"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

194 | agosto 2022

97888948401

Eracle, l’invisibile

Testo integrale della drammaturgia

Fabrizio Sinisi, Christian Di Domenico

English abstract

§ Scheda di presentazione
§ Testo integrale della drammaturgia

Scheda di presentazione

Con Eracle, storia di un padre separato che precipita nell’abisso della povertà, della disperazione e del baratro psichico, l’operazione è stata quella di lavorare sul concetto di competizione e performatività. La cultura dell’individualismo, di matrice americana, è un contesto così pervasivo da rendersi invisibile: sfugge agli occhi il motore tragico che anima lo sforzo collettivo di primeggiare e che, spesso, conduce alla frustrazione e alla depressione del desiderio e dei suoi equilibri. Eracle è, in qualche modo, una parabola – la vicenda di un uomo piccolo che, come un corpo nello spazio, precipita sotto il peso della forza di gravità sociale (vedi, in questo stesso numero di Engramma, le riflessioni dell’autore/attore Christian Di Domenico, Eracle e gli invisibili).

Eracle, l’invisibile da Euripide
parole di Fabrizio Sinisi e Christian Di Domenico
con Christian Di Domenico
consulenza sociologica Domenico Bizzarro
progetto e regia Gianpiero Alighiero Borgia
produzione Teatro dei Borgia, coproduzione CTB (Centro Teatrale Bresciano) e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Eracle, l'invisibile ha debuttato a Sansepolcro (Festival Kilowatt) il 21 luglio 2020.

Christian Di Domenico in Eracle, l’invisibile.

Eracle, l’invisibile

testo integrale della drammaturgia

Buonasera. Comodi? Voglia de lavurà saltam adoss!
Vi guardo e mi viene in mente una frase di Jerome: “Mi piace il lavoro. Mi affascina completamente. Starei seduto per ore a guardare qualcuno che lavora”.
Mio padre, quando stava per uscire di casa per andare a lavorare in caseificio e mi vede sdraiato sul divano davanti alla televisione, mi diceva:
“Che bella vita si rurass’… Mangi, bivi e vai a spass’!”
Sapete qual è la differenza tra un operaio e un intellettuale?
L’operaio si lava le mani prima di pisciare, l’intellettuale dopo.
Non è mia, è di Jacques Prevert, di cui io amo soprattutto la poesia.
Stamattina ho imparato questa…
Io faccio così: una poesia al giorno al posto della mela.
“Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte.

Il primo per guardare tutt’intero il tuo volto.

Il secondo per vedere i tuoi occhi.

Il terzo per vedere la tua bocca.
E l’oscurità intera per ricordare tutto questo mentre ti stringo tra le braccia”.
Bellissima, vero? Merita un brindisi.

Purtroppo, qui, si può solo con l’acqua…
Allora, brindo ad un vecchio amico, il grande Antonio del Bistrot Popolare di Brescia, che purtroppo non c’è più, al quale voglio dedicare i versi di un poeta a lui molto caro, Cesare Zavattini:

“Diu al ghè! Sal ghè la figa Diu al ghè!”

Ciao Antonio! Ricordati di mandarci una cartolina!

Qualcuno si è offeso per l’accostamento con Dio?

Spero di no… “Ci sono persone così affamate nel mondo che Dio non può apparire loro se non in forma di pane”. Mahatma Gandhi. Io il pane sto cercando di imparare a farlo, che nella vita non si sa mai… “Siamo tutti apprendisti in un mestiere di cui non diventeremo mai maestri”…
Hemingway

Ho sempre amato la poesia. La poesia e le citazioni.
Tiziana l'ho conquistata così. Eravamo all’Università.

È venuta a chiedermi delle spiegazioni: allora collaboravo con il centro informatico di facoltà. Eravamo uno accanto all’altra, curvi su due postazioni vicine; quando lei, lei, mi mette una mano sui pantaloni e mi fa: “Spiegami come funziona questo coso”, alludendo al suo computer. Io mi irrigidisco e le dico: “Chi desidera ma non agisce, alleva pestilenza”. William Blake.
Corremmo a far l’amore in uno sgabuzzino della biblioteca. Mi sono innamorato di lei. All’inizio abbiamo avuto molte difficoltà. Più Tiziana. Per lei le ristrettezze erano una cosa nuova, veniva da una famiglia borghese. Per me no. Erano la mia condizione naturale. Padre casaro, campano, madre casalinga, siciliana, vissuti in affitto con fatica… Lo so, è volgare parlare di soldi. “Ci sono cose ben più importanti del denaro: è che servono i soldi per comprarle”. Groucho Marx.

Comunque… Mi ero appena laureato con 110, lode e plauso accademico, con una tesi sul concetto di infinito da Stephen Hawking a Leopardi, io che potevo ritrovarmi a fare ricotte alle 5 di mattina, quando mio padre mi dice: “Adesso devi farti strada da solo, noi non potremo aiutarti molto”.


E muore, per togliermi ogni dubbio, senza lasciarmi niente. Solo la Fiat Uno per portare Tiziana a far l’amore. “Che carina!”, dicevo io. “Un po’ scomoda”, diceva lei. Allora mi sono messo a lavorare. Facevo contemporaneamente tre lavori: ripetizioni private, correttore di bozze per una casa editrice e avevo iniziato anche a fare qualche supplenza. Sono andato a prenderla con una Fiat Punto nuova! Un mese sono arrivato a guadagnare esattamente 1.936.000 lire.


