Risaliva all’anno 1638 l’epigrafe murata nel vecchio duomo di Castelfranco, di cui diede testimonianza per primo Carlo Ridolfi ne Le meraviglie dell’arte (Ridolfi 1648, 122). La trascrizione del testo della lapide non più esistente, andata dispersa nel corso dei lavori per l’erezione dell’attuale duomo settecentesco, è riportata in Natale Melchiori, ms. 158 della Biblioteca Civica di Castelfranco Veneto (da qui BCCV). I fratelli Matteo ed Ercole Barbarella rendevano omaggio in essa al comune antenato “Giorgionis summi pictoris”, autore della pala e probabilmente della decorazione a fresco della cappella intitolata a San Giorgio della famiglia Costanzo. Fin da allora vi fu chi espresse riserve sull’autenticità della notizia riportata nel testo della lapide commemorativa, opera commissionata oltre centovent’anni dopo la scomparsa dell’artista: si trattava forse del tentativo di un’influente famiglia locale di attribuire al proprio lignaggio uno dei pittori più quotati del panorama veneziano di inizio cinquecento?
Ridolfi riportava, inoltre, la notizia secondo la quale il pittore era nato “in Vedelago d’una delle più comode famiglie del contado”. Probabile, ma non certo, che si trattasse proprio dei Barbarella, che in quell’epoca vantavano possedimenti fondiari in tale località; i quali erano comunque cittadini di Castelfranco, come tali allibrati nell’estimo di fine Quattrocento (di cui si tratterà in seguito) come cittadini residenti in Castello. La tesi dell’appartenenza alla famiglia Barbarella, peraltro, si poneva in netto contrasto rispetto a quella dell’“umilissima stirpe” riportata nella seconda edizione delle Vite di Giorgio Vasari (Vasari 1568), fonte di indiscutibile valore per le biografie dei principali pittori rinascimentali, ritenuta dai più attendibile anche in merito alla figura del maestro castellano. Scopo di questo intervento è dimostrare la veridicità della tesi secondo cui Giorgione sarebbe appartenuto alla famiglia Barbarella tramite prove su base documentale, in particolare a seguito del rinvenimento di un nuovo documento d’archivio nel fondo Giudici di Petizion conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia. L’onere della prova non è carico soltanto dell’ultimo atto ritrovato: sarà grazie alle relazioni tra dati contenuti in alcuni documenti, conservati anche in altre sedi, a rendere possibile la dimostrazione dell’ipotesi al vaglio.
La presenza di uno Zorzi tra i membri della famiglia Barbarella a Castelfranco alla fine del secolo XV è notizia nota fin dal 1909, anno in cui Giovanni Chiuppani pubblicò nel Bollettino del Museo Civico di Bassano i risultati della propria ricerca svolta sugli atti del fondo Notarile di Castelfranco, allora conservati presso il detto Museo, ora nella sezione dell’Archivio di Stato di Vicenza a Bassano del Grappa (Chiuppani 1909). Nel 1489 Altadonna da Campolongo di Conegliano, vedova del notaio Giovanni Barbarella, riusciva tramite la vendita di alcuni campi a mettere insieme la cifra di 25 lire, di cui necessitava per pagare la somma dovuta per la scarcerazione del figlio Zorzi, detenuto a Venezia per motivazioni non ancora note. La stessa nominava il notaio Francesco Fisolo suo procuratore per rappresentarla in sede legale. Sarà che associare il celeberrimo artista, massima gloria cittadina, a un giovane che aveva commesso un reato, non portava certo lustro alla Castelfranco di inizio Novecento alle prese con la celebrazione del quarto centenario dalla morte, sarà che il mestiere di pittore non veniva mai menzionato nell’atto, fatto sta che alla notizia non venne dato particolare credito. Doveva riemergere dal sottotetto del municipio castellano la documentazione dell’archivio della podesteria di Castelfranco prima che la tesi di Chiuppani venisse rivalutata. Infatti nei registri della serie Estimi, tratti dall’oblio grazie alla perseverante opera dell’allora direttore della Biblioteca Civica Giacinto Cecchetto, ricompariva la coppia Altadona – Zorzi (Cecchetto 2009). La prima dichiarava alla locale cancelleria gli introiti provenienti dal livello riscosso dalla lavorazione di alcuni campi, presentandosi come “Altadona relicta quondam ser Johannis Barbarello” (ACCV. Podesteria di Castelfranco, Estimi, reg. 2).
