[...] Puer Icarus una
stabat et, ignarus sua se tractare pericla,
ore renidenti modo, quas vaga moverat aura,
captabat plumas, flavam modo pollice ceram
mollibat lusuque suo mirabile patris
impediebat opus. Postquam manus ultima coepto
inposita est, geminas opifex libravit in alas
ipse suum corpus motaque pependit in aura;
instruit et natum ‘medio’ que ‘ut limite curras,
Icare,’ ait ‘moneo, ne, si demissior ibis,
unda gravet pennas, si celsior, ignis adurat:
inter utrumque vola. nec te spectare Booten
aut Helicen iubeo strictumque Orionis ensem:
me duce carpe viam!’ pariter praecepta volandi
tradit et ignotas umeris accommodat alas.
inter opus monitusque genae maduere seniles,
et patriae tremuere manus; dedit oscula nato
non iterum repetenda suo pennisque levatus
ante volat comitique timet, velut ales, ab alto
quae teneram prolem produxit in aera nido,
hortaturque sequi damnosasque erudit artes
et movet ipse suas et nati respicit alas.
Ovidio, Metamorfosi VIII, 183-235.
In chiusura di un anno – questo 2022 – attraversato da conflitti e dall’angoscia del limite e del confine, cade opportuno un tentativo di riflessione, un affondo che prende lo spunto da due immagini: il celebre episodio di Dedalo e di Icaro, nella versione ovidiana, e una iconica fotografia di Alex Webb. Catturiamo nelle due immagini il momento della sospensione tra cielo e terra, il lunghissimo istante di tregua tra lo slancio e la caduta.
Icaro, un corpo celeste
Sia nelle Metamorfosi di Ovidio (Metamorfosi VIII, 183-235) sia nell’Eneide (VI, 6.9-41), l’episodio di Dedalo e Icaro può essere letto come il rapporto tra le due facies dell’uomo – il puer e il senex – sulla linea di prossimità tra l’impulso alla vita e la possibilità di sconfitta e di caduta.
Secondo James Hillman, il puer e il senex sono due facies che non devono essere considerate come due figure archetipiche scisse ma sono destinate a crescere insieme, a entrare in dialogo e compensarsi. Hilmann suggerisce un’immagine doppia, che vede nel puer la brama e la voglia della novità, il desiderio di crescere, di elevarsi e liberarsi in alto, disfarsi dell’altro, e nel senex, la vecchiaia, il peso, la gravità. Così Hillman definisce l’impulso del puer di “debolezza e impotenza propri degli inizi di qualsiasi impresa”, come “la tendenza di Icaro-Ganimede al volo e alla caduta”:
Per forza il Puer è debole sulla terra, perché il Puer non appartiene alla terra. La sua direzione è verticale […]. A causa di questo accesso diretto, verticale allo spirito, di questa immediatezza dove visione della meta da raggiungere e meta stessa sono una cosa sola, la velocità, la fretta – perfino la scorciatoia – sono indispensabili (Hillman 1999, 98),
Pertanto, secondo Hillman la presenza ponderata e positiva del senex è importante poiché in alcune circostanze incertezza e rischio, fallimento e caduta sono necessarie e funzionali alla crescita e alla presa di coscienza del puer.
La figura di Icaro che non è stata oggetto di catasterizzazione in età antica ha conosciuto però una nuova vita celeste in tempi recenti: nel 1949 fu scoperto un piccolo pianeta che nella lista degli asteroidi è stato contraddistinto con il numero 1566 ed è stato chiamato ‘Icaro’ perché la sua orbita è allungata e si muove eccentricamente tra Marte e Mercurio, ma la sua caratteristica è di essere il corpo che più si avvicina al Sole – vicinissimo, a poco meno di 30 km dalla stella intorno a cui ruota il nostro sistema solare (fonte ANSA e voce nel Dizionario Treccani).
