"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

192 | giugno 2022

97888948401

Jung, Polifilo e la Ninfa

Davide Susanetti

English abstract

Il variegato tesoro della tradizione alchemica – dai testi greci di Zosimo di Panopoli alle grandi raccolte del XVI e del XVII secolo – ha avuto, com’è noto, un ruolo centrale nell’elaborazione del pensiero e dell’esperienza analitica di Jung, a partire dall’intuizione che i complessi procedimenti descritti dagli adepti di questa arte arcana e sacra potessero essere almeno parzialmente intesi come correlativi di dinamiche psichiche (per un inquadramento della questione, v. Pereira 2001, 276-281). La misteriosa materia raccolta nell’athanòr e sottoposta al calore di una fiamma sapientemente regolata sarebbe proiezione oggettivante di una sostanza animica tutta interna all’operatore che, con pazienza e cura meticolosa, attende nel suo laboratorio al compimento di un opus mirabile, il cui scopo effettivo coinciderebbe, in realtà, con una trasformazione tutta interiore e soggettiva. Il piombo e l’oscura feccia, le ceneri e i vapori, la calcinazione e l’evaporazione, l’intera articolata sequenza delle fasi del lavoro, con i diversi colori che, dal nero al rosso, le scandiscono in una rotazione caleidoscopica, andrebbero in parallelo con il percorso che, sul piano soggettivo, conduce alla meta dell’individuazione, all’esito di un Sé integrato e fulgente come quell’oro o quel lapis prezioso che si farebbe vista di voler estrarre dalla progressiva metamorfosi di metalli e di sostanze di più vile e imperfetta natura. L’immateriale materia dell’inconscio e la sostanza materiale torturata sul fornello sarebbero specchio l’una dell’altra in un tutto: il plesso di posizioni e di stati, di rotazioni e di cambiamenti, fino al sospirato culmine in cui un nucleo luminoso e indistruttibile, un centro stabile e puro appare e prende definitiva forma. La frequentazione e l’analisi dell’immane biblioteca delle opere alchemiche ha impegnato, com’è noto, Carl Jung per anni, dando luogo all’elaborazione di una cospicua serie di saggi incentrati su aspetti diversi della Grande Opera nella loro correlazione con il lavoro stesso dell’analisi e dell’analista. Ne sono esempio gli scritti raccolti in Psicologia e alchimia (1944), che scaturiscono dalla rielaborazione di conferenze tenute nella cornice degli incontri annuali di “Eranos” ad Ascona. Nella prefazione del volume, Jung, ricordando appunto la sede per cui erano state originariamente prodotti i testi, richiama l’attenzione sul ricchissimo repertorio di illustrazioni che costella le pagine, sottolineando come le figure simboliche, tratte dalle diverse opere alchemiche prese in esame e convocate all’interno degli studi, costituiscano in certo qual modo l’“essenza della forma mentis alchimistica”:

Ciò che la parola scritta poteva esprimere solo imperfettamente, o non poteva esprimere affatto, l’alchimista lo rappresentava nelle sue figure, che parlano, è vero, una lingua strana, spesso però più comprensibile dei suoi goffi concetti filosofici. Tra queste immagini e quelle che vengono disegnate spontaneamente dai pazienti durante il trattamento psicologico, esiste un rapporto di forma e di contenuto che colpisce (Jung [1944] 1992, 3).

