bḁ′ṅkë / bùṅkër
Editoriale di Engramma n. 185
Fernanda De Maio, Michela Maguolo, Alessandra Pedersoli
English abstract
Nell’autunno 2020, “Engramma” ha promosso presso il Centro studi classicA Iuav un ciclo di seminari dedicati al tema del bunker. Gli incontri sono avvenuti nei mesi del lockdown imposto per la pandemia Covid 19 che, dal marzo di quell’anno, infuriava in Italia e nel mondo, in una situazione – psicologica oltre che fisica, culturale e sociale – in cui corpi e pensieri erano avvolti nel clima greve, grigio e claustrofobico, della clausura. Durante le discussioni è emerso quanto fosse attuale l’oggetto ‘bunker’, sia nella sua forma architettonica, sia nella percezione condivisa legata ai temi dell’isolamento e della protezione.
Il significato. Riflettendo sulla funzione del bunker si è resa evidente l’irriducibilità di questa architettura a una particolare tipologia costruttiva, a una specifica funzione, a una forma univoca. L’immagine familiare, evocatrice di solidità e impenetrabilità, sembra refrattaria a una definizione precisa.
La parola. La necessità di definire cos’è il bunker ha spinto la discussione verso un approfondimento etimologico e storico-linguistico. La matrice anglosassone della parola – contenitore, deposito – ha improntato una prima evoluzione di significato verso il generico riparo – di materiali, oggetti, persone. Ma considerando ciò che il termine ‘bunker’ designa e le diverse definizioni che ne vengono date, il suo senso diventa molteplice: una nuvola di significati.
È per questo motivo che abbiamo scelto di intitolare il numero di “Engramma” “bḁ′ṅkë / bùṅkër”, riproducendo la trascrizione fonetica delle due principali pronunce del termine: nella prima convivono il significato di ‘contenitore’ e ‘rifugio’, nell’altra si addensano le immagini e la storia del manufatto bellico. Da un lato quindi sta la prima comparsa del termine in un dizionario di una specifica lingua e la sua successiva migrazione verso altre lingue, restando identica la forma, ma muovendosi verso direzioni molteplici che agganciano sinonimi e sfumature semantiche differenti negli altri contesti linguistici e culturali; dall’altro lato stanno le declinazioni dello stesso termine in relazione a uno spazio abitato.
Nel passaggio da sostantivo ad aggettivo il termine resta immutato nella forma (aula bunker, casa bunker, isola bunker…; bunker architecture, bunker island, bunker archaeology…) ma colora in modo differente le parole a cui si accosta muovendosi tra il concetto di rifugio e il concetto di ostacolo. Proprio la polarità antinomica degli aggettivi attraverso cui è possibile descriverlo – offensivo / difensivo, evidente / nascosto, introflesso / estroflesso, ipogeo / epigeo, puntuale / continuo, decontestualizzato / parte del contesto, sradicato / rizomatico, intimorente / protettivo, minaccioso / sicuro, funzionale / simbolico, forma / assenza di forma, materialità / virtualità – insieme alla impossibilità di individuarne caratteristiche identificanti – forse è il solo materiale di costruzione l’elemento che accomuna i tanti e diversi ‘bunker’ – induce a considerarlo come un concetto labile, fluido, che anche nell'approccio metodologico incorre spesso in una polarità, fra iperspecialismo e vaghezza.
Una cristallizzazione che privilegi un aspetto anziché un altro può essere legittima (e in molti casi è stata praticata), ma non ci è parsa sufficiente a spiegare la complessità e in definitiva il successo della diffusione del termine nel linguaggio comune, dalla seconda metà del Novecento a oggi.
Indagare il bunker nella sua complessità, come oggetto e come concetto, come luogo fisico e mentale o come metafora, assumendo come punto di osservazione il presente, è dunque l’obiettivo di questo numero monografico.
In particolare, affrontare il tema della trasposizione del bunker nell’architettura contemporanea significa volgere lo sguardo a una certa architettura, assimilata nella dizione corrente a quella delle architetture militari e capire le ragioni della sua attualità.
