“Un’attitudine nomade, un senso di libertà, come quando si mettono tutte le proprie cose in una valigia, la valigia al centro della stanza, si chiudono le finestre e si esce dalla casa, lasciando tutto a qualcun altro” (Sottsass 1982, 5). È così che si racconta Ettore Sottsass Jr. (Innsbruck 1917-Milano 2007), architetto di formazione, artista, designer, fotografo, scrittore, così che presenta il suo approccio nomade agli eventi, il suo continuo viaggiare e cercare nuovi orizzonti, libero dal passato. Un simile approccio lo ha avuto anche rispetto al suo archivio, dopo averlo costruito fin dai primi anni di lavoro come una rappresentazione di sé che andasse oltre l’insieme di documenti, progetti, tracce e materiali vari provenienti dalla sua vita professionale e privata. Questo elemento va quindi considerato non solo come forma di conservazione di una memoria, ma soprattutto come strumento per la costruzione del mito di sé, attraverso un processo fatto di scelte (Zanella 2018). Un repertorio progettato e quindi affidato a diverse istituzioni, proprio come la valigia immaginata al centro della stanza.
Ricostruire tutti i viaggi di Ettore Sottsass è un’impresa quasi impossibile. E forse non avrebbe neppure senso farlo, sarebbe una semplice operazione di ricostruzione della documentazione precisa e accurata che troviamo nei suoi archivi, fotografica prima di tutto, fatta di scritti e disegni, taccuini e annotazioni, così come di agende e piani di viaggi, prenotazioni e inviti a cene e inaugurazioni, progetti di allestimenti e stand che porteranno Sottsass a spostarsi in altre nazioni e continenti oppure oggetti che senza quei viaggi non sarebbero mai stati pensati. Possiamo però cercare di capire il rapporto tra immagine e scrittura, tra racconto giornalistico e letterario e una curiosità da fotoamatore (Zanot 2014, 23), e le motivazioni che l’hanno portato a scattare decine di migliaia di fotografie, organizzare e conservare altrettanti negativi e stampe, all’interno dei quali i viaggi compaiono con la stessa regolarità dei suoi progetti, delle scene domestiche, delle persone che hanno condiviso percorsi con lui. Del suo archivio poi fa parte anche una collezione di ceste e cestini, raccolti nel tempo in diversi paesi, un indizio tra i tanti delle sue passioni per l’oggetto comune, quotidiano, e della sua attenzione per quell’arte popolare e architettura spontanea, a cui già nei tardi anni ’40 inizia a guardare con sguardo e attitudine da progettista (Sottsass 1951, 34-37) e che nei primi anni ’50 diventa oggetto di studio ed esposizioni (Pica 1951). Così come una raccolta di scatole e pacchetti di carta, tutte rigorosamente aperte, trasformate da tridimensionali a una superficie piatta, poi incollate su cartoncino e come sempre meticolosamente conservate. Sono tutti possibili chiavi di lettura, da cui partire per cercare di comprendere cosa ha portato Sottsass a viaggiare per praticamente tutta la sua vita, come ha progettato e come ha poi guardato a questi viaggi.
Emerge sicuramente un elemento comune, ovvero come tanto nello sguardo fotografico quanto nella scrittura e nella raccolta di oggetti diversi con ossessione collezionistica, Sottsass insegua sempre qualcosa che già cercava, nuovi tasselli per portare avanti, tra i linguaggi, linee di ricerca che provengono dalla sua formazione torinese (e dalla formazione viennese del padre architetto) e spesso vogliono metterla in crisi. Linee alimentate dal viaggio, sia esso nato da un sopralluogo professionale, da un dato biografico, da un invito per una mostra o una lezione, dal dover raggiungere amici e committenti oppure semplicemente come risposta a quell’attitudine nomade. Per questo è tanto utile quanto potenzialmente senza fine cercare negli archivi per ricostruire cronologie, connettere dati e informazioni, capire, problematizzando, come e perché determinati elementi della vita di un architetto siano stati scelti, prelevati (Pardossi Sarno 2021, 195) e resi parte di un tutto.
