"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

187 | dicembre 2021

97888948401

Nebbie londinesi e capziose dimenticanze

Wilde lettore di Dickens

Gino Scatasta

English abstract

Se si chiede a un lettore che non sia specialista dell'Ottocento inglese di indicare i nomi di alcuni autori vittoriani, è molto probabile che fra gli scrittori citati compaiano Charles Dickens e Oscar Wilde. È tuttavia evidente a tutti, e non solo agli specialisti della letteratura del periodo, che si tratta di due autori molto diversi che sembrerebbero avere in comune solo il fatto di essere vissuti, per un caso, nello stesso periodo storico. Se Wilde, inoltre, viene considerato generalmente un critico ironico e sottile del Vittorianesimo e dei suoi valori, Dickens viene visto al contrario come un tipico vittoriano, che condivide valori e pregiudizi dei suoi contemporanei. Un concetto molto abusato negli studi vittoriani, che gode di grande successo nei testi scolastici probabilmente perché banalizzato e vago, è quello del cosiddetto ‘compromesso vittoriano’. Se ne parla di solito come di una sorta di alleanza fra una borghesia rampante, che nella sua ascesa al potere aveva accondisceso a garantire alcune riforme alla working class per evitare possibili sussulti rivoluzionari nell'isola. Ma se ne parla anche a proposito della doppia morale borghese per cui i vizi vengono praticati ma pubblicamente negati, a riprova della tipica (e anch'essa banalizzata) ipocrisia vittoriana. Oppure, come voleva Chesterton nel suo The Victorian Age in Literature del 1913, il compromesso vittoriano era quello che si instaurava fra una letteratura potenzialmente rivoluzionaria e una società in cui il divario sociale fra ricchi e poveri si faceva sempre più ampio; oppure indicava il divario che si era aperto fra il razionalismo settecentesco e l'utilitarismo ottocentesco da una parte e la reazione degli scrittori e dei pensatori che non ne accettavano le implicazioni sociali. O ancora il compromesso di una borghesia che, a differenza di quella francese, aveva finito per allearsi con l'aristocrazia invece di liberarsene con una politica rivoluzionaria (Chesterton [1913] 1966, 9). L'espressione ‘compromesso vittoriano’, qualunque cosa essa significhi, indica in modo evidente che il Vittorianesimo non fu un'epoca omogenea, ma un periodo storico e letterario complesso nel quale si ritrovano posizioni molto diverse, un mondo in cui, al di là dell'immagine stereotipata che ne viene spesso fornita, non regnava solo l'ipocrisia ma si può ritrovare anche la presa di coscienza di alcune questioni sociali, come quella della condizione femminile, e si delineano i primi tentativi di affrontarle e risolverle o di renderne conto in letteratura. Un mondo, insomma, in cui c'era spazio per due autori così diversi come Wilde e Dickens.

1 | Daniel Maclise, Portrait of Charles Dickens, olio su tela, 1839, National Portrait Gallery, London.
2 | Napoleon Sarony, Oscar Wilde, fotografia, New York, 1882, Library of Congress, New York.

In questo senso, Dickens e Wilde sono entrambi vittoriani. Ma erano davvero così diversi, quasi opposti? Non è solo il periodo storico ad apparirci oggi molto più complesso di un tempo; anche Dickens e Wilde si mostrano ai nostri occhi come personaggi multipli, sfuggenti, al di là delle facili etichette che in passato sono state applicate a entrambi: Dickens visto come moralista e Wilde come uno spirito frivolo e superficiale. Si è detto molte volte che Wilde era un critico della società vittoriana, ma che sarebbe inimmaginabile fuori da essa, dato che in essa viveva e ne godeva i vantaggi. È un rilievo corretto ma ingiusto: quanti scrittori sono pensabili davvero al di fuori dalle circostanze storiche e sociali nelle quali sono nati e vissuti? E a proposito di Dickens, basta consultare un dizionario inglese per vedere come l'aggettivo dickensian rimanda a immagini di allegria, giovialità e convivialità, ma anche a qualcosa di grottesco, sordido, squallido, povero, desolato. Elementi incompatibili ma che, come sanno i lettori di Dickens, si possono ritrovare nello stesso romanzo e perfino nelle stesse pagine.