E ho preso un monolocale in Bovisa con l’arazzo etnico e le lenzuola leopardate. “È bellissima!”, dicevo io. “Un po’ lontana da casa di mamma”, diceva Tiziana,
 tutte le sere, quando la riaccompagnavo a casa dei suoi.
 Alla fine di quell’anno il 1.936.000 lire divenne mille euro. 

Quel capodanno sembrava magico. “Ci sposiamo?”
 Arriva il concorsone per entrare di ruolo.


La vita contemporanea è difficile, tutto cospira contro chi non ha capitali, specialmente a Milano, la città del progresso, la città dell’Europa… ma il costo del metro quadro a Milano è folle, inaccessibile.
 Mi davo da fare come un matto. Mettevo i soldi da parte giorno dopo giorno con i lavoretti che facevo e studiavo per il concorso e siccome l’ho superato e siccome avevo un punteggio molto alto e siccome ero tra i primi in graduatoria, mi hanno dato una cattedra a tempo indeterminato in uno dei migliori licei di Milano.

Ho avuto accesso a un mutuo e finalmente ho portato via Tiziana da casa della madre: “Amunì, femmena! Ora ce ne dobbiamo andare, subbito! Buttana industriale”. Lina Wertmüller.

Abbiamo comprato casa e ci siamo sposati. Una bella casa, proprio quella che volevamo. Molto più in centro della casa della mamma.

Al primo colloquio al liceo la preside mi ha detto: “Persone come lei ce ne vorrebbe una per ogni aula della scuola. Qui uno bravo come lei potrà fare tanta strada”. E così faccio, mi faccio strada, avanzo e divento quello che ho sempre sognato di essere: professore di Italiano e Latino, in un liceo, a Milano, sposato.


Mi alzo ogni mattina e lavoro sodo. Non lesino fatica, non do nulla per scontato, non elemosino approvazione. Sono uno tagliato e per questo piaccio a tutti, ai colleghi e ai ragazzi. Oddio… Ai colleghi… Non a tutti: essere bravi è una condanna. Ci sta che qualcuno possa essere invidioso. Comunque il mio posto è con i ragazzi e ne sono orgoglioso. Mi cercano di continuo, i sottopongono i loro problemi, non solo scolastici ma anche personali, problemi con gli amici, con i genitori, con i fidanzati e con se stessi, problemi insomma con il mondo e per quanto i problemi con gli adolescenti siano un negozio di chincaglierie dove gli elefanti ballano la samba, io me ne faccio carico, li aiuto, li consiglio.


A Claudio, che ha qualche chilo di troppo e per questo viene preso per il culo, gli ho detto di leggere la biografia di John Belushi.

A Vera, che mi ha confessato di avere una mezza cotta per uno un po’ più grande di lei che non la caga, le ho detto: “Vera, sei così bella che troverai senz’altro qualcuno che saprà apprezzarti”.

A Stefano, che si sente incompreso e isolato, gli ho dato come compito quello di preparare un numero per lo spettacolo di fine anno del Liceo di cui ero il regista, insieme a Claudio. Gli ho proposto i Blues Brothers, che per loro erano archeologia, e adesso per tutti sono Jake ed Elwood, i più fighi della scuola.
Elena mi ha detto di essere in crisi perché non riusciva a decidersi fra tre ragazzi che la corteggiavano. Le ho detto: “Elena... Innanzitutto crisi è una parola greca che significa: scegliere. In cinese invece crisi e opportunità si scrivono con lo stesso ideogramma. Quindi adesso tu sei nella situazione privilegiata di chi ha l’opportunità di scegliere. Però non farli aspettare troppo”. “Quelli che pensano troppo prima di muovere un passo, trascorrono la loro vita su un piede solo”. Padre Pino Puglisi.
E poi c’è Andrea che è un po’ mingherlino, che mi fa: “Prof, io vorrei diventare più forte, imparare a difendermi…”. Gli ho detto: “Qual è il problema: ti iscrivo alla palestra dove vado io”. “No, prof, io, in palestra…”.
“Andrea, se possono trarre la penicillina da del pane ammuffito, sicuramente potranno tirar fuori qualcosa da te”, non lo dico io, lo dice Mohamed Alì.

“No, prof, impossibile…”. “Andrea: se tu pensi che una cosa sia impossibile, la renderai impossibile”. Bruce Lee. Si è iscritto in palestra.

Ci tengo ai miei studenti.

Ci sono tanti professori nei licei che sono finiti lì perché hanno rinunciato.

Gente che nella vita voleva fare altro, diciamoci la verità, 
e si è ritrovata nella scuola solo per campare, per lo stipendio.

Io ho scelto questo lavoro: con i risultati che avevo avrei potuto fare qualsiasi cosa. Con i miei studenti non erogo lezioni, cerco lo scambio.
Mi spendo. Preparo le lezioni, mi appassiono a loro
 così che loro si appassionino a me e soprattutto alle cose che insegno. D’altra parte, per definire il sostantivo “studium”, il dizionario latino recita: applicazione, ardore, passione, Amore.

Ecco: ho una bella casa, una bella moglie, il lavoro che ho sempre sognato e che ci fa anche vivere decorosamente e una figlia.


