“Terreno Comune”
Una conversazione sul progetto
Laura Camerlingo, Alessia Sala, Cesare Sartori
English abstract
“Terreno Comune” è un progetto editoriale nato nel 2019 su iniziativa di alcuni rappresentanti del Senato degli Studenti dell’Università Iuav di Venezia. La proposta ha avuto origine dall’urgenza di costruire uno spazio di confronto tra pari e di dialogo tra le diverse discipline del progetto, un grande assente all’interno della comunità studentesca. “Terreno Comune” si può quindi meglio definire come una piattaforma che si è declinata in una rivista nel momento in cui questa esigenza ha incontrato la curiosità nei confronti del mondo dell’editoria. Il progetto ricerca nei temi del contemporaneo i pretesti per lo sviluppo di ciascuna pubblicazione, il cui esito è un prodotto cartaceo sempre diverso per forma, supporto e grafica, ogni volta elaborati in relazione ai temi e ai contenuti.
La rivista ha collezionato ad oggi tre numeri: La strada (gennaio 2020), Prospettive (dicembre 2020) e Are bodies Present? (novembre 2021). Il progetto “Terreno Comune” ha preso avvio indagando il tema della strada in una pubblicazione eterogenea, muovendosi tra una interpretazione metaforica del termine e un'accezione legata allo spazio fisico. La varietà dei contenuti e la volontà di lasciare libera al lettore la scelta di come comporre il loro ordine hanno portato alla decisione di progettare un oggetto privo di rilegatura e composto da tanti fascicoli, poi raccolti in una busta. La seconda pubblicazione è stata dedicata al tema prospettive e propone un ragionamento a più piani di lettura sulla contemporaneità, coinvolgendo in alcuni contributi il contesto di pandemia globale e le sue inaspettate conseguenze. Si sono interrogate le potenzialità della tecnica di rappresentazione stessa e le sue implicazioni relative alle inedite modalità di lettura della realtà, dettate dalla ridefinizione dei punti di vista e di nuove soggettività. Il formato della rivista – che ricorda le mappe geografiche – ha voluto costituire la traduzione cartacea di questa necessità di esplorazione e di ricerca, proponendo coordinate e strumenti per ridefinire il nostro abitare lo spazio.
Nel corso degli anni il progetto è cresciuto, approdando a una terza pubblicazione con un pensiero autoriale più complesso, grazie al contributo di una redazione sempre più allargata e partecipata. Are bodies present? è il risultato di una serie di riflessioni sulla condizione contemporanea dell'essere umano nell'era del digitale e sull'inevitabilità di porla in relazione al corpo, nella difficoltà di considerarlo come 'presente' – inteso sia come ‘attuale’, sia come ‘presenza fisica’ in una iperrealtà. Ne è derivato un piccolo oggetto editoriale che raccoglie contributi scritti, immagini post prodotte, racconti e fotografie variegati, sparsi e spesso contraddittori all'interno di una scatola tinta di blu, in riferimento al colore del digitale all'interno dell'immaginario collettivo.
La scrittura di questo contributo ha rappresentato per noi l’occasione di una riflessione su “Terreno Comune”, su quale ruolo possa assumere all’interno della comunità studentesca, su come possa essere tramandato da una rappresentanza a quella successiva e su come si inserisca nella tradizione delle riviste del progetto. Abbiamo scelto di riportare queste riflessioni in forma di dialogo, che per noi rappresenta il metodo di costruzione della rivista stessa.
La matrioska
L | “Terreno Comune” forse non è una rivista di architettura. E forse non è nemmeno una rivista.
A | Sono d’accordo. Alla base del progetto vi è l’idea di costruire e condividere una piattaforma, un luogo di formazione tra pari che attraverso il dialogo tra diversi studenti e diverse discipline mira ad alimentare il tessuto sociale all’interno dell’università. Per questo TC non si può definire una rivista: è un progetto più ampio che in questo momento si sta concretizzando nelle vesti di qualcosa di simile ad una rivista per il semplice fatto che eravamo, e siamo tutt’ora, affascinati dal mondo dell’editoria. E forse per la stessa ragione non si può definire una rivista di architettura: si parla di tanto altro.