3 | John & Charles Watkins, Charles Dickens, fotografia, Londra, 1863, National Portrait Gallery, London.
4 | Anonimo, Oscar Wilde davanti a San Pietro, fotografia, Roma, 1897, William Andrews Clark Library, Los Angeles.

Date queste premesse, torniamo alla domanda da cui siamo partiti: Dickens e Wilde erano davvero diversi o avevano qualcosa in comune, anche se quando il primo morì, il secondo era poco più di un ragazzo? Osservando il ritratto di Dickens all'inizio della sua carriera dipinto da Daniel Maclise nel 1839, ci troviamo di fronte un ventisettenne elegante dai folti e lunghi capelli ricci, non dissimile, considerando i cambiamenti della moda, da uno dei tanti ritratti fotografici che Wilde alla stessa età commissionò a New York a Napoleon Sarony (figg. 1 e 2). E se consideriamo invece due fotografie scattate qualche anno prima della loro morte, vediamo invece che i cambiamenti sono sostanziali rispetto ai ritratti precedenti: se Dickens appare invecchiato, smagrito, quasi consumato, Wilde è gonfio, quasi tronfio (figg. 3 e 4). Se dovessimo dire chi dei due è uscito da poco dal carcere dopo due anni di lavori forzati, sarebbe comprensibile se si indicasse Dickens.

Qualche vago legame fra i due inizia a delinearsi: forse il giovane Dickens era a suo modo un dandy, come Wilde, ma con il passare degli anni le loro strade hanno preso direzioni diverse. Le immagini possono essere però suggestive, ma ingannevoli. Se prestiamo invece attenzione alle parole scritte da Dickens e Wilde, le differenze si fanno ancora più evidenti, così come la chiara volontà di Wilde di staccarsi dal suo predecessore, non tanto per quell'ansia dell'influenza teorizzata da Harold Bloom, quanto per un'effettiva distanza fra i due sulla loro visione dell'arte. In The Decay of Lying di Wilde, uno dei due personaggi che dialogano nel saggio dichiara:

Where, if not from the Impressionists, do we get those wonderful brown fogs that come creeping down our streets, blurring the gas-lamps and changing the houses into monstrous shadows? To whom, if not to them and their master, do we owe the lovely silver mists that brood over our river, and turn to faint forms of fading grace curved bridge and swaying barge? The extraordinary change that has taken place in the climate of London during the last ten years is entirely due to a particular school of Art. […] Things are because we see them, and what we see, and how we see it, depends on the Arts that have influenced us. To look at a thing is very different from seeing a thing. One does not see anything until one sees its beauty. Then, and then only, does it come into existence. At present, people see fogs, not because there are fogs, but because poets and painters have taught them the mysterious loveliness of such effects. There may have been fogs for centuries in London. I dare say there were. But no one saw them, and so we do not know anything about them. They did not exist till Art had invented them (Wilde 1977, 986).

La nebbia a Londra l'hanno inventata gli impressionisti: è questo il paradosso di Vivian e dietro di lui di Wilde. Eppure la nebbia londinese, prima degli impressionisti, aveva trovato un cantore eccezionale in Dickens. Non c'è quasi romanzo di Dickens in cui non appaia la descrizione di un paesaggio urbano nebbioso, ma nessuna raggiunge la potenza dell'apertura di Bleak House, il romanzo che Dickens iniziò a pubblicare nel 1852:

London. Michaelmas term lately over, and the Lord Chancellor sitting in Lincoln's Inn Hall. Implacable November weather. As much mud in the streets, as if the waters had but newly retired from the face of the earth, and it would not be wonderful to meet a Megalosaurus, forty feet long or so, waddling like an elephantine lizard up Holborn-hill. [...] Fog everywhere. Fog up the river, where it flows among green aits and meadows; fog down the river, where it rolls defiled among the tiers of shipping and the waterside pollutions of a great (and dirty) city. Fog on the Essex marshes, fog on the Kentish heights. Fog creeping into the cabooses of collier-brigs; fog lying out on the yards and hovering in the rigging of great ships; fog drooping on the gunwales of barges and small boats. Fog in the eyes and throats of ancient Greenwich pensioners, wheezing by the firesides of their wards; fog in the stem and bowl of the afternoon pipe of the wrathful skipper, down in his close cabin; fog cruelly pinching the toes and fingers of his shivering little 'prentice boy on deck (Dickens [1853] 1996, 11).