Già, non vi ho detto di Laura.
La mia povera mamma se n’era andata da poco.
Quand’è nata la mia bambina l’abbiamo chiamata come lei:
 Laura. Niente mi ha mai reso più felice che tenere in braccio quella scimmietta.
Sono un padre: pannolini, latte in polvere, biberon, sterilizzatore, ciucci vari, tutine, calzini, calze lunghe, canottiere, cuffiette, bavette, tiramuco, libera il naso, asciugamani, vaschetta, bagno schiuma, olio di mandorle, fissan crema, pannolini, box, carillon, giochini vari, piumino, lettino, lenzuolino, porta in auto, carrozzino, passeggino, seggiolino, borsa con i pannolini… Borsa con la pappa, borsa con il cambio, borsa con gli altri pannolini, l’altra pappa, l’altro cambio, che non si sa mai.

Sono un padre.

Per crescere una figlia a Milano ci vogliono un sacco di soldi.

Dopo la gravidanza Tiziana comincia a preoccuparsi.

“Ma come facciamo: abbiamo un mutuo di 500 euro sulle spalle…”.

A scuola serve un responsabile informatico e la preside, Cristina, con la quale ormai siamo amici, ha istituito un bando interno per i docenti:
 è un ruolo per cui è previsto un incremento retributivo,
 dato che si tratta di un finanziamento europeo. 
Bisogna inventarsi un progetto al quale far partecipare i ragazzi.
Il mio progetto è semplice: 
organizzare sul sito della scuola uno spazio social, con gruppi, bacheche, possibilità di postare foto e video, un piccolo Facebook.
 Lì con gli studenti condividiamo le lezioni, le loro opinioni sui testi e gli autori che propongo. Vera è sempre molto gentile. Mi manda dei messaggini pieni di complimenti, io mi imbarazzo, non so mai come rispondere e infatti non rispondo. Si creano dei forum, gli studenti parlano tra loro, si confrontano. 

“Il Grande Liceo” l’ho chiamato e ho ottenuto il ruolo: 
Direttore del Centro Informatico Temporaneo della scuola.
 450 euro di incremento.
 Quando sono andato a ringraziare Cristina nella sala professori mi dice: “Ti serve di più, con il mutuo e la bambina come fate”.
 E, da amica, mi ha inserito in un giro di ripetizioni private. Così arrivo a guadagnare altri 350, 400 euro, in totale quasi 2500, 2600 euro al mese, a seconda di quante lezioni private do, che non è certo poco per uno con la vocazione da insegnante. Più ci sono gli 800 euro al mese di Tiziana, 
totale: 3450 euro al mese di media. Ce l’abbiamo fatta! Stiamo bene noi…
 Tiziana non è più la ragazza dell’Università, ma è una donna bellissima. A letto ci tocchiamo. Lei a volte mi fa capire che non le va.

Adesso tocchiamo un argomento un po’ delicato: il sesso coniugale. Tiziana è bravissima, mette in mezzo qualsiasi oggetto la cui vista ti allontana anche solo dall’idea dal sesso: la borsa d’acqua calda, i peluche di Laura, Laura… Poi indossa ciabatte, pigiamoni, tira fuori scatole di medicinali per controllarne la scadenza, foto di amici, parenti, parenti defunti. Parla di bollette, del commercialista. È difficile concentrarsi così. Ma io sono diventato bravissimo a preparare il terreno. Chi pensa che il sesso domestico è noioso? Va bè, Maupassant diceva: “Giudico il matrimonio uno scambio di cattivi umori di giorno e di cattivi odori di notte”. Ma va’ a cagà Maupassant! Ieri un mio amico mi fa: “Ho chiesto a mia moglie: in una scala da 1 a 10, che voto di daresti come amante?”. E lei gli ha risposto: “Amore, lo sai che non sono brava con le frazioni”.

Tranquillo! Conosci così bene casa tua, basta un po’ di creatività. Io vado all’attacco in cucina, mentre stende il bucato, sulla poltrona quando vuole guardare la tv, ma a volte anche nei posti più esotici, la doccia, lo sgabuzzino… Una volta l’ho portata dentro l’armadio, ci cadde tutto addosso. Laura si è spaventata, da dietro la porta ci ha gridato:
 “Papà, mamma, che state facendo?”. “Il cambio di stagione, amore!”.

Tiziana poi si è messa a lavorare come segretaria nello studio di un noto avvocato, dalle nove alle due, poi vuole dedicarsi alla bambina e alla nostra vita. Si alza verso le sei e mezza, mette su il caffè, sveglia la bambina, intanto mi sveglio anch’io, ci prepariamo tutti e usciamo. Alle sette e trenta precise facciamo colazione nel nostro bar, tutte le mattine, è il nostro momento.
Poi Tiziana prende la metro e va in ufficio.
Io accompagno Laura a scuola in macchina e nel tragitto ascoltiamo le canzoni dei miei cantautori preferiti.
La lascio davanti a scuola ed è questo l’istante peggiore della giornata: quando tua figlia scompare nella massa dei marmocchi che varca il portone, butti lo sguardo oltre la vetrata, un po’ di più, ma niente, è scomparsa. 
Che tragedia, pensi, che tragedia sarà davanti alla discoteca, che tragedia sarà davanti all’altare. Allora corro al lavoro e penso che tra meno di otto ore la rivedrò, almeno finchè fa le elementari, la rivedrò.
Mio padre era un buon diavolo, ma non voglio fare come lui. 
Per Laura io e Tiziana mettiamo dei soldi da parte, per l’Università e per la vita, un conto risparmio vincolato. Ogni mese versiamo 200 euro di media, a seconda di quello che rimane: dal mutuo, 500 euro, dalle bollette, mediamente 280 euro, dal condominio 80 euro, dai telefoni 60 euro, dal corso di danza di Laura 65 euro, lo yoga di Tiziana 35 euro, la mia box in palestra 70 euro, la rata della Folletto 62 euro, quella della Fibra 29… Il corso di teatro è gratis, ma le gite, qualche uscita, i regali, le pizze fuori non puoi preventivarli ogni mese. Ma qualcosa rimane, ci facciamo in quattro perché qualcosa rimanga. Ogni mese. 
Così che Laura un domani abbia sempre qualcosa. 
In 8 anni abbiamo messo da parte 14.400 euro.