C | Credo che però condivida con l’architettura molti aspetti, a partire dal metodo che sta alla base della sua costruzione. Se ci pensate, quel che facciamo per ogni numero è un esercizio progettuale che permette di mettere in gioco in modo concreto quel che impariamo anche in aula. In “Terreno Comune” esistono due parti: gli autori da un lato, che presentano e condividono i loro contributi, e noi redattori dall’altro, che cerchiamo di mettere assieme i pezzi per arrivare a un prodotto finale sempre diverso.
L | Esatto! Prima ancora che carta stampata, “Terreno Comune” è il prodotto di un processo progettuale applicato ad ogni suo aspetto: alla scrittura del bando - e quindi la scelta del tema - alla grafica e all’impaginazione, ma anche alla fattibilità pratica ed economica. A tutto questo si aggiungono la gestione del gruppo redazionale, il lavoro in team, la suddivisione dei ruoli e dei compiti. Qui si può vedere l’apporto del metodo progettuale che apprendiamo in università.
C | Alla fine “Terreno Comune” è per noi un’architettura stampata. Ogni pubblicazione ha una propria identità e viene elaborata in una veste diversa, anzi, una forma diversa, dalla busta ricca di contenuti sfusi del primo numero, al grande foglio ripiegato come una mappa del secondo, fino alla scatola per l’ultimo.
A | Per riassumere, TC è un progetto complesso che coinvolge tanti aspetti: innanzitutto è un progetto editoriale, con tutto ciò che ne consegue, dal necessario approfondimento dei suoi aspetti concreti – come la fattibilità economica e di produzione – fino all’organizzazione di tempistiche e ruoli. Questo progetto editoriale si basa a sua volta su un progetto più ampio che si rivolge alla comunità studentesca di cui eravamo rappresentanti e si manifesta ogni volta in oggetti editoriali studiati in modo tale da rispondere ai diversi temi proposti. E poi il numero è esso stesso raccolta dei progetti degli studenti e delle studentesse, e così via.
L | È come se fosse una matrioska di progetti, anche se le matrioske mi ricordano l’odore di legno chiuso.
A | A me piace un sacco l’odore di chiuso.
La pentola che bolle
A | Rispetto al tema del format che è uscito prima stavo pensando che una metafora efficace per descrivere “Terreno Comune” sia quella di una grande pentola sul fuoco, con l’acqua che bolle al suo interno. Mi sembra che TC sia un processo in continua metamorfosi che è nato da un punto zero, in cui pari a zero erano anche le nostre conoscenze in campo, e che stia continuamente crescendo, sorprendendo anche noi di tanto in tanto.
L | In effetti di acque ne abbiamo messe tante sul fuoco, con tutte le cene passate insieme a discuterne.
A | E il vino, la terrazza, lo gnocco fritto, il tappeto minimal trash rosa e peloso, bellissimo.
C | Tutto è iniziato in modo molto spontaneo e, oserei dire, ingenuo. In un percorso tutt'altro che lineare abbiamo messo assieme piccoli tasselli di un mondo ancora a noi sconosciuto, quello dell’editoria: ci stiamo mettendo continuamente in discussione pensando a supporti adeguati al tema e ai contenuti, rivedendo la grafica, ricercando nuovi spunti e riferimenti.
A | Sì, sono d’accordo. Ci siamo resi conto che stavamo individualmente sentendo l’urgenza di proporre qualcosa che potesse davvero essere utile a tutti noi studenti. E così abbiamo cercato anche nel nostro impegno politico all’interno dell’Università le basi per proporre un’iniziativa. In pratica eravamo un gruppo di curiosi, entusiasti e assolutamente inconsapevoli studenti che hanno provato a mettersi in gioco.
L | Inoltre, come hai detto prima, Ale, è un progetto davvero in continua evoluzione, forse proprio come conseguenza di questo entusiasmo e voglia di sperimentare. Tanto più che spesso non sappiamo nemmeno noi dove stiamo andando e il progetto sembra essere dotato di vita propria. Solo recentemente, soprattutto con questo ultimo numero, ci stiamo forse avvicinando a ciò che avevamo originariamente immaginato, cioè un prodotto dalla guida redazionale più autoriale. È stato un processo lungo e non lineare, che ha coinvolto molte persone nella sua lenta realizzazione.