Vivian e Wilde evitano quindi volutamente di nominare Dickens: è improbabile che Wilde non conoscesse Bleak House, ma non impossibile. La prima domanda da farsi, infatti, è proprio questa: Wilde aveva davvero letto Dickens? La risposta è positiva, come sappiamo dalle biografie di Wilde. Scrive Matthew Sturgis che a Portora, il college irlandese che Wilde frequentò da ragazzo, dal 1864 al 1871, egli “read both Dickens, the great sentimental comic moralist of the age, and Disraeli, the less-regarded ‘silver fork’ literary and political dandy. And, in line with his desire to be ‘distinctive’ in all things, he declared a preference for the latter” (Sturgis 2018, 31). Nel 1870, in occasione della morte di Dickens, ci tenne a esprimere la sua antipatia per i romanzi del defunto, dicendo, secondo quanto riporta Richard Ellmann, di preferirgli quelli di Disraeli, “a man who could write a novel and govern an empire with either hand” (Ellmann [1987] 1988, 24-25). Certamente Wilde aveva letto The Old Curiosity Shop, un romanzo di enorme successo scritto da Dickens tra il 1840 e il 1841, dato che la battuta più famosa di Wilde su Dickens si riferisce proprio a questo romanzo, la cui protagonista, la piccola Nell, viene fatta morire alla fine del libro, cosa che suscitò un'ondata di lutto isterico in Inghilterra e negli Stati Uniti. Swinburne, in un suo saggio, tutto sommato positivo, sull'opera di Dickens, aveva manifestato molte perplessità sul personaggio di Nell, arrivando a definirla “a monster as inhuman as a baby with two heads” (Swinburne 1913, 21). Ma prima di lui, in modo di gran lunga più memorabile si era espresso Wilde dicendo che “one must have a heart of stone to read the death of Little Nell without laughing” (Ellmann [1987] 1988, 441). Anche in The Old Curiosity Shop, fra l'altro, una delle scene finali del romanzo, quella della morte del maligno nano Quilp, si svolge in un paesaggio avvolto da una fittissima nebbia che è calata sul Tamigi e che fa perdere il senso dell'orientamento al malvagio personaggio, che cadrà in acqua e affogherà (Dickens [1841] 1980, 619-20).

Wilde dichiarò una volta, in modo provocatorio, di non aver mai letto Dickens: in occasione della messinscena della sua commedia A Woman of No Importance, nel 1893, a Wilde non piaceva l'interpretazione data dall’attore Fred Terry, che restava alquanto ostile a Wilde e poco sensibile al suo fascino. Durante una cena, però, Wilde lo ammaliò parlando di Dickens, dopo che Terry aveva affermato di amarne moltissimo i romanzi. Alla fine della serata Terry, ormai conquistato dalla conversazione di Wilde, gli disse: “Well, Mr Wilde, it's been a very great pleasure for me to find another person who is fond of Dickens”. “Oh, my dear boy”, rispose Wilde, “I've never read a word of his in my life” (Ellmann [1987] 1988, 359). Probabilmente si trattava solo di una delle tante provocazioni wildiane, dato che in una situazione molto diversa, nel luglio del 1896, quando era rinchiuso nel carcere di Reading, compilò una lista di eventuali acquisti per la biblioteca, consigliando le opere complete di Dickens. Scrisse quindi in una lettera di ritenersi certo che la raccolta completa delle sue opere sarebbe stata una manna per molti prigionieri, ma anche per lui (Wright 2008, 271). Forse Wilde pensava più ai suoi compagni di carcere che a sé (l'uso del condizionale è indicativo) e certamente la sua richiesta risentiva di un cambiamento di gusti e di umore: nella stessa lista consiglia l'acquisto di En Route di Huysmans, un romanzo centrato sulla conversione al cattolicesimo del suo autore e successivo al più famoso e più amato (almeno ai tempi del Dorian Gray) À rebours. Quindi Wilde certamente conosceva Dickens, anche se non ne era mai stato un lettore appassionato fin da quando, ancora adolescente, a ispirare le sue letture era la madre che, “solo a sentire il nome di Dickens” parlava del “miasmo del luogo comune” (Jullian [1967] 1972, 29).

