Immagini malgrado tutto
Materiali per una tavola warburghiana
Marco Lanzerotti con Asia Benedetti
English abstract
Il saggio di Didi-Huberman, pubblicato a Parigi nel 2003, prende spunto da quattro frammenti di pellicola scampati all’inferno di Auschwitz, sopravvissuti perché arrotolati e nascosti dentro a un tubetto di dentifricio. È stato possibile così guardare all’orrore dei campi di sterminio nazisti attraverso questi quattro fotogrammi, scattati clandestinamente nell’estate del 1944 da qualcuno che era nel campo, probabilmente uno dei membri del Sonderkommando (corpo di deportati costretti a collaborare con le autorità nelle operazioni interne al campo di concentramento). Didi-Huberman sottolinea quanto sia necessario trattare queste immagini come “immagini-fatto”, fonti, strappi del reale, e non come “immagini-feticcio” di alto valore simbolico ma a basso grado di contenuto semantico. L’eccesso di investimento memoriale ed emotivo su questi frammenti eccezionalmente scampati all’orrore si scontra con la scarsa qualità formale e con la non immediata visibilità delle immagini, ciò provoca uno scarto tra la fragile evidenza della testimonianza, la sua apparente inadeguatezza, e l’enormità del fatto di cui dovrebbe testimoniare, con il pericolo di fare velo alla ricostruzione dei fatti, anziché rivelarli. Enfasi sul valore di queste testimonianze unita a una riduzione della loro specifica carica semantica: questa doppia lettura può concorrere all’assolutizzazione della indicibilità e all’iperbole dell’inimmaginabilità dei campi di sterminio nazisti.
Immaginare malgrado tutto, il che esige da parte nostra una difficile etica dell’immagine: né l’invisibile per eccellenza (pigrizia dell’esteta), né l’icona dell’orrore (pigrizia del credente), né il semplice documento (pigrizia dello studioso). Una semplice immagine: inadeguata ma necessaria, inesatta eppure vera. Vera di una paradossale verità, certo (Didi-Huberman [2003] 2005, 59-60).
L’immagine che si rende visibile, da un lato, spezza il continuum della realtà quotidiana, emergendo come interruzione-sintomo, incrinatura nella univocità del sapere, segnale nella ricerca di senso e, dall’altro, si pone come elemento di ricostruzione, ridefinizione e ri-significazione storica. L’“immagine-effetto” registra i momenti esplosivi del reale e contemporaneamente si fa “immagine-causa”, provocando effettive trasformazioni di pensiero e di cultura. La natura dialettica dell’immagine, in questo caso dell’immagine fotografica, non si risolve nella presunta immediatezza, trasparenza e facilità di lettura. La complessità intrinseca all’immagine vede confluire, agire e scontrarsi forze antagoniste, da cui fluisce un’energia poietica che genera interpretazioni, previsioni, visioni e prospettive critiche. L’identità bicefala dell’immagine non è riconducibile a un eterno tempo presente, né tantomeno a un non più raggiungibile passato, ma piuttosto deve essere riletta alla luce della “memoria nella storia”, che è un cantiere di continue ricostruzioni. L’immagine possiede una potenza che la fa sopravvivere, nella sua pregnanza semantica, al tempo, alle disconnessioni spaziali, alle violenze iconoclastiche che contro di essa, in modo ricorrente, si scagliano e all’annichilimento generato dalla proliferazione iconofila e alla sua pervasività. La sua forza esplosiva genera frizioni, urti e riconfigurazioni della storia, della memoria, della conoscenza e della cultura. Dietro alla restituzione del reale, reso visibile anche in inquadrature fotografiche apparentemente poco significative, si cela una complessità di coincidenze, contraddizioni, intervalli, soglie, incroci semantici, lacerazioni e manipolazioni. L’evento ripresentato in fotografia implica la sua ineludibile esistenza nella realtà, dislocato in uno spazio-tempo differente e differito.
È quanto avviene anche per le immagini che presentiamo in questo contributo: l’incontro con quei frammenti di realtà strucca il reale nei suoi nodi più esplosivi e richiede a noi spettatori uno sguardo lento, paziente e ponderato. L’immagine fotografica sta sulla soglia tra icona e indice: è insieme simbolo, ma anche traccia, impronta, segnale. L’eccedenza di reale è paradossalmente connessa al fatto che l’immagine è sempre lacunosa, parziale, sineddotica e, tecnicamente, metamerica. In, e attraverso, queste immagini malgrado tutto, “qualcosa resta, qualcosa che non è la cosa, ma un lembo del suo aspetto, della sua somiglianza” (Didi-Huberman [2003] 2005, 59-60).