Un giorno, verso le 10.00, sto per entrare in aula per tenere la mia lezione.
 Il programma prevede Pirandello.
 Davanti a me: Jack ed Elwood che dormono negli ultimi banchi; Vera che continua a messaggiare con il telefonino; Andrea che fa pesi con i dizionari di italiano e latino; Elena che si sta rifacendo il trucco… 
Allora vado alla lavagna e scrivo: “A che serve studiare?”
 Poi sveglio Jake ed Elwood: “Per cortesia, almeno per quest’ora, potete togliere gli occhiali scuri?! Così potete venire alla lavagna e cercare di rispondere a questa domanda. A che serve studiare?
”. “A crescere bene” dice Elwood. “Banale”. “A diventare persone migliori”, dice Jack. “Scontato. Andate a posto. Andrea, dai, vieni tu e prova a dare la tua risposta”. “Prof, studiare ti arricchisce”. “Va bene Andrea, un po’ più di fiducia in te stesso, dai, torna al tuo posto”. “Vera, lascia stare il telefonino e vieni qua, brava. Proviamo a cambiare prospettiva? Prova a salire sulla cattedra”. Lei imbarazzatissima. “Ti aiuto io.” Le prendo la mano e l’aiuto a salire prima sulla sedia e poi sulla scrivania. “Allora, Vera, secondo te, a che serve studiare?”. Paralizzata, muta. “Tranquilla, ti aiuto io. A evadere dal carcere”. Tutti mi guardano sbalorditi.
“L’ignoranza è un carcere, perché là dentro non capisci chi sei, cosa vuoi e non sai che fare. In questi anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile. Vi vogliono stupidi, ma se riuscirete a scavalcare il muro dell’ignoranza, come tu Vera hai scavalcato la cattedra, allora capirete senza chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. In cambio, da voi desidero solo una cosa: parlatemi, ditemi che cosa vi annoia e cosa vi fa rabbrividire. Cosa vi disturba e cosa vi provoca emozioni, cosa vi innamora. 
Diamoci parole,
io faccio parole per te

e tu le fai per me.

Io spavento

Tu malinconia

Le parole come piccoli inciampi
per frenare il tempo che va via”.


“Oggi, cambio di programma, niente Pirandello: Franco Arminio, grandissimo poeta italiano. E sono felice di essere il primo a proporlo nel piano didattico!”.

Applauso di tutta la classe. Io che prendo in braccio Vera e la riporto quasi danzando al suo banco. Al termine della lezione tutti i ragazzi a darmi un cinque, qualcuno mi dava anche una pacca sulla spalla:
“Grande Prof!” “Mitico Prof!”

La mattina dopo, sempre verso le dieci, mentre sono in aula che faccio il mio lavoro, vengo convocato dalla preside con urgenza.
 Mi siedo sulla solita poltrona. “Cristina che succede?”.
 Spesso in quest’ufficio in qualche pausa prendiamo il caffè e commentiamo le notizie del giorno.

Oggi mi fissa dall’altra parte della scrivania.
 Mi tiene un lungo discorso. 
Un termine che ritorna è un vocabolo che sentiamo spesso al telegiornale: “molestie”. Immagino che qualcuno tra i ragazzi abbia molestato una compagna. “Vuoi che ci parli io con i ragazzi?”
 “Di cosa?”
 “Forse hai avuto un atteggiamento anomalo?” 
“Chi?”
 “Ti chiedo se tu hai avuto un atteggiamento ambiguo?”
. “Che atteggiamento ambiguo?”
. “Forse, dico forse, l’hai toccata per sbaglio, per scherzo?”
. “Ma di che stai parlando?”. 
“I genitori di una tua alunna, Vera, furibondi, sono venuti stamattina in presidenza: la ragazza sostiene che ieri tu le abbia toccato il sedere. Pretendono il licenziamento e forse scatterà anche la denuncia”. “Cristina, ma stai scherzando?! Oh, Cristina, tu mi conosci!”.
 Stiamo in silenzio a lungo. “Cosa succederà?” 
“Non so cosa pensare”, risponde.

