"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Il caso “Rassegna”. L’anomalia della regola

Guido Morpurgo

English abstract

Non fidatevi dunque delle idee sulla progettazione che vi abbiamo esposto: se l’architettura vivrà, le nostre parole saranno probabilmente sempre un poco più antiquate dell’oggetto di cui parliamo.
Vittorio Gregotti, Il territorio dell’architettura, 1966

Cominciai a domandarmi se una forma d’arte fosse capace di dipingerne un’altra, se il visivo potesse mai fermare il semantico.
Iosif Brodskij, Per compiacere un’ombra, 1987

Copertina di “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente”, Recinto, Anno I numero zero (campione non in vendita) (settembre 1979), stampa: Graficarta – L. Majerna s.a.s. Milano. Fonte: © Archivio Pierluigi Cerri.

Copertina di “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente”, (Recinti), Anno I numero 1 (dicembre 1979), Editrice C.I.P.I.A. s.r.l., Bologna. Fonte: Biblioteca dell’autore.

Recinto/Recinti: l’architettura dell’ambiente come progetto di cultura “totale”

Il numero zero di “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente” stampato nel settembre del 1979 in alcune copie per uso interno formato 30.4 x 23 cm, si presenta con una copertina grafica occupata nella metà superiore da un testo bianco su fondo nero che ne costituisce il titolo emblematico e immediatamente argomentato, la voce “Recinto” tratta da un dizionario non meglio specificato[1]. La prima versione della rivista è decisamente minimal[2]: composta da sole 22 pagine con costa muta, si apre all’interno con un’immagine archetipica e solitaria, un acquarello di Massimo Scolari dal titolo La fortezza nascosta (originale 13x18 cm, 1975) riprodotto a pagina 3, sul quadrante destro. È un paesaggio proiettato su di un orizzonte misterioso, forse marino, sul quale si staglia una muraglia di ascendenza apparentemente cinese che, originando dalla morbida orografia del supporto territoriale, descrive un recinto fluido, ma al contempo netto. Esso stabilisce il “principio insediativo” segnando il discrimine tra natura e artificio in un luogo immaginario, ma che rivela come “la geografia provoca la storia” (Brodskij [1986] 1987, 146). Al suo interno, quasi in primo piano, è rappresentata una costruzione complessa a ‘L’ che designa un ulteriore recinto di scala decisamente ridotta rispetto al primo, in larga parte cavo, che sembra rimandare alla profondità di un ipogeo senza tempo, illuminato da un canon lumière diagonale a sezione quadrata. L’immagine complessiva è avvolta in un’atmosfera sospesa che richiama l’enigma dei fondamenti, evocato dalla presenza di questa costruzione solitaria, originaria e segreta. L’architettura è definita dall’atto del recintare ciò che è spazio abitabile, forma simbolica di una disciplina che mette in relazione altri possibili ambiti del sapere all’interno dei propri confini, grazie alla perentorietà del perimetro del suo stesso recinto e, con esso, le molteplici ragioni del progetto e quelle di una Storia da esso ogni volta modificata.

M. Scolari, La fortezza nascosta, 1975, acquarello 13x18, in “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente”, Recinto, Anno I numero zero (settembre 1979), 3. Fonte: © Archivio Pierluigi Cerri.

R.S. Wurman, Pechino: foto di un modello in creta, da “Design Quarterly” 80, 1971, in “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente”, (Recinti), Anno I numero 1 (dicembre 1979), 5.

La rivista rifondata da Vittorio Gregotti e Pierluigi Cerri[3] pone al centro l’architettura come perno della cultura del progetto, luogo dell’interconnessione delle esperienze con l’obiettivo di ricreare una nuova unità metodologica, sorta di singolarità definita in rapporto alla sua crisi accelerata dal design ormai definitivamente distanziato dal suo significato originario di progetto. L’immagine del Recinto è quindi la metafora di una rifondazione che può avvenire solo attraverso la tensione interdisciplinare, che si invera in relazione a diversi contesti del sapere grazie alla messa in discussione critica dei confini dell’architettura mediante una “superficie d’incontro” sulla quale operare trasmigrazioni e tentare – attraverso l’architettura stessa – un’ideale ricongiunzione tra le “due culture” (Snow [1959] 1986).

Per queste ragioni “Rassegna” zero Recinto poi esteso in (Recinti) rappresenta il numero seminale della rivista, l’essenza totalizzante dei suoi contenuti, la sua stessa cifra culturale e il riflesso dello stile intellettuale dei suoi autori. È il manifesto di un interno disciplinare che si interroga sul significato della materia dell’architettura riferita al contesto, al “luogo come cosa” e difeso non solo dallo scioglimento della disciplina nel Design che non ha sito, ma anche dalla sua riduzione a puro esterno risolto nel “monumento”. La duplice posizione critica rispetto a Design e Tendenza è quindi programmaticamente dichiarata in maniera esplicita.

La rivista è pensata come laboratorio culturale e politico-sperimentale attraverso il quale spostare il tema del rapporto tra interno ed esterno disciplinare verso un territorio di appartenenza proiettato oltre l’architettura stessa, ma ad essa necessario. Ciò rielaborando la nozione di “ambiente” che richiama idealmente l’Umwelt husserliano, la cui fenomenologia è condizione per ridefinirne il significato in architettura nei termini di “recinto” costituito dai “materiali” già formati e immanenti della progettazione. Questa operazione critica si sviluppa innanzitutto attraverso una specifica narrazione, trasmissibile mediante una collezione articolata di temi monografici. Essi vengono affrontati per dotare di senso tali materiali come insieme, quindi nei termini di uno schieramento teoretico caratteristico della fase post-ricostruzione, compagine in cui il dibattito disciplinare ha raggiunto in Italia il suo apice ideologico. Inoltre essendo l’“ambiente” un fatto fisico-concreto, esso va riletto come contesto costituito da ‘cose’ originate dall’interpretazione progettuale di quegli stessi materiali, storia dell’architettura inclusa, intesa anche come forma di comparazione antropologica, quindi con un richiamo sotteso al modello epistemologico elaborato da Aby Warburg per la storia dell’Arte del Rinascimento.

Ma “Rassegna” Recinti è anche una metafora di un territorio ideologico da difendere, includendo ed escludendo da esso in maniera molto precisa quali “materiali” vi si ammettono e quali no. Essa rappresenta il tentativo di legare le dimensioni mitiche dell’origine e della lunga durata con quella epica della tradizione della modernità con l’intento di travalicare i limiti spaziali e teorici dell’Architettura della città (Rossi 1966): “[…] architettura dell’ambiente significa […] proporre una diversa nozione metodologica, sia a livello della lettura critica che […] progettuale, unitaria alle varie scale d’intervento […] (Gregotti 1979, 6)[4].