Prima di entrare nel merito dei materiali, è necessario però fare un passo indietro e tornare all’archivio – o agli archivi – per metterne a fuoco la natura. Nel caso di Ettore Sottsass, l’archivio, è senza dubbio un unico, coerente insieme di fondi, diviso però tra diverse sedi e istituzioni (Scotti, Bulegato 2022, 39-42). L’archivio personale e dello studio professionale di Sottsass è una realtà frammentata e dispersa: una parte consistente, in seguito alla donazione del 2018 da parte della moglie Barbara Radice, è conservata a Venezia alla Fondazione Giorgio Cini. Questi materiali completano quelli raccolti alla Bibliothèque Kandinsky del Centre Pompidou a Parigi e al Centro Studi e Archivio della Comunicazione – CSAC Università di Parma, come conseguenza di scelte effettuate nei decenni precedenti dallo stesso Sottsass, che ha sempre voluto lasciare dietro di sé tracce della sua memoria, selezionando però di volta in volta accuratamente buste, quaderni, faldoni e scatole di legno dal suo repertorio per donarli secondo una visione precisa. Gli eredi a loro volta hanno compiuto delle scelte destinando a una istituzione piuttosto che a un’altra i materiali ancora in loro possesso. È da considerare poi come altri materiali, anche consistenti, siano rimasti naturalmente depositati presso le imprese o i collaboratori con cui Sottsass ha lavorato – risultato di pratiche professionali oppure di occasioni espositive – talvolta organizzati con vere e proprie strutture archivistiche, come nei casi dell’Archivio storico Olivetti a Ivrea, degli Archivi Aldo Londi e Industriale Bitossi a Montelupo Fiorentino o del Centro Studi Poltronova a Firenze.
Nel dibattito contemporaneo il termine ‘archivio’ non è privo di ambiguità (Derrida 1995) – fluido nella struttura come nei ruoli a questa connessi (Clement, Hagenmaier & Knies 2013) – che si sovrappone frequentemente tanto alla biblioteca quanto al museo e che per essere studiato richiede necessariamente una prospettiva ampia e trasversale alle discipline (Manoff 2004).
Nel caso di Sottsass si tratta di una serie di materiali eterogenei, costituita dai cosiddetti dossier, contenenti tutto il materiale di studio e personale, meticolosamente diviso e ordinato sia cronologicamente sia per categorie progettuali (arte, architettura, interni, design, grafica, mostre e allestimenti, editoria, articoli stampa, varie). A questi vanno aggiunti altri documenti come grafiche d’arte, manifesti e poster, riscontri commerciali, bozze per pubblicazioni, libri, tesi di laurea, e una collezione di cestini appunto. Risultato di un intervento dello stesso autore, che ha radunato e organizzato inizialmente tutti questi materiali, l’Archivio Sottsass è un ottimo esempio di progettazione della memoria (Pardossi Sarno 2021, 194), di creazione di un sistema dotato di una dimensione sia privata sia pubblica e che per essere interpretato correttamente va considerato nelle sue contemporanee divisioni e frammentazioni tra diverse istituzioni e spazi di conservazione, spesso anche queste frutto di scelte consapevoli.
All’interno di questo archivio-memoria, la ricostruzione di connessioni e il tentativo di comprendere le scelte, mette in luce alcuni momenti che appaiono paradigmatici per interrogare il ruolo e il significato del viaggio all’interno della pratica e della ricerca di Sottsass. Il primo viaggio ad essere raccontato è quello di formazione nella sua complessità: un fondamentale confronto di persona con l’architettura e la pittura contemporanea, quando si reca nel 1937 a Parigi per la Exposition Internationale des Arts et Techniques dans la Vie Moderne. Sono anni in cui agli studi universitari al Politecnico di Torino Sottsass affianca l’esperienza diretta della pittura grazie a un maestro:
Andavo quasi tutti i pomeriggi a trovare un pittore molto antifascista e molto anarchico di nome Spazzapan. Spazzapan sapeva tutto della pittura contemporanea. Da giovane era vissuto in Germania, a Monaco, ai tempi del Blaue Reiter e poi a Parigi ai tempi di Picasso e compagni e di tutti quelli che c’erano a Parigi allora. [...] Sembra quasi naturale per lui passare dai percorsi torinesi a una visione diretta di artisti come Henri de Toulouse-Lautrec, Pierre Bonnard, Paul Gauguin, Henri Matisse, Georges Braque, Fernand Léger e soprattutto Pablo Picasso, di cui racconta il Guernica e lo straordinario impatto avuto su di lui (Sottsass, 2010, 52, 75-76).
