“Qualcosa del passato, non digerito dalla storia, erutta a sproposito”
Intervista a Nadia Fusini
a cura di Christian Toson
English abstract
Christian Toson | Cosa pensi del tremendo amore per la guerra al quale assistiamo oggi in varie forme di comunicazione? Con “tremendo amore per la guerra” mi riferisco a James Hillman (Un terribile amore per la guerra, tr. it. 2005), quando dice che il mondo è inevitabilmente soggetto all’irresistibile fascino di Ares, sia nell’estetica dei condottieri e dei guerrieri, sia per la passione verso la ferocia che invade i media.
Nadia Fusini | Il fascino di Ares? Se ci riferiamo ai videogiochi, o cose del genere, credo sia una soggezione perversa e del tutto ignorante a immagini e modelli malintesi, equivocati. Ma oggi, di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, quei valori “guerrieri” tornano a interrogarci, e non nella loro valenza estetica, ma politica. Perché ci si presentano in un contesto davvero inquietante. Di fatto, il pensiero della pace e della guerra ci si impone. E con esso il valore bellico, la difesa della patria… “Noi donne non abbiamo una patria”, mi ha insegnato Virginia Woolf: così afferma in Le tre ghinee, un pamphlet contro la guerra, che esce nel 1938. Donna e pacifista, Woolf affronta in quegli anni tremendi del Novecento il dilemma di come difendere se stessa e il marito Leonard, ebreo, e l’Inghilterra e l’Europa dalle mire ingorde di Hitler. In quel testo riflette su come la patria, il patriottismo, l’eroismo in battaglia siano valori virili inscritti nella struttura patriarcale delle nostre società e culture. E lo fa analizzando delle immagini – come fa Engramma ora. Spontaneamente warburghiana, Woolf comincia negli anni ’30 a raccogliere foto e immagini in un personalissimo Atlante, dove mescola foto di uomini al potere – generali con mostrine e medaglie sul petto; corpi martoriati di anonimi giovani, tra cui il nipote Julian Bell partito per difendere la libertà del popolo spagnolo, che nella guerra civile spagnola troverà la morte. Lo fa, il suo personalissimo atlante, per insegnarci a intendere l’uso bellicoso delle immagini e aprirci gli occhi affinché cogliamo il protofascismo interiore del patriarcato. Ora, a me pareva che tali valori bellici e virili fossero stati criticati da noi, uomini e donne del Novecento. Chi di noi non ricorda il meraviglioso romanzo di Hemingway, Addio alle armi? Esce nel 1929 ed è un romanzo dove il protagonista maschile rinnega la guerra, fa la sua “pace separata”, diserta le armi. Hemingway in guerra c’è stato e ci invita a ragionare: ma come fa un uomo consapevole a credere che la guerra serva a “fare-mondo”? E Parla a una generazione di uomini maschi a forza coscritti, affinché riconosca l’orrore della guerra e se ne separi. È quello che vede Virginia Woolf: “La forza è la più sordida delle esperienze, l’irrealtà della forza soffoca tutto. Sotto lo spavento della forza si diventa “cose”, si viene disumanizzati”. E ci domanda: dopo aver visto Hitler all’opera, “il maschio lotterà contro quei valori, quegli attributi virili?”. Ecco, è evidente che l’uomo maschio non c’è riuscito. Quanto alle donne, osserva implacabile: “Nella guerra attuale si lotta per la libertà, ma la otterremo soltanto se distruggeremo gli attributi maschili, la violenza, l’idolatria del potere. È dunque compito della donna raggiungere l’emancipazione dell’uomo. È la sola speranza della pace”. Ecco, è evidente: le tante libertà che abbiamo conquistato in ogni campo noi donne non sono servite a questo. Molte donne sono entrate nel patriarcato, accettando per lo più i suoi modelli.
CT | In relazione a questo, cosa pensi riguardo all’invio di armi in un altro paese, anche se in contrasto con i nostri valori costituzionali?
