Solo pochi anni fa, la scoperta di un neologismo, “antroturbazione”, è stata accompagnata dalla scoperta di una singolare festa inaugurale in occasione dell’apertura di una ciclopica infrastruttura ferroviaria, alla cui progettazione hanno collaborato ingegneri e architetti di particolare eccellenza, tra cui Flora Ruchat Roncati. L’associazione tra la festa, la galleria del San Gottardo – definita, con i suoi 57 chilometri, l’infrastruttura ferroviaria più lunga del mondo – l’opera di un architetto donna e l’impatto disturbante e forse irreversibile che le opere umane di questo tipo hanno sul pianeta è avvenuta attraverso il documentario del 2018 Antropocene, l’epoca umana, frutto della collaborazione tra i registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier e il fotografo Edward Burtynsky. È qui infatti tra il minuto 42 e il minuto 45.34 che una festa teatrale all’aperto diventa il simbolo concreto e visibile di cosa significa antroturbazione. Intorno alla festa, spettacolare ed eccessiva come ogni festa che voglia far parlare di sé in quanto evento, si addensano e si intrecciano, in altre parole, letture differenti e impreviste e così l’evento sembra diventare il dispositivo che dà voce alla complessità di un luogo non solo in se stesso, per la sua storia attraverso tempi differenti, ma in relazione ad un contesto più ampio, addirittura planetario; la festa in altre parole, calibra il modo in cui azioni dai ritmi differenti compiuti da personaggi diversi concorrono alla trasformazione di un luogo impervio, difficile eppur bellissimo, in una icona della nostra epoca.
Il luogo
In principio si tratta di un valico, giusto al centro del massiccio delle Alpi che da questo passo prende il nome, il quale trova la sua incarnazione di luogo orrifico, bello e dannato in un celebre quadro di WilliamTurner del 1803-1804, oggi custodito presso il Birminghan City Museum and Art Gallery, The Pass of St. Gotthard. Si è osservato che, grazie alla scelta del centro del cosiddetto ponte del Diavolo come punto di vista, Turner “ha colto ed evidenziato proprio il carattere eccessivo e iperbolico del luogo; di una natura ostile, disumana, aliena e maligna: satanica appunto e ‘infernale’” (Bellasi 2002). Prima di questo dipinto comunque, come tramandato in altre vedute e cronache che lo descrivono, il valico è noto come il passo delle genti, a significare che, benché il suo attraversamento riduca di molto il tempo di percorrenza del passaggio dal mondo mediterraneo a quello nordico, questo è adatto più alle persone e ai pellegrini che al trasferimento di merci. Quest’ultimo, infatti, poteva avvenire con fatica, solo a dorso di muli e non con le carrozze come accadeva per gli altri valichi alpini che gli venivano preferiti. Nonostante il suo impervio e accidentato percorso, il passo è conteso fin dall’Alto Medioevo tra la chiesa lombarda, la famiglia Asburgo e le piccole comunità elvetiche e nel tempo le cime intorno, come anche la stretta valle, si punteggiano di piccole chiese, ridotti e strutture di accoglienza per i pellegrini. Alla fine, nella contesa su chi debba controllarlo, prevalgono le comunità locali: l’identità stessa della Svizzera trova in qualche modo una sua ragione profonda in questo luogo, che è al tempo stesso un valico ma anche una porta che può facilmente essere difesa o chiusa alle invasioni esterne. Il valico è intitolato a Gottardo di Hildesheim, vescovo bavarese, ma soprattutto grande edificatore di chiese che gli valsero l’appellativo di architetto.