Praticata nel recente passato e nel presente, in alcune specifiche parti del mondo, questa declinazione del bunker ora camuffata e ipogea, ora massiccia e ostentata ha l’obiettivo dichiarato di sprigionare una energia dissacrante, polemica e operativa, in situazioni urbane borderline, in cui ogni attività di pianificazione e di organizzazione del territorio è assente; è, in altre parole, un modo per stare dentro un contesto specifico e per mettersi in relazione con questo. Nell’ambito di questo numero però significa anche rintracciare quell’afflato scandaloso contenuto nella scoperta / invenzione ‘archeologica’ che Paul Virilio fece del paesaggio marino insieme all’architettura dei bunker militari del Vallo atlantico, allorché nel corso dell’estate del 1958 si recò per la prima volta sulla spiaggia della Bretagna:
Le déclenchement — l’invention, au sens archéologique du terme — eut lieu le long de la plage au sud de Saint-Guénolé, au cours de l’été 1958. J’étais adossé à un massif de béton qui m’avait précédemment servi de cabine de bain ; j’avais épuisé les jeux habituels du domaine balnéaire, j’étais vacant plus qu’en vacances et mon regard se projetait sur la ligne d’horizon de l’Océan, sur la perspective de sable entre les massifs rocheux de Saint-Guénolé et la digue du port du Guilvinec au sud. Il y avait peu de monde, et ce tour d’horizon sans accidents me ramenait à mon propre poids, à la chaleur et à ce dossier solide contre lequel j’étais installé : ce massif de béton incliné, cette chose sans valeur qui n’avait su m’intéresser jusqu’alors autre-ment que comme un vestige de la Seconde Guerre mondiale, autrement que comme l’illustration d’une histoire, celle de la guerre totale (Paul Virilio, Bunker archéologie, 1975, 7).
Lo sguardo-guida: Paul Virilio. Rivelato al mondo del pensiero e della cultura nella sua complessa e ambigua bellezza di manufatto militare moderno da Virilio fra gli anni ’60 e ’70 del Novecento, la perturbante natura del bunker si radica su ancestrali soluzioni di difesa e struttura per invenzioni spaziali, urbane, sociali, artistiche, quanto mai attuali nel momento che stiamo vivendo. Per questo, il numero si apre ripercorrendo la mostra “Bunker archéologie” (Parigi 1975-1976), attraverso i materiali degli archivi del Centre Pompidou – testi, fotografie, disegni – proponendo un confronto con i testi coevi e successivi di Virilio intorno al tema e la ricostruzione del dibattito che in quegli anni il bunker e l’architettura militare suscitano. L’articolo di Michela Maguolo, Decriptare il bunker. La mostra “Bunker archéologie” di Paul Virilio è seguito dalla versione italiana, curata dalla stessa Maguolo e da Alessandra Pedersoli, di alcuni brani dal libro Bunker archéologie, che accompagnava quella esposizione: il volume, inedito in italiano, è diventato un punto di riferimento per chi si avvicina a questo tema. È a partire dal palinsesto costruito da Virilio che si snoda poi la suddivisione dei successivi contributi di questo numero.
Antico e contemporaneo. Questa è la sezione che propone un excursus archeologico della costruzione ipogea nell’antichità romana con l’articolo di Maddalena Bassani Bunker ante-litteram. Architetture domestiche in sottosuolo di epoca romana, e il controcampo contemporaneo in ambito artistico, con il progetto Clandestine Talks che Lara Favaretto ha ambientato in un bunker per la 58. Biennale d’arte di Venezia, raccontato nell’intervista curata da Maria Stella Bottai e Antonella Sbrilli in Pensare nel bunker. Tre domande a Lara Favaretto sui Clandestine Talks (Biennale di Venezia 2019). A chiudere la sezione, l’attualità dell’isolamento cui un virus ha costretto l’intero pianeta, letto attraverso pensieri, versi, fotografie, opere d’arte proposti da artisti e architetti da ogni parte del mondo nel libro Bunkering di Jeanette Plaut, Marcelo Sarovic e Marés Sander recensito da Daniela Ruggeri in Voci dall’isolamento. Il libro Bunkering di Jeanette Plaut, Marcelo Sarovic, Marés Sander, Santiago 2021.