A | E tutte queste persone hanno portato ogni volta diversi interessi e competenze che hanno arricchito il progetto. Da (ormai ex) studentessa di architettura un momento fondamentale nella mia formazione è stato quando ho iniziato ad occuparmi delle Call for Ideas, le attività culturali proposte dagli studenti e finanziate dal Senato. Lavorando su molte attività diverse sono entrata in contatto con altrettante realtà studentesche che mi hanno permesso di ampliare il bagaglio culturale e di appropriarmi di altri strumenti e contenuti che poi ho riportato all’architettura. Ho sempre sperato che “Terreno Comune” potesse rappresentare questo per qualcun altro.
C | Per me è stato così questo ultimo numero: non mi ero mai più di tanto interessato al tema del corpo, eppure lavorarci con persone con formazioni e riferimenti differenti mi ha fornito nuovi strumenti di lettura. Si tratta di un confronto fertile di cui difficilmente facciamo a meno e che spesso ci ha portati a dilatare i tempi di ogni pubblicazione. Inizialmente pensavamo di pubblicare tre numeri all’anno, ma eravamo troppo ottimisti.
Il corpo di carta
L | Eravamo decisamente ottimisti! Abbiamo deciso di spendere tempo e soldi per arrivare all’elaborazione di oggetti non ordinari, dai supporti, talvolta anche molto laboriosi, al tipo di carta. Però non poteva che essere così: il supporto cartaceo ha sempre assunto un valore davvero significativo per noi, sia come campo di prova e occasione di sperimentazione da un punto di vista grafico, sia per arrivare capillarmente a tutta la comunità, privilegiando il rapporto uno-a-uno attraverso la consegna di un prodotto materico.
C | Tutto questo è stato voluto però consapevolmente anche per coinvolgere le piccole realtà tipografiche locali, nell’ottica di una collaborazione consapevole e una presenza attiva sul territorio.
A | C’è poi da dire che la carta stampata non è solo affascinante per noi ma anche per le persone a cui ci rivolgiamo. Credo che qua si apra un’altra questione: la maggior parte dei numeri che distribuiamo non viene nemmeno letta, al limite viene sfogliata. E questo credo sia un punto centrale per chi decide di imbarcarsi in un progetto editoriale.
C | Con la carta stampata rimane poi aperta la questione del come arrivare alle persone. Inizialmente abbiamo scelto di non creare un sito del progetto – a cui ora invece stiamo lavorando per costruire un archivio e rendere i contenuti disponibili a tutti – ma quasi da subito ci siamo resi conto della necessità di un mezzo coinvolgente per far conoscere il progetto. Le mail istituzionali ci hanno aiutato inizialmente, ma non quanto l’uso dei social.
A | Sì beh, non che siano proprio il nostro asso nella manica. Anche se apparteniamo quasi tutti alla Generazione Z, la gestione dei social è sempre stata una parte abbastanza disastrata del progetto, anche se per fortuna ora stiamo riuscendo a dare una certa continuità ai contenuti che pubblichiamo. Altro che nativi digitali!
L | Social che da strumento di divulgazione sono divenuti contenuto essi stessi: i post pubblicati sono stati riconosciuti come spunti di riflessione interessanti e spontanei – forse proprio in virtù della loro flessibilità e fruibilità – tanto da essere pubblicati all' interno della rivista stessa. Mi sto ancora chiedendo se questo arricchisca i contenuti o se invece li sminuisca. Rimane comunque interessante notare come da strumenti di diffusione diventino essi stessi prodotto della riflessione che pubblicizzano, in un cortocircuito senza soluzione di continuità.
C | Attraverso i social comunque stiamo arrivando a molte persone e soprattutto riusciamo a interagire con la comunità studentesca, che sfrutta questi strumenti meno istituzionali anche per contattarci e chiedere informazioni. Proponiamo un progetto da studenti per studenti e il tono meno formale di una chat aiuta a diminuire le distanze.