NF | Mi interessa fino a un certo punto quello che sta scritto nella nostra Costituzione, non è certo la prima volta che viene disattesa. Mi interessa piuttosto il fatto che anche qui si impone una impasse, un’aporia: se siamo per la pace, come possiamo volere andare in guerra? D’altra parte, se non con la guerra condivisa, come altrimenti sostenere gli aggrediti, contro gli aggressori? Non abbiamo dubbi sulla violenza dell’aggressore e al tempo stesso siamo timidi e timide, e non per paura, ma per scrupolo di coscienza, all’idea di accogliere la necessità, di sostenere la giustizia e addirittura di aderire in piena volontà all’esercizio della violenza necessaria a difendersi. Ma possiamo davvero in piena coscienza, appunto, e senza vergogna, dalle nostre comode case chiedere a chi viene aggredito, privato della sua libertà, bombardato, di arrendersi? Possiamo chiedere a un popolo, per salvarci dalla guerra mondiale, di compiere il gesto del martire? Di sacrificarsi? D’altra parte ancora – perché le aporie incalzano, e per questo le nostre notti sono piene di angoscia – riusciamo davvero a fare nostro il patriottismo di chi sposa la resistenza e le armi per difendere, per l’appunto, la patria? O forse dobbiamo arrenderci all’evidenza che esiste una dimensione di violenza che il genere umano, in particolare di sesso maschile, evidentemente non ha superato. Forse la nostra è una specie che non procede sulla strada di una corretta evoluzione.
CT | Questa risposta introduce il tema del secondo “capitolo” del nostro discorso per immagini, che abbiamo definito “Romanticismo pornografico”, ovvero tutte le forme romanzate di arruolamento delle immagini, che si esprimono in tante forme. Ad esempio, con la propaganda del dolore, i matrimoni celebrati sulla linea del fronte, l’uso pervasivo e non sempre appropriato di stereotipati simboli gialli e blu, o con la rappresentazione della maternità in forme macabre. La lista degli esempi è lunghissima, ma vorremmo chiederti se hai notato anche tu questa deriva dell’etica e dell’estetica e come la interpreti.
NF | Mi pare evidente che una venale logica mediatica, che tratta ogni discorso come fosse una merce di scambio, abbia vinto su tutto. È come se fossimo tornati all’età della pietra. Non ho mai creduto nelle “magnifiche sorti e progressive” del genere umano, ma non pensavo che si potesse regredire tanto. Lo conferma una specie di rigurgito di parole inquietanti, con due attori in campo che si scambiano tra loro indifferentemente l’accusa di “nazismo” e di “genocidio”. Qualcosa del passato, non digerito dalla storia, erutta a sproposito.
CT | Un’altra questione, correlata alla precedente, che ci fa preoccupare, sta nella “crociata dei fanciulli”: il coinvolgimento, da una parte e dall’altra, dei bambini (e, per analogia, degli ingenui, dei ragazzini, dei civili). Cosa pensi della mancanza di una condanna di quei messaggi che promuovono immagini di bambini con le armi, che giocano con le armi, che vengono addirittura armati e arruolati sul serio?
NF | Torniamo al punto di prima: c’è bisogno di educazione, dove educare significa soprattutto educare se stessi al rispetto dell’altro. E mai e poi mai “usare” l’altro. Sempre è tremendo “usare” l’altro, soprattutto un bambino. Ma gli adulti che dovrebbero per l’appunto ragionare, invece impiegano la ragione, anzi piegano la ragione alla “causa”, e giustificano così crimini orrendi. L’abbiamo visto in passato. E vediamo oggi, di nuovo, tornare a galla come un rigurgito, un pensiero morale mal digerito. Il problema è sempre quello della violenza: entrando nell’imbuto della violenza, la logica si fa simmetrica e rivale. Accanto a Virginia Woolf bisogna tornare a leggere Simone Weil sul tema della forza. Sì, tornare alle sue riflessioni sull’Iliade come poema della forza. Lì spiega bene la complessità di un ragionamento che si morde la coda. Che conduce in un vicolo cieco. Di fronte a tutto ciò che accade in questi giorni, di fronte alla guerra in Ucraina, alla possibilità di un terzo conflitto mondiale, mi sento completamente disorientata. Da che parte stare? Per me resistere è senz’altro il gesto più comprensibile. Al tempo stesso non penso che si esca dalla guerra, dalla sua logica, intendo, in tal modo. È chiaro che giriamo in un cerchio, e intanto una catena ci strozza, ci toglie il respiro. E il pensiero. E invece ci vorrebbero pensiero e politica. Ma gli uomini al comando del mondo, che si chiamino Putin o Biden, hanno un pensiero?
CT | Un altro “capitolo” del nostro discorso per immagini è il tema delle icone. Uno dei motivi che ci ha spinti a fare queste interviste è stato vedere pubblicate in diverse sedi l’immagine di una Madonna con in mano un lanciarazzi al posto del bambino. Sappiamo che l’arruolamento delle icone, il portare dalla propria parte simboli e figure da usare per la propria propaganda, esiste da sempre: si possono citare ad esempio i santi in armatura, ma tu come vedi questo fenomeno applicato nel mondo di oggi?