Architettura. Lo ‘scandalo bunker’ annunciato da Virilio è l’oggetto specifico dei tre articoli contenuti nella sezione ‘Architettura’ in cui si assiste al passaggio interscalare dal micro al macro, e viceversa. Introduce la sezione l’articolo di Guido Morpurgo Dall’astuccio al bunker. L’interno-sarcofago come controforma della macchina-sottomarino: cosa contiene cosa? che interroga una particolare tipologia di bunker, la base per sottomarini. A seguire, Une machine à émouvoir. Bunker e \ è architettura di Andrea Iorio che si sofferma, analizzando due elementi del bunker, il muro e la feritoia, sugli aspetti architettonici di questa costruzione. Chiude la sezione l’articolo di Fernanda De Maio, (In)attualità e (a)temporalità del bunker. L‘opera di Bernard Khoury a Beirut, con un resoconto dell’opera dell’architetto libanese, a distanza di circa venticinque anni dal suo exploit nel panorama internazionale delle riviste e dei premi di architettura con la mitica discoteca B018 – astronave-bunker sprofondata nel lotto 317 di Karantina.
Città. Il passaggio alla dimensione urbana avviene attraverso gli articoli contenuti in questa sezione, introdotta da Memorie dal sottosuolo moscovita. Il più grande bunker del mondo di Christian Toson, inedita indagine della metropolitana di Mosca come architettura militare ipogea, negli intrecci architettonici, ingegneristici, politici e come infrastruttura urbana cui vengono attribuiti significati sempre diversi. Mentre è all’articolo di Giacomo Calandra di Roccolino Il bunker urbano. Tipologia, simbologia, riuso dei bunker in Germania che si deve la lettura della Berlino fortificata nazista e di come i bunker da dispostivi bellici si sono trasformati, secondo l’originario significato del termine, in sofisticati contenitori e incubatori culturali.
Paesaggio. L’ampia sezione sul ‘Paesaggio’ è in parte stata sollecitata da una video-installazione (Habitat # 4, 2021. Point cloud scans: Adam Havkin, Video editing: Yasmin Vardi) presentata nel padiglione di Israele alla 17. Biennale di architettura. Il video restituisce il surreale spazio di uno dei numerosi bunker abbandonati lungo le rive del Giordano, in un’area smilitarizzata ma ancora off-limits, diventati habitat ideale per micro-pipistrelli, creduti estinti, lungo le rotte di migrazione da e verso l’Africa, l’Asia, l’Europa e ora trasformati in riserva naturale. Fagocitati dall’ambiente, i bunker fantasma israeliani scompaiono, come quelli teatralmente esibiti ma privi di radici dell’Albania, come racconta Elisabetta Terragni nel suo Albania hunkering down. All alone in the Cold War, che proprio di fronte all’inesorabile e auspicata sparizione delle migliaia di bunker disseminati nel paese che da solo voleva resistere all’invasione, ne rintraccia vicende umane e modalità costruttive. Alla Guerra fredda appartengono anche i bunker che hanno plasmato il paesaggio del Friuli Venezia Giulia, come spiega Livio Petriccione nel suo Opere della Fortificazione permanente della frontiera orientale. Architetture, tecniche costruttive e prospettive di recupero. E di un possibile recupero, fondato su un approccio multidisciplinare e di rivitalizazione territoriale, parla anche Antonella Indrigo nel suo articolo Dentro la terra. Il Vallo alpino del Littorio in Friuli. Dal Friuli alla Lombardia orientale: durante la Seconda guerra mondiale la Organisation Todt ha operato nella bassa Velle Camonica per arginare una possibile ritirata della Wehrmacht a nord, allestendo la Blaue Linie, una linea fortificata della quale si era persa interamente memoria. In anni recenti, grazie a Stefano Malosso, autore del documentario La guerra scampata. Lungo i cantieri Todt della Linea Blu in bassa Valle Camonica, il bunker è divenuto traccia per ‘riscrivere la mappa’ sul territorio, grazie al racconto, prezioso, dei testimoni ancora in vita, che lungo la linea avevano osservato i lavori di costruzione.