Il viaggio è raccontato nello specifico in Amarezza di Parigi (Sot-Sas 1937, 3), seguendo una modalità comune nel suo percorso, che lo vede affidare memorie e impressioni agli articoli pubblicati su giornali. Da notare come questi siano oggi interamente raccolti nell’archivio dei suoi scritti, recentemente acquisito dalla Bibliothèque Kandinsky del Centre Pompidou a Parigi, dove andrà a integrare importanti fondi tra cui quello fotografico, quello dedicato alla collaborazione con Olivetti, diverse collezioni e la biblioteca personale. Se nell’autobiografia del 2010 questa trasferta in terra francese è presentata “come un rito di passaggio verso la conoscenza diretta della cultura artistica europea e particolarmente francese” (Zanella 2018, 18), già nel 1937 la costruzione di una memoria è portata avanti attraverso un racconto che “sembra volere celare la valenza del viaggio di formazione verso la capitale del modernismo, dissimulando ogni tensione grazie alla narrazione di un viaggio notturno attraverso paesaggi di case deserte nel silenzio della notte in cui Sottsass entra con l’immaginazione per cercare di scoprire le storie che queste case racchiudono” (Zanella 2018, 19). L’approccio letterario appare dominante, tra ossessioni per oggetti quotidiani e popolari, indagati e classificati tanto sulla carta quanto nell’archivio, e dettagli personali, solo apparentemente insignificanti.
I viaggi di Sottsass sono poi spesso legati a occasioni ed eventi, anche drammatici. È il caso della prigionia durante il secondo conflitto mondiale a Pljevlja, in Montenegro (Thomé 2014, 41), che oggi possiamo ricostruire attraverso scritti, corrispondenza ma soprattutto grazie a una serie di immagini fotografiche (Centre Pompidou/MNAM-CCI/Bibliothèque Kandinsky, Fonds Ettore Sottsass. Guerra in ex-Jugoslavia. Photographies 1922-2007. Photographies personnelles et de voyage 1937-2007. SOT 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31) che indagano l’architettura locale, le tessiture, il paesaggio e le persone. Allo stesso tempo (Thomé,1996, 16-17) il disegno emerge in tutta la sua importanza: durante il suo soggiorno forzato si fa inviare colori da casa e lavora a un’ulteriore lettura dell’ambiente e di linguaggi da lui letti come vernacolari. Realizza “brevi schizzi a penna e tempera su materiale di fortuna, cartoline postali, ritagli di carta dell’esercito, foglietti di taccuino, con i quali l’artista copia una quantità di motivi tipici dei tappeti, dei tessuti e degli oggetti montenegrini” (Santini 1963, 81). I colori, elementi sempre centrali per Sottsass, sono spesso annotati quando non riportati direttamente.
Da tutte queste esperienze nascono linguaggi e linee di ricerca. È fondamentale notare come a partire da queste memorie, nei primi anni ’40, Sottsass elabori una serie di disegni che ripensano la tradizione montenegrina (Studi e disegni per tappeti e tessuti da motivi montenegrini, 1942-1943, Archivio Ettore Sottsass, CSAC - Centro Studi e Archivio della Comunicazione, Università di Parma): come nota già Santini (1963, 81), in questi schizzi sono presenti moduli che nei decenni successivi ritorneranno nei dipinti, nelle superfici delle ceramiche e degli arredi, e in maniera quasi letterale in alcuni tappeti. Scritture visive che, attraverso verifiche e contaminazioni provenienti da culture diversissime, andranno a costruire un vocabolario formale sempre più sicuro. Composizioni costruite su aree di colore e repertori di segni, che muovono da un ricorrente interesse per le culture popolari quanto dagli insegnamenti di Luigi Spazzapan, che trovano nel viaggio la loro definizione e per sintesi arrivano a costruire griglie, linee parallele e cromatismi sempre più ricorrenti nel lavoro dell’architetto.