NF | Se questo accade, immagino, è “per fare in fretta”; immagino che per fare in fretta si usi la lingua in questo modo osceno. Mi spiego: per molti la lingua non è altro che uno strumento di manipolazione per ottenere un risultato, quello di comunicare nel modo più rapido e violento un comando. E, come fosse il cane di Pavlov, una parte consistente dell’umanità a tali comandi risponde. Ecco perché si può arrivare alla blasfemia di rappresentare una Madonna con un fucile in braccio. Ripeto, c'è molta ignoranza, c’è molta volgare idiozia nel manipolare in tal modo le immagini, c’è insulto e vendetta nell’impiegare qualcosa di sacro per produrre un effetto perverso. C’è una volontà immorale di sopraffazione dell’intelligenza del mondo reale. E qui di nuovo torniamo alla logica della violenza, indifferente alla verità.
CT | Vorremmo concludere questa intervista con un’ultima riflessione. Nonostante la violenza con cui le immagini vengono proposte e manipolate, nonostante tutti questi meccanismi dei quali abbiamo provato a parlare finora, le immagini, “malgrado tutto” (per dirla con Didi-Huberman), sono ancora in grado di restituirci qualcosa su quello che sta accadendo? Nonostante le falsificazioni, la manipolazione totale, l’assenza di un originale, c’è un residuo, un nucleo di autenticità nell’immagine, capace ancora di raccontarci una storia?
NF | Vorrei dire di sì, o almeno provare a pensare che sì, si possa difendere questa ricchezza. Ma bisogna sapere e volere mantenere viva un’attenzione, e smascherare le manipolazioni. La propaganda che cos’è se non manipolazione? Una manipolazione della coscienza e dell’intelligenza. Invece bisogna insegnare a leggere le immagini, appunto, per incontrare la verità del loro impatto. È chiaro però che in certi momenti della storia del mondo tutto è messo in pericolo, la verità stessa è messa in pericolo. Perché la verità non è un’opinione che si può discutere nel ring di un talk show. La verità è un compito che bisogna sapersi assumere, ed è un peso da custodire. Non c’è libertà se siamo rinchiusi nel cerchio di un ricatto intellettuale, morale, politico. Messi in scacco. Questo è insopportabile. A chi non importa né del potere, né del comando, ma solo della libertà, non poterla esercitare è insopportabile. Colpa nostra? Mia, tua, delle persone come noi? Non credo. Se non riesco a riconoscermi nel concetto di patria, non voglio nemmeno essere inclusa nelle colpe di quella “patria”. Io, te, altre persone anonime – perché esistono, solo che non hanno voce. Del resto, da quanto tempo “noi”, “io” non vado a votare? – io, tu, e altre persone anonime, ripeto, cercano di esercitare il pensiero e di coltivare la libertà del pensiero. Queste persone anonime, io con loro, non sono colpevoli di scelte che fa la classe politica, e accademica, la classe al potere. Chi non vive per il potere, né per il consenso, né per onori speciali, e ha provato, e prova, a vivere secondo libertà e secondo coscienza ha forse ascolto? Nelle università, nel discorso pubblico? Può davvero fare sentire la sua voce nel risibile cicaleccio mediatico che oggi passa per libertà di parola? L’enorme crisi a cui siamo di fronte è la crisi del governo del mondo da parte di una classe politica, di una élite al comando, che non sa “pensare” la libertà. E non solo, in casi estremi, la spegne con le armi, ma la tacita quotidianamente contraffacendo il valore delle parole e delle immagini.
English abstract
In this interview, Nadia Fusini invites us to a re-reading of Ernest Hemingway’s A Farewell to Arms, Virginia Woolf’s Three Guineas, and Simone Weil’s The Poem of Force, in order to find the complexity of pacifism, the role of women, and the meaning of force and violence. Politics and thought are necessary in moments like the present one, although contemporary politicians do not seem to be capable of thinking. Something from the past, undigested by history, always erupts inappropriately.
keywords | War; Virginia Woolf’s Three Guineas; Simone Weil’s Poem of Force; Ukraine.
Per citare questo articolo: C.Toson, Intervista a Nadia Fusini. “Qualcosa del passato, non digerito dalla storia, erutta a sproposito”, “La rivista di Engramma” n.190, marzo 2022, pp. 141-156 | PDF dell’articolo
To cite this article: C.Toson, Intervista a Nadia Fusini. “Qualcosa del passato, non digerito dalla storia, erutta a sproposito”, “La rivista di Engramma” n.190, marzo 2022, pp. 141-156 | PDF of the article