So con assoluta certezza che la polizia di Londra è in possesso
dei nomi di più di 4000 persone, molte delle quali occupano elevate posizioni in
politica, nelle arti e nella società, che sono note come pederasti abituali
senza tuttavia essere incriminati.
Alfred Douglas (1895)
The truth is rarely pure and never simple.
Oscar Wilde (1895)
(la verità nuda e cruda è già un’esagerazione)
Joseph Roth (1927)
I. Venire da fermo
In apertura del romanzo erotico Teleny, or The Reverse of the Medal: A Physiological Romance of To-Day (stampato a Parigi in edizione privata in sole 200 copie nel 1893) — la cui stesura secondo la discutibile testimonianza ‘diretta’ di Charles Hirsch (proprietario della Librairie Parisienne a Londra) sarebbe da attribuire anche a Oscar Wilde —, vi è un passaggio estremamente significativo sulla sovrapposizione tra la realtà musicale e l’istinto sessuale. Si tratta della relazione tra ascolto e libido nella personificazione dell’esecutore musicale con la musica di cui è interprete:
He, in beauty, as well as in character, was the very personification of this entrancing music. As I listened to his playing I was spell-bound; yet I could hardly tell whether it was the composition, the execution, or the player himself (Teleny 1893, 1, 13).
Teleny è un romanzo pornografico tardo-vittoriano (Montgomery Hyde 1964, 141-145). È uno dei primi esempi di una emergente sottocultura queer, non ancora disponibile ufficialmente, ma già parte parziale di una generale dissolutezza (Sinfield 1994, 18). Celebra in modo esplicito l’intimità sessuale fra uomini e le pratiche erotiche, ed è una delle difese più documentate dell’amore tra persone dello stesso sesso, pubblicato giusto due anni prima della carcerazione di Oscar Wilde con l’accusa di aver commesso “gravi atti osceni” vietati dall’undicesima clausola del Criminal Law Amendment Act del Regno Unito (1885). A tale clausola, che conferiva poteri di intimidazione al pubblico e alla stampa, Teleny sembra già una chiara reazione (Bristow 2014, 145). Il romanzo è ambientato nell’ultimo quarto del XIX secolo e racconta le imprese sessuali e la tragica storia d’amore fra Camille des Grieux e il pianista di origini ungheresi René Teleny. L’avvio del racconto si genera proprio da questa sottile influenza della musica e del musicista, topica per l’epoca, sulla sessualità pervertita. La musica, secondo Iwan Bloch, si presta benissimo ad assumere un carattere indefinito capace di consuonare con "la vivace immaginazione dei pervertiti" (cit. in Hermann 1997, 90). Nel suo studio, la cui tesi è che l’udire, l’ascoltare è un atto dell’istinto sessuale, Imre Hermann è consapevole che gli artisti attualizzano delle pratiche che la scienza comprenderà solo più tardi, e ricorda anche come Adorno parlasse di una genesi sessuale della musica di Schönberg (cit. in Hermann 1997, 96). Il collegamento tra musica e omosessualità è un duraturo luogo comune: vi insiste già il primo editore di Teleny, Leonard Smithers in una nota pubblicitaria alla vigilia della sua pubblicazione (cit. in Cuomo 1980, 213), così come era tema diffuso negli Studies in the Psichology of Sex di Havelock Ellis (1897), e nelle opere di John Addington Symons. Molto probabilmente ancora per Noël Coward il termine ‘musical’ altro non era che un eufemismo per designare l’omosessualità (Coward 2012, 95).
In Teleny l’amore tra i due protagonisti nasce da un incontro a un concerto di beneficenza: dunque sulla soglia sottile che divide il dilettantismo dal professionismo, il piacere inconsapevole e spensierato, e l’esperienza creaturale già rivelatrice. Durante l’esecuzione musicale di René Teleny, il susseguirsi febbrile di visioni sono tutte suggestive ambientazioni omoerotiche: dal cielo torrido e lussurioso sopra l’Alhambra spagnola all’Egitto dell’amore di Adriano per lo schiavo Antinoo fino alle "sontuose città di Sodoma e Gomorra". La voluttà del desiderio omoerotico allora cresce inarrestabile in Camille des Grieux seduto in platea ("rimanevo impassibile, come tutti quelli che mi circondavano"), aggredito con violenza nell’immaginazione fino a che "una mano invisibile scivolò nel suo ventre", per liberarlo finalmente, senza alcuna manipolazione, in un orgasmo da fermo: “The hand was moved up and down, slowly at first, then fast and faster it went in rhythm with the song. My brain began to reel as throughout every vein a burning lava coursed, and then, some drops even gushed out — I panted” (Teleny 1893, I, 15).
