"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

186 | novembre 2021

97888948401

Lü Peng e il Rinascimento

Caso di studio sui limiti e le difficoltà della traducibilità culturale

Veronica Di Geronimo

English abstract

Gli aggiornamenti tecnici e stilistici in Oriente e in Occidente tra XIX e XX secolo, quando entrambi i poli culturali si trovarono nell’ironica e paradossale condizione di dover diluire le proprie eccellenze artistiche per accogliere le caratteristiche dell’altro (Danto 2011, 364), aprirono a possibilità per soluzioni figurative del tutto particolari, fenomeni di ibridazione e di scambio, quindi esempi di traducibilità a doppio canale. La risemantizzazione di elementi iconografici della celebre arte rinascimentale italiana, depositi di tradizione occidentale in Cina, sorprende per il contemporaneo grado di familiarità e di incognita, comprensione e incomprensione, distanza e conoscenza. I pastiche realizzati da molti artisti cinesi, così come l’adozione di alcuni pattern compositivi tutti occidentali, sono la testimonianza dell’incontro tra due culture figurative, ma non solo. Sono prova della forza con cui una tradizione si sviluppa a distanza di chilometri e di secoli – recepita, depositata, obliata, restituita, trasformata. Ma se storicamente è possibile rintracciare i motivi della circolazione e dell’interesse per le iconografie occidentali da parte degli artisti cinesi, ciò che risulta difficile da verificare è come queste si siano sedimentate.

Lü Peng è un caso significativo poiché esige una riflessione che non si limita a quella sulla citazione strumentale dei maestri del Rinascimento. Nei dipinti di seguito presentati – commentati insieme a lui nell’intervista da me condotta nel suo studio a Pechino nel luglio 2019 – si celano riferimenti e variazioni di alcune combinazioni simboliche appartenenti alla cultura dell’Europa cinque-secentesca. Tuttavia, la presenza di tali trasformazioni e trasfigurazioni si iscrive all’interno di un processo di accostamenti e ibridazioni che, se da un lato lascia intravedere spiragli di comprensione sulle immagini stesse, dall’altro solleva il problema dell’innesto e della traducibilità di un’immagine da una cultura a un’altra. Lü Peng ci mette di fronte al problema della possibilità e della correttezza delle traduzioni di un codice, in forma di immagini.

Le composizioni rinascimentali nell’arte pop surrealista di Lü Peng

1 | Lü Peng, Salute to Mr. Caravaggio, 2013, inchiostro su carta, 200×157 cm (Courtesy of the artist).

Nato nel 1967 a Pechino, dove attualmente vive e lavora come docente e artista, Lü Peng inizia il suo percorso professionale alla Capital Normal University dove si specializza nella pittura Gongbi, antica tecnica volta a cogliere i dettagli in modo descrittivo e realistico. Pur continuando a padroneggiare tecniche e strumenti tradizionali, egli deve la sua fama alla declinazione cinese del Pop Surrealismo, nota in Cina come Zhongshi Chaoxianshizhuyi Bopu: è il critico e storico dell’arte Peng Feng, partendo da un confronto con il panorama statunitense degli anni Novanta, a individuare nei coloratissimi lavori di Lü Peng un’affinità con la proposizione della cultura bassa e lowbrow della West Coast, promossa da Kirsten Anderson e dal suo lavoro alla Roq La Rue Gallery (Peng 2015, 8-14). Sono soprattutto i dettagli popolari e folk, propri della cultura di appartenenza dell’artista cinese, sia tradizionali che moderni, congiunti a un aspetto irreale variamente inscenato, ad ascrivere l’opera di Lü Peng al sopracitato movimento artistico. Il Pop Surrealismo cinese, sebbene sia emerso in una prospettiva comparatistica con l’arte occidentale, riprende anche alcuni tratti della Gaudy Art, fenomeno kitsch che prende piede in Cina negli ultimi anni del secolo scorso (per un approfondimento sugli anni Novanta e la Gaudy Art, si veda Liao [1999] 2010).