Nel registro delle partite di estimo del 1493 ve n’era una intestata a “domina Altadona e Zorzi suo fiol” (ACCV. Podesteria di Castelfranco, Estimi, reg. 98, c.128v), il quale era evidentemente il medesimo Zorzi dell’atto notarile del 1489. I due pagavano 12 soldi di colta ducale all’anno per la tassazione della modesta somma di 180 lire di capitale (cavedal), ma anche qualche soldo per l’industria, tassa applicata a quelle che ora definiremmo attività produttive. Purtroppo la tipologia di attività non era specificata, né accanto al nome di Zorzi compariva il titolo di maestro. Titolo, questo, attribuito nelle partite d’estimo a numerosi intestatari, dall’umile marangon al ricco orefice; in ogni caso riservato a chi, entrato a far parte di un’arte, esercitava attività di tipo manuale. Ai cittadini benestanti impegnati in professioni non meccaniche, quale ad esempio quella di notaio, era riservato il titolo ser (Vigato 2001, 219). Anche qualora Zorzi fosse già stato un mistro depentor, l’estensore del documento aveva certamente qualche remora nell’associare a un membro della potente famiglia Barbarella il titolo di maestro.
Per quanto la nota di aggiornamento della partita citata testimoniasse l’avvenuto trasferimento nel 1500 di Zorzi da Castelfranco, probabilmente alla volta di Venezia, ancora mancava un qualsivoglia riferimento all’attività di pittore a fugare ogni dubbio sulla certezza che quello Zorzi fosse proprio il pittore Giorgione. Grande risalto ha avuto una decina di anni fa la scoperta da parte di Renata Segre di un documento nel fondo Giudici del Proprio, serie Mobili, nell’Archivio di Stato di Venezia (Segre 2011)*. Si tratta di un inventario dei beni (probabilmente di quanto ne rimaneva) del pittore Giorgio da Castelfranco datato 14 marzo 1511, data posteriore di qualche mese rispetto al celeberrimo scambio epistolare tra Isabella d’Este e Taddeo Albano di fine ottobre 1510. Modesti erano gli averi del pittore ivi descritti, dei quali non era nemmeno riportata l’ubicazione.
La rassegna dei detti beni è preceduta da una premessa, nella quale si riferisce di aver ricevuto l’ordine di inventariazione in esecuzione alla lettera inviata dal vicepodestà di Castelfranco il giorno otto dello stesso mese. L’estensore dell’atto non aveva dunque letto la missiva originale inviata dalla podesteria, contenente l’istanza di Francesco Fisolo e la motivazione giuridica alla base dell’ordine. Dato da tener ben presente nell’ipotizzare alcuni errori di interpretazione e di trascrizione da parte dell’incaricato Zanino, ultimo anello di una catena di comunicazioni. L’interpretazione fornita dalla studiosa che aveva rintracciato il documento era la seguente: la podesteria di Castelfranco aveva inviato alla Dominante una lettera contenente l’istanza di Francesco Fisolo, erede della defunta Alexandra, finalizzata al recupero “de residuo dotis” dovutale (e mai ottenuta) dopo la morte del marito Giovanni Gasparini. Il quale avrebbe lasciato tutti i suoi averi al figlio Zorzi, evidentemente frutto di un precedente matrimonio. Era sui beni di quest’ultimo che Francesco, il quale aveva ereditato dalla parente Alessandra il diritto di richiedere il risarcimento dovutole per la restituzione di almeno una parte della dote, intendeva rifarsi. Successive letture del documento riferiscono di leggere Aleandra anziché Alexandra (Vescovo 2019). Concordo con la versione Aleandra da lettura dell’originale, non riuscendo a notare un accenno della lettera “x” dopo le prime tre. Zorzi sarebbe stato dunque il figlio di un certo Giovanni Gasparini, nome finora mai comparso nei documenti d’archivio che si presumevano relativi all’artista. Per lui Alessandra sarebbe stata la matrigna, divenuta moglie di Giovanni Gasparini dopo la morte della propria madre, della quale dunque non si conoscerebbe il nome. Segre cercò in seguito tra le carte d’archivio le tracce di un Giovanni Gasparini che presentasse delle caratteristiche compatibili con il presunto padre del pittore, come testimoniato in un successivo contributo (Segre 2012-2013).