“Rassegna” come progetto di cultura “totale” comunica i propri contenuti attraverso alla sua innovativa e ricercata veste grafica che ne riassume al contempo il codice di traduzione e la matrice relazionale in cui le immagini si ‘parlano’ tra loro: autonomia ed eteronomia della cultura del progetto, spazio dell’interno disciplinare e linguaggio nella sua espressione sintetica di una “Lebenswelt” come “semplicità autentica che sempre viene perduta e che sempre deve essere ritrovata” (Paci 1957) sono gli operatori fondamentali che, numero dopo numero, costituiscono le 76 declinazioni del dispositivo “Rassegna”. La sofisticata formula ‘teoretica-iconografica’ con cui la rivista viene progettata è basata su di un principio di organizzazione speculare del discorso verbale con quello figurativo. I numeri di “Rassegna” sono infatti delle monografie fatte di comparazioni tra parole e cose, in cui coesistono, quali mondi simmetrici e con diversi gradi di interconnessione, i testi degli autori e gli elaborati saggi per immagini che scaturiscono dalle sequenze di disegni e fotografie coniugate tra loro da corrispondenze e relazioni. Sono intenzioni progettuali che costruiscono, con gradi crescenti di autonomia, una specifica figurazione, caratterizzata e identificante. Rassegna è una macchina per pensare che esprime attraverso la sua identità visiva il paradosso del riflettere sull’architettura grazie al progetto grafico. La sua griglia tipografica – che richiama la rigorosa metodologia della Neue Graphik di Joseph Müller-Brockmann – viene continuamente esplosa, interrotta. Così dal reticolo tracciato dal duo Cerri-Neeff emergono discontinuità che sono l’esito delle scelte strategiche di una morfologia della comunicazione. L’idea della macchina visiva che sa essere al contempo coerente e anticonformista, formula e metalinguaggio, si percepisce nella lettura della rivista come una sorta di basso continuo, pur restando invisibile.

È sulla base del rigore della regola che le variazioni prodotte all’interno di questo canone stabiliscono, pagina dopo pagina, la sequenza di ricorrenze e trasmigrazioni delle famiglie di forme comparate e le relazioni che si innescano tra disegni, fotografie e modelli, di cui ogni numero è uno straordinario archivio. Questi materiali riorganizzano ogni volta il discorso in maniera inattesa, rendendo le “vite parallele” degli autori, dei temi, dei testi e delle immagini stesse confrontabili e mutuamente necessari alla definizione dei Recinti. Essi sono i tropi di quella specifica koinè disciplinare che Gregotti inizia a tessere proprio a partire dagli esperimenti compiuti con Cerri e grazie al supporto della redazione della rivista, inizialmente formata da Federica Neeff, dal critico e scrittore Renato Giovannoli e da Isabella Pezzini, entrambi allievi di Umberto Eco.

L’estensione dal numero zero al numero uno della nozione di Recinto dal singolare al plurale, conferma il principio alla base del programma di “Rassegna”: l’idea della sinossi figurativa contesa tra elementi permanenti e variazioni. Ed è tramite la dilatazione concettuale e problematica del metodo basato sulla “specularità tra discorso verbale e discorso figurativo” (Gregotti 2008, III) che il principio del montaggio quale strumento principe della modernità diviene il tramite necessario per la costruzione di un’estesa collezione di Atlas monografici molto riferiti ed elaborati, che presiedono forse a un tentativo non dichiarato, ma comunque implicato, di sperimentare una diversa forma di ricostruzione iconologica dell’architettura[5].

Il numero 1 di “Rassegna” è finalmente pubblicato nel dicembre 1979 con 66 pagine in più rispetto al numero zero. La voce “Recinto” in copertina è stata sostituita e ridefinita da Recinti (e traslata a p. 7) quale “massimo livello di astrazione […] e posta in relazione con quella altrettanto astratta di territorio”. La nuova copertina conserva l’idea della sua indipendenza fisica introdotta nel numero zero – gli ampi risguardi sono le guide in cui si inserisce il fascicolo rilegato – ma il foglio è ora in carta vergata avorio anziché semi-patinata nera. Occupano quasi per intero i piatti della copertina e della quarta due piante paradigmatiche tratteda quell’infinito museo immaginario descritto nel Parallèle (Durand 1800): due ricostruzioni ideali in termini di genere, quindi moderne del Temple de Salomon – rispettivamente selon Vilalpande e selon le Roi – riprodotte nella sinottica Planche 6, entrambe formate da recinti successivi, disposti secondo una logica esatta, centripeta e assertiva. Tracciate col segno privo di incognite che caratterizza i trattati durandiani, le piante esemplificative del Tempio di Salomone sono “materiali” che Gregotti e Cerri traggono dallo stesso territorio che alimenta i fondamenti teorici della Tendenza per opporvi il controesempio per eccellenza: pianta contro facciata, ‘codice universale e uniformatore’ della rappresentazione contro l’Architecture Parlante (Rossi 1967) degli architetti rivoluzionari che attraversano la Modernità “Von Ledoux bis Le Corbusier” (Kaufmann 1933). Questi due recinti programmaticamente desacralizzati mediante la loro riduzione a tipi trascrittivi di grandezze e quantità, appaiono perentori, tipologicamente incorruttibili, geometricamente indeformabili. Essi superano il problema della rappresentazione essendo investiti del ruolo di portatori di una riflessione orientata e sintetica che si esprime nella sua unità epistemica, garantita dal linguaggio che codifica la dimensione dell’estetica razionale attraverso l’esemplarità della pianta.

Astratte dalla tavola d’origine e riposizionate nella copertina di “Rassegna” queste piante hanno conquistato l’autonomia di fuori scala, essendo ora ipostatizzate in una sorta di iperuranio apparentemente perfetto, senza tempo. Quella pubblicata in quarta ha acquisito la libertà di apparire la rappresentazione centrifuga o addirittura l’esploso del recinto di copertina, quasi a suggerire il compimento della trasfigurazione del tema del monumento mediante il suo spostamento sul piano di una sua lucida e radicale rielaborazione critica.

I due templi-paradigmi insieme aprono e chiudono idealmente il numero-manifesto di “Rassegna” senza lasciare spazio al dubbio circa il metodo e la finalità di questo progetto culturale ambizioso e selettivo. Progetto trascritto dal cortocircuito innescato dalle contro-immagini seminali che, sintetizzando l’orizzonte culturale elitario – forse riassumibile nella sintesi kantiana di sensibilità e ragione – da cui muovono le elaborazioni teoriche di Aldo Rossi e degli altri esponenti della Tendenza in ordine all’“ansia di legittimare le origini dell’architettura moderna” (Moneo [1981] 1986), mostrano ora la propria ambivalenza di architetture strutturalmente urbane, ma definitivamente deprivate del proprio contesto di riferimento.

L’immagine poetica di Massimo Scolari è quindi inevitabilmente scomparsa, sostituita dalla fotografia zenitale di un modello in creta della sequenza di recinti che misurano gli spazi della Pechino imperiale, realizzato nel 1963 da Richard Saul Wurman – già allievo di Kahn a Philadelphia – insieme agli studenti della North Carolina State School of Design. La maquette è un bassorilievo la cui esattezza si esprime attraverso la sua intrinseca capacità di astrazione[6]. Insomma, il contrario dell’acquerello di Scolari: l’immagine poetica è stata sostituita dalla figura paradigmatica.