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Anche se molto rigato, un semplice rettangolo di trentacinque millimetri salva l'onore di tutto il reale
Jean-Luc Godard, Histoire(s) du cinéma (ex ergo di Immagini malgrado tutto: Didi-Huberman [2003] 2005, 13).
Anno 2015, sede di Cesura, collettivo di fotografi cresciuti sotto l’ala di Alex Majoli, Word Press Photo, membro della Magnum dal 2001, presidente della stessa dal 2011 al 2014. Si aspetta l’istallazione di una teca. È stata commissionata a un falegname affinché custodisca le macchine fotografiche di Andrea Rocchelli, detto Andy, uno dei soci fondatori. Erano tornate in Italia nello zaino di Andy, portato in spalla dalla sorella Lucia, a bordo di un volo militare. Andrea non c’era più, era caduto in Donbass, nel pomeriggio del 24 maggio 2014. Non c’erano più neppure le sue foto, l’alloggio della scheda SD era vuoto, la memoria sottratta. Uno dei fotografi del collettivo, Gabriele Micalizzi, osserva più attentamente lo zaino e fa una scoperta incredibile: “In attesa che il falegname costruisse una teca, Gabriele ha tenuto in casa sua lo zaino e, a un certo punto, ha trovato questa scheda in una taschina” – racconta Alessandro Sala, co-fondatore di Cesura, ai microfoni di Mario Calabresi. Nel profondo di una tasca, una piccola scheda da 8GB, che si credeva perduta, è rimasta nascosta. In essa è contenuto il testamento di Andy, la sua denuncia. Vi è impressa tutta l’angoscia degli ultimi attimi. In un fosso. Sotto il fuoco di un mortaio. È il testamento di un reporter, di un professionista delle immagini, di un fotografo che scatta fotografie sino agli ultimi istanti di una vita sempre alla ricerca della verità. Sempre alla ricerca della luce. C’è un ultimo scatto. Ritrae una stanza di obitorio, è fortemente sottoesposto. “Si vede che l’ultima foto è anche una foto molto scura, fatta nell’obitorio, quindi vuol dire che è stata fatta l’ultima foto, poi è stata tolta la scheda e nascosta da qualcuno in obitorio” – continua Sala.
Qualcuno, di cui tutt’oggi non è nota l’identità, ha testato la macchina fotografica, poi, probabilmente temendone la sparizione, ha estratto la scheda SD dal dispositivo e l’ha occultata all’interno dello zaino. Preservando la memoria. Malgrado tutto.
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Dei bambini stipati in cantina come conserve guardano tra l’impaurito e lo stupefatto l’obiettivo del fotografo. Sopra le loro teste gli adulti tirano una linea già tesa come un elastico. È una linea di confine, che divide una coperta troppo corta chiamata Donbass. A contendersela sono due fazioni di uno stesso popolo condotte da una escalation di violenze a una guerra fratricida, chi mira all’Europa e chi alla Russia. Questa foto è emblematica del lavoro di Andrea Rocchelli. Era capace di scendere in questo tipo di profondità. Nella narrazione della guerra non rincorrreva la prima linea, non ricercava sensazionalismi, puntava alle persone, alle storie. Nonostante la giovane età, non era la prima volta che si recava in Ucraina, e non era la prima volta che documentava scenari di crisi. Aveva seguito le rivolte del Maidan a Kiev, era stato in Kyrgyzstan, era stato nel Caucaso, in Inguscezia, in Russia. Aveva seguito la Primavera Araba. E poi, Afghanistan, India, Haiti… Aveva scattato questa foto nel distretto di Cherevkovka, Sloviansk, oblast' di Donec'k, il 14 Maggio 2014, appena dieci giorni prima della sua morte. Aveva trentuno anni.
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24 maggio 2014. Ulteriore linea contesa, periferia di Sloviansk. Divide lo stabilimento italo-ucraino Zeus Ceramica, al momento dei fatti occupato dai filorussi, dalla collina del Karachun, di fronte, sormontata da una grande antenna televisiva, picco altimetrico strategico presidiato con artiglieria pesante dall’esercito regolare ucraino e dalla Guardia Nazionale, un corpo paramilitare di combattenti volontari. Questo è un campo di battaglia, tutto diviene concreto. La linea che divide le due fazioni questa volta è fisica: è una linea ferroviaria sulla quale un treno bloccato dai filorussi funge da barricata, impedendo il passaggio dei mezzi ucraini. Anche il mezzo sul quale viaggiava Andrea Rocchelli si arresta lì. È un taxi che condivide con il suo interprete e amico Andrej Mironov, giornalista dissidente ed ex prigioniero politico russo, e con un giovane collega francese, William Roguelon. La loro meta era un vicino villaggio bombardato il giorno precedente ma Andy e William Roguelon decidono di approfittare dell’imprevisto per scattare qualche foto al convoglio ferroviario.