Visto il quadro finora delineato, si doveva dunque tornare alla tesi vasariana dell’“umilissima stirpe”? Il filone che sosteneva l’appartenenza del pittore alla famiglia Barbarella ribatteva che i dati presenti nel documento non erano affatto incompatibili con quelli già rinvenuti ed editi fin dalla scoperta di Giovanni Chiuppani, a patto che si ammettesse la possibilità che vi fosse qualche refuso nel testo. A sostegno della lettura del passo dei Giudici del Proprio come una conferma, anziché una smentita, della tesi dell’appartenenza di Giorgione alla famiglia Barbarella, in quanto figlio del notaio Giovanni fu Gasparino e di sua moglie Altadona, sono soprattutto il curatore della mostra per il quinto centenario a Castelfranco Veneto Enrico Maria Dal Pozzolo e l’ex direttore della biblioteca civica cittadina Giacinto Cecchetto. Lo studioso che descrisse al meglio, non senza una certa vena ironica, la soluzione al ‘caso’, dovuto probabilmente proprio al fraintendimento di un caso genitivo a cui era stato probabilmente declinato il nome proprio Gasparinus, fu Lionello Puppi (Puppi 2011).
Sotto le spoglie di Alexandra, o ancor meglio Aleandra come si direbbe dalla consultazione diretta del documento, poteva celarsi Altadona, il cui nome poco comune sarebbe stato travisato; o forse si trattava di un secondo nome. Inoltre si sapeva dagli atti notarili castellani, ora a Bassano, che il padre di Giovanni Barbarella si chiamava Gasparino: bastava ipotizzare la dimenticanza di un quondam tra Johannis e Gasparini, nonché interpretare quest’ultimo come un nome proprio al caso genitivo, anziché come forma indeclinabile di un cognome, e i dati dell’introduzione dell’inventario collimavano perfettamente con quelli che erano finora emersi dai documenti bassanesi e castellani. Tanto più che nel documento compariva il già citato Francesco Fisolo, notaio castellano attivo anche nella locale cancelleria, nominato all’uopo procuratore dai cittadini che necessitassero di essere rappresentati al di fuori della propria podesteria, spesso presso le magistrature veneziane o ‘in appello’ presso gli Auditori Novi. Lo stato di notaio di Fisolo è documentato dai già citati registri d’estimo del fondo Podesteria di Castelfranco, in cui le note apposte alle partite dal podestà o dal suo vice sono controfirmate da lui e da Giovanni Zabottini, notai che prestavano il proprio servizio presso la locale cancelleria. Oltre al caso del 1489 per la liberazione di Zorzi, Altadona lo aveva nominato suo procuratore anche nel 1485 (atto anche questo nel fondo Notarile di Castelfranco) dopo la morte del marito, al fine di recuperare l’eredità del defunto coniuge, in particolare come risarcimento dovuto per la propria dote. La stessa azione era stata intrapresa da Alexandra/Aleandra e ripresa da Francesco Fisolo, dopo la di lei morte, nella premessa dell’inventario del 1511 nel fondo Giudici del Proprio.
Sarebbe bastato un documento che mettesse Altadona in relazione con l’istanza di Francesco Fisolo per l’inventariazione dei beni di Zorzi, la cui professione era dichiarata per due volte nel testo dell’atto, per chiudere il cerchio e provare in via definitiva che fosse lei la madre del pittore Zorzi da Castelfranco (ASVE, Giudici del Proprio, Mobile, b.1. A c.46v, atto datato 14 marzo 2011, r.7: “bona .q. magistri Georgi pictoris”, dove “pictoris” è depennato e appare nuovamente riscritto nella medesima sede; a c.47r, r.13: “rebus dicti .q. magistri Georgij pictoris”). Si ritiene che il nuovo documento rintracciato nel fondo Giudici di Petizion (ASVE, Giudici di Petizion, Terminazioni, reg. 28, c.35r) sia in grado di assolvere a questa funzione. L’atto, lungo appena diciassette righe, appartiene alla serie Terminazioni, termine con il quale si definiscono in generale nel diritto veneto “atti esecutivi di una magistratura” (Da Mosto 1937, I, 11) .