Sfida, Icaro, l’idea di confine e lo slancio del puer. Due fotogrammi
L’accostamento che qui propongo è tra la rappresentazione del volo di Icaro di Lord Friedrich Leighton, pittore e scultore britannico della seconda metà del XIX secolo, e una delle immagini più celebri della serie The Suffering of Light di Alex Webb 1979. Le due opere si lasciano leggere come due momenti, due fotogrammi della stessa storia. Nel primo – il quadro ottocentesco – vediamo la preparazione all’ascesa: Dedalo è intento a preparare e ad allestire l’imbragatura: il figlio ha il viso alzato, il corpo nella posa della nudità eroica, il braccio destro in alto per agevolare il lavoro del padre ma anche teso a indicare la sfida, il salto nell’ignoto. Nel secondo – la foto, di un secolo più recente – è fissato il momento che segue alla caduta: il giovane alza entrambe le braccia ma è la sigla della sua fine rovinosa; anche qui un uomo mette le mani sul suo corpo, ma con tutt’altro fine rispetto alla tragica cura del padre Dedalo. Si tratta infatti dell’immagine di un gruppo di fuggitivi messicani arrestati sulla frontiera tra Stati Uniti e Messico nella città di San Ysidro; sullo sfondo un alato elicottero evidentemente in perlustrazione, a caccia di transfughi, mentre due di loro in lontananza sembra che siano stati già perquisiti e invitati e seguire le forze dell’ordine.
Il dettaglio sicuramente più interessante si pone su uno dei tre quarti a destra dell’immagine: le dita dell’uomo messicano sembra che tocchino, sfiorano, l’estremità posteriore dell’elicottero ancora in cielo. Un gesto casuale, ma carico di energia, resta sospeso tra molte domande. Cosa avviene dopo? Qual è il loro destino?
The Suffering of Light. Storia di una fotografia
Negli anni Settanta Alex Webb si trovava in California, più precisamente a sud di San Diego, e lavorava a un progetto “lungo il confine” (Calabresi 2013, 13) tra il Messico e gli Stati Uniti. La zona in cui si concentrava il suo lavoro era San Ysidro, luogo strategico che divide la città di San Diego in California, quindi USA, da Tijuana l’estremo limite della California, già Messico. Oggi la strada che si estende lungo questo confine è un’autostrada a dieci corsie interrotta improvvisamente da un posto di blocco che apre un varco nel grosso muro che segna architettonicamente la frontiera. In quel periodo entrare in Messico non era complicato: attraversare il confine risultava facile perché si trattava di scavalcare cancelli costituiti di listelli in legno – una facilità che permetteva di dimenticare momentaneamente che si trattava dell’attraversamento di una frontiera internazionale. Ancora oggi, San Ysidro rappresenta uno degli snodi più frequentati e attraversati al mondo.
La linea di frontiera tra gli Stati Uniti e il Messico storicamente risale al trattato di Guadalupe-Hidalgo, firmato nel 1848 alla fine della guerra messico-americana. Il trattato oltre a sancire la cessione del Messico di circa la metà del proprio territorio agli Stati Uniti, che comprendevano gli Stati di California, Arizona, Nuovo Messico, Nevada, Texas, Utah e alcuni territori del Colorado, divenne il primo strumento di cui si dotarono gli USA per riorganizzare e controllare la colonizzazione del nuovo sudovest, definendo un confine con la necessità di arginare e tenere al di fuori la popolazione messicana (Bernardi 2011, 39). Questo improvviso cambiamento causò ingenti tensioni politico-sociali che scoppiarono sotto la nuova giurisdizione statunitense. Pertanto, tutta l’area di frontiera fino al 1924, anno in cui fu istituita la polizia di frontiera, era più ‘libera’ priva di un muro che delimitava il confine netto tra uno Stato e l’altro. La costruzione della prima barriera architettonica che separava gli Stati Uniti e il Messico avvenne nel 1990 durante il mandato di George H. W. Bush e si concluse nel 1993. La costruzione di questa barriera comprendeva anche la divisione di San Diego de Tijuana.
Oggi il confine è blindato, ci sono i muri, le telecamere, le pattuglie con i visori notturni a raggi infrarossi, la violenza, […] ma soprattutto c’è molta paura. Oggi non ci sono più i fiori (Calabresi 2013, 116).