I viaggi di Sottsass negli anni sembrano costruirsi ugualmente a partire da aspettative, curiosità, opportunità professionali e reti di persone, aggregandosi intorno a diverse polarità. Gli Stati Uniti rappresentano per lui un riferimento costante, quasi inevitabile considerando il rapporto strettissimo non solo professionale che la prima moglie Fernanda Pivano stringe con questo paese, con le sue avanguardie letterarie e le controculture, con figure di primo piano quali Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti.
Il primo viaggio in America di Sottsass, da marzo a maggio 1956, inizia con un soggiorno a New York, dove lavora nello studio dell’architetto George Nelson, e prosegue poi ai Caraibi insieme a Fernanda Pivano, che era in quegli anni borsista del Governo americano. Un’esperienza formativa e professionale prima di tutto, ma che affianca, a uno sguardo attento alle modalità di lavoro all’interno di un importante studio, la volontà di mantenersi nomade, di seguire curiosità e persone, di osservare il quotidiano, di appropriarsene portandolo all’interno di una grande narrazione che si muove su più piani. L’orizzonte è quello dell’architettura, ma la sua cultura è profondamente legata alle arti visive:
Sottsass infatti frequenta le gallerie, porta dall’Italia le sue tempere che fanno inorridire il direttore del Whitney Museum. […] Entra in contatto con la redazione di “Industrial design”, rivista per cui disegnerà alcune copertine, ma forse si interessa anche alle culture antiche delle Americhe, quelle stesse a cui guardavano per esempio Arshile Gorky e Adolf Gottlieb, come testimoniano i libri conservati nella sua biblioteca (Zanella, 2018, 33-34).
Nel primo viaggio americano troviamo poi i segni di una rottura, di “un’esperienza necessariamente violenta” (Bucci 2018, 41), che separa Sottsass dai progetti portati avanti fino a quel momento in Italia, ancora profondamente legati a dinamiche della produzione artigiana, e gli restituisce una nuova energia rispetto ad alcuni poli della sua ricerca, come le sperimentazioni già avviate sulle novità della prefabbricazione (Case prefabbricate per la società Vadacchino, 1949 AA, Archivio Ettore Sottsass Jr., Fondazione Giorgio Cini, Venezia).
Tra vicende biografiche e viaggi tra i continenti si muove allo stesso modo l’esperienza editoriale forse più importante e seminale per Ettore Sottsass – e di Fernanda Pivano – in ambito editoriale. “Room East 128 Chronicle” è una rivista autoprodotta, pensata da Sottsass insieme a Pivano durante il ricovero all’ospedale di Palo Alto, in California, tra il giugno e l’agosto 1962.
Di ritorno a Milano dal suo primo viaggio in India – un’esperienza fondamentale all’interno del suo percorso raccontata nei dettagli nei diari e nelle autobiografie di Sottsass e di Pivano (Sottsass 2010, Pivano 2010) e di cui è possibile ricostruire nel dettaglio tutta la pianificazione attraverso veri e propri documenti progettuali dattiloscritti, conservati nel suo archivio personale insieme al soggetto per un possibile film poi mai realizzato (Programma viaggio in India, 1961 V, Archivio Ettore Sottsass Jr., Fondazione Giorgio Cini, Venezia); una vera e propria frattura esistenziale (Thomé 1996, 91) originata da una commissione di Montecatini per un allestimento alla fiera di Nuova Delhi (Progetto per Mostra Montecatini, Fiera, New Delhi, 1961, Archivio Ettore Sottsass, CSAC - Centro Studi e Archivio della Comunicazione, Università di Parma). Di ritorno a Milano dal viaggio in India, a Sottsass venne diagnosticata una grave forma di nefrite, allora non curabile in Italia, e solo grazie all’intervento diretto di Roberto Olivetti che si occupò di tutto, compresi il visto e i biglietti aerei, poté essere ricoverato per diversi mesi negli Stati Uniti, presso lo Stanford Medical Centre. Il designer aveva appena iniziato a lavorare al progetto dell’Elea per la divisione elettronica dell’azienda di Ivrea e la vicenda della malattia, raccontata nei dettagli nella sua autobiografia (Sottsass 2010, 233-240), è richiamata direttamente nel nome della rivista: East 128 era infatti denominata la camera dove Sottsass era ricoverato. “East 128” era in pratica una fanzine uscita in tre fascicoli, realizzata principalmente con la tecnica del collage e stampata in ciclostile, prima con l’attrezzatura portata da San Francisco direttamente nella camera da Dario Haim e operata da Bobbit Suda con la collaborazione della Pivano (Thomé 2014, 150), poi dal secondo numero grazie alla collaborazione con la tipografia locale di Mr. Valkenburgh (Alfieri 1965). Irregolare nelle uscite – l’idea era di inviarla agli amici, come sorta di notiziario personale durante il ricovero –, la rivista conta un numero esiguo di esemplari che la renderà da subito una rarità; come ricostruito da Maffei e Tonini infatti:
Il primo numero ha soli sette fogli, stampato in 30 copie. Il secondo, dal taglio più letterario, aumenta a 90 il numero di copie e si struttura maggiormente come una vera rivista con testi illustrati dalle tavole di Sottsass. Il terzo arriva a 140 copie, ha stampa tipografica e le tavole dell’artista soverchiano gli interventi testuali. Pagine in bianco e nero costruite con la rielaborazione di annunci pubblicitari ritagliati dai quotidiani americani (Maffei e Tonini 2011, 39).