Si premette che lo scopo principale di questo intervento è quello di mettere in relazione l’istanza di Francesco Fisolo, riportata nell’antefatto dell’inventario dei beni del Giorgione dei Giudici del Proprio, con il nuovo documento del fondo Giudici di Petizion, al fine di stabilire il coinvolgimento di Altadona nel provvedimento e constatarne definitivamente la maternità nei confronti del pittore Zorzi. L’atto di per sé è fonte di non poche perplessità, a causa sia delle difficoltà di decifrazione del testo, sia del contenuto e dei nessi logici delle frasi in esso contenute. In particolare, risulta impresa assai ardua fornire un’interpretazione certa della prima parte dell’atto, peraltro scritta in grafia corsiva di difficile comprensione. L’atto è sottoscritto dal notaio veneto Priamo Balanzan e reca in principio un signum crucis, un richiamo all’invocazione simbolica tipico degli atti notarili, raro nei registri di tale serie.
Il 20 marzo 1511, pochi giorni dopo la stesura dell’inventario del Giudici del Proprio (14 marzo) e della lettera inviata l’8 del corrente mese dalla podesteria di Castelfranco, compare davanti ai Giudici di Petizion Ludovico Beata, cappellano della chiesa di Santa Ternita di Venezia, probabilmente un prete notaio, in qualità di commissario “intestatus”. Dalla riga 6 alla 8 il dispositivo dell’atto riguarda la rinuncia di una commissaria, ossia dell’esercizio di funzione di commissario testamentario nell’adempiere le volontà del defunto, nonché nella gestione dei beni del de cuius: “refutavit et in presentia mei notarii et testium infrascriptorum refutat”. Si noti che, in mancanza di un testamento o dell’istituzione in esso di un commissario, la nomina di quest’ultimo competeva ai Giudici di Petizion (Ferro 1845, vol. I, 440).
Trascrizione**
ASVE. Giudici di Petizion. Terminazioni. Reg.28, c.35r
1 + 1511 die 20 martij
2 Coram Iuditio petitionis conparuit venerabilis
3 vir dominus presbiter Ludovicus Beata capelanus
4 Sancte Ternitatis Venetiarum institutus commis-
5 sarius ut asseruit .q. domina Altadona de Chastro
6 Francho refutavit, et in presentia mei
7 notarii et testium infrascriptorum refutat,
8 predictam comessariam, asserens se nole (1)
9 (2) inpedire in di
10 cum etiam heres predicte domine Altedone, videlicet
11 ser Franciscus Fisulo de Castro Francho
12 habuerit et receperit omnia bona predicte
13 domine Altedone vigore dotis ipsius et cetera.
14 Testes dominus presbiter Marcus de Aleotis et ser
15 Andreas Dal Nigro notarii officii et cetera.
16 Priamus Balanzanus
17 notarius subscripsi
(1) se: depennato
(2) amplius: depennato
L’interpretazione del testo presenta in questa parte due problematiche:
– la lettera q tra due punti bassi (“.q.”) alla riga 5 è un’abbreviazione da sciogliere come “quod” o come “quondam”? Altre occorrenze nei registri della magistratura farebbero propendere per la seconda opzione;
– la lettera finale in “domina Altadona” alla medesima riga, in entrambe le parole, è una “a” o una “e”? Sia in questo documento (per esempio “Beata” alla riga 3, “bona” alla riga 12), sia nel registro di testamenti del Balanzan parzialmente conservato (ASVE. Cancelleria inferiore, Testamenti, b.86), si riscontra che il tratto finale della lettera “a” al termine di parola quasi mai tende verso il basso, prendendo piuttosto una posizione mediana rispetto alla riga. Caratteristica, questa, che può ingenerare dubbi nell’interpretazione di un termine che potrebbe finire in -a o -e. Nel presente documento si tratta dunque di un nome proprio declinato al nominativo o al genitivo?
Ludovico Beata potrebbe dunque essere il commissario della da poco defunta Altadona, il quale rifiuta, entro i trenta giorni come previsto dalla norma, di esercitare il ruolo di cui risulta “intestatus”, essendo intervenuto nel frattempo Francesco Fisolo a rivendicare i beni della donna “vigore dotis ipsius” (alla riga 13). Tuttavia egli potrebbe riportare l’avvenuto rifiuto della “comessaria” dei beni di Zorzi (nome qui non citato, ma il documento è inequivocabilmente legato a quello dei Giudici del Proprio del 14 marzo 2011) da parte della madre Altadona, e di nuovo rifiutare in sua rappresentanza solennemente (si noti il signum crucis iniziale, quasi mai presente negli atti di questa serie) e con valore di giuramento in merito alla questione, alla presenza di due notai della magistratura, la cui presenza era sufficiente per garantirne la funzione esecutiva. Il dispositivo “refutat” al presente potrebbe, a mio avviso, avere come soggetto sia Altadona, presente in loco, sia lo stesso Ludovico Beata facente le veci della stessa, giustificando l’iterazione del verbo refutare con la necessità di dotare di publica fides la disposizione di fronte ai giudici della magistratura. Come si dirà meglio più avanti, Altadona sarebbe stata in età assai avanzata ed è lecito che abbia deciso di rinunciare alla commissaria proprio per tale motivo.