L’opera del 2013 Salute to Mr. Caravaggio (Fig. 1) esemplifica la modalità attraverso cui Lü Peng lavora. Lo schema compositivo della Deposizione vaticana è stato applicato a una nuova scena che, seppur uguale nel layout, è di natura diversa. L’angolo del basamento sporgente in avanti e il punto di vista dal basso restano soluzioni spaziali pressoché invariate dal dipinto caravaggesco, tuttavia la fatica e il dolore dell’originale scompaiono in favore dell’attrazione dei personaggi per il sottosuolo. Alla tomba in cui il corpo di Cristo sta per essere interrato corrisponde il precipizio su cui l’artista cinese costruisce la sua versione del dipinto. La giovane donna che si protende verso il basso, innescando la tendenza generale dei movimenti verso la misteriosa cripta, e l’uomo che tiene in mano una luce, alludendo alla curiositas verso l’ignoto, coadiuvano la decifrazione dei sentimenti espressi dai gesti delle figure femminili, già Maria di Cleofa e Maddalena.

Soluzioni importate si sovrappongono a simboli autoctoni. La figura che tiene in mano la lampadina appartiene alla tradizione religiosa locale; vestito in uniforme militare, egli rappresenta uno dei guardiani che solitamente veniva posto sulle pareti dei templi a protezione dei luoghi buddhisti (per uno studio sull’evoluzione dell’immagine menshen e l’influenza stilistica di Wu Daozi nella versione iconografica proposta dall’artista, si veda Fong 1989). L’inserimento dell’iconografia menshen (letteralmente ‘divinità delle porte’) denota la capacità dell’artista di selezionare fonti iconografiche – potenzialmente coerenti nell’aspetto semantico – per costruire una traiettoria comune tra culture figurative diverse, dando a forme e contenuti una nuova sistemazione narrativa unitaria.

Molti altri sono gli esempi in cui l’artista coglie nelle opere rinascimentali architetture e impianti validi per i suoi soggetti. Nel biennio 2013-2014 l’influenza dell’arte italiana è diretta e programmatica: egli seleziona, copia e ripropone schemi variando situazioni standardizzate dell’arte sacra. Nei dipinti Reading Period 3 e 4 (Figg. 2-3) è possibile riconoscere un elemento tipico della tradizione iconografica dell’Annunciazione, l’ingresso di fasci luminosi visibili come linee che entrano dalla finestra a colpire la donna. Il paesaggio verde che digrada in lontananza, come l’architettura classicheggiante, quadri, tende e mobili intagliati evocano quadri e atmosfere italiane, mentre altre figure ed elementi fuori contesto arricchiscono la scena in modo straniante. La protagonista, nuda, immersa nella lettura, con il volto coperto da un libro rosso è circondata da animali e arredi particolari.

2 | Lü Peng, Reading Period 3, 2013, inchiostro su carta, 70×138 cm (Courtesy of the artist).

Tuttavia sarebbe improprio cercare l’attinenza del piccolo dinosauro o dell’uomo con la lunga tunica scura: lo stesso artista dichiara infatti di averli inseriti senza logica o riferimenti al contesto. Il lavoro dell’artista si costituisce quindi di due momenti diversi: la realizzazione dello schema, e il riempimento con immagini secondarie. Nella prima fase, tramite l’uso di reference books, si occupa di formulare le impaginazioni delle sue opere, plasmandole a partire dai grandi maestri italiani; nella seconda, seguendo una sorta di automatismo, inserisce soggetti non preventivati. Il riempimento con figure e immagini, che avviene in questa seconda fase, deriva dalla spontaneità dell’artista, il quale in sede di lavoro si lascia andare a uno stato che egli stesso definisce “Day Dreaming”.

La pianificazione formale è propedeutica alla sovrapposizione di elementi estemporanei. Assecondando un duplice processo mnemonico, uno istintivo e l’altro volontario, l’artista dispiega elementi decontestualizzati, spesso folklorici o riferiti al proprio immaginario personale. Il critico Li Xianting definisce questo metodo “a game of piling up cultural fragments”: un procedimento che funziona per incastri di ricordi e frammenti culturali senza alcun ordinamento sistematico (Li 2005).

I vari strati, che costituiscono un vero e proprio palinsesto di memorie personali e storico-collettive, coabitano sintatticamente come in un sogno, senza linearità né legame.

3 | Lü Peng, Reading Period 4, 2013, inchiostro su carta, 70×138 cm (Courtesy of the artist).