L’incantesimo dell’ascolto che afferra il destino dell’ascoltatore nella morsa di un eros prepotente, rivelatore ma rovinoso, coincide con l’accesso alla musica come mondo senza regole, in cui conta solo la connessione mirata, la simpatia immediata, il contatto potenziale tra interprete e ascoltatore, in una coincidenza di visioni che finalmente, e palesemente, consente il riconoscimento di una sessualità fuori norma.
II. “Crazed by the rigid stillness”
Per quasi due decenni la danzatrice canadese Beulah Maude Durrant in arte Maud Allan (1873-1956) fu considerata una leggenda vivente. A partire soprattutto dal suo debutto londinese nel 1906, già all’età di 33 anni, con un assolo ispirato all’omonima tragedia biblica di Oscar Wilde dal titolo The Vision of Salome (Cherniavsky 1991, 141-144). La sua interpretazione barefoot della danza dei sette veli fu giudicata oscena e necrofila, ma conobbe un tale successo che dopo due anni di repliche londinesi quasi ininterrotte, le meritò una tournée (e conseguente notorietà) per mezzo mondo, prima di un progressivo lentissimo inesorabile oblìo. La solida formazione musicale, conseguita insieme a una salda emancipazione culturale cosmopolita, anche nel suo essere donna lesbica negli anni Venti del Novecento, la conduce senza soluzione di continuità dallo studio sul suo strumento musicale d’elezione (il pianoforte) al successivo perfezionamento nel movimento di vere e proprie “danze senza peso”, come esemplificazione nel corpo di una possibilità che l’idea musicale ha di incarnarsi oltre il testo, la partitura, e la rappresentazione: oltre dunque ogni tecnica esecutiva. Per questo Maud Allan, assoluta autodidatta e senza alcuna formazione coreica, è inassimilabile a esperienze coeve di interpreti barefoot quali Isadora Duncan, Ruth St. Denis, e anche Loie Fuller che già nel 1895 aveva creato una sua Salomé piena di effetti luminosi, e che riprese proprio nel 1907 (Tomassini 2021).
La Salomè di Allan fu ricevuta del tutto in equilibrio tra lascivia e voluttà (Crawford Flitch 1912, 113). Nondimeno oggi è riconosciuta come versione anche femminista e sovversiva (Showalter 1990, 161). Perché promosse l’icona progressista e rivoluzionaria di una Salomè emblematica dei movimenti politici contemporanei come la lotta per il suffragio femminile, e concezioni alternative della femminilità precedentemente incarnate dall’immagine della New Woman (Girdwood 2021, 58). Il suo affermarsi con un pubblico popolare, quello del music hall londinese, e un’audience più d’élite, come scrive Amy Koritz, dipese dal posizionamento delle danze di Allan in uno spazio ideologico conservatore capace di rafforzare le ideologie dominanti di genere e razza, sebbene allo stesso tempo violasse la regola tacita delle donne “rispettabili” escluse dalla scena pubblica (Koritz 1998, 31). Al Palace Theatre, Maud Allan si esibiva al centro di quella nuova topografia londinese che stava subendo una radicale trasformazione: da sobborgo malfamato a vetrina per una nuova identità cosmopolita (Walkowitz 2012, 64-91). La legittimità estetica e sociale a lei concessa aumentò nei fatti la possibilità che la danza diventasse una carriera socialmente accettabile per le donne della classe media (Koritz 1997, 148).