A un tratto appare un civile che li avverte della presenza di milizie. Sembra molto turbato. Andy scatta una foto anche a lui, poi decidono di allontanarsi. Pochi secondi dopo, forti schiocchi attorno a loro. Sono presi di mira. Colpi di Kalashnikov dalla distanza. Tutto improvvisamente si fa concitato. Il gruppo, che tornava indietro verso la vettura, si ripara in un fossato ai margini della strada. Arrivati all’altezza del taxi, decidono di attendere che cessi il fuoco prima di abbandonare il riparo e fuggire con l’automobile che, invece, dopo qualche minuto viene raggiunta dai primi colpi di mortaio. Il bersaglio è proprio l’auto e, immaginandosi al riparo nella boscaglia, Rocchelli, Mironov e Roguelon, il tassista e il civile, si allontanano dal mezzo, tornando verso il treno. Roguelon impugna la sua macchina fotografica e gira un breve video. Le immagini sono confuse, l’audio invece è chiarissimo.
[non udibile]
… spari …
– А это что было? (Che cos'era questo?)
– Перестрелка, с Калашникова одиночными стреляют… (Spari, colpi singoli da un Kalashnikov…)
– …
– с двух сторон… мы попали в середину (мы находимся посередине)… кто-то здесь сидит и стреляет… слышно…[non udibile]… из минометов… здесь тоже где-то миномет стоит рядом… (Da entrambi i lati… siamo nel mezzo… qualcuno è nascosto qui e spara con quello che ha… si sente…[non udibile]… dai mortai… anche qui, da qualche parte c'è un mortaio nelle vicinanze…)
Da quella fossa Andy e Andrej Mironov, non usciranno più. William Roguelon, invece, dovrà raccogliere tutte le sue forze per rialzarsi sulle sue gambe dilaniate da una delle prime esplosioni, superare i cadaveri dei compagni, e raggiungere la strada, dove riuscirà a fermare un’automobile di passaggio e fuggire. Sarà la sua determinazione a salvarlo, e a far giungere a noi la versione dell’accaduto più prossima ai fatti.
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Nell’ambito delle intricate vicende processuali l’episodio portante su cui si basa tutto l’impianto accusatorio, vede protagoniste ancora le immagini (un approfondimento con le registrazioni integrali è pubblicato da Radio Radicale). Nel 2016, un giovane pm, riceve l’incarico di archiviare il fascicolo sul caso Rocchelli. È un fascicolo che definisce troppo vuoto per l’archiviazione. Il pm, Andrea Zanoncelli, condivide con Rocchelli il nome, l’anno di nascita ma, soprattutto, la voglia di scavare a fondo, di avvicinarsi al vero. Riapre le indagini ripartendo da zero. Riscopre un’intervista di Ilaria Morani che, all’epoca della pubblicazione sul “Corriere della Sera”, venne relegata dalla redazione esclusivamente a un trafiletto sull’edizione web. Contiene l’intervista a un soldato che Morani definisce un “capitano dell’esercito”. Parla italiano. Si lascia sfuggire quella che agli inquirenti sembra una confessione:
Qui non si scherza, non bisogna avvicinarsi: questo è un luogo strategico per noi. […] Normalmente noi non spariamo in direzione della città e sui civili, ma appena vediamo un movimento carichiamo l’artiglieria pesante. Così è successo con l’auto dei due giornalisti e dell’interprete. Noi da qui spariamo nell’arco di un chilometro e mezzo. Qui non c’è un fronte preciso, non è una guerra come la Libia. Ci sono azioni sparse per tutta la città, attendiamo solo il via libera per l’attacco finale.