Il giudizio negativo di Wilde su Dickens è evidente in una recensione di una biografia di Dickens uscita sulla “Pall Mall Gazette” nel marzo 1887: Wilde parla di Dickens come di un uomo dall’energia indomabile, dalla straordinaria dedizione al lavoro, dalla personalità affascinante, tirannica e pieno di buonumore, ma sottolinea subito i suoi difetti, il primo dei quali, a suo parere, è curiosamente quello di aver messo in caricatura i genitori per divertire il suo pubblico. Quindi le critiche di Wilde si fanno sempre più pressanti e si parla esplicitamente delle “innumerable failures” di Dickens, concentrandosi proprio sul fatto che non riuscisse a cogliere o a comunicare la bellezza del mondo circostante: “Dickens might be likened to those old sculptors of our Gothic cathedrals who could give form to the most fantastic fancy, and crowd with grotesque monsters a curious world of dreams, but saw little of the grace and dignity of the men among whom they lived” (Wilde 2004, 19). E conclude, in modo perentorio: se i nostri discendenti lo leggeranno, “we hope they will not model their style upon his” (Wilde 2004, 20). La principale accusa che Wilde muove a Dickens, a parte la sciattezza dello stile, è la sua incapacità di cogliere la bellezza, e dietro una falsa lode – “if our discendants do not read him they will miss a great source of amusement” (Wilde 2004, 20) –, lo squalifica come un autore popolare che cerca l'effetto comico per compiacere il suo pubblico, capace solo di creare caricature. Altrove attacca anche la sua concezione del romanzo come mezzo per smuovere coscienze e promuovere riforme sociali, mentre la vera arte per il Vivian di The Decay of Lying, è quella il cui materiale dovrebbe essere del tutto indifferente all'autore: “As long as a thing is useful or necessary to us, or affects us in any way, either for pain or for pleasure, or appeals strongly to our sympathies, or is a vital part of the environment in which we live, it is outside the proper sphere of art” (Wilde 1977, 976). A tale proposito, Vivian questa volta non dimentica di citare Dickens: “Charles Dickens was depressing enough in all conscience when he tried to arouse our sympathy for the victims of the poor-law administration” (Wilde 1977, 977). Con maliziosa ironia, però, parlando di un grande scrittore rovinato dal suo intento di usare l'arte per attaccare la società contemporanea, Vivian non fa riferimento a Dickens ma a Charles Reade, un romanziere allora popolare ma oggi dimenticato.

Data per scontata questa evidente discrepanza nella visione artistica di Dickens e Wilde, ci sono comunque alcuni elementi nella loro vita e alcuni temi nelle loro opere che sembrano avvicinarli: tralasciando eventi che furono centrali nella loro esistenza, come i tour americani che entrambi fecero all'inizio della loro carriera e che contribuirono entrambi alla loro fama (Tipper 2005), o la loro attività giornalistica, comunque molto dissimile dato che il giornalismo all'epoca di Dickens era molto diverso da quello degli ultimi decenni del XIX secolo, può essere invece interessante soffermarsi su due temi che ritroviamo in entrambi, come il segreto e l'esperienza urbana.