Esiti quindi vicini ad alcune elaborazioni delle avanguardie Pop, ma anche a diverse esperienze grafiche condotte dallo stesso Sottsass nei decenni precedenti. Le influenze legate alla cultura beat, senza dubbio riconducibili anche a Pivano, saranno inoltre uno dei modelli alla base del sistema di segni e immagini che Sottsass va articolando in questi anni, dimostrando una sempre maggiore consapevolezza tanto rispetto alle sperimentazioni underground quanto alle avanguardie contemporanee.
Dalla vicenda, e dal successivo viaggio di alcuni giorni effettuato una volta dimesso dall’ospedale a San Francisco a contatto con i protagonisti della beat generation nacque la collana editoriale East 128 Publishing, autoprodotta dallo stesso Sottsass insieme a Pivano. Edita tra il 1963 e il 1970, questa serie di 19 volumi prenderà il via con il fascicolo pubblicato in occasione della mostra dedicata a Le ceramiche delle tenebre (inaugurata il 20 maggio 1963, presso la galleria Il Sestante di Milano e significativo esito dell’esperienza della malattia e del ricovero), che conteneva una serigrafia e un testo, su fogli sparsi. La collana verrà utilizzata da Sottsass e Pivano per pubblicare volumi legati a mostre, conferenze, omaggi, ma anche testi letterari degli scrittori beat e auguri di Natale, con una grafica mai uniforme e adattata di volta in volta alle necessità. Spesso si tratta di vere e proprie edizioni d’artista, visto che nel tempo “il rigoroso e preordinato piano editoriale subisce le variazioni dovute alle inadempienze degli autori e al mutare degli interessi dei curatori” (Maffei, Tonini 2011, 57). La collana si concluderà con la nascita di un nuovo progetto editoriale, la rivista “Pianeta Fresco”, collettore di nuovi viaggi, fisici e immaginifici.
È in definitiva sulle riviste che Sottsass, dagli anni ’60 sembra regolarmente riportare le sue esperienze nei diversi paesi, ideando rubriche che documentano prima di tutto la forte rottura nei confronti della cultura occidentale, della sua formazione. Un modo di restituire e verificare in una dimensione letteraria quelle istanze progettuali che diventeranno sempre più centrali nel progetto dell’oggetto e dello spazio:
Acquista valore la memoria […] intesa come esperienze, persone, fatti, oggetti e segno; l’oggetto acquista funzioni diverse dalla mera funzione d’uso, acquista funzioni di rito (Riva 2018, 287).
Viaggio a Oriente, reportage pubblicato su “Domus” in sei momenti a partire dal 1962, con l’ultimo a rappresentare un ritorno all’occidente conosciuto (Sottsass 1962a, Sottsass 1962b, Sottsass 1962c, Sottsass 1964, Sottsass 1966a, Sottsass 1966b) costituisce per Sottsass un’occasione per raccontare prima di tutto sé stesso, per rileggere alcuni suoi percorsi e mettere a fuoco esperienze – in primis quella americana – guardandole attraverso la lente di culture appena conosciute. Una modalità ricorrente, costruita sul rapporto tra testo e immagine, che ritornerà ancora su “Domus” tra il 2003 e il 2007 con Foto dal finestrino, e troverà spazio regolarmente con gli Appunti di viaggio su “Terrazzo”, esperienza editoriale che rompe definitivamente i confini tra le discipline, portata avanti da Sottsass tra il 1988 e il 2005 insieme a collaboratori quali Barbara Radice, Cristoph Radl, Santi Caleca e Anna Wagner.