A un altro genere appartengono i dipinti di Lü Peng in cui si possono riconoscere puntualmente i riferimenti citati, per ricostruire percorsi e passaggi tra artisti, opere e soggetti. In Reading Period 1 (Fig. 4), ad esempio, è possibile individuare una sintesi di iconografie relative al tema della Sapienza e della Filosofia: ma l’artista, anziché usare uno schema esistente, ne modella uno nuovo sovrapponendo più fonti. Lü Peng ritrae un gruppo di tre uomini coinvolti in una disordinata riunione tra intellettuali, come desumibile dai cartigli e libri sparsi su alcuni gradini. Lateralmente chiudono il gruppo due figure femminili: da una parte un nudo frontale e scultoreo parzialmente coperto da un velo, dall’altra una donna di profilo, scalza e alata, vestita con il tradizionale abito cinese qipao.

L’allestimento dei personaggi sulla scalinata, l’atmosfera di studio, nonchè alcuni dettagli ricordano un’opera canonica dalla simile ambientazione e atmosfera: la Scuola di Atene. La disposizione e il numero degli uomini, due stanti e uno seduto, trova in un altro dipinto rinascimentale un valido riferimento: i cosiddetti Tre filosofi di Giorgione.

Si può supporre, quindi, che Reading Period 1 porti con sé una sequenza di modelli e variazioni sul tema che l’artista integra e sovrappone. Nell’affresco di Raffaello, Diogene è rappresentato semisdraiato in modo scomposto sui gradini, nell’opera cinese il personaggio seduto viene dotato della lanterna, attributo che tradizionalmente connota Diogene. Il dettaglio della lampada che cerca la verità, che nell’opera di Raffaello manca, suggerisce lo studio comparato di diverse iconografie appartenenti allo stesso tema.

4 | Lü Peng, Reading Period 1, 2013, inchiostro su carta, 200×157 cm (Courtesy of the artist).

Ulteriori considerazioni sull’andamento delle assonanze e delle corrispondenze formali possono essere fornite dalla mela al centro del dipinto. Il frutto, che nella tradizione occidentale sarebbe un attributo più adeguato alla figura nuda sulla sinistra, mutuata dalle rappresentazioni di Venere e/o di Eva, è rappresentato tra le mani del filosofo, come se sostituisse la sfera celeste presentata da Tolomeo ne la Scuola di Atene.

Ma l’assorbimento di alcuni modelli non si limita allo studio dei reference books, da cui l’artista attinge per la selezione delle composizioni. Diverse sono le occasioni in cui Lü Peng è entrato in contatto diretto con la pittura italiana.

Nel 2012, anno da cui è possibile rintracciare la testuale citazione rinascimentale, l’artista partecipò alla prima Biennale Italia-Cina, organizzata presso la Reggia reale di Monza e altri luoghi con esposizioni satelliti, sotto la direzione artistica di Sandro Orlandi. In quell’occasione l’artista espose Rainbow, un dipinto del 2007 costituito da numerose figure disposte caoticamente in modo tale da formare un arco su un cielo la cui luminosità, filtrata dalle nubi, dimostra una certa discendenza dalle composizioni celesti proprie delle volte e delle cupole manieristiche e barocche. Lo stesso curatore Orlandi si rese conto dell’influenza italiana e, prima dell’esposizione, scrisse in una lettera indirizzata all’artista:

I analyzed your paintings and I found strong similarities with the painters of the Italian Renaissance […]. I do not know how much you may be inspired by Italian paintings of 1600 but this interesting analogy can read, and this increases the value and considerations to your work (Yin 2016, 37).

In quello stesso anno, presso il Museo Nazionale di Piazza Tienanmen, Zhōngguó guójiā bówùguǎn, si inaugurò la mostra Il Rinascimento a Firenze. Capolavori e protagonisti. Tra gli artisti esposti spiccavano i nomi di Botticelli, Raffaello e Michelangelo, accanto ai meno noti esponenti dell’ambiente fiorentino. La mostra – parte di un programma di scambio espositivo bilaterale avviato nel 1997 – presentava una vasta gamma di iconografie, variando dalla Madonna con Bambino all’Annunciazione, dai ritratti ai canestri di frutta. Alcuni degli elementi tipici della cultura italiana rinascimentale esposti in quella occasione si ritrovano in due dipinti di Lü Peng: Il piccolo eremita (Fig. 5) e la sopracitata opera Reading Period 1. Sebbene il cesto di frutta sopra la tavola de Il piccolo eremita sia una copia esatta della canestra di Caravaggio, il medesimo soggetto, il Canestro di frutta di Giovanni della Robbia era esposto alla mostra con lo scopo di mostrare l’eccellenza della tecnica della terracotta invetriata (Acidini et al. 2012, 150). La donna dietro i filosofi di Reading Period 1, invece, trova riferimenti in due dipinti di Venere, uno di Lorenzo di Credi e l’altro di Botticelli.