Il “capitano dell’esercito” è in realtà un miliziano non graduato, appartenente alla Guardia Nazionale ucraina, un corpo ausiliario composto da volontari di varie nazionalità. Si chiama Vitaly Markiv, è nato in Ucraina ma si è trasferito in Italia al seguito della madre, appena dodicenne. Qui ha ottenuto la cittadinanza, ha lavorato come personal trainer e come dj, ha tentato senza successo un concorso nell’Esercito Italiano, ha seguito con apprensione le rivolte del Maidan sinché ha deciso di tornare nel proprio paese natale per arruolarsi come volontario. Parlando italiano diventa un riferimento per i Carabinieri italiani che in Ucraina svolgono attività di addestramento alle forze di polizia locali, ingaggiandolo per attività di interpretariato, e, a seguire, anche per lo stuolo di giornalisti arrivati dall’Italia per coprire il conflitto. Il passaporto italiano di Markiv rappresenta il punto di svolta per le indagini: l’azione penale non richiede più la collaborazione di una magistratura estera. È il 2017 e, dopo due anni di intercettazioni, gli inquirenti arrestano Markiv, mentre rientra in Italia per presentare la compagna, appena sposata, alla madre, residente a Bologna. Ha con sé vari dispositivi elettronici, periferiche di archiviazione, una go-pro. Le foto e i video che contengono forniranno agli investigatori una testimonianza straordinaria.
Sino ad allora – siamo prima del ritrovamento degli scatti di Andy – le uniche immagini che narravano la vicenda erano quelle contenute nel video di William Roguelon, che ci mostrano i momenti di angoscia sotto il fuoco, nel fosso. Ora, i video e le foto di Markiv ci portano dall’altro lato di quella linea, fin sulla collina, esattamente da dove quel fuoco proveniva. C’è tutto: la grande antenna in cima al Karachun, le posizioni della Guardia Nazionale sulla collina, i miliziani che sparano in direzione della Zeus Ceramica… Uno di questi video in particolare, girato all’inizio di giugno, appena una decina di giorni dopo la morte di Rocchelli e Mironov, vede Markiv inquadrare una postazione di tiro con una mitragliatrice fissa mentre fa fuoco, poi, incredibilmente, appena prima della chiusura, vede il soldato girare il dispositivo verso se stesso per riprendersi in viso mentre fischietta. Una sorta di selfie che lo collega in maniera indissolubile a quei luoghi, a quei momenti.
Così il pm Zanoncelli, intervistato da Mario Calabresi ne La Volpe Scapigliata:
Vediamo una postazione in cui è presente Markiv Vitalij, in quanto alla fine di questo video ha l’accortezza, incredibile risultanza, per noi, investigativa, di voltare il tablet e riprendersi in volto. Abbiamo un video in cui vediamo una postazione che punta direttamente verso il luogo dei fatti e questo video è di pochissimi giorni successivo al 24 maggio del 2014, quindi al giorno in cui sono accaduti i fatti. La mitragliatrice, la Zeus Ceramica, la vegetazione di cui vi ho parlato, il fosso, la mitragliatrice che spara… questo video è risultato molto importante perché da questo video e dalla traduzione delle comunicazioni che sentiamo scambiate abbiamo capito quale fosse la dinamica di attivazione di queste mitragliatrici. Noi sentiamo una sola voce ma che chiaramente sta interloquendo con un suo superiore chiedendogli se deve o meno fare fuoco e, a un certo punto chiedendo di attivare i mortai. Questa è stata cruciale perché funziona come riscontro perfetto della serie di aggressioni compiute con armi differenti che William Roguelon aveva raccontato.
Il superiore di Markiv, dall’altra parte della radio, e a capo delle postazioni dei mortai Vasilek, si chiama Michail Zabrodskij, all’epoca comandante della 95ᵃ brigata aviotrasportata, un gruppo scelto di paracadutisti che prese la collina del Karachun di notte, con uno sbarco aereo e la difese dai separatisti per sei settimane. Zabrodskij oggi è Generale, Eroe dell’Ucraina, deputato facente parte, paradossalmente, di un gruppo per le relazioni interparlamentari di amicizia con l’Italia (per approfondire, vedi il video completo dell’inchiesta). Alle telecamere di Spotlight, Zabrodskij disse riferendosi a quei giorni: “Il problema più grosso era che ci trovavamo di fronte a una grande città e colpire il nemico senza coinvolgere i civili, non sempre era una cosa facile”.