Il segreto, un segreto infamante e vergognoso, è uno dei nuclei centrali della vita di Dickens, con il quale lo scrittore tenta di scendere a patti nella sua opera, ma al quale continua a tornare come se fosse una ferita che continua a riaprirsi. Nella biografia di Forster, uscita qualche anno dopo la morte di Dickens e basata sul materiale che lo scrittore aveva affidato al suo amico, l'autore rivela un episodio dell'adolescenza di Dickens di cui pochi erano a conoscenza: a dodici anni, poco prima che il padre di Dickens fosse imprigionato per debiti, il ragazzo fu ritirato da scuola e messo a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe. L'esperienza durò solo qualche mese, ma lasciò un segno duraturo su Dickens che, in un suo scritto autobiografico riportato da Forster e riutilizzato quasi letteralmente in David Copperfield, la racconta con una intensità quasi morbosa, come se si fosse trattato di qualcosa avvenuto da poco. Nell'opera di Dickens, o almeno nella prima parte, di segreti importanti, però, non ce ne sono molti e lo scottante materiale autobiografico viene usato da Dickens in modo esplicito in David Copperfield e in modo più indiretto in Oliver Twist, nella vividezza delle descrizioni della città vista dagli occhi di un ragazzo, o in Little Dorrit, ambientato nello stesso carcere per debitori dove era stato rinchiuso il padre dello scrittore. Ci sono nei romanzi di Dickens dei misteri da risolvere, come l'origine di Oliver Twist o l'omicidio dell'avvocato Tulkinghorn in Bleak House, l'identità del misterioso benefattore di Pip in Great Expectations oppure la sorte di John Harmon in Our Mutual Friend; di segreti nascosti e infamanti non ce ne sono però molti, tranne nell'ultimo romanzo incompiuto che fa riferimento fin dal titolo a un mistero, quello di Edwin Drood, incentrato proprio su un personaggio che conduce una doppia vita: John Jasper, maestro del coro nel suo villaggio ma oppiomane a Londra e forse anche assassino. In effetti, di personaggi scissi, quasi schizofrenici, in Dickens se ne trovano diversi: il Wemmick di Great Expectations è ancora un personaggio comico, che si trasforma non solo caratterialmente ma anche fisicamente spostandosi dal suo ufficio a Londra alla sua casa-castello in periferia, mentre il dandy redento Sydney Carton di A Tale of Two Cities è funzionale al dispiegarsi della trama.

Nell'ultimo Dickens, il tema del doppio si incupisce con John Jasper, ma anche con Bradley Headstone di Our Mutual Friend, un maestro di scuola “in his decent black coat and waistcoat, and decent white shirt, and decent formal black tie, and decent pantaloons of pepper and salt, with his decent silver watch in his pocket” (Dickens [1864-65] 1997, 218) che però, mentre scrive alla lavagna davanti alla classe, ripensa a un tentativo di omicidio appena commesso non perché se ne sia pentito, ma piuttosto perché pensa a come avrebbe potuto commetterlo meglio. Ed è quasi tentato di disegnare alla lavagna quello che ha fatto. Sono personaggi la cui scissione interiore ed esteriore anticipa quella del più famoso Jekyll di Stevenson, un autore che non nascose mai la sua simpatia per Dickens, così come Wilde non nascondeva la sua ammirazione per Stevenson. In The Decay of Lying, Vivian parla di Stevenson come di un “delightful master of delicate and fanciful prose”, pur se con qualche remora rispetto al “monstrous worship of facts” che macchia The Black Arrow o Jekyll and Hyde (Wilde 1977, 973). Wilde non sembra consapevole del debito che, attraverso Stevenson, lo lega a Dickens, del quale probabilmente non ricordava, o aveva dimenticato, la denuncia contro i “Fatti” che apre Hard Times: “Now, what I want is, Facts”, afferma all'inizio del romanzo Thomas Gradgrind, che nel corso dell'opera avrà ampiamente modo di pentirsi del suo “monstrous worship of facts”. “In this life, we want nothing but Facts, sir; nothing but Facts” (Dickens [1854] 2001, 5). Se solo nella produzione più tarda di Dickens il segreto nascosto dai personaggi, si tratti di una predisposizione interiore opposta alla loro apparenza oppure di un episodio della loro vita, assume un significato rilevante, in Wilde il segreto sembra pervadere ogni opera, insinuandosi anche in quelle più leggere e meno note. Mentre è evidente il segreto, peraltro poco nascosto, dell'omosessualità wildiana, così come nella sua opera più famosa quello del ritratto relegato in soffitta da Dorian Gray, cosa dire della conclusione di The Canterville Ghost? Al momento melodrammatico della scomparsa di Virginia e del suo ritrovamento seguito dalla certezza che il fantasma è stato perdonato, segue una conclusione molto più frivola e ambigua, incentrata intorno a un segreto. Il marito di Virginia interroga la moglie su cosa le è successo mentre era rinchiusa insieme al fantasma, lei lo prega di non chiederglielo e, alla richiesta di svelare un giorno il suo segreto ai loro futuri figli, Virginia arrossisce. Se arrossisca al pensiero che avrà un giorno dei figli o più maliziosamente al ricordo di quello che è accaduto fra lei e il fantasma, non viene chiarito (Wilde 1977, 214).