Di qui la rilevanza e l’opportunità della loro inclusione nel volume con un effetto di contrappunto e insieme di disseminazione rispetto al contenuto dei saggi stessi. Le illustrazioni – per il cui reperimento Jung ringrazia l’aiuto prestato da Olga Fröbe, la musa ispiratrice degli incontri di “Eranos” – si rapportano in vario modo ai contenuti della trattazione: ora vengono esplicitamente richiamate nel corpo del testo e fatte oggetto di analisi o di correlazione ermeneutica rispetto agli altri materiali, ora invece, in modo più silente, accompagnano, senza che la corrispondenza venga precisata, le considerazioni in corso di svolgimento, costellando le pagine come suggerimenti immaginativi secondo la logica stessa dei testi alchemici da cui sono ricavate. Sulla soglia di questa amplissima galleria e nei primi passaggi del percorso che essa propone al lettore, si incontrano, tuttavia, tre illustrazioni che non derivano da un’opera propriamente alchemica. Esse sono estrapolate dalla Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, romanzo di un’iniziazione onirica in cui il profilo dell’amata e defunta Polla si trasforma nella figura della “sposa celeste” (nel senso e nella fenomenologia indagata in Zolla 2001) che dispensa sapienza e dischiude l’accesso a una diversa dimensione della coscienza e del sé, accompagnando il sognante Polifilo in un viaggio che, prendendo le mosse dall’oscurità di una catabasi infera, approda ai segreti di una raffinata e misterica religio Veneris nella luce di una mitica e archetipale isola di Citera (Grossato 2009). Le varie tappe dell’itinerario misterico che Polifilo compie sono scandite dall’incontro di oggetti, statue, rilievi e architetture che, nel testo di Colonna, danno luogo a indugi ecfrastici in cui i diversi e complessi particolari vengono minutamente descritti e messi a fuoco come necessari complementi dell’esperienza e del pathos che si stanno consumando. Descrizioni che, nelle pagine, sono accompagnate – almeno per una parte di esse – da corrispondenti illustrazioni che darebbero una più immediata resa di quanto le parole di Polifilo evocano tra meraviglia e incanto. Tessitura verbale e immagini, anche in questo caso, rinviano, da capo, l’una all’altra, amplificando la potenza simbolica del viaggio tanto per il protagonista quanto per il lettore che si immedesima nella vicenda. Ed è proprio questo che, su un piano diverso, interessa e cattura l’attenzione di Jung stesso per la trama di corrispondenze che egli intende tracciare e suggerire. L’edizione da cui attinge non è l’aldina del 1499, ma quella francese del 1600 nella traduzione di Béroalde de Verville, ove il repertorio figurativo risulta ulteriormente arricchito (sulla natura e gli autori delle illustrazioni, v. Pozzi 1981; Ariani, Gabrieli 1998, XCV-CIX e la bibliografia ivi menzionata; per quanto concerne più in particolare il repertorio iconografico dell’edizione francese di Béroalde de Verville, v. Bertuzzi 2014 con annessa bibliografia; per il rapporto tra testo e immagine nell’opera di Colonna, interessanti osservazioni in Refini 2009). Ed è per l’appunto il frontespizio del volume francese che Jung seleziona giusto all’inizio, senza ulteriori spiegazioni, là ove sta per formulare le considerazioni introduttive alla “problematica psicologico-religiosa dell’alchimia”. Posto questo primo suggello, quando si passa all’apertura del capitolo successivo – inquadrato da una citazione dall’Eneide virgiliana (6,126-129) ove si narra la discesa di Enea all’Averno – ecco che compare un’ulteriore immagine dall’Hypnerotomachia. Anche in questo caso non è esplicitato alcun nesso tra di essa e le considerazioni che la pagina svolge, da un lato introducendo i simboli onirici del processo di individuazione, e dall’altro preparando il successivo confronto con i temi immaginali dell’alchimia e con la tipologia del mandala come “presa di coscienza” di un “nuovo centro”. Che cosa rappresenta, dunque, questa illustrazione e che cosa vi corrisponde nella narrazione del romanzo?

Polifilo ha appena assistito a una sfilata di carri trionfali. Su uno di essi, un vaso di cospicue dimensioni, su cui spiccano alcune decorazioni. Da un lato, il rilievo di un “dio giocondo e festoso, in sembianze di lasciva fanciulla, incoronato da due lunghi serpenti attorcigliati” e circondato da uno stuolo di puttini nudi nei pressi di una vita rigogliosa. Il nome del nume non è indicato dal protagonista, ma è ovvio riconoscervi l’androgino Dioniso, il signore della divina follia e dell’orgia misterica, colui che dissolve tutte le forme. Dall’altro lato, vi è una scena di meno immediata decifrazione:

Sulla faccia del vaso, che avevo di fronte, potei ammirare, inciso splendidamente, l’altitonante Giove: nella mano destra impugnava un’affilata, aurea spada sfolgorante […], nell’altra un fulmine abbagliante […]. Davanti alla sua divina e tremenda maestà, osservai sette ninfe che danzavano festose in candide vesti, nell’atto di cantare devotamente e di plaudire con venerazione. Si andavano trasformando in alberi verdeggianti di smeraldina trasparenza […] si piegavano ossequiando il sommo dio. Non che tutte le ninfe fossero già mutate in fronde, essendo l’ultima tramutata per intero in un alberello e i suoi piedi in radici, così come quella accanto, ma esclusi i piedi, mentre la terza dalla cintola in su […]. Ma tutte quante già denunciavano, nelle sommità delle virginee teste, la metamorfosi che avrebbero progressivamente subito” (Hypnerotomachia, 174; qui e di seguito si utilizza la traduzione dell’edizione Ariani, Gabriele 1998; sempre utile in ogni caso il raffronto con le note linguistiche di Pozzi, Ciapponi 1964).