A | L’interazione è sempre stata un punto centrale sia per la rappresentanza che per “Terreno Comune”. Non è semplice riuscire ad arrivare alla comunità studentesca e questo progetto ha rappresentato per noi uno spiraglio di speranza anche e soprattutto in un periodo difficile come quello della pandemia. In quel momento di chiusura delle sedi e di distanza forzata noi stavamo stampando il secondo numero che abbiamo poi spedito in tutta Italia agli studenti che ce lo richiedevano. È stato inaspettatamente un grande successo, abbiamo finito tutte le copie! La riuscita di tutto questo è stata in parte determinata dall’attività sui social: proprio in quel momento li abbiamo attivati e sono diventati un mezzo di comunicazione e di condivisione di contenuti.
Il testimone
C | C’è poi un tema che riguarda tutte le riviste studentesche, ovvero quello della partecipazione. In particolare per TC, in cui l’obiettivo non è quello unidirezionale di un editore che cerca un pubblico ma è piuttosto quello di un pubblico che cerca se stesso e cerca di essere rappresentato attraverso un progetto, questo aspetto è più che mai importante.
A | Pensate al secondo numero: il tema doveva essere la festa, ma l’inizio della pandemia lo ha reso profondamente inattuale e poco sentito, tanto che abbiamo ricevuto pochissimi contributi e alla fine abbiamo deciso di cambiare il tema.
L | E in quel momento abbiamo sentito la necessità di allargare la redazione coinvolgendo nuove persone, per apportare nuovi contributi e, in generale, nuovi punti di vista. Un ricambio continuo all’interno della redazione che si è verificato spesso nel corso dei vari numeri. Ci sono state diverse meteore che, pur partecipando solo a qualche riunione, hanno permesso a “Terreno Comune” di mantenere alto l'entusiasmo e di crescere.
C | Dopo la pubblicazione di questo terzo numero credo sia anche inevitabile domandarsi quale sarà il futuro di “Terreno Comune”, dal momento che abbiamo appena attraversato una fase di passaggio di testimone tra noi ex senatori e i nuovi ed è questo il punto in cui spesso questi progetti muoiono. Di fatto è un destino a cui tutte le riviste studentesche vanno incontro: cosa succede quando studenti e studentesse, membri della redazione, finiscono il ciclo di studi?
A | Questo è un problema che penso vada oltre la rivista o i progetti dei rappresentanti, e che credo sia legato a come noi studenti viviamo l’università. È una sensazione che ho sentito molto durante gli anni di rappresentanza e su cui ho ragionato in modo costante, anche se questa non è la sede per approfondire questi pensieri. Credo che il nocciolo della questione risieda nella frizione tra i tempi, spesso lunghi, che l’effettiva realizzazione di un progetto richiede e il fatto che l’università sia sempre di più un luogo di passaggio. Questo ha inevitabilmente delle conseguenze sul senso di comunità e sul destino dei progetti che cercano di coinvolgere più di una generazione studentesca.
L | Abbiamo tentato di rispondere a tale punto provando a proporre una piattaforma che fosse il più possibile flessibile, nella speranza che altri rappresentanti ne potessero/possano prendere in consegna il testimone, anche se dovesse esserci un'interruzione nelle pubblicazioni.
A | Anche se di questo non c’è certezza... D’altro canto questo è un momento in cui ci stiamo ponendo tantissime domande, forse ancora più che all’inizio.
English abstract
“Terreno Comune” is a project promoted by the student senate of Iuav University of Venice. Within the framework of fostering an active social fabric, the aim of the initiative is to build a platform for an interdisciplinary dialogue, in which all students can participate. Until now the outcomes have been three themed magazines that collect works of Iuav students. This contribution introduces the project and its possible future developments.
Keywords | “Terreno Comune”; Student Magazine; Project; Università Iuav di Venezia; Senato degli Studenti Iuav.
Per citare questo articolo / To cite this article: Laura Camerlingo, Alessia Sala, Cesare Sartori, “Terreno Comune”. Una conversazione sul progetto, “La Rivista di Engramma” n. 188, gennaio-febbraio 2022, pp. 321-331 | PDF dell’articolo