Sottsass, come testimoniano diversi faldoni in archivio (Viaggio in Cina (giugno), 1994 V; Viaggio in Cina Xi’- An (ottobre), 1994 V; Corrispondenza per il viaggio a Goa, 2003 V; Corrispondenza varia per il viaggio in Russia, 2004 V, Archivio Ettore Sottsass Jr., Fondazione Giorgio Cini, Venezia), non smetterà mai di viaggiare, tanto per le commissioni internazionali, che otterrà sempre più frequentemente, quanto per una profonda necessità. In una pagina dattiloscritta, firmata e datata novembre 1988, e oggi conservata tra i suoi scritti, troviamo una sua riflessione sul viaggio, su come ci siano tanti modi di viaggiare, nel tempo e nello spazio. Ma in particolare c’è quella incerta e curiosa dimensione che cerca “negli spazi vasti del pianeta e nelle sue innumerevoli storie, l’ombra di sé stesso o la propria identità, o uno speciale nutrimento per la propria esistenza”.
Al tempo stesso lo sguardo eterogeneo e multiforme, trasversale a tecniche e linguaggi, di Ettore Sottsass sembra affrontare il viaggio come un discorso parallelo ma continuamente intrecciato alla sua metodologia progettuale, come un repertorio tra i tanti a cui guardare, che non può prescindere dalla propria formazione e identità culturale e che al tempo stesso è necessario a ridefinirla costantemente.
Bisogna tornare all’attitudine nomade di Sottsass, al suo bisogno di essere continuamente in viaggio che non gli permetteva di stare al tavolo da disegno per più di qualche ora e che l’ha sempre portato a progettare cose piccole, che attiravano su di sé un interesse passeggero, che forse nelle sue parole neppure avrebbero meritato di essere tramandate (Sottsass 1982, 5). Progetti e idee che invece sono oggi perfettamente documentati da un archivio, oltre che spesso ancora messi in produzione con un sempre rinnovato entusiasmo. Fragili oggetti privati dietro ai quali rimane una figura “inquieta, composita e complessa” (Santini, 1963, 79), che ha saputo mantenere insieme diverse forme del progetto e dell’espressione figurativa, costruendo attraverso i linguaggi la rappresentazione della propria figura.
Nota dell’autore
Queste riflessioni nascono dalla ricerca L’archivio di Ettore Sottsass Jr.: inventario e regesto digitale dell’attività riguardante il design e la grafica, Università Iuav di Venezia, Dipartimento di culture del progetto, assegnista di ricerca Marco Scotti, responsabile scientifico Fiorella Bulegato, cofinanziamento Fondazione Giorgio Cini, 1 dicembre 2019-30 novembre 2021. si veda Scotti, Bulegato 2022.
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English abstract
Ettore Sottsass Jr. (Innsbruck 1917-Milan 2007) was an architect, artist, designer, photographer, and writer, who always had a nomadic approach to events. This led him to travel incessantly around the world ever since his university years and till the end of his life. Starting from his archive, this article aims at investigating the design methods and processes around his journeys by considering both his business trips and the ones fostered by his curiosity. Travelling represented a tool for the search of his own identity, a parallel path in his long and seminal career, always intertwined with his design methodology.
keywords | Ettore Sottsass Jr.; Archive; Architects’ Travels; Publications; Architectural magazines.
il numero 196 di Engramma è a inviti: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e al comitato scientifico della rivista.
Per citare questo articolo: Marco Scotti, Ettore Sottsass. Il viaggio e l’archivio “La Rivista di Engramma” n. 196, novembre 2022, pp. 47-59 | PDF di questo articolo
To cite this article:Marco Scotti, Ettore Sottsass. Il viaggio e l’archivio “La Rivista di Engramma” n. 196, novembre 2022, pp. 47-59 | PDF of the article