Quale identità attribuire alle vergini? Forse, come è stato segnalato (Ariani, Gabriele 1998, 809), esse sarebbero le Eliadi, le sorelle di Fetonte, che, straziate dalla morte del fratello, furono trasformate in pioppi stillanti ambra. Fetonte, perdendo il controllo del carro infuocato, precipita nei flutti dell’Eridano. Il figlio del Sole affonda e scompare nell’acqua. E le fanciulle, perdendo il loro sembiante femminile, coagulano il lutto nella metamorfosi arborea e nella luce della preziosa resina che rende perenne e insieme pietrifica il loro pianto. Che siano sette, come il testo afferma, consuona, per altri versi, con l’iterazione di questo numero nel viaggio di Polifilo per la serie delle corrispondenze tradizionali che esso evoca sul piano sensibile e cosmico. Tant’è. L’illustrazione corrispondente a questa sequenza narrativa – ed è quella appunto selezionata da Jung nell’incipit del suo capitolo – non traduce l’intera scena, ma solo il momento della trasformazione.

F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Venezia 1499, 174.

Come si può osservare, la vergine che occupa il posto all’estrema sinistra è già totalmente albero, e sarebbe “l’ultima”, mentre le restanti fanciulle sarebbero in fasi intermedie o iniziali della metamorfosi. Vi è un particolare che colpisce osservando l’immagine e che non si coglie in modo altrettanto evidente nella narrazione. I volti delle figure sono rivolti verso sinistra dove è posto Giove. E la vergine che gli sta immediatamente di fronte e lo guarda ha ancora il proprio sembiante femminile. Non sarebbe più ovvio che fosse lei ad essere già albero e quelle dietro di lei lo stessero diventando? Nella descrizione di Polifilo viene sottolineato il carattere progressivo della metamorfosi, ma qual è propriamente la direzione su cui tale progressione è orientata? In altre parole, osservando l’illustrazione, verrebbe da pensare, o meglio da immaginare, non tanto che le vergini stiano diventando piante, ma, all’opposto, che si stiano liberando da tale condizione e che dalla forma arborea emerga, anziché immergersi, il profilo delle fanciulle. I simboli, si sa, sono entantiodromici, e non si può non esitare nella contemplazione. La ninfa sta svanendo nella pianta o sta finalmente apparendo dall’albero in cui era prigioniera? È una scomparsa o una epifania quella che si sta consumando? Jung, nella sua ripresa, non chiarisce e non commenta. Ma ciò che segue nella trattazione che egli subito dopo sviluppa, riportando una serie di cartelle cliniche, suggerisce che l’effettiva direzione del movimento sia proprio quella che contraddice il dettato del testo a cui dovrebbe servire da illustrazione. Le figlie del Sole in lutto sono figure di Anima. Un’Anima negletta, silenziata, dimenticata, mortificata o rimossa, che torna a farsi sentire, che vuole palesarsi all’Io e costringerlo a un faccia a faccia, avviandolo al viaggio di una diversa consapevolezza. Anima si libera finalmente dalla corteccia e viene incontro per mostrarsi ed esigere quello che le spetta, per farsi ascoltare ora che non è più muta come un passivo e inerte vegetale. Il che risulta immediatamente evidente quando, dopo un po’ di pagine, Jung introduce un’ulteriore illustrazione dalla Hypnerotomachia.

