"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Spasmodici trucchi di radianza

Feste, luci e ombre

Silvia Veroli

English abstract

Da ottobre a dicembre si festeggia per scongiurare la paura del buio crescente, il congedo dalla nostra stella e il terrore che non torni più. Dal solstizio di inverno all’equinozio di primavera si festeggia per fare il tifo alla luce che giorno dopo giorno si fa largo.

Sono tristi, infinitamente tristi le sere d’autunno avanzato. Sono colorate di rosa e di malva, sfumate di grigio. Tristi da stringerti il cuore. In cielo volute larghe, vistose di nuvole segnano il commiato dal sole […] e insieme un senso di rimpianto, di nostalgia per ciò che non abbiamo mai conosciuto […] il tempo del desiderio impotente, la stagione al di là della rassegnazione, sconsolata. In America per autunno usano la parola caduta.

Questo è l’incipit di Venere Nera di Angela Carter, scrittrice inglese di alta fantasia e senso pratico. “Buone feste!” Diciamo in Italia. E non lo diciamo per quelle di Pasqua o del passaggio a novembre: le feste per antonomasia sono quelle di Natale. E per definizione sono quelle cui si accompagna un sentimento di nostalgia, rimpianto. SpleenSpleen: da greco splen, milza organo il cui umore nero, secondo la medicina ippocratica, causava l’ipocondria. Alle nostre feste di fine d’anno (o “fine danno” come ha sottolineato da par suo Alessandro Bergonzoni nel discorso in piazza Maggiore a Bologna il 31 dicembre del 2022) si associa, e non per via dei Re Magi, un senso di magone. Magone: “accoramento, pianto”, deriva dal longobardo mago, cioè “stomaco, gozzo” ed è imparentata col tedesco moderno Magen, con lo stesso significato.

Sia come sia, il Natale e i suoi fratelli incidono sulla nostra digestione, hanno riverberi fisici; molti hanno esperienza, in quella stagione, di una strisciante sensazione di smarrimento e paura. Queste sono feste di spettri; mica è un caso che la storia di Natale per eccellenza sia… sia? su. Lo sanno tutti: A Christmas Carol. A ghost story of Christamas, la storia di un rimpianto per eccellenza, e di un ribaltamento. Lo spiega perfettamente Jeanette Winterson (winterson = progenie invernale… O il potere oracolare delle parole! O il loro volenteroso invitarci al gioco!) in Dodici racconti di Natale. In Canto di Natale uno stitico, avaro e solitario cede alla paura delle tenebre e si converte alla cultura del dono e della condivisione. Delle proprie ricchezze, della tavola natalizia. Come ribaltamento miracoloso è la nascita di Cristo, bambino in una stalla visitato dai Re, che si genuflettono e posano i loro velluti pregiati tra la paglia e sterco. Miracolo, apparizione, luce. Tutto fa parte del corredo delle feste, dell’armamentario contro il buio e il disseccamento.

Gli spettri, dicevamo. Le feste invernali celtiche si facevano iniziare la notte del 31 ottobre con la celebrazione del Samhain cui si attribuisce anche il significato, in irlandese antico, di fine estate ed è conosciuta anche come Capodanno celtico e sovrapposta ad Halloween; nell’emisfero australe la sua celebrazione cade tra il 30 aprile e il 1 maggio e coincide con la notte boreale di Valpurga. Ce n’è da far girare la testa, ma dicevamo, appunto, qui si ha che fare coi ribaltamenti. Nelle feste di autunno avanzato il confine tra questo e l’altro mondo si assottiglia, come accade nella notte di Natale: a mezzanotte della Vigilia, vuole il folklore, nascono streghe e lupi mannari. Sono ore di prodigio. Oltre a Dickens un altro anglofono racconta bene la comunicazione tra questi mondi tipica delle feste di fine anno: è Ray Bradbury che non ha fatto solo fantascienza, ma anche scienza e poesia. Lo spiega nell’Albero stregato, romanzo di formazione e informazione:

Notte e giorno. Estate e inverno, ragazzi. Tempo di semina e tempo di raccolto. La vita e la morte. Ecco cos’è Halloween. Il mezzogiorno e la mezzanotte. Una volta si nasceva, si cresceva e si moriva. Così per milioni di anni. Ogni notte e ogni giorno spaventati dal pensiero del buio, della morte, degli spettri. Una eterna Halloween. Sinché la civiltà condusse gli uomini alla vita nelle città, al riposo, alla riflessione. Gli uomini cominciarono a vivere più a lungo, ad aver più tempo per pensare, a non aver più paura della morte imminente. Alla fine gli uomini pensarono al giorno, alla notte, alla primavera e all’autunno, alla nascita e alla morte soltanto in alcuni giorni dell’anno.

Noi ci pensiamo, da qualche tempo con più trasporto, alla Vigilia di Ognissanti, e in Primavera. Ma anche a Natale e persino a Carnevale. Perché di ricerca di miracoli e sovversioni si tratta, e sempre di calendari lunari e riti agricoli. Una volta qui era tutta campagna. L’autunno era tempo di stivare il raccolto e raccogliersi. Il tempo delle storie di fantasmi attorno al fuoco, suscitate a volte anche dalle esalazioni di monossido e dall’intossicazione che ne seguiva. Il ramo secco, il campo silente. Credere in germogli e promessa di vita nascosta è stato sempre un atto di fede, il loro dispiegarsi un evento miracoloso. Il ritorno della luce è anche il ritorno del verde. La viriditas la chiamava Hildegarda da Bingen, santa nata nel 1098, musicista, erborista, politica. Una che ha cambiato vita a quarant’anni, montava a cavallo, andava a litigare coi Barbarossa, corrispondeva con Bernardo da Chiaravalle. Scriveva canzoni. Una cominciava così:

O Viriditas nobilissima, che hai radici nel sole,
e in candida serenità riluci, nella ruota che nessuna altezza terrena contiene,
tu sei circondata dall’amplesso dei divini misteri
Risplendi come la rossa aurora
E ardi come la fiamma del sole
(Lied 39)

“Viriditas”, la vitalità verde, che fa germogliare e sbocciare la vita nelle piante, negli animali e negli esseri umani. Hildegarda indica con “Viriditas” tutto ciò che è vivo ed ha energia vitale: la forza della gioventù, la sessualità, la creatività e la guarigione. Ed è il contrario della malinconia, dello spleen e del magone. I segni del Natale sono verdi, prima che ragioni commerciali impongano rosso cola e l’oro della luce sbrilluccichi a profusione da gioielli in vetrina. Verde era in origine il manto di San Nicola, verde l’abete e verde l’agrifoglio: sempreverdi percorsi di linfa per vincere avvizzimento e scoloritura del mondo in bianco e nero e apparentemente senza umore. Difficile credere che Proserpina torni in vita ogni volta, eppure quando succede è una festa che dirompe nel passaggio di stagione dal culmine di quella fredda verso la primavera; così era nei riti romani dei Saturnali (che segnavano la fine dell’anno), nei Feralia o Paternalia (sempre da calendario romano, in febbraio); così nelle greche Antesterie, tra febbraio e marzo, un’articolata tre giorni di celebrazioni in onore di Dioniso, inaugurate dall’apertura delle giare col vino della vendemmia autunnale. Accade anche nel Carnevale, altra occasione di sovversione e sconfinamento tra mondi.

Dopo Natale è sempre Carnevale, non c’è soluzione di continuità tra lo zucchero sul pandoro e quello sulle frittelle perché continuo è il galoppo verso la luce e perché, anche se si sono allungate le giornate, le tenebre sono ancora lì. Le maschere nascono con una connotazione funeraria, venivano usate nelle Antesterie, nel secondo giorno di celebrazione dedicati ai defunti, e in un altro rito romano, quello del Carrus Navalis, da cui qualcuno deriverebbe anche il nome del Carnevale, notoriamente invece connesso al carnem levare cristiano. L’allestimento del Carrus avveniva all’interno della festa del Navigium Isidis, di derivazione egizia, prossima all’equinozio di primavera e legata alla vicenda di Iside e del suo peregrinare alla ricerca delle parti smembrate del cadavere del suo Osiride. La celebrazione prevedeva tra le altre cose l’atto di coprirsi il volto con maschere raffiguranti le fattezze dei morti. Non si sfugge da Eros e Thanatos, Venere e Proserpina si intrecciano nelle origini di diversi carnevali e il nome di Arlecchino deriva dal tedesco Hölle König (re dell’inferno), traslato in Helleking e poi in Harlequin. Un demone le cui corna si sono trasformate nel cappello della maschera bergamasca. I diavoli vanno ricacciati giù, come i draghi. L’ultima sequenza di feste prima che il giorno prevalga sulla notte è quello delle celebrazioni di primavera dove a farla da padrone in mezza Europa è un certo Giorgio il Verde.

C’inchiniamo dinnanzi a te, Giorgio il Verde,
verde è l’albero, verde la veste!
Verde è tutta la montagna,
verde e piena d’erba,
piena d’erba e di trifoglio.

Così iniziano le canzoni rituali dedicate a Zeleni Jurij, figura mitologica diffusa in tutta la Slovenia (e conosciuta anche nel resto del mondo slavo), il cui culto si è conservato in particolare nella regione sudorientale della Bela Krajina. I riti di Giorgio si celebrano attorno al 23 aprile. Giorgio, cardine del pantheon slavo, ha tratti che suonano familiari nel mondo cattolico ma che si intrecciano anche alla mitologia greca: per cominciare, egli è il figlio di dio, o meglio della principale divinità slava. Nasce il 24 dicembre. Attorno al solstizio di inverno, data attorno a cui si collocano tutti riti legati al sole invitto viene rapito dal dio degli inferi, per fuggire uccide draghi, quando emerge alla luce del sole porta la bella stagione. Giorgio il verde è diventato san Giorgio, quello che protegge la Catalogna e l’Inghilterra. È assimilato a un Santo, ma somiglia a Cristo, la cui resurrezione è celebrata nella prima domenica dopo la prima luna piena di primavera. È un miracolo e una rivoluzione, da festeggiare con le uova e i rami in fiore. “I miracoli esistono se siamo disposti a chiamare miracoli quegli spasmodici trucchi di radianza” questa è Sylvia Plath, poetessa americana, che non è riuscita a sfuggire al buio. E questa è di nuovo Janette Winterson il cui testo fondamentale sul Natale ha accompagnato questo piccolo scritto sviluppato durante le vacanze di Natale 2022 per festeggiare Engramma:

…accendete una candela per i morti. E accendete una candela per i miracoli, anche se improbabili, e pregate di saper riconoscere il vostro. E accendete una candela per i vivi, per il mondo dell’amicizia e della famiglia, che significano tanto. E accendete una candela per il futuro, perché si possa compiere e non venga inghiottito dall’oscurità. E accendete una candela per l’amore. Per la fortuna in amore.

Non è festa senza soffiare su una torta.

English abstract

This contribution is an overview and reflection on some of the main festivities accompanying the history of mankind, born alternately to exorcise the fear that light will not return or to celebrate its progressive reappearance.

keywords | Light; Shadow; Seasons; Agricultural Rites; Fear; Relief.

Per citare questo articolo / To cite this article: S. Veroli, Spasmodici trucchi di radianza. Feste, luci e ombre, ”La rivista di Engramma”, n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 351-354 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0026