Come si riscontra in alcuni atti di Priamo Balanzan, notaio che sottoscrive la terminazione oggetto di questo saggio, e come già riportato in precedenza, colui il quale era stato nominato commissario testamentario in un atto di ultima volontà poteva decidere di sottrarsi alla commissaria. Un esempio concreto è quello riguardante Girolamo Zio datato 5 dicembre 1505: dopo essere stato nominato commissario dal testatore Nicolò Redolfi, egli dichiara di rinunciare alla commissaria “et dixit se nole in ipsa se inpedire aliis negotiis” (ASVE. Cancelleria inferiore, Testamenti, b.86, registro di testamenti di Priamo Balanzan, testamento n.3). Si noti che il formulario utilizzato in questo scritto ha molto in comune con quanto riscontrato nella terminazion oggetto del presente saggio, in cui l’attore, dopo aver rifiutato la commissaria, dichiara che “se nole inpedire in di
Il notaio castellano Francesco Fisolo, che fosse o meno l’effettivo erede di Altadona, in ogni caso nominato nel 1485 procuratore della stessa per recuperare i beni del defunto marito per il risarcimento della propria dote, agisce in questa sede proprio “vigore dotis ipsius”. Messo in relazione con l’introduzione all’inventario del 14 marzo 1511 dei Giudici del Proprio, è chiaro che il nome di Altadona è stato erroneamente trascritto come Aleandra in tale sede, come sostenuto da Lionello Puppi (Puppi 2011). Grazie ai documenti citati in precedenza, ritrovati nel fondo Notarile a Bassano del Grappa e nella serie Estimi della Podesteria di Castelfranco a Castelfranco Veneto, si può affermare con certezza che lo Zorzi pittore dell’inventario citato del fondo Giudici del Proprio fosse figlio di Altadona, la quale fu moglie del notaio Giovanni Barbarella del fu Gasparino. Il cerchio, dunque, si chiude definitivamente, provando l’appartenenza del Giorgione alla famiglia Barbarella.
Infine ritengo opportuno presentare un’ulteriore ipotesi, scaturita da alcune osservazione in merito al testo del documento qui in esame, comparato ad altri documenti e atti notarili noti: alla base dell’atto potrebbe esserci una vicenda giudiziaria di lunga durata, legata non tanto all’atto di ultima volontà del figlio, quanto al testamento del marito Giovanni Barbarella, deceduto dopo il 1483. Anche se depennato, alla riga 9 era presente l’avverbio “amplius”, il quale potrebbe rimandare a interventi pregressi volti a “inpedire” una qualche disposizione testamentaria. Anche nella premessa all’inventario del 14 marzo, alle righe 5 e 6, si riporta la volontà del Fisolo di recuperare la dote della donna “sive de residuo huiusmodi, prout in ipsis litteris plenius”, lasciando intendere che ulteriori informazioni sulla motivazione e la modalità dell’azione fossero presenti nella lettera della podesteria dell’8 marzo. Il tutto lascia intendere che qualche tentativo per rientrare in possesso della dote, forse anche dei beni del marito, magari a vantaggio del figlio, fosse stato esperito in tempi passati; e che ora non si intendesse “amplius” intervenire.
In effetti Altadona aveva nominato Francesco Fisolo suo procuratore nel lontano 1485 per recuperare il corrispettivo della propria dote dall’eredità del defunto coniuge, qualche problema in merito alle disposizioni per la gestione dell’eredità del de cuius doveva probabilmente essersi presentato. Ed è proprio questo notaio castellano, forse parente di Altadona se si vuole intendere in tal senso “uti heredis” nel documento dei Giudici del Proprio* (formula utilizzata però in numerosi atti da procuratori che agiscono in nome del mandante), che rivendica i beni del defunto Zorzi proprio “vigore eius dotis”, proprio come indicato nell’atto di procura. Sulla base di quanto verrà in seguito esposto in questa sede, non si può certo escludere che il Fisolo potesse far parte della discendenza di consanguinei di Altadona, la cui esistenza è testimoniata da fonti documentali. E che in quanto tale ereditasse il diritto al risarcimento della dote (o di parte di essa) non corrisposta alla parente defunta.