Lo studio di Claudia Bernardi, I corpi messicani e la Grande Depressione, si concentra sulla rappresentazione biopolitica dei messicani al confine con gli Stati Uniti dall’inizio del Novecento fino alla Grande Depressione, e su come l’evoluzione in questo arco temporale abbia influenzato la ridefinizione di confine (Bernardi 2011, in particolare le pagine 35-53). Nella lettura biopolitica proposta da Bernardi, la linea di confine tra Stati Uniti e Messico è una linea immaginaria, uno spazio complesso, attraversato da tensioni accumulate nel tempo e da divisioni:
All’alba della Grande Depressione, la rappresentazione del corpo messicano assunse quei tratti che lo segnarono profondamente e in modo indelebile. Anzi, si potrebbe dire che proprio in questo periodo, con il nesso crisi-deportazione, iniziarono a definirsi i contorni di una nuova figura, quella del migrante contemporaneo. I messicani vennero codificati come “uccelli di passaggio”, una definizione paradigmatica della mobilità (Bernardi 2011, 49).
In un’intervista ad Alex Webb, il giornalista e scrittore Mario Calabresi restituisce il racconto nitido del giorno in cui il fotografo scattò l’immagine divenuta in seguito una delle sue fotografie più celebri:
Esistono momenti in cui il dio della fotografia decide di farti un regalo: è esattamente ciò che è successo quel pomeriggio. Alcune fotografie le devi pianificare e ci devi lavorare a lungo. Questa è semplicemente venuta (Alex Webb, in Calabresi 2013, 113).
The Suffering of Light è una delle serie fotografiche più note dell’autore. Nonostante la drammaticità della situazione, la foto dei messicani catturati sul confine regala una sensazione di armonia, quasi rassicurante. Tutto è sospeso, avvolto in un’atmosfera surreale. Webb descrive e commenta così questa immagine durante l’intervista rilasciata a Mario Calabresi nel bar dell’albergo di Portman Square:
Guarda le facce dei due messicani, sembra che ci sia rassegnazione, quasi che fosse un destino scritto, ma non c’è paura e poi c’è anche una specie di delicatezza nei movimenti degli agenti. E guarda la mano del ragazzo, sembra quasi sfiorare l’elicottero. Non sembra un arresto violento. È un’immagine tipica di quegli anni, che oggi non esiste più (Alex Webb, in Calabresi 2013, 116).
The Border
Al centro del progetto The Border è la contraddittorietà del confine, quel terzo mondo tra gli Stati Uniti e il Messico, una lunga e sottile striscia di terra che, a partire dal 1848, aveva saputo coltivare le proprie tradizioni. Ma per comprendere l’importanza e l’attrazione di Webb per il confine e, insieme per il colore, è necessario fare un salto indietro, dieci anni prima della serie fotografica sul limen messicano.
Inizialmente Webb si era concentrato sull’utilizzo del bianco e nero ma, insoddisfatto della resa stilistica, che lo aveva portato ai limiti dell’alienante, si decide per una svolta che sarà determinante. Lo spunto gli viene dalla lettura di un romanzo, The Comedians di Graham Greene, pubblicato nel 1967, costruito con una cadenza quasi cinematografica, che riproduce in modo affascinante l’atmosfera esotica dei Caraibi e i misteri tropicali di Haiti. Protagonisti del romanzo sono tre personaggi europei calati in una città umida e marcescente ma totalmente sospesa in una dimensione surreale. Il romanzo di Greene costituisce per Webb il motore e il punto di partenza per una svolta che è insieme biografica e stilistica: un viaggio ad Haiti è cruciale nella sua carriera di fotografo e nella sua vita personale, in quanto Haiti rappresenta uno spazio per la sperimentazione, ma anche una sorta di quinta teatrale dove la vita è trasmessa in modo forte e immediato (Calabresi 2013, 120).
L’impasto tra i temi del limite, del confine e il colore costituisce il suo nuovo repertorio concettuale e formale; in particolare il colore agisce da filtro che gli consente di osservare i cambiamenti e i limiti dei confini interni ed esterni, interiori ed esteriori. Con questo bagaglio fa ritorno dieci anni più tardi sul confine messicano con il progetto The Border, The Suffering of Light, del 1979.