Ma in realtà queste variazioni apportate nella transizione dal numero zero al numero uno costituiscono la prima di una lunga serie di “mise au point” (Le Corbusier 1965) di un metodo di lavoro per sua natura in divenire, che rafforza e via via stabilizza il palinsesto programmatico di “Rassegna”. La questione fondamentale è stata infatti definitivamente posta: zum bild das wort! (Warburg s.d.; si rimanda a Redazione di Engramma, Editoriale di Engramma150).

Trasmigrazioni nell’intervallo Sessanta-Settanta: da “Edilizia Moderna” a “Rassegna”

Nonostante il caso “Rassegna” rappresenti un unicum in sé oltre che nella vicenda delle riviste dirette da Vittorio Gregotti[7], può essere anche riletto come il un punto di arrivo di un processo che origina dagli esperimenti monografici di una sua rivista antecedente e interrotta, con la quale condivide alcune matrici di organizzazione del discorso culturale: gli 8 programmatici numeri monografici di Edilizia Moderna, la prima testata che tra il 1963 e il 1966 Gregotti riorganizza integralmente con un innovativo progetto grafico. Per certi aspetti di carattere politico, la vicenda di E.M. andrebbe riconsiderata insieme al numero monografico di Zodiac (15) dedicato alla Spagna, curato dallo stesso Gregotti nel dicembre 1965. Insieme rappresentano il banco di prova di una formula discorsiva e iconografica che trova in “Rassegna” un esito confrontabile, seppur molto diverso e definitivamente risolto sotto al profilo teorico e comunicativo. Le connessioni tra “Rassegna” ed “Edilizia Moderna” sono convalidate da alcune evidenti affinità. Innanzitutto l’articolazione monografica di argomenti strutturali legati all’identità disciplinare nazionale. Analizzata in sé e in rapporto allo scenario internazionale essa è declinata in una successione di titoli emblematici dell’approccio gregottiano: Il Grattacielo (80); Il Novecento e l’architettura italiana (81); Architettura italiana 1963 (82-83); Esposizioni (84); Design (85). Completano questa breve ma intensa serie di veri e propri libri monografici la necessità di offrire riletture nuove dei fondamenti disciplinari attraverso Ricerche storiche (86) e un tentativo di estensione verso altri temi progettuali e ambiti antropogeografici con Africa (89-90). Inoltre, il modo di organizzare la riflessione sul significato della disciplina architettonica attraverso la riorganizzazione metodologica della sua espressione linguistica è anche nel caso di Edilizia Moderna l’occasione di una sperimentazione grafica avanzata, in questo caso affidata allo ‘stile impaginativo’ di Michele Provinciali sul formato verticale 32 x 24 cm (molto vicino a quello più slanciato di “Rassegna”). La veste editoriale di “Edilizia Moderna” è la base sperimentale per tradurre la cultura visiva soggettiva, o meglio, l’innesto tra memoria e immaginazione visive del suo redattore-direttore.

“Rassegna” di Gregotti e Cerri riorganizza integralmente questo doppio fondamento attraverso la messa a punto di uno specifico logos risolto con coerenza neoilluminista, sia sotto al profilo compositivo, sia programmatico, quindi mediante la ricerca operante con cui i “materiali” testuali e iconografici sono scelti e rielaborati col progetto grafico per riordinare criticamente il progetto di architettura. Ma l’affinità concettuale tra le due testate è evidenziata anche da un altro aspetto che si direbbe intrinseco al “dispositivo Gregotti”: utilizzare le riviste che dirige come banco di prova unitario per testare la tenuta dei temi che confluiranno nei suoi libri, almeno quattro in particolare, tra i più incisivi scritti nel corso di oltre trent’anni.

Nel marzo del 1966 esce il penultimo numero – doppio – di “Edilizia Moderna” dal titolo paradigmatico La forma del territorio (86-87). Organizzato come laboratorio teorico nel quale dare evidenza in maniera metodologicamente esemplare delle ricerche disciplinari compiute in quegli anni sul tema fondamentale del discorso teorico gregottiano, il volume verte sul principio di estensione delle caratteristiche formali dell’azione progettuale alla scala geografica, per dare attraverso di essa “senso all’insieme del paesaggio”. Nel giugno dello stesso anno viene pubblicato da Feltrinelli (nella collana “Materiali”) Il territorio dell’architettura articolato in quattro saggi tra loro connessi dal medesimo interrogativo: qual è oggi la materia dell’architettura come estensione e consistenza disciplinare? Il saggio centrale “La forma del territorio” ha il medesimo titolo del numero 87-88 di “Edilizia Moderna”.

Anche il denso pamphlet “La città visibile” illustrato dai progetti dello studio Gregotti Associati riassume nel sottotitolo la trama delle sperimentazioni in corso con “Rassegna”: “Frammenti di disegno della città ordinati e catalogati secondo i principi della modificazione contestuale” (Gregotti 1993). Il dialogo tra testi letterari e testi architettonici è di taglio quasi trattatistico e sembra un compendio della struttura argomentativa della rivista, seppure deprivato della qualità del progetto grafico che caratterizza il linguaggio di quest’ultima e della “Casabella” anch’essa integralmente riprogettata con Pierluigi Cerri. Il tema della sostituzione del contesto-palinsesto a causa dello sviluppo ipertrofico della “comunicazione come forma della compresenza” è l’argomento centrale del libro e sembra trovare una risposta operante proprio nel modo in cui “Rassegna” sposta il tema sul piano di una raffinata formula iconografica: riabilitare le ragioni della storia quali condizioni di consapevolezza per affrontare la riflessione teorica, riflessione che secondo Gregotti è collocata all’inizio e alla fine del processo progettuale. Teoria e progetto, testo e opere costruite, architetture e riviste sono, insieme all’insegnamento universitario, le componenti di un’attività integrale e completa che in “Rassegna” sembrano trovare una superficie di convergenza e verifica, e che – a differenza di “Casabella” – si staccano dalle contingenze della novità e, in ultima analisi, anche dal presente, dal suo essere inseparabile dall’attualità del dibattito. Un altro caso di anticipazione del soggetto di trattazione di un libro attraverso “Rassegna” è il n. 22 dal problematico titolo Venezia città del moderno (1985) il cui editoriale è la base del volume Venezia, città della nuova modernità (1999).

Nel dicembre 1998 con “Rassegna” 76[8] dal titolo antropogeografico Arcipelago Europa, Gregotti presenta l’ultimo numero da lui diretto con un lungo editoriale dal titolo “Il problema dell’identità dell’architettura e della sua crisi”. È un’anticipazione quasi omonima del volume “L’identità dell’architettura europea e la sua crisi” che verrà pubblicato nel maggio 1999 per i tipi di Einaudi. Quest’ultimo libro rappresenta la base argomentativa di tutti i suoi contributi successivi che, definitivamente conclusa la vicenda delle riviste da lui dirette, continuerà con intensa continuità a pubblicare in forma pamphlettistica e nelle terze pagine dei quotidiani nazionali fino al compimento della sua intensissima vicenda intellettuale.