Nonostante l’influenza della cultura rinascimentale trovi nel biennio 2013-2014 un momento catalizzatore, l’interesse per la cultura figurativa italiana da parte dell’artista può essere retrodatato agli anni Novanta. Egli, infatti, poco dopo il termine degli studi accademici realizzò una serie che adottava i formati tipici delle pale d’altare con lunetta. Al centro di queste opere, sotto una luce dipinta proveniente dall’alto, sono riportate figure tratte da celebri dipinti: la Venere di Botticelli, l’Uomo vitruviano di Leonardo, la Sibilla della Cappella Sistina, ecc.

5 | Lü Peng, Il piccolo eremita, 2013, inchiostro su carta, 82×100 cm (Courtesy of the artist).

L’innesto della tradizione pittorica italiana, in questa prima versione citazionale prodotta dell’artista, è contestuale al periodo di esterofilia che prende piede in Cina nell’ultima decade del Novecento. Lü Peng non è certamente l’unico pittore il cui l’interesse per l’arte figurativa occidentale si è manifestato attraverso l’appropriazione iconografica di celebri capolavori. Un considerevole numero di artisti cinesi cita opere celebri dell’arte occidentale attraverso la realizzazione di pastiches. Si riportano di seguito alcuni esempi di pittori e fotografi: Yue Minjun (1962), Wang Guangyi (1957), Hu Jieming (1957), Pang Maokun (1963), Yan Pei Ming (1960), Miao Xiaochun (1964). Se si allargasse il parametro di inclusione ad altre forme artistiche, come ad esempio l’installazione, i nomi aumenterebbero. Sebbene gli artisti siano animati da diverse finalità, e non si indirizzino esclusivamente alla cultura rinascimentale italiana, essi procedono sempre all’editazione di un materiale precedentemente collezionato e collazionato. Anche se quella delle citazioni e dei pastiches non è una tendenza ascrivibile a un preciso movimento o a una decade, tale fenomeno, appendice della tendenza globale “post produttiva” (Bourriaud [2002] 2004), nella specificità del contesto cinese ha incontrato delle concause negli anni che seguirono la Rivoluzione Culturale.

Il passaggio storico che ha portato all’innesto della tradizione figurativa occidentale da cui è iniziato l’atteggiamento di appropriazione e ri-arrangiamento di immagini e composizioni è la riforma di apertura economica e politica promossa da Deng Xiaoping. Le scelte economiche post-rivoluzionarie portarono alla circolazione di “qualunque materiale di origine occidentale” (Jones 2006, 26). Wang Guangyi dichiarò: “If I hadn’t gone south, I may never have produced the Post-Classical series" (Wu 2014, 102), precoce testimonianza di coniugazione del suo stile con dipinti occidentali, di cui l’artista riprende set e personaggi quali Monna Lisa, Marat e altri. L’elemento biografico di trasferimento dell’artista presso una delle nuove zone economiche, oltre a coincidere con l’avvio di questa serie, combacia cronologicamente con il dato storico di rapida commercializzazione e globalizzazione della società e dell’arte cinese.

L’exploit di traduzioni ed esposizioni che si verificò negli anni Ottanta portò alla diffusione della cultura occidentale, comprese le tendenze più innovative. Le avanguardie approdarono in Cina tramite carta stampata e attraverso mostre che proponevano diversi generi e stili, utilizzando anche le modalità del reimpiego, del collage e del combining. Si ricorda – a proposito del combining – la presenza di Robert Rauschenberg, il quale nel 1985 si trovava a Pechino nell’ambito del progetto ROCI – Rauschenberg Overseas Culture Interchange (Zhu [1985] 2010, 42-45).