Purtroppo i fondi delle Corti di Palazzo potenzialmente intervenute a riguardo, ossia i Giudici del Proprio, i Giudici di Petizion e i Giudici del Mobile, presentano enormi lacune per il periodo coincidente con la morte di Giorgione e gli anni successivi. Si può a mio avviso parlare di documentazione residuale rispetto al materiale che si sarebbe dovuto conservare nel caso in cui non fossero sopravvenuti disordini popolari a distruggere la documentazione coeva, o da poco prodotta, delle magistrature in quel periodo di guerra. Fortunatamente la documentazione arrivata a noi ha permesso di recuperare l’inventario dei beni ‘residui’ del pittore del marzo 1511, con un’aggiunta dell’ottobre successivo: chissà se avremmo trovato un inventario dei beni del pittore steso all’indomani della sua dipartita, qualora la serie Mobili del fondo Giudici del Proprio si fosse conservata da qualche mese prima del febbraio del 1511!
Combinando tale documento con quello del fondo Giudici di Petizion, è stato comunque possibile fare chiarezza sui legami familiari del pittore. A dimostrazione, ancora una volta, che la ricerca è un percorso che si svolge a tappe, in cui spesso la verità emerge grazie alla correlazione e all’interdipendenza di dati derivanti da diverse fonti. Vorrei infine rendere un piccolo omaggio ad Altadona, sulla cui figura si è perpetrato a lungo il tentativo di vedere una giovane (magari con un figlio illegittimo), presumibilmente di bell’aspetto, portata all’altare da un ben più maturo membro dei Barbarella. Per dirla con l’abate Camavitto, “una villanella di Vedelago”, presumibilmente di rango inferiore rispetto a quello dello sposo (Camavitto 1878). Una donna umile e sottomessa? Eppure cosa sapremmo del Giorgione se la madre non avesse più volte fatto sentire la propria voce, raccontando talvolta anche più dello stretto necessario, come nell’atto notarile in cui riferisce della detenzione del figlio? Forse perché non sostenuta dai ricchi Barbarella, costretta a vendere parte dei propri beni per far scarcerare il giovane Zorzi, sarà stato magari un impeto d’orgoglio a farle rivelare le proprie origini: lei era Altadona, figlia di ser Francesco da Campolongo di Conegliano.
Nel corso dell’ultimo anno è stato rintracciato un ulteriore documento d’archivio relativo ad Altadona (Bortolanza 2021): si tratta proprio del testamento del padre Francesco, che finalmente è possibile attestare come il nonno materno di Zorzi. Nei protocolli del notaio trevigiano Giovanni Andrea De Burgo (ASTV. Notarile I, b.1436), l’atto reca la data del 5 febbraio 1440, in Conegliano, e deve essere stato trascritto appena dopo la morte del testatore, in quanto sul margine sinistro il nome di Francesco è preceduto da “condam”. Nonché seguito dal termine “notarii”, stante a indicare la professione esercitata in vita da Francesco: anch’egli come Giovanni Barbarella, il futuro marito di Altadona, era un notaio. Apparteneva addirittura a una stirpe di notai coneglianesi, arrivata almeno alla terza generazione dopo il padre Franceschino e il nonno Giampietro, come dimostrano alcuni documenti conservati a Treviso sia nel Notarile I che in altri fondi. Se vogliamo dar credito al manoscritto di Ortensio Dal Borgo sulle famiglie coneglianesi – dove però viene riportata solo la data del documento consultato, senza altri riferimenti – già nel 1332 un certo Bene da Conegliano svolgeva la medesima professione. (AMVC, b.413).
Dal testo del documento si evince che Francesco, come alcuni suoi antenati, intratteneva rapporti quantomeno in ambito lavorativo con la famiglia dei conti di Collalto, dai quali riceveva un salario annuo di cento lire di piccoli per i servizi prestati. Non è questa la sede adatta per dilungarsi sulle vicende di Francesco e dei Campolongo; si tenterà in ogni caso di presentare informazioni e considerazioni rilevanti in relazione al contesto in cui Zorzi crebbe.