Per un’archeologia critica delle immagini: tempo e progetto

L’unicità del caso “Rassegna” è, in ultima analisi, riconducibile all’aver rappresentato il tentativo di costruire un logos delle immagini da cui l’architettura moderna ha direttamente o indirettamente attinto, raccolte in volumi che rappresentano i capitoli successivi interconnessi, ma al contempo dotati di gradi di autonomia, di un progetto di rifondazione disciplinare unitario. I numeri di “Rassegna” sono costituiti da immagini ‘scavate’ all’interno di un tempo multidimensionale della modernità che, pertanto, non può ormai più essere cronologico, ma semmai plurale, un tempo intermittente, inevitabilmente confitto di materiali storici puntuali, risultato del montaggio tra fasi diverse, vicine e lontane. È un tempo sezionato mediante un’archeologia critica della cultura disciplinare, quasi a sancire la necessità di porre la questione su cosa sta “davanti al tempo” di quelle stesse immagini (Didi-Huberman 2007). Quelle di “Rassegna” sono pertanto immagini eterogenee e condensate, che richiamano una pluralità di fattori interni ed esterni e appaiono quindi sovradeterminate, ‘anacronistiche’ nel loro essere i risultati delle combinazioni complesse di differenti relazioni e temporalità. Astratte da ogni appartenenza cronologica e forse anche da qualsiasi forma troppo diretta di interpretazione iconologica delle architetture del passato, queste problematiche collezioni di immagini ‘inattuali’ rappresentano piuttosto il tentativo di stabilire la griglia metodologica di una sorta di iconologia critica dell’architettura, realizzata mediante la loro scomposizione e riconfigurazione. “Rassegna” è basata su un processo di rielaborazione, si direbbe di ri-figurazione critica, entro una diversa cultura visiva, quella che Gregotti e Cerri riorganizzano a partire da un osservatorio, quello del moderno, che sanno indirizzare con grande precisione. Grazie alle incursioni compiute tra i molteplici argomenti monografici sondati dalla rivista, le immagini della storia dell’architettura diventano ogni volta oggetto di una radicale mutazione epistemologica che è essa stessa alla base del loro duplice rafforzamento iconografico e di significato. Tale riorganizzazione epistemica del corpus disciplinare è prodotta dai modi con cui le immagini di “Rassegna” vengono riorganizzate: non più come documenti da interpretare, ma come “materiali” da interrogare, riferire e usare. Ciò senza traslazioni troppo dirette sul tavolo da disegno, ma favorendone il riutilizzo critico in funzione della ri-significazione progettuale dell’ambiente, attraverso cui indirizzare il rinnovamento degli statuti disciplinari dell’architettura.

I modi di mettere in relazione queste “immagini operative” (Didi-Huberman 2010) seguono sistematicamente il principio del ribaltamento critico dei loro significati. In tal senso il dispositivo “Rassegna” non sembra estraneo dalle procedure di détournement politico-artistiche utilizzate dai situazionisti in un tempo non così lontano dalla nascita della rivista. L’organizzazione del discorso figurale che presiede ai numeri-argomenti sembra infatti debitrice delle tecniche cinematografiche del montaggio, del sampler e dell’énchantillonage, che arricchiscono la cospicua strumentazione di ‘ferramenta’ teorico-pratiche con cui dar forma al progetto editoriale (Beauvais, Bouhours 2000). Anche da questo punto di vista “Rassegna” rappresenta un’avanzata proposta di messa alla prova della tenuta dei confini dell’architettura: rielaborando i fondamenti della tradizione disciplinare ‘apre’ la nozione di metodo a sperimentazioni confinarie con altri campi del sapere. Ed è così che riesamina la difficile eredità del problematico e incompiuto progetto moderno, attraverso la sua rappresentazione nelle immagini operative che ne riassumono la vicenda storica quali inesauribili fonti delle interne “relazioni e significati” (Paci 1966).

È su questo asse portante che il progetto culturale di “Rassegna” si sviluppa per quasi un ventennio e improvvisamente si interrompe, rappresentandosi di conseguenza come vicenda per sua stessa natura incompiuta eppure intrinsecamente proiettiva nel suo essere un oggetto complesso, aperto a future interpretazioni dell’architettura che in essa è rappresentata come logos soggetto ad una continua operazione di verifica teorico-pratica.

76 monografie: argomenti, relazioni e significati

Orientarsi nella “lista di vertigini” (Eco 2009) che caratterizza l’ampiezza dei titoli e dei contributi che formano gli indici della biblioteca dei 76 volumi monografici di “Rassegna” è ad un primo sguardo un’operazione apparentemente impossibile. Il catalogo degli argomenti trattati dalla rivista si presenta come un labirinto di significati del quale è difficile ricostruire una sequenza logica o quanto meno organica, riconducibile ad un progetto unitario e immediatamente riconoscibile. Si potrebbe aggiungere che ciò conferma il conseguimento del risultato che Gregotti e Cerri si erano prefissati: stabilire le condizioni di una ricerca eterodossa delle ragioni dell’architettura come epicentro delle culture del progetto e dei suoi stessi fondamenti. Attraverso la costruzione di un corpus teorico che ha forse superato le stesse premesse ideologiche dell’editoriale di Recinti, “Rassegna” si è configurata, numero dopo numero, come un atlante mnemotecnico dell’architettura occidentale, o meglio, della cultura progettuale europea, suddiviso in capitoli organizzati secondo una sorta di bipolarità discorsivo-figurativa. In questa ricostruzione critica dell’espressione visiva architettonica convivono le sopravvivenze di altre culture del mondo antico nella loro connessione col moderno.

“Rassegna” è dunque uno speciale osservatorio critico, costruito mediante gli itinerari del pensiero nella cultura del progetto che declinati innanzitutto per scale, attraversano in diagonale i contributi di personalità centrali o comunque oggetto di studi trasversali, le cose e i luoghi, i progetti e le opere depositati nella memoria disciplinare, artistica e tecnica dell’Occidente. I fascicoli monografici della rivista sembrano così mostrare qualche sottesa affinità con il warburghiano processo di nachleben (Agamben 2005, 123-146), tradotto con la sopravvivenza nel moderno-contemporaneo di immagini architettoniche archetipiche e simboliche del passato, riattivabili in maniera complessa e multiscalare attraverso la trasmissione, ricezione e polarizzazione di una conoscenza disciplinare che agisce mediante il montaggio figurale tra registri culturali e morfologici eterogenei.