Da un lato si verificò quindi un’inondazione di nuove immagini, dall’altro si fece strada la possibilità di utilizzare tecniche di creazione eterodosse che trovavano supporto negli scritti dei filosofi del linguaggio. In ambito accademico autori come Wittgenstein, Derrida e anche Gombrich, già micce per il concettualismo che avviò lo sperimentalismo del movimento ’85 New Wave (per una lettura critica che riconosca il ruolo della contaminazione occidentale negli anni Ottanta si veda Gao [1986] 2010), destavano interesse e indirizzavano ricerche collettive e individuali. Lo storico dell’arte Wu Hung ha individuato nel libro Art and Illusion: A Study in the Psychology of Pictorial Representation il punto di partenza della serie Post-Classical di Wang Guangyi. L’artista avrebbe colto nei concetti di “schema” e “correction” di Gombrich la base teorica per distillare e rielaborare le immagini, attuando un procedimento creativo che avrebbe poi declinato in modo decostruttivista. A supporto di questa tesi Wu Hung riporta una dichiarazione dell’artista del 1988 pubblicata sulla rivista Meishu: “None of the existing facts of cultural schemata has absolute authority. We can scrutinize them critically, and make certain corrections of such cultural facts afterwards. It is precisely such corrections that confirm the meaning of my own existence” (Wu 2014, 103).

È significativo che sia stato proprio un esponente della Pop Art cinese a utilizzare prontamente immagini occidentali. La serie Post-Classical non restò un caso isolato della produzione di Wang Guangyi: Masterpieces Covered by Industrial Quick Drying Paint; Mass-Produced Holy Child e Idols si pongono infatti sulla stessa scia.

Falsi amici tra parole e immagini

Individuare gli intrecci e i passaggi iconografici che caratterizzano la produzione di Lü Peng può essere un esercizio stimolante, soprattutto quando ci si trova di fronte a côtés di influenze e prestiti formali poco frequenti nella cultura figurativa occidentale, come nel caso della pittura thangka (genere pittorico di tradizione buddhista) a cui l’artista deve una cospicua serie dei primi anni Duemila. Fin da quando era studente egli è interessato a rintracciare parallelismi tra culture; l’artista ha dedicato alcuni studi al Medioevo, all’arte bizantina, a quella tibetana e al Rinascimento, perseguendo lo scopo della comparazione e della sperimentazione. Queste ricerche lo hanno condotto ad attingere a repertori e fondi iconografici diversi per cronologia e area geografica. L’aspetto archivistico di Lü Peng, che colleziona, riordina e altera un patrimonio globale di immagini, se da un lato testimonia la presenza dell’interazione e dell’assorbimento di alcuni modelli occidentali (Segraves 2011,19-21), dall’altro costringe a fare i conti con il complesso processo di ricezione di una tradizione di cui non si è membri attivi, ponendo il problema delle interpretazioni rispetto a cornici teoriche improprie e preconcetti culturali.

Nello studio di opere d’arte contemporanea cinese è cruciale interrogarsi su come ottenere un’interpretazione coerente alla contaminazione connaturata nel linguaggio artistico, e, al contempo, valida rispetto all’origine dell’autore; soprattutto se l’oggetto dell’analisi è la produzione artistica della generazione nata nei decenni della Rivoluzione Culturale. Di frequente le interpretazioni delle opere caratterizzate da commistione artistica e culturale sono inserite dentro la cornice retorica della globalizzazione, risultando spesso generiche e poco qualificanti. Le nozioni di third space o di in-betweenness, in cui spesso si raggruppa la varietà di fenomeni artistici che nascono dall’interculturalità e dall’incontro di culture storicamente marginalizzate con culture storiograficamente prominenti, hanno tutto l’aspetto di essere quelle “paroline magiche” che Didi-Huberman descrive in Davanti all’immagine – come “concettualmente poco rigorose ma efficaci a risolvere tutto, vale a dire sopprimere l’universo delle questioni a vantaggio della presenza ottimista fino alla tirannia, di un battaglione di risposte” (Didi-Huberman [1990] 2016, 32) – aggiornate alle dinamiche dell’arte del XXI secolo.