Storia di una morte annunciata
Grossi caratteri cirillici in rosso sbarrano la foto segnaletica di Andrea Rocchelli. Una foto dei suoi oggetti personali sparsi sull’erba. Un file zip con i suoi materiali fotografici sull’Ucraina. Questo appare sul sito “Myrotvorets. Pro bono publico”, “Il Pacificatore”, che agisce sotto l’egida del Ministero degli Affari Interni e del Služba bezpeky Ukrayïny, noto come SBU, i servizi segreti ucraini. Il sito, online dal 2014, dichiara l’intento di svolgere attività di schedatura verso “terroristi filorussi, separatisti, mercenari, criminali di guerra, e assassini” ma, piuttosto frequentemente, finiscono tra le sue maglie attivisti politici, oppositori e dissidenti, nonché giornalisti:
In realtà, questi non sono affatto giornalisti, ma soldati della guerra di informazione e propaganda russa, motivo per cui sono anche nella lista del “Pacificatore”. In questa lista ci sono anche tutti coloro che hanno scritto storie contro l’Ucraina. Non hanno ucciso nessuno, non hanno crocifisso, hanno solo mostrato al mondo intero una bugia secondo cui i militari ucraini sono selvaggi.
Questo afferma in una intervista del 9 giugno 2018, Anton Gerashchenko, uno dei fondatori del sito Myrotvorets, ex viceministro degli affari interni, ex membro del parlamento ucraino dal 2014 al 2019, e attualmente consigliere del Ministero degli Interni ucraino. Se nell’ottobre 2014 erano schedate 4,5 mila persone, a quanto sostiene il direttore esecutivo del sito Roman Zaitsev, nell’agosto 2019 la cifra era di 187.000. Un crescendo possibile soprattutto perché le informazioni caricate sul sito provengono per la maggior parte da fonti civili che trasmettono in forma privata informazioni sensibili come dati personali e dei familiari quali domicili, recapiti telefonici, indirizzi web e social, sfruttando le metodologie di Open Source Intelligence. Le schede sono consultabili pubblicamente e non esiste un canale diretto che garantisca la possibilità di contestazione a chi è oggetto della segnalazione, coinvolgendo anche celebrità e personalità politiche e della società civile, in odore di dissenso anche solo per dichiarazioni rese in pubblico. Il sito attualmente dichiara nell’intestazione (in alto a destra) di avere base a Langley, nota per ospitare anche la sede centrale della CIA. ONU, OSCE, CPJ e svariati altri enti nazionali e internazionali si sono pronunciati per la chiusura del sito, ma ciononostante Myrotvorets è tutt'oggi in attività e continua il suo lavoro di schedatura. Si registrano alcuni casi per cui, a pochi giorni dalla pubblicazione della scheda, si sono verificati episodi anche gravi di violenza mediatica e fisica.
Una immagine malgrado tutto
Anche oggi dare la parola alle immagini significa riscattare l’apocalittica situazione di disperazione e mancanza di senso, significa squarciare il velo di tenebre sul presente. Le immagini, rendendosi visibili, aprono un orizzonte di comprensione della storia e della memoria, a partire proprio dal loro essere bagliori intermittenti di verità. L’immagine, colta dalla camera, mantiene un suo valore fondamentale, malgrado l’attuale ipertrofia e manipolazione dei dati visivi, malgrado l’accusa di presunta inadeguatezza di fronte alla non-rappresentabilità delle tragedie storiche. Davanti a un’immagine è necessario che lo sguardo non sia anestetizzato, ma neppure spettacolarizzante, che non si risolva in pigrizia estetica (l’indicibilità dello sfregio) o in un’inoperosità erudita (la presunzione di oggettività del documento). L’evento si rende visibile, si fa immagine; le immagini per la loro natura tanto parziale e frammentaria quanto preziosa agiscono come materiale di contrasto contro la banalità del bene e del male. Il fotogramma non coglie il reale nella sua totalità, ma cattura il reale malgrado tutto. Le immagini, lembi strappati agli orrori del reale, possono risarcire sia la scomparsa del testimone sia l’irrappresentabilità della testimonianza.
Walter Benjamin aveva riconosciuto quanto la ricostruzione storica fosse possibile solo a partire da un fulcro dialettico, da un’increspatura originata da e in un’immagine, “folgorazione” che rende visibile la crepa da cui sgorga. L’apparizione di un’immagine frattura la storia, mostrando l’intervallo del non-sapere, ma risveglia e rimonta la conoscenza, conflagrando in una serie di significati, agisce come “soglia”. Forse la storia può apparire solo in una intermittenza momentanea, fragile e fatalmente preziosa, come le lucciole. Forse questo è il modo per non cedere alla “macchina totalitaria” che tende a farci credere che esista solo il buio o la luce accecante:
Un conto è puntare il dito contro la macchina totalitaria, un altro accordarle così rapidamente una vittoria definitiva e senza riserve […]. Dar credito a ciò che la macchina vuol farci credere significa far vedere solo il buio fitto o la luce accecante dei riflettori, significa agire da sconfitti… significa vedere solo il tutto. Non vedere dunque lo spazio – magari interstiziale, magari intermittente, nomade, collocato in maniera improbabile – delle aperture, dei possibili, dei bagliori, del malgrado tutto (Didi-Huberman [2002] 2010, 27-28).