Il catalogo generale dei primi 44 numeri della rivista trimestrale, dato alle stampe con ogni probabilità nel dicembre 1990, quindi a quasi 3/4 della sua intensa vicenda editoriale, è un fascicolo di 53 pagine organizzato in 3 ambiti: la suddivisione dei numeri della rivista per aree tematiche, i sommari e l’indice alfabetico degli autori. La prima classificazione della rivista, che ha ormai stabilizzato i propri connotati di recinto disciplinare fatto di libri monografici, è in realtà un’occasione per costruirne un compendio che, affiancando al sommario di ogni numero un breve testo esplicativo, forma una collezione di sinossi a cui è affidato il compito di sciogliere i titoli dei numeri che, soprattutto nella fase iniziale, sono spesso caratterizzati da un’aura enigmatica. Oltre ai già citati Recinti (1) e Minimal (36), fanno parte di questa lista di titoli ineffabili Turris Babel (16), “microstoria” e base storico-critica per ripensare al tema dell’edificio alto, e soprattutto Attraverso lo specchio (13), titolo carrolliano che sembra quasi il tentativo di trascrivere l’eco delle sperimentazioni neo-avanguardiste che Gregotti ha compiuto nell’orbita del Gruppo 63. In particolare con l’allestimento della sezione introduttiva della XIII Triennale, di cui lo spazio immaginifico del “caleidoscopio” aveva costituito il manifesto. Questo primo tentativo di sistematizzazione di “Rassegna” non sempre efficacemente risolto[9] convergerà nel luglio del 1992 nel n. 50 della rivista interamente dedicato agli Indici, al quale è affidata la classificazione delle 4400 pagine pubblicate nei primi 13 anni di vita della testata secondo 4 registri del tutto consoni alla pratica archivistica. Monografie, Autori, Nomi, Luoghi sono gli ambiti che sembrano sancire la rinuncia da parte della direzione-redazione ad ogni ulteriore tentativo di classificare la traiettoria della rivista in base a raggruppamenti di argomenti legati da intenzioni progettuali accomunanti.

Ma al di là della sistematizzazione ‘ufficiale’ e programmaticamente provvisoria del dispositivo “Rassegna” prodotta dall’“esercizio della costruzione dell’indice di una rivista” (Gregotti 1992), un modo per rileggere a distanza l’articolata geografia delle aree tematiche in cui la testata è stata declinata, è tentare di riannodare i fili dei percorsi di ricerca dei vari filoni di argomenti ripartendo dal suo nucleo teorico centrale. Esso è costituito dalla poliedrica forma con cui l’architettura e la complessiva cultura progettuale del Moderno si intrecciano alle diverse scale d’intervento con altri ambiti disciplinari: umanistici, artistici e tecnico-scientifici. È su questa superficie che si forma il reticolo di connessioni tracciate da “Rassegna”, che seppur nella sua discontinuità, o forse grazie ad essa, articola i titoli che si succedono nella vertiginosa lista di argomenti e “materiali” che, come si è detto, sono sempre il risultato di ricomposizioni, assemblaggi e spostamenti di senso.

Un primo raggruppamento di monografie offre contributi critici su alcune tra le personalità che formano il nucleo dei Maestri architetti e teorici fondatori o ri-fondatori del Moderno, anche nei termini metaforici di loro connessioni inedite. In ordine di apparizione: I clienti di Le Corbusier (3); Giuseppe Terragni, 1904-1943 (11); Walter Gropius, 1907-1934 (15); Louis I. Kahn, 1901-1974 (21); Ludwig Hilberseimer, 1885-1967 (27); Mart Stam, 1899-1906 (47); l’opera di Rietveld demolita e ricostruita ne I Kröller-Muller. Architetture per una collezione (56); Norman Bel Geddes, 1893-1958 (60). Ad essi si aggiungono, del tutto inaspettatamente, anche autori paralleli a quella tradizione, come nel caso di Aldo Andreani, 1909-1945 (33).

La lista delle personalità si estende in base alla loro rilettura in rapporto ad argomenti puntuali, oppure a specifiche caratteristiche e opere, temi, intervalli o veri e propri spostamenti temporali che ne indentificano le prerogative progettuali, teorico-metodologiche o di appartenenza geografica: Carlo Scarpa, Frammenti 1904-1943 (7); Tony Garnier, da Roma a Lione (17);Sigfried Giedion, un progetto storico (25); Perret: 25bis rue Franklin (28); Piet Zwart, l’opera tipografica (30); Goethe, Van de Velde e Gropius a Weimar (45); Cemento armato: ideologie e forme da Hennebique a Hilberseimer (49); Karel Teige, architettura e poesia (53).

Il complesso tema della rilettura della multiforme eredità del rapporto tra architettura e progetto moderno dall’osservatorio contemporaneo offerto da “Rassegna” è inoltre declinato nel riferimento alla cultura dei luoghi. Il nucleo argomentativo di questa serie di numeri della rivista si dipana tra città e ambiti socioculturali cruciali, centri di ‘produzione’ o scambio tra le condizioni che definiscono il recinto stesso del Moderno, identificabili in specifiche scuole o istituzioni, a volte in termini quantomeno inattesi. Rientrano in questo terzo raggruppamento i numeri dedicati a Venezia città del moderno (22) “nel doppio significato di ciò che essa può insegnare alla modernità e di quanto essa possa rappresentare come modello moderno di città dispersa” (v. Gregotti 1992); Parigi e le vie d’acqua (29); L’architettura in Belgio, 1920-1940 (34); Barcelona (37); Breslavia (40); Lisbona (59); Edimburgo (64); Londra sotterranea (66); Architettura e avanguardia in Polonia (65); Company Towns (70). Chiude la serie delle città il numero dal titolo brodskijano Istanbul, Costantinopoli, Bisanzio (72).

A questi tre raggruppamenti più facilmente riferibili ad ambiti in qualche misura accomunati da un principio di ordinamento, se ne aggiungono altri, in parte chiaramente definibili grazie al ricorso a titoli ‘descrittivi’ e alcuni che invece sembrano sfuggire a una classificazione precisa in quanto rappresentano la traduzione di temi progettuali ‘a sezione variabile’. Fanno parte di queste ‘categorie pragmatiche’ i numeri di “Rassegna” dedicati al mondo dell’ingegneria delle macchine e alle sue connessioni con il disegno del prodotto industriale, come nel caso di Ferrovie dello Stato, 1900-1940 (2); Trasporti non convenzionali (39); Transatlantici (44); Dirigibili (67); Grandi macchine (69).

La presenza di questa componente della cultura della forma al contempo tecnica e onirica, rappresenta il tentativo di affrontare attraverso alcuni casi-studio scelti, si direbbe con intenzione idiosincratica, il tema del rapporto tra la cultura progettuale dell’ingegneria e i suoi esiti spaziali, quindi le sue conseguenze sul piano morfologico-estetico.