The Sphinx Without A Secret, un altro brevissimo racconto di Wilde, descrive la passione di un uomo che si dichiara torturato, fino al punto di impazzire, non tanto da una donna, quanto dal mistero che la circonda. Infine, pare che la donna non abbia alcun segreto da nascondere, ma ami solo credersi una sorta di eroina da romanzo con una doppia vita. In modo comunque ambiguo, il racconto si chiude con un interrogativo, “I wonder?”, pronunciato a mezza voce dall'innamorato confuso e non del tutto convinto da questa spiegazione (Wilde 1977, 218). Sono solo due dei tanti esempi di segreti, più o meno reali e più o meno svelati, che troviamo nelle opere di Wilde: se ne possono trovare molti altri nelle sue opere teatrali, dove il tema di un terribile segreto nel passato dei personaggi e quello a esso legato di una doppia vita sono esaminate da originali e provocatorie prospettive.

Se il tema del segreto accomuna alcuni romanzi di Dickens e molte opere di Wilde, gli esiti sono quindi diversi. Allo stesso modo, esiti diversi ha un altro tema intrecciato a quello del doppio e del suo segreto, che troviamo in entrambi gli autori. L'identità fluttuante e la discrepanza fra apparenza ed essenza che caratterizzano il doppio ottocentesco sono connessi all'esperienza urbana, perché è nel contesto di una metropoli che si possono vivere vite doppie o molteplici senza timore di essere scoperti. Molti dei personaggi di Dickens, così come l'autore stesso, sembrano pervasi da un'inquietudine che li spinge ad aggirarsi per le strade cittadine, possibilmente di notte, in preda a un'ossessione di cui spesso non sanno rendere conto: non sono dei flâneurs che attraversano languidamente la città, ma sembrano quasi costretti a percorrerla, cercando di impossessarsi con lo sguardo dei molti orrori e dei pochi piaceri in cui si imbattono. Gli esempi nelle sue opere sono molteplici: in particolare, il narratore di The Old Curiosity Shop sembra anticipare Dorian Gray quando dichiara che camminare per le strade della città notturna gli permette di immaginare il carattere e l'occupazione di chi incontra (Dickens [1841] 1980, 43). Eppure, quanta differenza con il passo di Wilde che sembra prendere le mosse da quello dickensiano, in cui Dorian rivela a Lord Henry come il suo incontro con lui lo abbia cambiato, infondendogli il desiderio di conoscere la vita fino in fondo: “As I lounged in the Park, or strolled down Piccadilly, I used to look at every one who passed me and wonder, with a mad curiosity, what sort of lives they led”. Immediatamente, però, la situazione cambia e ci troviamo trasportati lontanissimo dal mondo dickensiano:

Some of them fascinated me. Others filled me with terror. There was an exquisite poison in the air. I had a passion for sensations… […] I felt that this grey, monstrous London of ours, with its myriads of people, its sordid sinners, and its splendid sins […] must have something in store for me. I fancied a thousand things. The mere danger gave me a sense of delight (Wilde 1977, 49).