A casa Tiziana è subito dalla mia parte. 
Non fa domande, non vuole chiarimenti.
 Mi abbraccia. A scuola per il momento evitano la denuncia, 
ma anche il mio sguardo, tutti: i colleghi, i collaboratori didattici, i ragazzi. Nessuno mi guarda più negli occhi.
 “Tutto questo si calmerà presto”, dice Tiziana.
 “Non ho fatto niente”, rispondo io. 
L’episodio finisce però in un sondaggio online inserito da Valentina sul Grande Liceo: “È giusto licenziare il Professor Manomorta?” 
L’esito è democratico e civile: 89% sì, 8% no, 3% non so. 
Non verrò licenziato per una balla, senza processo.
 Arriva però una comunicazione dalla scuola: 
il progetto d’informatica è sospeso, il centro temporaneamente chiuso, l’incarico esaurito e vengo anche invitato a prendermi un periodo di ferie. Ovviamente nessun allievo delle lezioni private si presenta più. 450 euro in meno per la perdita dell’incremento e 350 euro in meno per le ripetizioni. Qual è il problema? Ho il mio stipendio: 1700 euro al mese, 800 quello di Tiziana… “Si, però abbiamo il mutuo, 500 euro, le bollette…”. 
“Va bene, Tiziana, quando mi scade la tessera, non rinnovo l’abbonamento in palestra”.
 “Laura però deve continuare danza”, dice Tiziana. 
“Ci mancherebbe! Anche tu il tuo yoga”, dico io.
 “Dai Tiziana, ce la faremo…” 
Ma crescono la preoccupazione e il silenzio. 
La comunicazione pian piano si riduce a:
 “Porti tu giù la spazzatura? Porto io la bimba a scuola”. 
Tiziana accompagna lei la bambina anche dalle amiche, a danza, al cinema.
 Non è mai stata così premurosa.
 “Cerchi di tenermi lontano da mia figlia?”
. Abbassa lo sguardo. Piange.
 Poi s’impunta perché vada io a prendere Laura da scuola.
 Tiziana capisce.


Sono giornate vuote. Senza lavoro, senza compiti da correggere… Andare a prendere mia figlia da scuola è l’unico momento bello.
 Cerco di dilatarlo il più possibile: prendo strade più lunghe, mi fermo con lei a mangiare un gelato.
 Nell’infinito tempo libero, viaggiando su internet, trovo un altro sondaggio online.
 È sempre Vera che chiede:
 “Cosa perderà per primo il Professor Manomorta?
 Il lavoro oppure il matrimonio?”. Il popolo del web è unanime: senz’altro il matrimonio, le donne sono tutte troie, dicono. Come si è eccessivi sul web. 
Tiziana mi chiede perché non intervengo per rispondere a tono a Vera perché non mi difendo…”. 
“Ma Tiziana, di cosa mi devo difendere che non ho fatto niente? E poi… ha solo 14 anni, 6 anni più di nostra figlia…”.

Passo ore e ore senza sapere che fare.
 Continuo a pensare alla denuncia che potrebbe arrivare.
 Allora mi attacco sempre più spesso a internet, ci passo sempre più tempo, 
inizio a investigare, seguo il dibattito che Vera alimenta.
 Ci resto per ore, fino alla mattina.
 Mi alzo quando sento squillare la sveglia della bambina: 
la aspetto davanti alla porta per accompagnarla a scuola. 
Il suo sguardo sorridente è tutto quello che mi serve.

Mia moglie chiede il divorzio. 
È stupefacente come riesca ad ottenerlo immediatamente, quasi senza parlare. Tutto avviene molto rapidamente, con grande pulizia, separazione consensuale la chiamano. Prima ancora che io possa rendermi conto di quello che succede sono seduto nello studio del noto avvocato dove lavora Tiziana e tutto è molto naturale, civile, eccetto le cifre: il 40% del mio reddito da lavoro, quasi 800 euro al mese, per il mantenimento.
 “Ma come faccio?! – dico – C’è un mutuo che ancora sto pagando, ho uno stipendio da insegnante,
 i miei genitori non ci sono più, non saprei neanche dove andare a dormire”. 
“Sua figlia potrà continuare ad andare a prenderla da scuola e vederla la domenica pomeriggio”, dice l’avvocato.
 “È la cosa più importante”, dice Tiziana, seduta accanto a lui, stringendomi forte la mano in cui ho una copia delle chiavi di casa nostra.
 “A patto che sia puntuale con il mantenimento – precisa l’avvocato – e le chiavi dovrà restituirle appena ha ritirato le sue cose”.

Facciamo un po’ di conti. 
Lo stipendio da professore che continuo a percepire è di 1700 euro mensili.
 Il mutuo che ovviamente devo continuare a pagare da solo è di 500 euro. Il mantenimento 800 euro. 800 più 500 fa 1300 euro. 
Rimangono 400 euro.
 Con questi 400 euro devo trovarmi da dormire e da mangiare.
 A Milano.
 Però… Ho da parte ancora qualche soldo dell’eredità di mia madre: quasi 8000 euro. Posso anche prendere per 20 mesi 400 degli 8000 della mamma. 
E fanno 800. 
Mi serve solo un po’ di tempo per far venire a galla la verità.
 Ce la posso fare.
 Mi basterà fare qualche sacrificio, tornare all’essenziale.
 Prendo un monolocale in affitto: 330 euro al mese, me ne restano 470. Sì: è un po’ in periferia, un po’ buio, un po’ malmesso, il bagno è così piccolo che la doccia cade a piombo sul gabinetto. Ma qual è il problema? Caghi e ti lavi contemporaneamente… 
Di notte però sento urla e liti in lingue che non conosco.
 Non posso portare qui la bambina. 
La porto allora nei locali karaoke: è la nostra passione.
 Andiamo nei locali sul Naviglio Pavese, quasi deserti la domenica pomeriggio e mangiamo la pizza e cantiamo, io e lei, da soli, come due innamorati. 
Finalmente la mia questione viene sottoposta al consiglio dei docenti. 
I miei colleghi sono tutti lì.
 Nei loro occhi vedo come ora vedono me. 
Cerco lo sguardo di Cristina, la preside, con lei siamo amici.
 Abbassa gli occhi.
 “In qualità di preside, per non influenzare l’esito della votazione, mi astengo”. I colleghi votano contro di me all’unanimità.
 Va fatto così, non possono non farlo. 100% sì, 1 astenuto, 0 non so. “Io ho fatto tutto quello che ogni insegnante dovrebbe saper fare”.