L’implicazione della dialettica tra l’ipotrofia del disegno tecnico della cultura industriale e l’ipertrofia dell’universo morfologico generato dalle pratiche artistiche è dunque inevitabile, perché rappresenta un aspetto che determina almeno due conseguenze nella costruzione di una parte importante della vicenda di “Rassegna”. Un primo nucleo tematico di casi-studio riconducibili alla galassia del progetto moderno è rappreso nelle speciali categorie di veicoli che traducono le problematiche del dar forma a dimensioni particolarmente sfuggenti e astratte della materia. La velocità, l’aerodinamica e il superamento del peso dell’aria; i compromessi e i paradossi delle grandi navi passeggeri quali speciali machines á habiter; l’epopea del trasporto su ferro declinata dalla morfologia delle diverse tipologie di trazioni; la costruzione di dispositivi meccanici in grado di svolgere lavori di scala inaudita o le conseguenze morfologiche derivate da un’altra condizione inafferrabile della materia, l’Elettricità. Stati Uniti e Russia (63). Un secondo ambito per diversi aspetti confinario con il precedente è rivolto all’ambito specifico del disegno industriale[10]. Appartengono a questo intenso filone di monografie Il disegno dei materiali industriali (14); Brevetto e disegno (46); La forma dell’utile. Il disegno razionale svizzero (62); Piccoli oggetti (71); Il contributo della scuola di Ulm (19).

Altri argomenti assumono invece un carattere puntiforme, con particolare riguardo alle questioni che risultano seminali ai fini del progetto di “Rassegna” come Recinti (1); Gli ultimi CIAM (52) o La ricostruzione in Europa nel secondo dopoguerra (54). Sono numeri la cui rilevanza in termini di definizione del campo disciplinare e ricerca dei fondamenti è particolarmente evidente, sia nei termini della necessità di ristabilire la storicità dei luoghi attraverso l’“ascolto del contesto” quale condizione stessa di rifondazione disciplinare del progetto moderno, sia come attualizzazione di componenti culturaliste ‘inevitabili’. È il caso de L’archeologia degli architetti (55) che riapre la questione del rapporto tra architettura e archeologia come componente necessaria della cultura disciplinare e come ricerca dell’origine delle contraddizioni che questa tensione prodotta dalla comune arché determina sulle scelte progettuali, soprattutto nei termini del conflitto tra conservazione e modificazione delle preesistenze.

Il tentativo di ricostruire attraverso la collezione delle monografie di “Rassegna” una sorta di atlante occidentale del progetto moderno, comprende inoltre alcuni particolari raggruppamenti di argomenti costituiti da sonde lanciate verso territori che rappresentano nodi tematici particolarmente delicati. È il caso dei titoli apparentemente ‘solitari’ come La natura dei giardini (8) che è occasione per fare il punto sul tema sotto al profilo ‘tecnico’ o tramite il ricorso all’astrazione (ad esempio nel caso del cubismo) nello sviluppo del rapporto dell’artificio col “mondo-natura”, o meglio della negazione della natura come fatto ‘naturale’ fino al lecorbuseriano tetto-giardino. Rientrano in questo insieme il numero curato da Renate Eco dedicato al Colore: divieti, decreti, dispute (23) e alle complesse metamorfosi dei suoi significati; I sensi del decoro (41) e Ri-vestimenti (73), entrambi presidiati dalla figura di Semper; Minimal (36) che affronta la complessità del rapporto tra architettura e arte contemporanea attraverso la lente del minimalismo.

Ma il tema dell’appartenenza al recinto disciplinare del Moderno è posta anche attraverso altre componenti, innanzitutto quella del cortocircuito teorico. “Rassegna” affronta immediatamente il tema del ruolo e del significato delle riviste di architettura attraverso l’allestimento di tre numeri dedicati ad altrettante dimensioni di questo specifico fenomeno editoriale: Riviste, manuali di architettura, strumenti del sapere tecnico in Europa, 1910-1930 (5), Architettura nelle riviste d’avanguardia (12); Neuen Bauen in der Welt (38) nei quali sono rappresi i temi portanti che caratterizzano il mondo delle riviste disciplinari. Ciò avviene sia nei termini della trasmigrazione del sapere costruttivo nel lavoro degli architetti nella fase decisiva di trasformazione della tecnica moderna, sia come strumenti di diffusione di un sapere basato sulla sperimentazione avanguardista e sulla sua successiva stabilizzazione. Ciò avviene anche mediante la rilettura critica di una testata esemplare che tra le due guerre ha fissato le linee della ricerca artistica e intellettuale del moderno attraverso il contributo di autori decisivi su casi-studio seminali, quali la ricostruzione dell’architettura in Unione Sovietica (El Lissitsky, Russland) e la formazione della nuova architettura negli Stati Uniti (Richard Neutra, Amerika).

Non sfugge a “Rassegna” l’importanza dell’architettura degli interni e degli allestimenti, attraverso la lente delle sue complesse connessioni con le questioni fondamentali del rinnovamento culturale del moderno, così come col disegno degli arredi, la museografia, la grafica, il design, e i loro rapporti col mondo dell’industria. Fanno parte di questo rilevante ambito argomentativo i due numeri dedicati al contesto dell’esperienza italiana negli Allestimenti (10) realizzati nei tre ambiti apicali di Venezia, Milano e Roma, che sembra proporsi in termini dialettici rispetto al numero di “Edilizia Moderna” dedicato alle Esposizioni (84-3, 1964). Vi è inoltre Reklame & Architektur (43), numero focalizzato sui nessi tra padiglioni, allestimenti e architetture pubblicitarie, grazie alla fantasmagoria degli intrecci tra cultura e immagine, tema cardine di “Rassegna”.

Su fronte del progetto dello spazio interno la rivista propone due numeri a cui viene affidato l’arduo compito di riassumere il significato della ricerca italiana negli intervalli temporali ante e post Seconda Guerra Mondiale. Interni a Milano e Como 1927-1936 (31) è in particolare centrato sul rapporto tra cultura dell’abitare e architettura dell’interno nella sua espressione codificata dal Razionalismo esemplare di Terragni, Figini e Pollini, Cattaneo. Dichiarazione d’interni. Appartamenti italiani 1947-1993 (58) è un titolo certamente più problematico che, privo dell’editoriale di Vittorio Gregotti, tratteggia un universo ampio e sostanzialmente inclusivo: vi compare persino il lavoro di Umberto Riva colpevolmente e sistematicamente escluso da “Casabella”. Pur non essendo esaustiva, questa monografia costituisce a quella data un vertice nella trattazione del tema dell’architettura contemporanea dell’interno in Italia, di cui evidenzia l’articolazione e l’eterogeneità. Completano questo specifico ambito e la sua evidente complessità argomentativa i casi esemplari rappresentati da Il disegno del mobile razionale in Italia, 1928-1948 (4) e Il progetto del mobile in Francia, 1919-1939 (26).

Altri temi eminentemente disciplinari attraversano la vicenda della rivista grazie ad alcuni focus molto precisi e riferiti nella loro interna formulazione. È il caso dei temi che appartengono al contesto delle Rappresentazioni (9) nelle sue molteplici declinazioni tecniche e artistiche, simboliche e letterarie, dall’iconografia al disegno tecnico; Maquette (32) focalizzato sulla tensione tra idea architettonica e sua rappresentazione tridimensionale nella traiettoria storica attraverso i saperi disciplinari; Fotografie di Architettura (20), tema conteso tra la necessità di descrivere-documentare e di risperimentare, insieme, la realtà e la lontananza del reale.

