadute nel passato". Lo storiografo può scegliere e raccogliere i suoi materiali d’indagine esclusivamente nel campo recintato del passato. In questo senso τὰ γενόμενα sono 'i fatti', di cui lo storico è deontologicamente obbligato a restituire la versione reale. Lo storico dunque – sintetizzando il ragionamento aristotelico – tratta di ‘fatti realizzati’, e il suo impegno sarà (come insegna già Erodoto) una loro restituzione, la più informata e più corretta possibile.

Dal punto di vista della perimetrazione temporale del campo di raccolta dei materiali il poeta pare essere, dunque, più libero dello storico il cui sguardo può essere soltanto retroflesso sul passato: il terreno di caccia da cui il poeta trae materia per la sua opera non è legato a quanto è (già) accaduto, ma può trovare trame storie caratteri per la sua opera nel più ampio orizzonte di οἷα ἂν γένοιτο, "quanto può accadere". Se allo storico è preclusa l’indagine su quanto non è, realmente (già) avvenuto, al poeta di converso non è preclusa la possibilità di trattare di quanto è (già) accaduto: e anche quando, anche se, fa poesia di τὰ γενόμενα, “non per questo è meno poeta”. Il poeta può spaziare nella scelta della materia artistica rivalutando l’aspetto aoristico del participio τὰ γενόμενα, overossia includendo accanto a τὰ δυνατὰ – quanto potrà accadere nel futuro e quanto potrebbe accadere nel presente (senza che ne abbia, com’è obbligo dello storico, controllo diretto o conoscenza certificata) – anche quanto è potuto accadere realmente nel passato.


Forse che, allora, materia di poesia è tutto quanto è accaduto, è potuto, può, potrà, potrebbe accadere? No di certo: il poeta è condizionato da un altro vincolo, per certi aspetti più rigido dello stesso vincolo temporale. Il limite che Aristotele fissa per il repertorio poetico è τὰ δυνατὰ κατὰ τὸ εἰκὸς ἢ τὸ ἀναγκαῖον, “ciò che è possibile secondo verosimiglianza e necessità”. Dalla dimensione astratta che raccoglie tutti i compossibili (dei quali soltanto alcuni accedono alla realtà e ci si presentano come ‘accadimenti’) il poeta cava materia per la sua opera misurando gli accadimenti – realizzati o possibili, passati, presenti o futuri – su un doppio metro: τὸ εἰκὸς ἢ τὸ ἀναγκαῖον; e tra i due il primo termine dell’endiadi – τὸ εἰκὸς – sembra prevalere sul secondo e includerlo, se, nel passo in cui ritorna la questione del criterio di selezione rispetto ai fatti accaduti, Aristotele può sottintendere il criterio della necessità per ribadire invece che “alcune delle cose accadute possono ben accadere secondo verosimiglianza (οἷα ἂν εἰκὸς γενέσθαι) e per questo (καθ᾽ὃ) egli potrà essere loro poeta”.

Coerenza, credibilità, opportunità, convenienza: in εἰκὸς  le sfere semantiche di questi concetti (a ciascuno dei quali nel lessico aristotelico corrisponde un termine preciso e diverso) si incrociano e si confondono. La traduzione corrente e condivisa del termine εἰκὸς come "verosimile" è l’esito, teoreticamente molto connotato ma molto felice, del processo di semantica combinatoria che Aristotele avvia rapprendendo sotto il segno-εἰκὸς significati all’origine molto distanti.

Mestiere dello storico è dunque trattare di "cose accadute", qualsiasi sia il loro statuto di coerenza interna, di credibilità, di verosimiglianza: lo storico non è tenuto a interrogarsi e a vagliare la casualità per cui alcuni ‘possibili’ accedono all’esistenza e altri per contro non divengono τὰ γενόμενα. Un portato ermeneuticamente rilevante di questo ragionamento è che l’accadimento che accede alla narrazione storica (che realmente è accaduto) può essere inverosimile e arbitrario, quando invece l’accadimento scelto come argomento di narrazione poetica sarà "verosimile e/o necessario" κατὰ τὸ εἰκὸς ἢ τὸ ἀναγκαῖον, pur avendo mancato l’occasione di realizzarsi: insomma senza essere (stato) reale.

Lo sguardo critico che il poeta è chiamato invece a posare sugli accadimenti deve essere più sorvegliato, il suo vaglio più attento, la selezione che egli opera più discreta. Al poeta ciò che importa è che l’accadimento, sia o non sia realmente accaduto, abbia coerenza interna, risponda a verosimiglianza (κατὰ τὸ εἰκὸς) o sia convincentemente necessitato da circostanze esterne (κατὰ τὸ ἀναγκαῖον). Ne deriva che il giudizio poetico, prodromico alla scelta della materia dell’opera, inquieta lo statuto di 'verità' dei fatti reali: non tutto quanto accade è verosimile e necessario, e pertanto all’altezza del λέγειν τὰ καθόλου, quel "dire cose generali" che la poesia, secondo Aristotele, si propone come suo alto limite di definizione rispetto alla storia.