Nel brano corrispondente del romanzo, Polifilo è appena giunto in una piazza in cui campeggia la statua colossale di un “prodigioso cavallo alato” che sembra pronto a dispiegarsi in volo. Sul basamento una serie di iscrizioni e di figure. La statua è dedicata al “Dio ambiguo”, cioè a Giano bifronte, che, guardando in direzioni opposte, custodisce la soglia dell’anno, ma insieme sorveglia la soglia da cui la via iniziatica principia. Ancora vicino campeggia la parola “Tempo” che scandisce il cosmo sensibile, ma da cui occorre destreggiarsi per raggiungere l’Eterno dell’essere. Su un lato l’immagine di un gruppo di giovinetti intenti a raccogliere fiori e arboscelli sul prato. Intorno ad essi vi è un gruppo di ninfe che, giocando e scherzando, sottraggono loro i fiori dalle mani. E una scritta: Amissio, “Perdita”. Nell’ottica dell’allegoria morale, la figurazione suggerirebbe come le attrattive delle bellezze sensibili, avidamente perseguite e raccolte dagli adolescenti, non siano che oggetti in perdita, rispetto a un altro genere di bellezza che essi non sarebbe ancora in grado di intendere, ma a cui pure dovrebbero elevarsi. Ciò che sul piano del sensibile si afferra e si conquista non dura, ma è cosa inconsistente che dilegua. Di qui il gesto delle Ninfe che tolgono quei fiori vani dalle mani come ad educare quei giovani. Il cavallo alato, il prato e le ninfe, d’altro canto, richiamano alla memoria, per istantanea suggestione, il Fedro di Platone, ove la conversazione che indica la radice iperurania dell’amore e la natura celeste dell’anima si svolge, per l’appunto, in un prato assolato presso un santuario dedicato a Pan e alle Ninfe. Il volo della psyché alata è la sottotraccia complessiva della scena in cui Polifilo è immerso, la direzione cui essa fa cenno all’ancora ignaro viandante sul cammino di Amore. Ed è appena il caso di ricordare che la scena del Fedro è collocata da Platone in prossimità del santuario di Persefone che, in un giorno lontano, fu rapita da Ade mentre stava raccogliendo, anche lei, fiori su un prato. Si fa menzione qui del Fedro platonico come dato archetipico, e cronologicamente primario, dell’incontro ninfale nello scenario agreste di un prato fiorito: elemento che di per sé la letteratura classica e umanistica ha poi variamente declinato e ripetuto. Fra i tanti esempi possibili di tale filiera, ulteriori passaggi significativi si rinvengono nella poesia di Virgilio (vedi ad es. Bucoliche II, 45 ss.; Eneide I, 310 ss.), passaggi che in età medioevale e umanistica furono oggetto di letture allegorizzanti (v. Nadler 2021, 30 ss., nonché 111, n. 10 per il rinvio all’esegesi allegorica di Bernardo Silvestre).

Le tableau des riches inventions couvertes du voile des feintes amoureuses, qui sont représentées dans le Songe de Poliphile, desvoilées… par Beroalde de Verville, Paris 1600, 49; Jung [1944] 1992, 90.

Sulla pagina l’illustrazione relativa a questo passo mostra, in primo piano, due giovinetti che sembrano, a dire il vero, il medesimo soggetto in due momenti diversi. Il primo si inchina a raccogliere il fiore. Il secondo è preso per un braccio dalla Ninfa e bloccato in ciò che sta facendo. E il Fedro non parla appunto dei nympholeptoi, di “coloro che sono afferrati dalle Ninfe”, presi dal vortice di una mania che apre altre e diverse dimensioni della realtà rispetto all’umano? Nel riprendere l’illustrazione, Jung questa volta la mette in rapporto al proprio testo, agganciandola, per così dire, in modo secco – con un semplice rimando numerico – al sogno riferito da un paziente, come se ne fosse la corrispettiva resa:

Il sognante è circondato da ninfe. Una voce dice: “Noi siamo sempre esistite. È che tu non ti sei mai accordo di noi” […] riconoscimento allucinatorio che si tratta di uno stato di fatto che è da sempre esistito, anche se finora è passato inosservato. Con questa constatazione la psiche inconscia viene congiunta come coesistente alla coscienza […]. Il fatto che sia avvenuta una presa di contatto con tempi lontani, con stati profondi della psiche, viene accettato dalla personalità inconscia del sognatore […]. La scomposizione dell’anima in parecchie figure è equivalente a una dissoluzione nell’indeterminato, cioè nell’inconscio (Jung [1944] 1992, 89-90).

Con un ulteriore giro di vite, Jung quindi associa, poche righe dopo, l’immagine di Polifilo e la voce intesa nel sogno con un’altra visione onirica in cui compare una donna sconosciuta al cospetto del globo solare: “l’Anima come adoratrice del sole”, spiega. Quel sole che è il nucleo da conquistare, la luce di un’individuazione cui la psiche, ancora a tentoni, si protende.