Anche se l’interpretazione di Allan era fortemente giocata sulla nudità, con un proverbiale costume, oggi conservato e restaurato, intessuto a rete con suggestivi fili di perle, secondo lo stile del repertorio della danza orientalista al tempo in voga (Schweitzer 2014, 38). Fu descritto dal critico dell’"Illustriertes Wiener Extrablatt" come "nient’altro che un filo di perline, una ragnatela di veli drappeggiati attorno alle sue gambe perfettamente sagomate" (Cherniavsky 1991, 39). Ma il momento centrale, atteso e molto spesso documentato negli scatti di posa utilizzati per la promozione della performance, è senz’altro quello successivo alla decollazione del Battista, con l’uso in scena di una macabra testa mozzata: spazio privilegiato in cui si mostra una soglia (l’al di là della vita), la decapitazione come insegna Kristeva è lotta contro il potere fallico dell’uomo violentatore, ma è anche “il timore dell’uomo ad avventurarsi nella valle originaria e il suo malessere davanti al potere della genitrice a imporre al fantasma maschile l’immagine nel contempo pericolosa, e per questo eccitante, di una donna castratrice” (Kristeva 2009, 103). Il grande successo di Maud Allan è forse tutto qui: l’essere riuscita a rappresentare, nel contempo, un fantasma maschile, pericoloso ed eccitante, di castrazione; e insieme personificazione di una nuova femminilità, padrona di sé, del proprio corpo e del proprio piacere. Nella descrizione che lei stessa fornisce di questa scena, in un libro autobiografico scritto a scopo promozionale e pubblicato nel 1908 con il titolo My Life and Dancing, i tagli di questa sessualità ancipite sono indicati in tutto il loro pericolo destabilizzante:
Crazed by the rigid stillness, Salome, seeking an understanding, and knowing not how to obtain it, presses her warm, vibrating lips to the cold lifeless ones of the Baptist! In this instant the curtain of darkness that had enveloped her soul falls, the strange grandeur of a power higher than Salome has ever dreamed of beholding becomes visible to her, and her anguish becomes vibrant (Allan 1908, 127).
Il presupposto dell’immobilità come condizione del desiderio (e del movimento) è una modalità di riconfigurazione della performance modernista (Tomassini 2018, 85-89). Come in Teleny, l’eros solitario e rigido di un bacio rivelatore, qui nel suo atto di necrofilia, è rivelazione e insieme perdizione: anche la danza come la musica è dunque un mondo capace di perversione e sovversione del desiderio, attraverso la quale la visione e la follia consentono l’espressione di una sessualità fuori norma.
III. “In a far nobler key”
Non senza opportuno cinismo, nel suo libro autobiografico, Maud Allan cita l’opera censurata di Oscar Wilde attraverso la finzione di una lunga e dettagliata lettera scritta da un suo dotto (e anonimo) ammiratore. La danza di Salomè così come interpretata da Allan sarebbe un atto di eroismo per salvare la vita della madre, in accordo con le fonti scritturali. L’azzardo metacritico è funzionale alla nobilitazione per verba di ciò che sul palco doveva apparire, invece, di tutt’altra evidenza:
Or, Salome consented to dance to save her mother when she was a grown woman. In this case it was an act of heroism, and there would be a mingling of shame at the Princess thus condescending, the purpose shown in the intensity of the barbaric dance, the triumph of her beauty, terror at the crime, madness and collapse. This you portray in your wonderful performance. In the opera, I believe, and certainly in Oscar Wilde’s play, Herod is represented as a lustful tyrant, and Salome as enamoured of the Baptist, but the story as we have it is in a far nobler key (Allan 1908, 109).
Riconoscere a una performance, scandalosa e di successo, la capacità di vendicare la nobiltà della storia, poteva essere anche un modo indiretto per tenere all’ordine del giorno, in quegli anni, la difficile questione dell’eredità culturale dell’opera wildiana (v. Bristow 2010, 20-50). E riaffermare la visibilità di quella geografia culturale di una Europa liberale e tollerante che il processo e la detenzione e la morte in esilio di Wilde avevano scosso con violenza inaudita: una geografia che verrà spazzata via definitivamente con la Grande Guerra (Hoare 1997, 25).