È il punctum dove, secondo Roland Barthes, deflagrano le più profonde concrezioni di senso dagli aspetti più reconditi, non-intenzionali e non-formali del gesto fotografico, che svelano le asimmetrie, i meccanismi di potere, le latenze, i ritardi e le disconnessioni e le tragedie delle contingenze.
Una Ricoh GR, un iphone, un registratore portatile, due taccuini, una piccola sacca, una custodia, un passaporto aperto sulle generalità. Oggetti personali. Sono disposti sull’erba. È l’identità di un uomo. È la vita di un uomo. Le alette di un proietto esploso. Un punctum. Nella stessa foto. È la morte di un uomo. Dello stesso uomo.
L’uomo è Andrea Rocchelli. Andrea Rocchelli è un fotografo. E lo stesso Rocchelli sembra commentare questa foto:
La documentazione avviene con qualsiasi cosa, con un pezzo di carta o con una fotografia, con un sasso… […] qualsiasi cosa documenta… […] io lo vedo come evidences, come prove, quindi che io faccia una foto o che raccolga un bossolo da per terra, o che mi faccia dare del materiale che altri hanno fatto, tutto documenta […] qualsiasi cosa può essere una testimonianza (Andrea Rocchelli ai microfoni di Viaemili@docfest nel 2010).
Sitografia
Sito Andy Rocchelli
Sito Articolo 21
Sito Cesura
Sito Milano Today
Sito Myrotvorets
Processo per l'omicidio del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e del suo interprete russo Andrej Mironov, “Radio Radicale”, 2019-2020.
Riferimenti bibliografici
Calabresi, Dichiarante 2020
M.Calabresi, A. Dichiarante, La volpe scapigliata. Andy Rocchelli, storytell.com.
Didi-Huberman [2003] 2005
G. Didi-Huberman, Immagini malgrado tutto [Images malgré tout, Paris 2003], Milano 2005.
Didi-Huberman [2002] 2006
G. Didi-Huberman, L'immagine insepolta: Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell'arte, tr. it di Alessandro Serra, Torino, Bollati Boringhieri, 2006.
Didi-Huberman [2002] 2010
G. Didi-Huberman, Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza, [Paris 2002] Milano 2010
Didi-Huberman 2007
G. Didi-Huberman, Storia dell’arte e anacronismo delle immagini, tr. it. Stefano Chiodi, Torino 2007.
Didi-Huberman 2009
G. Didi-Huberman, L’immagine brucia in Teorie dell’immagine: il dibattito contemporaneo, a cura di A. Pinotti e A. Somaini, Milano 2009.
Didi-Huberman 2010
G. Didi-Huberman, Rendere un’immagine, in “aut aut”, 348, 2010, (“Un’etica delle immagini”), 6-27.
Morani 2014
I. Morani, Ucraina, il racconto del capitano. ‘Ecco come è morto Rocchelli’, “Corriere della Sera”, 25 maggio 2014.
Scereseni, Borello 2022
A. Sceresini, G. Borello, La disciplina del silenzio. Inchiesta sulla morte di Andy Rocchelly e Andrej Mironov, “RaiNews24” 2022.
English abstract
This contribution traces the story of Andy Rocchelli, an Italian reporter killed in Donbass in 2014, focusing on his last roll of photos - lost and later found. Starting from this, and with Didi-Huberman's essay as a guide, Rocchelli's last photos allow us to question the role of Images Despite All.
Keywords: Andrea Rocchelli; Georges Didi-Huberman; Donbass; Images
Per citare questo articolo: M. Lanzerotti, A. Benedetti, Immagini malgrado tutto. Materiali per una tavola warburghiana, ”La rivista di Engramma” n.190, marzo 2022, pp. 125-140 | PDF dell’articolo
To cite this article: M. Lanzerotti, A. Benedetti, Immagini malgrado tutto. Materiali per una tavola warburghiana, ”La rivista di Engramma” n.190, marzo 2022, pp. 125-140 | PDF of the article