Completano l’ampia biblioteca di “Rassegna” alcune monografie che rappresentano altrettante centralità argomentative. Un primo ambito è rappresentato dal volume curato da Pierluigi Cerri dal titolo estensivo Il campo della grafica italiana (6) come spazio di riflessione storico-critica direttamente implicato dal progetto della rivista e il caso-studio Piet Zwart. L’opera tipografica 1923-1933 (30).

Oltre ad alcuni casi esemplari di architetture riferite a temi peculiari quali il numero focalizzato sulla rilettura documentaria di sette casi-studio dal titolo ginzburghiano-leviano di Microstorie di Architettura (24), Ponti abitati (48) e Architettura nelle colonie in Africa (51), quest’ultimo portatore di un evidente afflato di continuità con l’ultimo “Edilizia Moderna” Africa. Non manca all’appello una monografia dedicata alla rilettura del portato di Purcell ed Elmslie, Sullivan e Wright attraverso la sigla progettuale della Prairie School (74). Anche in quest’ultimo caso sembra di nuovo apparire un nesso, seppur sotteso, con il n. 80 di “Edilizia Moderna” dedicato alle Ricerche storiche, che riproduce in copertina il disegno di una Prairie House di F.L. Wright.

Un ultimo focus va dedicato agli unici tre numeri della rivista che, introducendo una linea di ricerca autonoma rispetto all’ortodossia definita della traiettoria di “Rassegna”, affrontano temi che hanno segnato l’attualità del periodo in cui sono stati realizzati. Modificazioni dell’abitare (35), I territori abbandonati (42) e Architettura e governo delle città (75) affrontano rispettivamente la trasformazione strutturale del tema dell’abitazione come fenomeno architettonico e politico-sociale europeo, la questione innanzitutto progettuale delle aree dismesse europee – peraltro al centro di una parte consistente dell’impegno di Vittorio Gregotti come architetto – e, infine, la connessione tra architettura e politica attraverso le ricadute che essa determina sul futuro della città.

Come si è anticipato, ad Arcipelago Europa (76) è affidato il ruolo di concludere idealmente l’esperimento “Rassegna”, realizzando un articolato Atlas che misura la profondità della crisi dell’architettura contemporanea, chiamando a raccolta il patrimonio morfologico-storico che ne costituisce, ancora, l’intrinseca identità e il fondamento futuro.

“Rassegna”: una biblioteca scomparsa?

Nell’affollato panorama delle riviste di architettura italiane degli anni Ottanta e Novanta del Novecento, tra le più autorevoli a livello internazionale, la ventennale traiettoria di “Rassegna” si configura del tutto autonomamente rispetto ad ogni altra testata precedente e successiva. L’apparente eterogeneità dei titoli traccia tra il 1979 e il 1998 un itinerario argomentativo, geografico e scalare dai Piccoli oggetti alle Grandi macchine, che costruisce un proprio logos nell’incessante attività gregottiana del “fabbricare riviste”, percorso liberato dal compito – affidato alla simmetrica “Casabella” – di affrontare l’architettura contemporanea in presa diretta. La collezione di anamorfosi architettoniche raccolte nell’inusitata “Rassegna” di temi disciplinari, sembra potenziare il principio monografico del breve ma intenso esperimento “Edilizia Moderna”, proponendo uno sguardo diagonale sulla cultura del progetto. Le pratiche sezionate criticamente costruiscono, numero dopo numero, una speciale koinè prodotta dall’interazione dei saperi e dallo scambio tra le diverse declinazioni del progettare. Il progetto grafico stesso della rivista escogitato da Pierluigi Cerri è al contempo invenzione e programma: i titoli dei volumi sono tra parentesi, proiettando così l’appartenenza di ogni argomento verso un esteso e prismatico discorso-progetto, radicato in una politica editoriale intransigente e schierata.

“Rassegna” affronta programmaticamente i nodi della “modificazione”, catalizzando gli argomenti scaturiti dal “dispositivo Gregotti” per rielaborare il paradosso di una cultura del progetto moderno risolta nella sua stessa incompiutezza. I 76 idiosincratici frammenti della rivista, essa stessa ‘interrotta’, restituiscono l’ampiezza di questo osservatorio conteso tra regola ed eccezione, tra principio e sua contraddizione, tra asserzione e cortocircuito. Queste schegge di archeologia del sapere architettonico del Moderno costituiscono di per sé un capitolo specifico tra le riviste disciplinari, per aver dimostrativamente rappresentato l’estensione critica e argomentativa della cultura progettuale mediante Recinti che tracciano i confini dell’architettura dell’ambiente attraverso “la facoltà di scegliere e di giudicare”.

Forse l’essenza ‘quantistica’ di “Rassegna”, della sua trasmutante cifra visionaria, onirica, paradigmatica e culturalista, sta nell’aver tentato di ristabilire l’equilibrio tra mezzi e fini dell'architettura attraverso la dimensione di lunga durata della teoria del progetto e dei suoi molteplici materiali. È l’ultimo manifesto creativo di un’idea coerente di cultura disciplinare basata sull’anomalia della regola: warburghiana “memoria ansiosa, trasformata in conoscenza”.

In quanto superficie di sperimentazione di un modello teorico di ricerca in architettura, “Rassegna” traccia ancora possibili percorsi attraverso un Recinto che è ora necessario riosservare dall’esterno. In questa prospettiva, “Rassegna” rappresenta un progetto idealmente proseguibile perché mette al centro della ricerca in architettura la questione della forma attraverso la sua immagine, tema posto attraversando in diagonale i complessi territori della cultura progettuale, diversi per scala e implicazioni, esprimendo, ancora, il proprio valore di tentativo di ricostruzione del sapere disciplinare sulla base delle esperienze del Moderno. Ed è così che “[…] la riflessione pensata ed espressa in termini linguistici, già in origine intimamente mescolata alla memoria ed all’immaginazione visiva, si trasforma in materiale concreto del progetto di architettura” (Gregotti 2008)[11].

“Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente”, Recinto, Anno I numero zero (settembre 1979), stampa: Graficarta - L. Majerna s.a.s. Milano, (campione non in vendita). Fonte: © Archivio Pierluigi Cerri.

Note

[1] La definizione coincide con quella riportata in G. Devoto, G. C. Oli, Dizionario della Lingua Italiana, Firenze 1979.

[2] “Minimal” è il titolo del n. 36 di “Rassegna”, pubblicato nel dicembre 1988.

[3] “Rassegna di Architettura” nasce a Milano nel 1929 – un anno dopo “Domus” e “Casabella” – con la direzione di Giovanni Rocco che ne prosegue la vicenda di rivista mensile di regime orientata “a un largo eclettismo” fino al 1940 per un totale di 136 fascicoli. Nel dopoguerra la testata è acquisita dal Salone del Mobile di Tito e Manlio Armellini. Quest’ultimo la offre a Gregotti e Cerri che la rifondano integralmente come rivista trimestrale monografica.