Innanzitutto l’età di Altadona, citata come erede assieme alle quattro sorelle “in puerili etate” (salvo la nascita di un maschio postumo), non poteva essere inferiore ai 38 anni nel 1478, anno indicato dal Vasari per la nascita di Zorzi. Dato, questo, che depone a favore di un anticipo di qualche anno della nascita del pittore rispetto alle posizioni classiche, come testimonierebbe la nota dell’incunabolo ritrovato a Sidney, secondo la quale il pittore sarebbe morto a 36 anni (Anderson 2019). In tal caso l’età di Altadona si sarebbe aggirata almeno sui 34 anni, lasciando pertanto aperte le ipotesi sia su un eventuale precedente matrimonio, sia sulla probabilità che Zorzi non fosse il suo primo figlio.
Sul letto di morte, Francesco dispone che siano presenti alla dettatura delle proprie ultime volontà soltanto tre persone: la moglie Novella, per la quale dispone la restituzione delle 150 lire di piccoli portate in dote, il “germanus” Donato e sua cognata Pellegrina. Appare singolare che il morente non abbia dichiarato erede in vita la moglie Novella, bensì le cinque figlie: la decisione si deve probabilmente a un precedente matrimonio con una certa Antonia, di cui non si conosce la famiglia di origine (ASTV. Notarile I, b.229, s.n., atto datato 1420 dicembre 1). Se le eredi non erano tutte nate da Novella, è possibile che nel futuro di alcune di loro abbia influito il volere della famiglia di Antonia. Si noti, inoltre, che Francesco era già sposato vent’anni prima del decesso, permettendo di ipotizzare un’età quantomeno matura nel 1440, nonché l’accezione della puerilis aetas delle fanciulle per alcune più vicina all’adolescenza che all’infanzia. Le sorelle Polonia (o Apollonia), Franceschina, Panfila, Lucia e Altadona peraltro risultano viventi nel 1447, secondo quanto riportato nel manoscritto del Dal Borgo sopra citato.
La via che porta Altadona a Castelfranco da Conegliano potrebbe ‘passare per Cipro’, in quanto proprio a Conegliano era stato costruito il Palazzo del Re di Cipro, edificio che avrebbe forse dovuto ospitare la regina Caterina nelle sue visite in patria, e che nel sottoportico conserva parte di un’Annunciazione probabilmente di mano di Dario da Treviso. Come è ben noto, le cose andarono diversamente dal previsto e la Regina di Cipro si divise tra Asolo e Venezia nel corso del suo esilio dorato dall’isola.
Molti dei suoi più fedeli cortigiani, venuti in Italia nel 1474 più con la forza che per propria volontà, furono relegati nella residenza-carcere delle Torricelle a Padova, tenuti lontani dalla sovrana del regno a cui appartenevano. Fece eccezione Tuzio Costanzo, figlio del viceré Muzio, il quale entrò al servizio di Venezia come condottiero. Nonostante sia provato che egli acquistò la propria dimora a Castelfranco nel 1489 (Battilotti, Franco 1978), non si vede perché sia da escludere una sua venuta in Italia nel 1474, come riportato dal Melchiori nel manoscritto citato (Melchiori 1724-1735, ms.158, c.236). Al figlio del viceré, dimostratosi forse in linea con la politica veneziana sull’isola di Cipro, potrebbe essere stato risparmiato l’isolamento patavino e concessa libertà di movimento nei quindici anni precedenti l’acquisto dell’immobile. Per inciso, la quasi scontata frequentazione dei funzionari della corte cipriota alle Torricelle e dei Lusignano spodestati al monastero di Sant’Agostino a Padova potrebbe rappresentare un elemento a favore della conoscenza da parte di Giorgione della città antenorea e della formazione (almeno in parte) ivi compiutasi, al fianco di un Tuzio Costanzo che vi ritrovava parte della perduta patria, alla quale non poté fare ritorno nemmeno in occasione della morte del padre Muzio. La presente riflessione, che vede il Costanzo come potenziale tramite tra Giorgione e l’ambiente patavino nonché la corte di nobili ciprioti in esilio, viene presentata come certamente suggestiva, tuttavia attualmente non supportata da alcun dato.