Inoltre, per quanto concerne il panorama cinese è opportuna una puntualizzazione: il paradigma dell’arte che da nativa e periferica diventa global attraverso l’assorbimento di culture occidentali non è, a mio avviso, corretto. L’arte contemporanea cinese nasce nell’era e dall’era della globalizzazione. L’interstizio teorico dell’incontro tra culture è l’origine, non una meta che ha raggiunto, come dimostra il fatto che la produzione di arte contemporanea si aggiunge alla pittura tradizionale cinese e a quella a olio di stampo realistico, non vi si sostituisce. Sebbene tale condizione di origine renda l’arte contemporanea cinese intrinsecamente cross-culturale, non per questo la sua comprensione è facilitata. Diversi sono gli ostacoli che si incontrano nello studio, e notevole è il gap da colmare per chi approccia la decodificazione delle opere. I numerosi casi di interpretazioni contrastanti di arte contemporanea cinese non solo restituiscono un “caleidoscopio di significati” (Munroe 2017, 45-46), ma aprono anche a un più complesso ordine di problemi, quali la fragilità del monoculturalismo e la possibilità di trovare una sintesi tra pratiche ermeneutiche e strutture epistemologiche per una storia dell’arte globale.

Il progetto artistico di Xu Bing intitolato Telephone, avviato nel 1996, è utile per inquadrare il difficile terreno su cui ci si muove per l’elaborazione di un’analisi esaustiva della produzione di Lü Peng. L’opera concettuale e partecipata consiste in una rivisitazione del gioco del telefono senza fili: il primo giocatore sussurra al secondo una frase che deve essere riportata, rigorosamente bisbigliando, fino all’ultimo partecipante. Più è alto il numero di giocatori, maggiore è la possibilità che alla fine del gioco il messaggio venga svelato distorto. Xu Bing ne propone una versione scritta. Egli chiama dei traduttori e sceglie un testo con l’intento di verificare come questo sarebbe stato riportato in diverse lingue, trasformandosi a ogni passaggio. Il brano selezionato di Lydia H. Liu, professoressa presso la Columbia University dove dirige l’Institute for Comparative Literature and Society, tratto dal libro Cross-writing: Critical Perspectives on Narratives of Modern Intellectual History, ha subito le seguenti trascrizioni: cinese, inglese, francese, russo, tedesco, spagnolo, giapponese, tailandese, per poi essere nuovamente riportato nella lingua originale. La non conformità dei due testi in cinese – il primo e l’ultimo – prova la difficoltà di trasmissione di concetti attraverso parole che in ciascuna lingua hanno sfumature di significato sottili, non interamente sovrapponibili. Nonostante l’atto della traduzione non garantisca sempre la congruenza di significati tra lingue diverse, essa è il token indispensabile per la trasmissione di concetti tra culture. Per questa ragione le traduzioni rappresentano il nucleo centrale della riflessione che accompagna la modernità, non solo in ambito linguistico (L. H. Liu 1999, 1-12).

Sulla traducibilità a doppio canale che caratterizza i fenomeni di ibridazione e scambio si snoda la partita ermeneutica per la comprensione delle opere di Lü Peng. Nel fenomeno descritto come caratterizzante la sua produzione, le iconografie rinascimentali si trovano tra due mediatori come su un tavolino da ping-pong o, per meglio usare un termine di Kirk Varnedoe, sono l’oggetto di un “boomerang culturale”: import-export di una tradizione che torna indietro parzialmente travisata (Varnedoe [1990] 2016, 52). A causa di questo insidioso processo di osservazione, rielaborazione e interpretazione, recepiamo la Deposizione vaticana di Lü Peng come un falso amico, proprio perché nei percorsi in entrata e in uscita qualcosa si perde e altro viene aggiunto, dipendentemente dal contesto in cui l’oggetto della traduzione si innesta.

Lü Peng ci mette di fronte al problema della possibilità e della correttezza delle traduzioni di un codice, seppure in forma visuale. Nella lettura della sua produzione dobbiamo fare i conti con la ricezione dell’arte sacra italiana in Cina, e con lo studio di questa dopo che ha subito manomissioni da parte dell’agente esterno. Ne consegue che le opere sopra esaminate sono il risultato di una doppia traduzione culturale con interpretazioni ed elaborazioni intermedie. I dipinti di Lü Peng nascono dall’impressione di fonti figurative e dallo smantellamento dei significati e dei contesti originari delle stesse, una strategia che permette all’artista di assorbire e assemblare immagini che altrimenti non troverebbero un terreno di sintesi. Se storicamente è possibile rintracciare i motivi della circolazione e dell’interesse per le iconografie occidentali da parte degli artisti cinesi, ciò che risulta difficile da verificare è come queste si siano sedimentate. Perché la mela al posto del globo? O, più semplicemente, perché il valore religioso è bypassato, e delle opere a soggetto cristiano non restano che le architetture? Quali sono le ragioni che si celano dietro la privazione del contenuto originale e lo slittamento del significante?