Nel 1918, in occasione di un tentativo di ripresa teatrale privata del testo wildiano (nella versione inglese di Lord Alfred Douglas), promossa per l’Indipendent Theatre da Jack Grein (già infelice difensore di Alfred Taylor, co-imputato nell’ultimo processo Wilde del 1895), Maud Allan fu richiesta di interpretare il ruolo della protagonista. L’operazione era quella di ripagare gli sforzi della guerra (l’Inghilterra entrava allora nel suo quarto anno) con la riscoperta di un importante repertorio contemporaneo che avrebbe poi girato come propaganda patriottica nei teatri minori del regno (Tydeman e Price 1996, 80). Ma in questi anni, Wilde, il suo testo, lo stesso Grein (critico teatrale promotore del dramma moderno), nonché Maud Allan, una delle performer londinesi più erotizzate e famose fin da un decennio prima, molto chiacchierata in società per la sua relazione “intima ma indefinibile” con Margot Asquith (moglie del Primo Ministro Herbert Asquith) ritenuta lesbica (“sapphist”), tutti questi nomi erano associati a un’idea di arte moderna non convenzionale, “ripe for scandalous deployment” (Medd 2012, 28).
Quella di Allan come interprete teatrale di Salomè fu senz’altro una scelta popolare, un calcolo non innocente, ma che almeno all’inizio fu presentato senza troppi clamori. Il tempo di guerra aveva però già instillato, nella pubblica opinione, la correlazione diretta tra ciò che era percepito come trasgressivo e fuori norma, con la cultura accerchiante e degenerata del nemico dentro casa (quasi sempre tedesco, quasi sempre semita). Meno di una settimana dopo l’annuncio sul "Sunday Times" (febbraio 1918), il fanatico deputato indipendente Noel Pemberton Billing pubblicò sul suo giornale reazionario, "Vigilante", su suggerimento delatorio della popolare scrittrice Marie Corelli, la seguente notizia: "Il culto della clitoride | Per essere un membro delle esibizioni private di Maud Allan nella Salomé di Oscar Wilde bisogna fare domanda a Miss Valetta, al 9 di Duke Street, Adelphi, W.C. Se Scotland Yard dovesse impossessarsi di questa lista di partecipanti, non ho dubbi che si assicurerebbe i nomi di diverse migliaia dei primi 47.000" (Kettle 1977, 18-19; Hoare 1997, 91). L’allusione ai “primi 47.000” nomi di una fantomatica lista nera (Black Book) di inglesi depravati e passibili di ricatto in possesso degli odiati tedeschi non era criptica per i lettori di Billing. Era un lontano spauracchio, prodotto dalle paure vittoriane e rilanciato con forza come un luogo comune dall’isteria antigermanica precedente e durante la guerra. Fu già argomento di Lord Alfred Douglas in difesa di Oscar Wilde, nell’unica sua sincera lettera e mai pubblicata, scritta a Sorrento nell’agosto del 1895, a sostegno dell’argomentazione di un complotto politico del partito di maggioranza del governo, per cui “il signor Wilde è stato sacrificato per salvare la reputazione di una categoria” (pubblicata come appendice in Douglas 2008, 190).
La violenta volgarità con cui Billing commentava la notizia (The Cult of the Clitoris) mirava a generare soprattutto paure legate alla perversione sessuale: il termine “clitoris” — limitato principalmente alla letteratura medica e alla scrittura erotica — alludeva al testo wildiano di Salomè come opera pornografica che avrebbe a sua volta attirato l’attenzione dei depravati e pervertiti traditori che vi avrebbero assistito. Il caso attirò una grande attenzione dei giornali e montò in associazione al bando ancóra in corso su quest’unica opera di Wilde; Maud Allan fu pubblicamente diffamata nell’allusione di essere lesbica e una cospiratrice e forse improvvidamente, o forse addirittura perché sollecitata da altissime cariche istituzionali che intravidero la possibilità di far fuori un fastidioso oppositore politico, citò in giudizio il parlamentare indipendente. Ma al processo tutto andò storto e la giuria diede ragione al delatore (Hoare 1997, 99-135). Maud Allan fu condannata a causa della pretestuosa rievocazione delle vicende ascritte al fratello pluriomicida giustiziato nel 1898 a San Francisco per aver ucciso, violentato e mutilato due donne in una chiesa (suggerendo apertamente un congenito sfondo di follia sessuale nella sua famiglia); per la sua germanofilia, dovuta agli anni della formazione a Berlino; e, soprattutto, perché in aula Maud Allan ammise la conoscenza del termine “clitoride”, e fu questa per la corte un’ampia dimostrazione della sua omosessualità, e di conseguenza l’associazione con il mondo sotterraneo dei cospiratori perché pervertiti sotto ricatto. Tutto il processo, in realtà, assecondava l’idea che il lesbismo fosse una devianza sessuale e un pericolo culturale: uno scandalo da reprimere (Medd 2012, 41).