Mi fanno capire però che sono davanti a una scelta:
 o mi dimetto da solo oppure sarà il Liceo a procedere con il licenziamento immediato. E per non aver problemi col tribunale del lavoro, dovranno far scattare la denuncia. Rifletto molto rapidamente. Se mi licenziano ho diritto oltre che a una buona liquidazione anche alla disoccupazione, ma se scatta la denuncia, seguirà probabilmente un’ordinanza restrittiva e non potrò più vedere mia figlia.
 E poi con i pochi soldi che guadagno è meglio non avere anche guai legali.
 Se mi dimetto io? Perdo la disoccupazione,
 ma ci sarà sempre la liquidazione. 
E senza denuncia potrò continuare a vedere la bambina 
e non creo altri problemi con Tiziana.
 Firmo le dimissioni, firmo io, firmo subito, la seduta è tolta, arrivederci e grazie.
 Mentre esco dalla stanza sento gli sguardi che si risollevano;
 i miei ex colleghi tornano a respirare. Va bene così.
 Vedere mia figlia è la cosa più importante. 
Ho bisogno solo di un po’ di tempo per ristabilire la verità.

Perdo lo stipendio di 1700 euro, ma mi arriva subito la liquidazione. 17 mensilità cumulano circa 28.900 euro. 
L’avvocato mi intima di versare a mia moglie quanto prima il 40% poiché è un reddito da lavoro. Sono 11.500 euro.

Lo faccio subito per non avere problemi con Tiziana e la bambina.
 Mi restano circa 17.400 euro. 17.400 è come se fossero 10 stipendi da 1700:
 800 di alimenti, 500 di mutuo, 330 di affitto. Totale: 1630 di spese al mese. 
I soldi di mia madre sono quasi finiti e così mi avanzano ancora 70 euro al mese. Per vivere. A Milano.
 Riesco a trovare un lavoro in un internet point di pakistani.
 In tutti i posti italiani a cui avevo mandato il curriculum bastava un minuto per ritrovare il mio nome su google. 
Houssein, il proprietario, era gentile, evidentemente non capiva abbastanza bene la nostra lingua e gli bastava che sapessi smanettare sul computer.

Qualche mese in più di respiro.
 Riesco ancora ad andare a prendere Laura da scuola.
 Il momento più bello della giornata, forse il momento più bello della vita, a Laura lo dico sempre: “Venirti a prendere da scuola è la cosa che mi piace più di tutte”.
 Poi un giorno Rashib mi dice col suo italiano assurdo: “Molestie?”. “Rashib, ma che stai dicendo? Tu mi conosci”.
 “Tu pedofilo?!”.
 E mi fa capire che loro, quelli come me, loro non si limitano a licenziarli, a metterli in galera. Pam! E mi da una sberla! 
“Houssein, se sei forte, sii mite e pacifico, in modo che chi ti sta vicino abbia rispetto di te più che paura, non lo dico io, lo dice Chilone di Sparta”.
 Pam! Un’altra sberla. Ci sta… Basta citazioni… Me ne vado.
 E penso: “Ce la posso fare, supererò anche questa prova e ne uscirò più forte”. Me ne vado e rifaccio i conti:
 500 euro di mutuo, 800 euro di alimenti, 330 euro di affitto.
 Totale: 1630 euro.
 Fin qui c’eravamo.
 Più il cibo, poco chè ultimamente non ho poi tanta fame. 
Facciamo 200 euro.
 25 euro alla settimana al karaoke per le uscite con la bambina,
 fanno altri 100 euro.
 Sono 1930 al mese che io devo cacciar fuori e non ce li ho.
 Mi chiama l’avvocato per intimare la restituzione delle chiavi. 
Gli chiedo che fare.
 Se smetto di pagare il mutuo mi tolgono mia figlia.
 Se smetto di pagare gli alimenti mi tolgono mia figlia.
 Se non smetto di pagare qualcosa presto finirà anche la liquidazione. L’unica cosa che posso smettere di pagare senza che mi tolgano mia figlia è l’affitto.
 Scrivo sul web, chiedo consigli: cosa fare nella mia situazione?
 Come risparmiare i soldi per l’affitto?
 “Dai fuoco a tua moglie e tornatene a casa tua” dice uno. 
Un altro, più sensato: “Ce l’hai una macchina tua?”

Ho sistemato il sedile posteriore con delle coperte: 
quando mi sdraio se sto con le ginocchia rannicchiate ho quasi l’impressione di essere in un letto. Quasi. La Punto non è scomoda come la Uno.

E poi le ristrettezze sono la mia condizione naturale.
 Vado a farmi la doccia in palestra: ho ancora la tessera d’ingresso annuale.
 Poi quando la tessera scade giro tutte le palestre di Milano chiedendo di fare una seduta di prova. 
È pieno di palestre a Milano, ce n’è una ogni due isolati.
 Così riesco a farmi una doccia una o due volte la settimana.

Parcheggio la macchina fuori dai bar dove c’è il wifi:
 prendo un caffè per caricare il computer e chiedere la password, e poi tutta la notte sto lì fuori a smanettare, chè tanto di dormire non se ne parla. 
La domenica continuo a portare mia figlia nel nostro locale karaoke sul Naviglio.
 Faccio ordinare solo lei: una pizza, un’aranciata, un dolce.
 “Non mangi papà?” “No amore, papà è a dieta, così diventa più bello”. Per farla ridere le rubo la crosta della pizza e mangio quella. Terminano del tutto i soldi della liquidazione. Ho cercato lavoro ovunque, ma figuriamoci… Google non dimentica nulla. Sono iscritto nell’eternità.