Tentativi di investigazione sull’assorbimento di culture straniere da parte degli artisti cinesi sono state formulate per i protagonisti della diaspora, considerando in particolar modo l’influenza della comunità immigrata presente nel paese di arrivo e le politiche di accoglienza (Chiu 2006, 12-13). Questo genere di studi non può esserci utile per un semplice motivo: Lü Peng, sebbene appartenente alla medesima generazione, non rientra nella categoria di artisti che si sono trasferiti all’estero. Inoltre, credo che l’adozione di questo tipo di approccio comporti l’appiattimento del dibattito a due categorie: artista cinese espatriato e artista cinese fedele al suo paese, rischiando di conseguenza interpretazioni che ricalcano luoghi comuni, immagini stereotipate, o comunque interpretazioni artistiche che non rispecchiano la varietà del panorama cinese e non rispettano le singole creatività degli artisti (chi scrive ritiene che la chiave di lettura dualistica dell’arte cinese contemporanea, che contrappone un polo locale a uno globale, sia più proficua per le considerazioni contingenti alla produzione artistica, quali i diversi circuiti espositivi, il mercato e i meccanismi di sistema).

C’è da chiedersi se è possibile ovviare al problema dello studio della ricezione e assimilazione di una cultura straniera ed esotica grazie alle competenze di uno storico dell’arte di formazione interculturale. Al riguardo David Carrier risponde costruendo una suggestiva formulazione:

Imagine, then, a bilingual Italian Chinese woman, Paola Ming. Her mother is Italian and her father Chinese. She spends alternate years in Italy and in China, and so knows both artistic traditions intimately. Is Ming a counterexample to our analysis? If the traditional philosophers’ analysis of the problem of other minds is correct, then no one can know directly both his or her own mind and someone else’s. But Ming knows directly the Italian and Chinese traditions. And so here our analogy between knowing another mind and knowing an exotic art tradition breaks down (Carrier 2008, 66).

Il caso esposto da Carrier – sebbene internazionalizzi il punto di vista e non proponga una chiave di lettura monoculturale – non risolve il problema della conoscenza da straniero di una data cultura, come Lü Peng che approccia l’arte caravaggesca, e come uno studioso occidentale che tenta di interpretare Lü Peng in qualità di esponente dell’arte cinese che osserva l’arte Rinascimentale.

Lo studioso americano in How to Misunderstand Chinese Art: Seven Examples imposta il problema del divario culturale su una direttrice parallela: si interroga sulla capacità di poter vedere e interpretare nello stesso modo. Riporta esempi di alcune opere di artisti cinesi per dimostrare la non compatibilità delle letture da parte del pubblico cinese e quello occidentale. Le referenze, gli stimoli e le intenzioni degli artisti sono fraintese: quanto sembra astrazione è in realtà rappresentazione, le allusioni peggiorative sono descrizioni neutrali e le consuetudini risultano sconosciute. La domanda allora è dove cercare e come trovare gli indizi per costruire una interpretazione dell'opera adeguata. Di fronte alla consapevolezza dell’influenza etnoantropologica nei meccanismi di elaborazione che caratterizzano la creatività e l'analisi, si può supporre la presenza di una prova invisibile, ovvero di un dato non apparente che potenzialmente è la chiave di accesso all’interpretazione culturalmente adeguata.

La mia esperienza diretta conferma quanto Carrier afferma nel suo testo: nonostante gli sforzi di studio e conoscenza, resta un grande distacco culturale che inficia la percezione e la comprensione dell’opera. In occasione della mostra Picasso: Birth of a Genius, presso l’UCCA – Center for Contemporary Art di Pechino nel 2019, ho avuto modo di confrontarmi con un collega (di nazionalità e formazione cinese) sulle linee dei disegni dell’artista spagnolo. Il testo di Roger Fry Line As a Means of Expression in Modern Art, punto fermo di entrambi per il riconoscimento estetico delle linee del disegno, non è stato sufficiente a garantire un terreno comune: dove lui individuava elementi calligrafici, io riconoscevo linee strutturali.