Cosa è cambiato in pochi decenni? Dickens guarda, fedele all'esperienza metropolitana così come era vissuta da giornalisti e scrittori all'inizio del XIX secolo (Nord 1988), lo spettacolo urbano da lontano, come su un palcoscenico, senza farsi troppo coinvolgere. Solo di tanto in tanto qualcosa accade a lui o ai suoi personaggi che sono scaraventati in una vicenda che li tocca e li sporca: in uno scritto a sfondo autobiografico del 1860, Night Walks, il narratore gioca con la macabra immagine di cosa succederebbe se le “immense milizie di morti” sepolti nei cimiteri cittadini risorgessero invadendo le città e impedendo ai vivi di uscire di casa, ma la riflessione sembra non toccarlo. Subito dopo, però, un mucchio di cenci che il narratore supera camminando prende improvvisamente vita e si rivela essere un senzatetto che, tremando, inizia a ringhiare come se volesse morderlo per poi fuggire, lasciando il narratore sconvolto, con in mano gli stracci di cui era vestito (Dickens 2008, 39-40). In Dickens, tuttavia, il pericolo non è affascinante come in Wilde e lo spettacolo, per quanto rischi di uscire dal palcoscenico, raramente tocca il narratore o il personaggio.

Fra l'esperienza urbana di Wilde e quella di Dickens aleggia la presenza di Stevenson, come accade anche per il tema del doppio: il riferimento è qui, oltre a Hyde che si aggira di notte per le strade nebbiose della città, al principe Florizel di Boemia, che in New Arabian Nights, quando i teatri di Londra non offrono alcun dramma appassionante, si traveste e si aggira in cerca di avventure. Se apparentemente ci troviamo ancora nel mondo dickensiano, l'attrazione del principe per “strange societies” con gente di “any rank, character, or nation” (Stevenson [1882] 2009, 4-5) già prefigura la città di Dorian Gray: una città che si è interiorizzata, nella quale gli incontri sono confusi, le descrizioni urbane scompaiono o sono filtrate dalla coscienza dei personaggi e dalle sensazioni che riescono a evocare. Per altri versi, la città di Wilde si contrae rispetto a quella dickensiana, in cui ogni angolo era stato esplorato e descritto: la Londra di Wilde è quasi sempre quella dell'East End e dei suoi salotti, mentre i quartieri poveri e degradati vengono descritti in modo convenzionale e stereotipato: stradine oscure, nebbiose, labirintiche, senza nome, dove i conducenti delle carrozze rifiutano di addentrarsi. Qui non ci sarà forse la bellezza che Wilde non trovava in Dickens, ma di certo si incontravano splendidi peccati e sordidi peccatori: era questo che contava davvero, lasciarsi andare consapevolmente alle tentazioni, nell'East End come nel West End londinese, ed è questo che separa in modo radicale Wilde da Dickens.

5 | Hablot Knight Browne (Phiz), Quilp in a Smoking Humour, illustrazione, quarto capitolo di The Old Curiosity Shop, 1840.
6 | Harry Furniss, Sir William Wilde e Lady Wilde, litografia, s.i.d.

A volte, però, le simpatie e le antipatie letterarie nascono e si sviluppano in modo diverso e non seguono i percorsi più o meno razionali che abbiamo tracciato. La scarsa simpatia di Wilde per Dickens, che risale ai tempi delle sue letture adolescenziali, può essere stata segnata, molto più semplicemente, da un episodio che risale esattamente a quel periodo. Nel 1864, quando Oscar aveva dieci anni ed era appena entrato nel college di Portora, iniziò a circolare a Dublino un libello diffamatorio in cui una giovane, Mary Travers, accusava William Wilde, il padre di Oscar, di averla addormentata con del cloroformio e quindi violentata. L’accusa non aveva basi molto solide: i fatti risalivano a una decina di anni prima e, nel frattempo, la ragazza aveva continuato a farsi curare dal dottor Wilde, ma nel processo che seguì, nel dicembre di quell’anno, dopo che Lady Wilde era stata denunciata dalla donna per calunnia, i Wilde furono condannati a pagare duemila sterline. Nel libello anonimo che circolò ampiamente a Dublino, ed era stato discusso e commentato maliziosamente data la fama della coppia, si faceva riferimento a William e Speranza Wilde con i nomi di due personaggi di The Old Curiosity Shop, Quilp e signora (Sturgis 2018, 27-28 e Ellmann [1987] 1988, 13-15) (figg. 5 e 6). Quando Wilde lesse il romanzo di Dickens, non poteva quindi non pensare a quella vicenda che certamente ferì il ragazzo in collegio, lontano da Dublino e dalla sua famiglia. Da qui deriva forse quella strana osservazione sulla “Pall Mall Gazette”, quando Wilde rimprovera Dickens di aver preso in giro i suoi genitori per divertire il suo pubblico. È possibile che Wilde avesse in mente i propri genitori, e non quelli di Dickens, quando scriveva quelle parole. E la scelta di dimenticare Dickens quando parla dei romanzieri vittoriani nasceva tanto da una lontananza dai suoi ideali estetici, quanto forse da quell'episodio che sarà certamente stato per un ragazzo fonte di disagio e di vergogna. I percorsi che seguono le passioni letterarie sono, a volte, più lineari di quanto si immagina.