La “passione della luce” (e quindi del colore che è essenzialmente gamma di differenti rifrazioni di luce) segna lo stile di Alex Webb; parallelamente l’attrazione del limite e la curiosità del limite ricorrono ossessivamente anche in altre serie fotografiche: un esempio è il reportage nella città di Istanbul, città-confine patria di religioni, centro polare e energetico di tradizioni antiche e moderne, sponda e città-limite tra continenti in cui si affacciano (sul versante occidentale) la cultura europea e (su quello orientale) la cultura asiatica. Ed è proprio sul confine che Alex Webb sperimenta e acquisisce il valore e la qualità del colore, una caratteristica che diviene, col tempo, uno dei tratti distintivi e più noti del suo stile fotografico.
“Nessuna tesi da dimostrare” (Calabresi 2013, 122) nei racconti di Webb che si fa guidare dalla postura dell’esploratore, dello scrutatore attento delle luci del mondo, sintonizzando curiosità e pazienza, e mantenendo intatta la capacità di lasciarsi stupire dalla casualità degli eventi.
Tornando al nostro Icaro contemporaneo: il migrante messicano illuminato nella sua caduta dallo scatto di Webb trasvola senza nessun Dedalo che gli procuri le ali; nella foto compaiono solo le ali meccaniche, la presenza scenografica ma non rassicurante dell’elicottero. Per leggere il senso dell’opera di Alex Webb possiamo farci accompagnare dalle parole di un altro artista impegnato a giocare sul confine tra arte e vita, tra luce e colore. Ha scritto recentemente Anselm Kiefer: “La vita, nella sua realtà precipita giorno dopo giorno, si trasforma non appena diventa arte” (Kiefer, 2020, 63).
Il confine e l’oscillazione tra arte e vita può essere colto nello scivolamento e questo è il mestiere del fotografo: Webb cattura quell’attimo, senza tener conto soltanto dei fenomeni oggettivi e delle tracce di vita, e così riesce ad agire in modo retroattivo rispetto alla realtà e a restituirci attraverso un’atmosfera luminosa un’istantanea assoluta di una tragedia contemporanea che riattiva l’immagine del mito.
Il ‘quadro’ che Alex Webb realizza sulla frontiera messicana, i colori del paesaggio, il modo in cui i soggetti sono stati ritratti, la postura che assumono, attuano un cortocircuito che rivela la forte carica di pathos sospesa tra il momento dell’ascesa e della caduta. È, questo, un Icaro precipitato per aver trasgredito una linea fittizia, un confine tracciato arbitrariamente sulla terra – non più per essersi superbamente avvicinato troppo al Sole con le sue ali posticce.
Riferimenti bibliografici
- Bernardi 2011
C. Bernardi, Biopolitica della deportazione. I corpi messicani e la Grande Depressione, “Confluenze” Vol. 3, 2 (Bologna 2011), 35-53. - Calabresi 2013
M. Calabresi, A occhi aperti, Roma 2013. - Giglioli 2014
I. Giglioli, Cultura della frontiera e frontiera della cultura. Tra Messico e Usa, “Dialoghi Mediterranei” 6 (marzo), 2014. - Hillman 1999
J. Hillman, Puer Aeternus, trad. di A. Bottini, Milano 1999. - Kiefer 2020
A. Kiefer, L’arte sopravvivrà alle sue rovine, trad. di D. Borca, Milano 2020.
English abstract
This paper focuses on two images: the episode of Daedalus and Icarus in Ovid’s Metamorphoses and a photograph from Alex Webb’s series The Suffering of Light (1979). The two images both represent the suspension between heaven and earth, that is to say the moment between rising up and falling down.
keywords | Alex Webb; The Suffering of Light; Icarus and Daedalus.
*Le fotografie di Alex Webb provengono dalla pagina online della Magnum Photos, agenzia fondata agli inizi del 1947, Magnum tutela il lavoro dei fotografi abbracciando una vasta gamma di punti di vista individuali per esprimere una visione unica del mondo.
Per citare questo articolo / To cite this article: I. Grippa, Icaro, l’ascesa, la caduta. The Suffering of Light di Alex Webb, “La Rivista di Engramma” n. 197, dicembre 2022, pp. 185-194 | PDF