È un’attenzione discreta quella che si concentra sul bunker oggi, sia alla sua evidenza culturale, sia come oggetto attraente e inconsueto nel paesaggio montano, balneare o cittadino, come al Lido di Venezia, a Pantelleria, a Milano Marittima, all’isola d’Elba o a Sonico in Valle Camonica (solo per fare alcuni esempi legati alle nostre personali peregrinazioni).
Ralenti dans son activité physique mais attentif, anxieux des probabilités catastrophiques de son environnement, l’habitant de ces lieux du péril est oppressé par une singulière pesanteur ; en fait, il possède déjà cette rigidité cadavérique que la protection de l’abri était censée lui éviter. (Paul Virilio, Bunker archéologie, 1975, 13)
English abstract
The present issue of “La Rivista di Engramma” originates from a group of seminars focused on the bunker, in its manifold meanings. The title “bḁ′ṅkë / bùṅkër” –phonetic transcription of the two main pronunciations of the term– summarizes this multiplicity: in the first, the meanings of container and refuge coexist, in the second, the images and history of the war artefact are concentrated. The polarity of the adjectives through which it is possible to describe it - offensive / defensive, evident/hidden, inverted / everted, hypogeum / epigeal, punctual/continuous, decontextualized / part of the context, uprooted / rhizomatic, intimidating / protective, threatening / safe, functional / symbolic, form / absence of form, materiality / virtuality - together with the impossibility of identifying precise characteristics - perhaps the building material alone is what unites the bunkers - leads to consider it as a fleeting, fluid concept. Having Paul Virilio and his Bunker archéologie as starting point (Michela Maguolo, Decriptare il bunker. La mostra “Bunker archéologie” di Paul Virilio; the Italian translation of a selection of passages from Bunker archéologie), the issue is divided into four sections: Antiquity and Contemporaneity (Maddalena Bassani Bunker ante-litteram. Architetture domestiche in sottosuolo di epoca romana; Maria Stella Bottai, Antonella Sbrilli, Pensare nel bunker. Tre domande a Lara Favaretto sui Clandestine Talks), a review by Daniela Ruggeri Voci dall’isolamento. Il libro Bunkering di Jeanette Plaut, Marcelo Sarovic, Marés Sander, Santiago 2021 closes the section; Architecture (Guido Morpurgo, Dall’astuccio al bunker. L’interno-sarcofago come controforma della macchina-sottomarino: cosa contiene cosa?; Andrea Iorio, Une machine à émouvoir. Bunker e\è architettura; Fernanda De Maio, (In)attualità e (a)temporalità del bunker. L‘opera di Bernard Khoury a Beirut); City (Christian Toson, Memorie dal sottosuolo mosacovita. Il più grande bunker del mondo; Giacomo Calandra di Roccolino, Il bunker urbano. Tipologia, simbologia, riuso dei bunker in Germania); Landscape (Elisabetta Terragni, Albania hunkering down. All alone in the Cold War; Livio Petriccione, Opere della Fortificazione permanente della frontiera orientale. Architetture, tecniche costruttive e prospettive di recupero; Antonella Indrigo, Dentro la terra. Il Vallo alpino del Littorio in Friuli).
keywords | Bunker archéologie; Paul Virilio; Bernard Khoury; Bunker architecture; Urban bunkers; Moscow Metro; Albania; Rehabilitation and reuse; Blaue Linie.
Per citare questo articolo / To cite this article: F. De Maio, M. Maguolo, A. Pedersoli, Editoriale di Engramma n.185, “La Rivista di Engramma” n. 185, ottobre 2021, pp. 7-14 | PDF