In Teleny la parola “clitoris” si trova per alludere in modo fatale alla libera scoperta del piacere femminile e a uno scambio di soddisfazione sessuale pienamente anatomica ed esclusivamente fisica (Teleny 1893, II, 111). In realtà, tanto furore e tanto interesse morboso per The Cult of the Clitoris, che finì per travolgere Maud Allan, clamore e interesse alimentati per motivi politici oltre che culturali, dimostrano soprattutto la misura del pericolo destabilizzante che la conoscenza sessuale attiva delle donne rappresenta per l’ordine sociale patriarcale eterosessuale (Zevallos 2012).
Riferimenti bibliografici
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I. Hermann, Perversione e musicalità. Un contributo alla dinamica della perversione, Roma 1997. - Hoare 1997
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A. Koritz, The Dancer and Woman’s Place: Maud Allan and Isadora Duncan, in Ead., Gendering Bodies/Performing Art. Dance and Literature in Early Twentieth-Century British Culture, Ann Arbor 1998. - Kristeva 2009
J. Kristeva, La testa senza il corpo. Il visibile e l’invisibile nell’immaginario dell’Occidente [1998], trad. it. A. Piovanello, Milano 2009. - Medd 2012
J. Medd, Lesbian Scandal and the Culture of Modernism, Cambridge 2012. - Montgomery Hyde 1964
H. Montgomery Hyde, A History of Pornography, London 1964. - Showalter 1990
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A. Sinfield, The Wilde Century. Effeminacy, Oscar Wilde and the Queer Moment, New York 1994. - Schweitzer 2014
M. Schweitzer, “Nothing but a string of beads”: Maud Allan’s Salomé Costume as a “choreographic thing”, in Performing Objects and Theatrical Things, ed. by M. Schweitzer, J. Zerdy, London 2014, 36-48. - Teleny 1893
Teleny, or the Reverse of the Medal: A Physiological Romance of To-Day, Cosmopoli (Paris) 1893, 2 vols. - Tomassini 2018
S. Tomassini, Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile, Milano 2018. - Tomassini 2021
S. Tomassini, Danze senza peso: ipotesi su Maud Allan, “Biblioteca Teatrale”, dicembre 2021, in corso di stampa. - Tydeman e Price 1996
W. Tydeman, S. Price, Wilde Salome, Cambridge 1996. - Walkowitz 2012
J.R. Walkowitz, Nights Out. Life in Cosmopolitan London, Yale 2012. - Zevallos 2012
Z. Zevallos, The “Cult of the Clitoris”: Policing Women’s Sexuality in England During WWI, online edition
English abstract
As in the late-Victorian pornographic novel Teleny, or The Reverse of the Medal: A Physiological Romance of To-Day (1893) the overlap between musical reality and sexual instinct allows the description of a motionless orgasm as recognition of unconventional sexuality, so in barefoot dancer, and former musician, Maud Allan’s Wilde-inspired The Vision of Salome (1904) sexuality is staged in all its destabilising danger through stillness as a condition of both desire and movement. As in Teleny again, the solitary and rigid eros of a kiss – a necrophilic one – in Salomé is revelation and perdition, perversion, and subversion of desire. Nevertheless, the scandal of Allan’s performance, with the serious judicial implications that followed, were nothing else than evidence of the destabilising danger that women’s active sexual knowledge represented for the heterosexual patriarchal social order. In short, in Teleny as in The Vision of Salome, musical experience is associated with the perversion of a non-conforming sexuality that manifests itself through stillness.
keywords | Barefoot dancing; Salomania; Maud Allan; Salomé; Music and perversion.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo/ To cite this article: Stefano Tomassini, “Crazed by the rigid stillness”. Maud Allan danza Salomé, “La Rivista di Engramma” n. 187, dicembre 2021, pp. 145-155. | PDF dell’articolo