Riferimenti bibliografici
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    G.K. Chesterton, The Victorian Age in Literature, Oxford 1966.
  • Dickens [1841] 1980
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  • Dickens [1853] 1996
    C. Dickens, Bleak House, Oxford 1996.
  • Dickens [1864-65] 1997
    C. Dickens, Our Mutual Friend, London 1997.
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    C. Dickens, Hard Times: An Authoritative Text, Contexts, Criticism, New York 2001.
  • Dickens 2008
    C. Dickens, Perdersi a Londra, a cura di Alessandro Vescovi, Fidenza 2008.
  • Ellmann [1987] 1988
    R. Ellmann, Oscar Wilde [1987], London 1988.
  • Jullian [1967] 1972
    P. Jullian, Oscar Wilde [Oscar Wilde, 1967], traduzione di Clara Lusignoli, Torino 1972.
  • Nord 1988, 
    D. Epstein Nord, The City as Theater: From Georgian to Early Victorian London, “Victorian Studies” 31/2 (Winter 1988), 159-188.
  • Stevenson [1882] 2009
    R.L. Stevenson, New Arabian Nights [1882], Auckland 2009.
  • Sturgis 2018
    M. Sturgis, Oscar Wilde: A Life, London 2018.
  • Swinburne 1913
    A.C. Swinburne, Charles Dickens, London 1913.
  • Tipper 2005
    K. Tipper, A Dickens of a Wilde Paper. A comparison and contrast of their respective tours of America, "The Wildean" 26 (January 2005), 51-63.
  • Wilde 1977
    O. Wilde, Complete Works, Glasgow-London 1977.
  • Wilde 2004
    O. Wilde, Selected Journalism, Oxford 2004.
  • Wright 2008
    T. Wright, Oscar's Books, London 2008.
English abstract

Dickens and Wilde are both Victorian authors, even though the differences between them are numerous and obvious. However, since today we no longer see Victorianism as a homogeneous period, but as a historical phase marked by conflicting trends and ferments, it is time to re-examine the relationship between the two authors, who are themselves considered today, more than in the past, as complex personalities with multiple identities. It is thus possible to discover themes common to the two, even if treated differently, with different results. Wilde, in a series of deceptive lapses, starting with the ‘forgetfulness’ of Dickens in his famous passage on the London fog, erases the Victorian novelist with arguments that are sometimes consistent with his aesthetic ideal, other times simply bizarre. Yet a line can be drawn between Wilde and Dickens, passing through Stevenson, who admired Dickens and was admired by Wilde, in certain areas, such as that of the depiction of urban experience, of which Dickens was a master and initiator and which Wilde interprets in his own way, or the theme of secrecy that runs through Dickens’ life and Wilde's life and work.

keywords | Dickens; Wilde; Victorian Age; Urban Experience; Secret; Double.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo/ To cite this article: Gino Scatasta, Nebbie londinesi e capziose dimenticanze. Wilde lettore di Dickens, “La Rivista di Engramma” n. 187, dicembre 2021, pp. 107-121. | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2021.187.0008