Mi si pone un’altra prova: scegliere di pagare la rata del mutuo oppure gli alimenti? Prima che arrivi la rata del mutuo ho sul conto in banca 925 euro.
 E basta. 925 euro. Li tolgo dal conto in banca e li sposto su quello della posta,
 prima che la rata passi. Lì ci sono gli ultimi 500 euro di mia mamma. 1425 euro in tutto.
 Verso gli 800 euro degli alimenti. 
Ne rimangono 625. 
Arriva l’email dell’assicurazione auto: non rispondo.
 Arriva un pignoramento dell’Agenzia dell’Entrate: non rispondo.
 Arriva l’email della banca: non rispondo.
 Sul conto postale ci sono i miei ultimi 625 euro.
 Verso gli alimenti, solo 500 euro stavolta. L’avvocato di mia moglie dice che se non colmo l’ammanco di 300 euro diventerò insolvente e mi ricorda delle chiavi di casa.
 Insolvente?! Ma ho ancora 125 euro per le ultime 5 uscite al karaoke con mia figlia.

È facile diventare poveri. Basta iniziare, tutto viene da sé. 
Ti fai la barba una volta di meno, non sai come stirarti i vestiti, ti lavi di meno, il fiato ti puzza.
 Quando parli ti sale quel tono lamentoso anche se non vorresti.
 La mente si appanna, diventi più feroce.
 Non ho più i soldi per la benzina: poco importa.
 La macchina è parcheggiata davanti a un bar a Lambrate dove una volta avevo preso un caffè e la password per il wifi. È la mia tana. 
Mi preoccupo per Laura e anche per Tiziana, con quell’avvocato sempre tra le balle. Ho paura. Evito i luoghi della mia vita di prima: se mi riconoscesse qualcuno, sai che umiliazione per Laura e Tiziana… Ogni tanto mangio alle mense, quelle della Caritas… Ce ne sono tanti come me.
 Arriviamo con molto anticipo, per prendere le porzioni più grosse.
 In fila ordinata sul marciapiede. Con qualcuno ho fatto amicizia.
 Mi chiamano: il Professore. Ho messo in campo le mie competenze per aiutarli a tirar su qualche euro in più… 
“Allora, ragazzi… Organizziamoci, mettetevi a semicerchio e ascoltatemi. Io vi ho visti tutti sui marciapiedi con i vostri cartoni con scritto: ho fame, ho fame, ho fame, ho fame… Avete rotto le balle! Banale! Scontato! Tanto lo sanno che le Caritas vi danno da mangiare e da vestire… Serve un po’ di creatività, un po’ di poesia su questi cartoni! 
Vi faccio qualche esempio. Quando mi sveglio è chiaro che l’ansia è la mia rotaia.
 Sono sempre stato un ottimista e mi va bene anche così. 
Per gli stranieri: The more you give, the more I’ll have. 
Per i milanesi: Piutost che nient le mei piutost. 
Porgi lauta mancia.
 Incenso e mirra li ho già, grazie!
 Poi, so che molti di voi si vestono da Babbo Natale a dicembre… Didascalico! È vero, a Natale sono tutti più buoni e vestirsi da Babbo Natale è utile al fine di tirar su qualche euro in più… Ma io vi propongo: Babbo Natale a settembre! Giochiamo d’anticipo, chiaro? Io in realtà ho cominciato a vestirmi da Babbo Natale già a giugno! Vedete?
 Modello: Santa Claus dei Navigli! E per il giusto abbinamento, il suo cartone poetico: Io a Natale non (ci) arrivo.
 Dem! Des moves! Un po’ di fatica! Tutto il giorno a fare un cazzo! A leggere i giornali… Che cazzo ti leggi i giornali: cammina per strada e leggi la vita!
 Sforzatevi di lavorare con le giuste domande. Non siate assertivi. Quando pensi di avere tutte le risposte, la vita ti cambia tutte le domande. Non lo dico io, lo dice Charlie Brown!

Siccome vedo che qui il livello culturale è, diciamo, medio-alto (oddio, ho tolto gli occhiali per cui vedo poco), io vi lascerei alcuni cartoni per cominciare ad esercitarvi. Provate a creare una frase poetica, originale, che spinga i turisti della compassione a lasciare qualche euro in più… 
Allenatevi, che nella vita non si sa mai! 
E per la frase più originale, in premio, un pezzo di formaggio!

A proposito di formaggi…

Un giorno entro in un supermercato.

Mi fermo davanti al banco dei formaggi: lucidi, bianchi, luminosi, perfetti… 
E quanto costano, mio Dio, quanto costano!

Afferro tre pezzi di formaggio e corro alle casse, spintono due carrelli, mi faccio strada a spallate, prima che uno della sicurezza mi afferri.

Al Direttore faccio così tanta pena che non mi denuncia e mi regala i tranci di formaggio che ho rubato. Li accetto. Senza dire niente. Li mangio in un parcheggio, rapidamente. Con mia figlia non posso più incontrarmi.

Vado a guardarla da lontano, all’uscita di scuola, nascosto dietro le siepi.
Lei mi vede, io le faccio un cenno di saluto con la mano, così, poi vedo che c’è anche Tiziana, con l’avvocato. Allora con un dito sulle labbra: silenzio.

E anche lei: silenzio. Un segreto fra di noi.