[4] Il tema dell’ambiente come “materiale” del progetto di architettura è centrale nell’argomentazione teorica di Gregotti a cominciare da “Il territorio dell’architettura” (1966) dove è declinato come “L’ambiente totale” (46-47), “Architettura, ambiente, natura” (92-94) e “Problemi di lettura degli insiemi ambientali” (83-85). Per restare nell’ambito delle riviste da lui dirette si rimanda all’editoriale “L’architettura dell’ambiente” in “Casabella” 482 (1982).

[5] L’idea di un’iconologia architettonica che qui si vorrebbe suggerire come ipotesi interpretativa si scontra subito con alcune difficoltà oggettive se la si riferisce al contesto semiologico. Illuminante seppur lontano dall’interpretazione iconologica suggerita da “Rassegna” resta al proposito il contributo di Gillo Dorfles in Valori iconologici e semiotici in architettura, “Op. cit.” 16 (1969), 27-39.

[6] La foto è pubblicata in Making the City Observable, numero monografico di “Design Quaterly” 80 (1971), 16, curato da R.S. Wurman, insieme ad altri modelli in creta tra cui quello di Venezia (a pagina 7). Le foto di questi modelli erano state precedentemente pubblicate in R.S. Wurman and students, The City, Form and Intent: being a collection of th plans of fifty significant towns and cities all to the scale 1:14000, Student Publication, North Carolina State School of Design, Raleigh 1963.

[7] Vittorio Gregotti è stato redattore di “Casabella” dal 1955 al 1963, caporedattore di “Casabella-Continuità” dal 1963 al 1965, direttore di “Edilizia Moderna” dal 1963 al 1966 e responsabile del settore architettura de “Il Verri”. Dal 1979 al 1998 ha diretto “Rassegna” e dal 1984 al 1999 “Casabella”.

[8] Il successivo numero 77 di “Rassegna” intitolato “Bernardo Vittone, Istruzioni elementari per l’indirizzo dei giovani allo studio dell’architettura civile” non uscirà mai. Al suo posto verrà editato “Scandinavia anni Trenta” diretto da Paola Ponzellini e curato da Gennaro Postiglione (primo trimestre del 1999). Con l’ultimo numero di “Rassegna” e quello di Casabella uscito nel dicembre del 1999 Vittorio Gregotti perde quasi all’unisono le due riviste che aveva reinventato insieme a Pierluigi Cerri e diretto rispettivamente per venti e quindici anni.

[9] Nella suddivisione dei numeri della rivista per aree tematiche, l’ambito denominato “Architettura e progetto” appare forse eccessivamente generalista se si considera che in esso convergono contributi troppo eterogenei per essere ‘contenibili’ entro una pur ampia classe di argomenti: da “I clienti di Le Corbusier” a “Reklame & Architektur”.

[10] Si tratta di un tema che Gregotti sviluppa sia come progettista, dapprima con Lodovico Meneghetti e Giotto Stoppino, poi con Pierluigi Cerri. Il tema, specificamente riferito al contributo italiano, è oggetto per Gregotti di continue indagini critiche che anticipa con “Edilizia Moderna” n. 80, Design, poi con “Rassegna” e il suo Il disegno del prodotto industriale: Italia 1860-1980 (1982) con la geniale copertina e impaginazione di Pierluigi Cerri.

[11] Uno speciale ringraziamento è rivolto a Pierluigi Cerri e Francesca Neef per l’incontro-intervista avuto con loro presso lo studio Cerri il primo settembre 2021, fondamentale per lo sviluppo di molti degli argomenti trattati in questo contributo, interamente basato sulla coerenza e il rigore delle loro argomentazioni. A Pierluigi Cerri sono inoltre particolarmente grato per tutte le ulteriori indicazioni ricevute in merito a relativi specifici numeri della rivista e per aver messo a disposizione una copia dell’inedito numero zero di “Rassegna” che, grazie al suo connaturato anticonformismo e alla sua cifra intellettuale di architetto completo, è ora integralmente pubblicato su “Engramma” per la prima volta.

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English abstract

In the crowded panorama of Italian architecture journals of the 1980s and 1990s, the twenty-year trajectory of “Rassegna” is among the most authoritative at the international level, completely autonomous with respect to any other previous or subsequent publication. The apparent heterogeneity of the titles, between 1979 and 1998, traces an argumentative, geographical and scalar itinerary from Small Objects to Big Machines, which builds its own logic in Gregotti’s incessant activity of “making magazines”, freed from the task - entrusted to the symmetrical Casabella - of dealing with contemporary architecture in direct contact. The collection of architectural anamorphoses gathered in the unusual “Rassegna” of disciplinary themes seems to reinforce the monographic principle of the brief but intense experiment “Edilizia Moderna”, proposing a diagonal look at the culture of the project. The critically dissected practices construct, issue after issue, a special koinè produced by the interaction of knowledge and the exchange between the different declinations of design. The graphic design of the magazine itself, devised by Pierluigi Cerri, is both invention and programme: the titles of the volumes are in brackets, thus referring to the fact that each subject belongs to an extended and prismatic project discourse, rooted in an uncompromising and aligned editorial policy. “Rassegna” programmatically tackles the knots of “modification”, catalysing the arguments arising from the ‘Gregotti-device’ to rework the paradox of a culture of modern design resolved in its own incompleteness. The 76 idiosyncratic fragments of the journal—which is itself ‘interrupted’—restore the breadth of this observatory contended between rule and exception, between principle and its contradiction, between assertion and short circuit. These splinters of archaeology of modern architectural knowledge constitute in themselves a specific chapter among disciplinary journals, for having demonstrated the critical and argumentative extension of the design culture that they can still transmit by means of enclosures through which to trace the boundaries of the architecture of the environment through “the faculty of choosing and judging”. Perhaps the ‘quantum’ essence of “Rassegna”, of its transmuting visionary, oneiric, paradigmatic and culturalist figure, lies in having attempted to re-establish the balance between means and ends of architecture through the long-term dimension of the theory of the project and its multiple materials. It is the last creative manifesto of a coherent idea of disciplinary culture based on the anomaly of the rule: Warburgian “anxious memory, transformed into knowledge”. As an experimentation surface for a theoretical model of research in architecture, “Rassegna” still traces possible paths through an enclosure that now needs to be re-observed from the outside. Seen from this perspective, “Rassegna” represents a project that can be continued because it places the theme of form at the centre of architectural research, diagonally crossing the complex territories of design culture, different in scale and implications. In this way, it still expresses its value as a reconstruction of disciplinary knowledge on the basis of modern materials.

Keywords | “Rassegna”; Recinti; Vittorio Gregotti; Pierluigi Cerri.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Guido Morpurgo, Il caso “Rassegna”. L’anomalia della regola, “La Rivista di Engramma” n. 188, gennaio-febbraio 2022, pp. 137-184 | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.188.0010