Una volta appurata l’impossibilità di vedere nello stesso modo, si può pensare di scovare l’elemento probante di una interpretazione storico-artistica evitando di sottoporre a valutazione solo gli elementi sopravvissuti alla selezione cognitiva di chi attua l’interpretazione, ossia cercando di non incorrere nel pregiudizio di sopravvivenza del matematico Abraham Wald, e acquisendo la consapevolezza della possibile presenza di alcune prove irriconoscibili.

Nonostante gli sforzi atti a rovesciare il punto di vista per avvicinarsi alla (corretta?) formula interpretativa di una produzione artistica, è importante anche considerare che la contestualizzazione di una data impresa ermeneutica – più o meno filtrata dall’habitus culturale di chi la avanza – può essere a sua volta significativa, soprattutto in virtù della mancanza di una prospettiva privilegiata che sancisce l’approccio definitivo all’opera d’arte (Munroe 2017, 45-46). In questa cornice, all’interno di una riflessione prettamente metodologica, si inserisce il lavoro di James Elkins che nel 2010 ha provocatoriamente abbattuto il paradigma della ricerca di un cambiamento di paradigma per lo studio dell’arte cinese scrivendo Chinese Landscape Paintings as Western Art History. Nel libro lo studioso americano ha proposto una lettura dei dipinti cinesi di paesaggio in una cornice storiografica propria della storia dell’arte così come è intesa e praticata in Occidente. Adottando una prospettiva comparativa e partendo dal presupposto che la pittura cinese si presenta come il doppelgänger, che segretamente differisce dal gemello, della pittura occidentale (Elkins 2010, 134), James Elkins insiste sulla liceità di avanzare una narrazione storico-artistica della pittura tradizionale cinese dentro il repertorio occidentale della disciplina.

A fronte dei problemi sollevati circa le difficoltà interpretative che derivano dalla traducibilità culturale e al netto della ricerca della prova (in)visibile, si è condotta un’analisi delle opere di Lü Peng ricorrendo al metodo iconografico, metodo adottato anche in ambito accademico cinese. L’approccio alle immagini tramite l’analisi iconografica non solo è determinante per cogliere i fenomeni di trasformazione e alterazione delle immagini che contraddistinguono le opere dell’artista preso in esame, ma è, altresì, efficace a evitare atti interpretativi non contestuali o culturalmente incongrui.

Il presente articolo non potrebbe trovare altra conclusione che con le parole di Carrier, con il quale condivido il sentimento di inadeguatezza dovuto all’azione critica entro una disciplina per cui si è in difetto culturale:

China really is another world, with a distinctive history and so is likely to develop in ways we Westerners cannot predict and will not find it easy to understand. Achieving cross-cultural understanding feels miraculous. [...] Before I arrived, I had some ideas about Chinese art; now I have fewer, and soon, I shall have none. Thus, I progress (Carrier 2011, 376).

Riferimenti bibliografici
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English abstract

This paper aims to investigate the difficulties and limits caused by the cultural gap that can be found in the study of Chinese contemporary art. The topic is discussed starting from a concrete example presented as case study. The first part, taking advantage of an interview with the artist in Beijing in August 2019, introduces Lü Peng (Beijing 1967) and his artistic production; the second part tackles some methodological problems related to the possibility of interpretation of different cultural traditions. The article makes use of some works by the Chinese artist to discuss the hermeneutical implications encountered in the scrutiny of foreign artistic productions: is it possible for Western scholars to identify evidence that allows to recognise the validity of the interpretation of works of art? The paintings of Lü Peng, realized adopting the typical composition of Italian Renaissance art, seem particularly appropriate to present an instance of the “Cultural Boomerang” concept and its iconological implications.

keywords | Lü Peng (吕鹏); Chinese Pop Surrealism; Cultural Boomerang culturale.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio. 
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: V. Di Geronimo, Peng e il Rinascimento. Caso di studio sui limiti e le difficoltà della traducibilità culturale, “La Rivista di Engramma” n. 186, novembre 2021, pp. 165-184 | PDF 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2021.186.0014