Il poeta dunque, rispetto allo storico che è costretto per scelta di campo a mettere in forma di scrittura quanto è accaduto, può – anzi: deve – selezionare fra le cose accadute o che possono accadere quante e quali si prestano a essere riconosciute come rispondenti al criterio del "verosimile o necessario". Selezione rigorosa che decide di quali siano gli accadimenti degni di essere annoverati fra i verosimili (κατὰ τὸ εἰκὸς) e in quanto dotati di maggiore coerenza e rappresentatività, in quanto significativi in generale (τὰ καθόλου) anziché nel particolare (τὰ καθ᾽ ἕκαστον): solo questi accadimenti meritano poesia. A compensare il rigore della selezione del poeta sta l’evidenza testimoniale dell’opera poetica stessa: la non secondaria conseguenza, che i fatti prescelti e poi narrati dal poeta diverranno tradizione e memoria condivisa.

Priva del filtro della selezione artistica, la realtà è composita, indiscriminatamente variegata di accadimenti verosimili e necessari e di accadimenti contingenti, particolari, arbitrari; meno "seri", ovvero meno dotati di tensione filosofica.

Mestiere del poeta è divenire "poeta di quei fatti": nell’espressione αὐτῶν ποιητής Aristotele, recuperando al termine ποιητής la genesi deverbativa del nomen agentis, evidenzia, con sottolineatura paradossale e anacronistica, l’azione del poeta sugli stessi fatti già accaduti – il poeta è costruttore e artefice non solo delle sue invenzioni, ma anche degli stessi fatti reali di cui fa materia di poesia.

Se dunque il poeta nella selezione della materia per la sua opera sa applicare questi principi – se il poeta, potremmo dire, è vero ποιητής  – ne deriva che la poesia è sempre "verosimile e necessaria". È la poesia, insomma, che mediante il filtro selettivo del dispositivo critico che il poeta applica alla realtà data (accaduta = τὰ γενόμενα), prescegliendo soltanto di dare forma a fatti verosimili e necessari, rende vera la realtà.

Il poeta usa eventi verosimili, piuttosto che la realtà tutta, nell'indiscriminato complesso dei suoi accadimenti, per costruire la trama di una poesia “più seria della storia”: così  Aristotele, in questa sua prospettiva tutta parziale, tutta a favore della poesia; ma Tucidide, raccogliendo dalla congerie dei fatti il filo di una narrazione credibilmente "valida per sempre", già aveva insegnato che anche la storia è, propriamente in senso aristotelico, atto di ποίησις.

Solo il filtro poetico, da trame storie personaggi singolari, distilla parole valide generalmente: fa della realtà filosofia. Sta al ποιητής – sia poeta, sia storico – scegliere tra tutto quanto è accaduto, accade e può accadere: sta al poeta scegliere e narrare.

Ma esiste qualche contingenza spazio-temporale rara e preziosa in cui una poesia – tanto intensa da sembrare verosimile e necessaria – e una realtà – tanto intensa da diventare verosimile e necessaria – vibrano in consonanza, quasi che per un istante arte e realtà facessero a gara per concorrere allo statuto di verità.

È successo a Portopalo, il 19 settembre 2009, alle ore 21.50 circa.

Portopalo (SR) - Gabriele Vacis e Vincenzo Pirrotta (vai al sito di Supplici a Portopalo)

Sulla scena di fronte al mare, i versi tragici di Eschilo sulla guerra, la fame, la carestia, e sul diritto di asilo che la città e i suoi governanti, come atto primo di civiltà, devono concedere ai supplici, si rivelavano ancora una volta parole serissime e filosofiche, valide "in generale" perché si confondevano, indistinguibili, con le voci delle testimonianze storiche dei migranti dei nostri giorni, in fuga dalla guerra, dalla fame, dalla carestia, invocando un diritto di asilo che la città e i suoi governanti, come atto primo di civiltà, dovrebbero concedere ai nuovi supplici. E per qualche secondo, sul fondale della scena, dietro, sul mare, sfrecciò la luce veloce di una barca corsara che trasportava un nuovo carico di migranti sulle coste di Sicilia. Per qualche istante quella luce ha illuminato reciprocamente di vero realtà e finzione poetica. E il filosofo – "maestro di color che sanno", ma nei secoli anche sapiente e mago – in quel momento, è certo, Aristotele sorrideva.