Tornando a Francesco da Campolongo, oltre alla professione notarile, egli aveva un altro elemento in comune con Giovanni Barbarella, marito della figlia: la devozione francescana, in particolare la vicinanza all’ordine dei frati minori. A Conegliano i Da Campolongo, sia donne che uomini, avevano spesso eletto a loro ultima dimora la chiesa dei minori francescani annessa al convento di San Francesco. A Castelfranco i Barbarella erano vicini allo stesso ordine, facente capo al monastero di Sant’Antonio di Castelfranco, dove aveva predicato Bernardino da Feltre. La famiglia aveva accolto con entusiasmo il messaggio del frate, tanto da impegnarsi nella fondazione del locale Monte di Pietà.
Potrebbe allora non essere del tutto priva di fondamento la notizia del manoscritto settecentesco del Malvolti (AMVC, b.432) relativa a “due quadri con due apostoli del Giorgione” (qui identificati con le due figure laterali dell’Annunciazione del Cima…ma il Battista non è un apostolo, a differenza di Taddeo!) nella chiesa (non più esistente) del convento di San Francesco a Conegliano, citata nel catalogo edito in occasione della mostra del 2010 su Cima da Conegliano (Villa 2010, 221). Chiesa in cui il nonno Francesco aveva richiesto di essere sepolto accanto all’immagine di San Sebastiano: disposizione testamentaria annotata da Gustavo Bampo nei suoi spogli del fondo notarile di Treviso (BCTV, ms.1410), che ha permesso di rintracciare il suo testamento.
*L’inventario del fondo Giudici del Proprio è solo uno dei tanti consultabili online – e in molti casi scaricabili – dal sito dell’ASV, in particolare dalla pagina https://www.archiviodistatovenezia.it/it/patrimonio/versione-testuale-degli-strumenti-di-ricerca.html
**Si ringraziano Francesco Piovan e Reinhold Müller per la consulenza paleografica.
Bibliografia
Abbreviazioni
ACCV = Archivio Comunale di Castelfranco Veneto
AMVC = Archivio del Municipio Vecchio di Conegliano
ASBAS = Archivio di Stato di Vicenza, Sezione di Bassano del Grappa
ASTV = Archivio di Stato di Treviso
ASVE = Archivio di Stato di Venezia
BCCV = Biblioteca Comunale Castelfranco Veneto
BCTV = Biblioteca Civica di Treviso “Borgo Cavour”
Riferimenti bibliografici
- Anderson 2019
J. Anderson. et al., Giorgione in Sydney, “The Burlington Magazine” 161, 2019, 190-199. - Battilotti, Franco 1978
D. Battilotti, M.T. Franco, Regesti dei committenti e dei primi collezionisti di Giorgione, “Archivio Veneto” XVII, 1978, 55-86. - Bortolanza 2021
F. Bortolanza, Il padre di Altadona, ilmiolibro, self publishing 2021. - Camavitto 1878
L. Camavitto, La Famiglia di Giorgione da Castelfranco (cenni genealogici sulla nobile casa Barbarella), Pisa 1878. - Cecchetto 2009
G. Cecchetto, Castelfranco tra la fine del secolo XV e i primi decenni del XVI: ‘mappe urbane’ e paesaggi del contado, in Giorgione, a cura di E.M. Dal Pozzolo, L. Puppi, Milano 2009, 51-70, - Chiuppani 1909
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English abstract
A new document from the Giudici di Petizion fund in the State Archives of Venice confirms that Giorgione's mother was called Altadona (this had been questioned by a previous discovery). The document also records her attorney’s name as Francesco Fisolo, a notary. Both names reappear in another document related to the painter’s legacy after his death by plague. The document in the Venice Archives, therefore, offers unprecedented evidence of the identity of Altadona da Campolongo di Conegliano. This also allows to identify the painter's father with notary Giovanni Barbarella and testify to the relevance of a series of documents which have been questioning various references to the painter.
keywords | Giorgione; Altadona da Campolongo di Conegliano; Francesco Fisolo; Giovanni Barbarella.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
The Editorial Board of Engramma is grateful to the colleagues – friends and scholars – who have double-blind peer reviewed this essay.
(cf. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo: F. Bortolanza, Un nuovo documento su Altadona, madre di Giorgione, “La Rivista di Engramma” n. 192, giugno 2022, pp. 36-50 | PDF di questo articolo
To cite this article: F. Bortolanza, Un nuovo documento su Altadona, madre di Giorgione, “La Rivista di Engramma” n. 192, giugno 2022, pp. 36-50 | PDF of the article