Nel resto dei capitoli del volume junghiano, il lettore incontrerà le immagini del Mercurio e dello Zolfo, della Montagna che custodisce nel suo cuore la miniera d’oro, del Rebis che unisce maschile e femminile, delle nozze sacre del Re e della Regina, della Fenice che risorge dalle ceneri, del Cristo-Lapis miracoloso, insieme a tutto ciò che costituisce, in senso proprio, il repertorio figurale della Grande Opera alchemica, con il pendant del mandala che, in altro codice, ne costituirebbe il simbolico esito. Ma, grazie alla discreta citazione dell’Hypnerotomachia, l’intero viaggio è posto, in modo sintomatico e archetipale, sotto il segno della psiche ninfale nell’inanellarsi delle sue erratiche avventure. Le Eliadi a lutto, la morte del Sole, la fanciulla che si trasforma e si palesa, l’Anima che prende a parlare. La traiettoria che conduce all’individuazione è – prima ancora che laboratorio alchemico – riattivazione, a tutti gli effetti, di un mistero pagano (Wind [1968] 1974, 3-20), sogno iniziatico che conduce nell’aldilà, incontro con la Ninfa che è sempre stata lì, inosservata e tacita, ma a un certo punto desta e attiva. La Ninfa svolazzante di Warburg e quella di Jung si fanno cenno da lontano, additando a un’analoga direzione e a una medesima possibilità assopita nella mente. Spetterà poi a James Hillman, proseguendo il lavoro di Jung, esplicitare questa dimensione infera dell’esperienza onirica e connetterla, con dovizia di argomentazioni, a quella dimensione iniziatica prima greca e poi rinascimentale (vedi, in particolare, Hillman [1979] 2003, 36-89) che qui è solo un’allusione simbolica. Un’allusione gravida di efficacia a chi si faccia catturare dall’immagine prima ancora che dalle parole.

Riferimenti bibliografici
  • Ariani, Gabriele 1998
    M. Ariani, M. Gabriele (a cura di), F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Milano 1998.
  • Bertuzzi 2014.
    F. Bertuzzi, Il frontespizio alchimistico di François Béroalde de Verville per l’edizione francese dell’Hypnerotomachia Poliphili, in S. Colonna (a cura di), Arte e committenza a Roma e nel Lazio tra Umanesimo e Rinascimento maturo, Campisano 2014, 203-259. 
  • Grossato 2009
    A. Grossato, Del sogno iniziatico di Polifilo e di alcuni suoi parelleli orientali, “Quaderni di Studi Indo-Mediterranei” 2 (2009), 227-247.
  • Hillman [1979] 2003
    J. Hillman, Il sogno e il mondo infero, trad. it. di A. Bottini, Milano 2003.
  • Jung [1944] 1992
    C.G. Jung, Psicologia e Alchimia, trad. it. di B. Bazlen, Torino 1992.
  • Nadler 2021
    J. Nadler, Gardening as a Secret Art, Edinburgh 2021.
  • Pereira 2001
    M. Pereira, Arcana Sapienza. L’alchimia dalle origini a Jung, Roma 2001.
  • Pozzi, Ciapponi 1964
    G. Pozzi, L.A. Ciapponi (a cura di), F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Padova 1964.
  • Pozzi 1981
    G. Pozzi, Il Polifilo nella storia del libro illustrato veneziano, in R. Pallucchini (a cura di), Giorgione e l’umanesimo veneziano, Firenze 1981, 71-107.
  • Refini 2009
    E. Refini, Leggere vedendo, vedere leggendo: Osservazioni su testo iconico e verbale nella struttura della Hypnerotomachia Poliphili, “Italianistica” 38, 2 (2009), 141-164.
  • Susanetti 2021
    D. Susanetti, Il talismano di Fedro. Desiderare, vedere, essere, Roma 2021.
  • Wind [1968] 1974
    E. Wind, Misteri pagani nel Rinascimento [1968], Milano 1974.
  • Zolla 2001
    E. Zolla, L’amante invisibile. L’erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura e nella legittimazione politica, Venezia 2001.
English abstract

The fleeting profiles of Nymphs haunted Warburg’s mind, but also played a central role in Jung’s psychoanalytic theory. Two images in particular, from Colonna’s Hypnerotomachia Poliphili have been recalled in the opening pages of Psychology and Alchemy in order to describe the process which allows the unconscious to emerge into consciousness.

keywords | Hypnerotomachia Poliphili; Nymph; Jung.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)

The Editorial Board of Engramma is grateful to the colleagues – friends and scholars – who have double-blind peer reviewed this essay.
(cf. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo: D. Susanetti, Jung, Polifilo e la Ninfa, “La Rivista di Engramma” n. 192, giugno 2022, pp. 73-82 | PDF di questo articolo
To cite this article: D. Susanetti, Jung, Polifilo e la Ninfa, “La Rivista di Engramma” n. 192, giugno 2022, pp. 73-82 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.192.0009