Ripenso alla mia vita di prima, riesco a dirmi: è vero.

Quello sguardo lì lontano come il paradiso, è la mia vita.

Un uomo ama i suoi figli, si preoccupa per i suoi figli.

Ogni essere al mondo ama i suoi figli, perfino le bestie amano i figli. Impedire che un uomo possa vedere i suoi figli è contro natura.

Ho scritto a tutti: presidenti, deputati, ministri, sottosegretari, delegati, funzionari, portaborse. A tutti, a chiunque ho mandato una email, un post, un tweet, un commento: “Non sono un cliente, né un consumatore, non sono un codice fiscale, né un utente.
Sono un padre, che vuole vedere sua figlia,
un lavoratore che non sa che fare.
Ho perso tutto, mi è stato tolto tutto.
Ma sono un uomo buono. Non sono un bilancio!”.
Ho scritto anche a Tiziana: “Tiziana, perché mi hai fatto questo? Mi amavi, dicevi? In salute e in malattia abbiamo detto? Io ho dato amore a tutti. Mi sono impegnato sempre. Ho sgobbato e faticato solo per te, solo per voi, solo per noi. Ti ho offerto la mia agonia e tu per premio sei sparita?! Ma quand’anche avessi dato una palpatina al culo di quella ragazzina, è giusto che io adesso debba vivere quest’inferno?!
Non lasciare che un avvocato ci rovini la vita. Non è umano. Lui non è umano”. L’avvocato è diventato una star. Parla di me e della mia famiglia in televisione e sorride nei video: non sorridere stronzo.
Lo odio e odio tutti quelli come lui. Sono tutti falsi. Preferisco starmene con la mia gente, la mia assemblea, un popolo di Babbi Natale, la mia nuova famiglia.

L'unica che mi è rimasta. Con loro passo le feste di Natale, inseguendo tutti quelli che per pulirsi la coscienza vengono a trovarci per portarci una coperta o il panettone. Li seguiamo fin sotto casa, suoniamo ai loro citofoni e urliamo verso le loro finestre.

“Chi è?”

“Buonasera signora! Allora, la nostra associazione per questo Natale ha deciso di regalare a suo marito un magnifico putan tour. Sappiamo che suo marito gradisce, glielo dice lei? Buon Natale!”

“Chi è?”

“A Maronna v’accumpagna, Gesù Cristo vi saluta, ogni passo è una caduta! Buon Natale!”

“Chi è?”

“La coppia è un insieme di tre persone di cui una è momentaneamente assente. Lo dice Woody Allen, ma l’abbiamo sentito dire anche a sua moglie, cumenda! Buon Natale!”

“Chi è?”

“Buonasera avvocato! Non te lo do le chiavi di casa, stronzo!”

È la notte di Natale.

Voglio vedere mia figlia. Voglio restare con lei.

Entro a casa nostra, ho sempre le mie chiavi.

Dormono tutti. Scivolo senza fare rumore.

Sono tornato, ho voglia di gridare. Ma respiro piano.

Mi muovo nel silenzio: so quali punti del pavimento scricchiolano, 
in quale cassetto è conservato il nastro carta. Vado in cucina.

Nel buio di chi sa, vedo tutto con le dita.

Mi affaccio poi nella camera di mia moglie.

La guardo nella luce blu che viene dalla strada:
un corpo caldo che respira piano.

Col nastro carta sigillo la finestra.

Torno in corridoio lasciando aperta la porta.

Vado nella cameretta di mia figlia.

Un piccolo acino d’uva sotto le lenzuola,

la mia bambina, circondata da peluche che ne proteggono l’infanzia.
Le ho portato la mia cartolina:

è tutta errori la mia vita, tranne te.

Sigillo i bordi della finestra.
Le bacio la fronte. Lei non si sveglia.

Il bacio di Papà Natale è leggero.
In cucina imposto il timer del forno, giro le rotelle del gas.

Mi siedo e mi addormento a casa mia, nel mio paradiso.

Mi risveglio in un letto d’ospedale.
Accanto uno psicologo con delicatezza, con paura,

mi dice che mia moglie e mia figlia sono morte nell’esplosione.
Soltanto a me non è successo niente.

Io sto bene. Ho solo qualche ustione.

Un miracolo, dice.

E poi vedo accanto a me un piantone.

Mi alzo dal letto, gli dico che vado al bagno,

il corpo mi fa male ma ce la faccio.

Rimetto i pantaloni, apro la finestra: è un piano rialzato.

Esco.

Nessuno mi trattiene. Non ho più niente. Non ho più nessuno.
E resto vivo.

Resto vivo? 

English abstract

Heracles is the hero who challenges Nature and becomes stronger. Teatro dei Borgia identified in Economy the homologue of Nature which represents the battlefield of contemporary humanity. Eracle, l’invisibile (The invisible Heracles) tells the parodistic evolution of human beings, who are today reduced to their mere economic function.
Teatro dei Borgia, with Fabrizio Sinisi and Christian Di Domenico, have reflected on the story of the classical hero and compared him to an iconic character of contemporary society, namely the outcast, invisible, and homeless human being.

keywords | Heracles; Tragedy and contemporaneity; separated fathers; divorced fathers; poverty; neoliberalism.

Per citare questo articolo / To cite this article: F. Sinisi, C. Di Domenico, Eracle, l’invisibile. Testo integrale della drammaturgia, “La Rivista di Engramma” n. 194, agosto 2022, pp. 137-154 | PDF dell’articolo 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.194.0008