Il mito
Perché il San Gottardo, come rileva il grande entusiasmo in occasione dell’inaugurazione della nuova galleria ferroviaria, unica nel suo genere, è considerato la montagna svizzera per antonomasia? La NFTA (Nuova Ferrovia Transalpina), infatti, abbraccia più luoghi sul suolo elevetico, eppure, nel 2007, “in occasione dell'inaugurazione della non meno importante galleria di base del Lötschberg, anch'essa parte della NFTA, i festeggiamenti erano stati molto più modesti” (Hafner 2016). Il San Gottardo invece sembra incarnare la Svizzera. Ma come e quando si costruisce questo mito? È un trattato di storia economica del 1900 a definire i contorni di questa ascesa. In Geschichte des mittelalterlichen Handels und Verkehrs zwischen Westdeutschland und Italien mit Ausschluss von Venedig, infatti, lo storico e medievalista tedesco Aloys Schulte, dopo un corposo studio decennale, affida ai costruttori delle mulattiere e del cosiddetto ponte del diavolo il merito di aver coeso gli interessi economici delle comunità locali intorno a questo massiccio e allo sfruttamento del suo valico. Dunque una strada e le vicissitudini per la sua costruzione – compreso il patto con il diavolo per cui gli si vende l’anima del primo passante di quel ponte, che solo la sapienza satanica è in grado di costruire per attraversare le cascate – diventa il fulcro intorno a cui ruota l’identità nazionale elvetica e da cui nasce il mito del san Gottardo. Questo mito ha trovato modo di rafforzarsi nel saggio Le Saint-Gothard et le Val d'Urseren, pubblicato nel volume Cités et pays Suisses, uscito nel 1948, in cui lo studioso di Friburgo Gonzague de Reynold idealizzò i caratteri del paesaggio del San Gottardo e gli effetti che questi avevano sugli abitanti della regione. Sconfessata la sua aura di importante passo per gli scambi economici da studi successivi, il mito del San Gottardo permane tuttavia nell’opinione pubblica grazie alla potente immagine di luogo spaventoso e sublime restituita dalle cronache dei viaggiatori nei secoli e dai dipinti dei vedutisti.
L’infrastruttura
Dopo la mulattiera e il ponte del Diavolo, battezzato così dal 1587, bisognerà aspettare il Settecento per la realizzazione del primo traforo alpino proprio qui al San Gottardo: si tratta della galleria Urnerloch, lunga 64 metri, che evitando i ponti, contribuì a migliorare la percorrenza dell’antica mulattiera trasformata nei secoli in strada carrabile. Ma sono la costruzione della prima ferrovia con la galleria di 15 km e l’apertura al traffico automobilistico, per sole due ore al giorno, dell’antica mulattiera divenuta strada carrabile, avvenute rispettivamente nel 1882 e nel 1906, che danno inizio alla trasformazione definitiva del valico in infrastruttura come manufatto architettonico per traffici e transiti misti. Viene così sancita la sovrapposizione tra l’essenza e l’identità della Svizzera e il racconto del paesaggio di montagna a cui presiede l’attento inserimento delle grandi imprese tecniche legate a questo tipo di infrastrutture. Il nuovo tracciato ferroviario realizzato da Alptransit con la sua galleria più lunga del mondo, motivo della festa inaugurale, è infatti preceduto dalla realizzazione del tracciato autostradale N2/A2 del Canton Ticino – la cui regia architettonica ed estetica è nelle mani dell’architetto ticinese Renzo Tami e vede la collaborazione di Flora Ruchat Roncati – ma anche dall’esperienza della stessa Ruchat Roncati in collaborazione con Renato Salvi per il disegno di vari segmenti della autostrada Trasjurane. Si tratta di illustri precedenti per il metodo con cui si realizzano e per i valori formali e plastici con cui viene controllato l’intero sistema affinché risultino progetti, e quindi visioni unitarie, delle infrastrutture e del modo in cui si innestano nel territorio, dando a questo un nuovo ordinamento. Il medesimo metodo viene infatti assunto anche per la nuova linea ferroviaria, benché questa sia prevalentemente sotterranea. Il lavoro degli architetti viene organizzato in due fasi:
“La prima […] consiste nell’elaborazione di un linguaggio architettonico riconoscibile lungo tutto il tracciato della nuova linea, ossia di regole basilari da distribuire ai numerosi studi d’ingegneria implicati nel progetto […] La seconda […] è l’applicazione concreta delle regole sul campo. È il momento in cui i principi sono confrontati con il contesto, in cui i diversi manufatti devono diventare dei veri progetti, ancorati nel territorio. Le costruzioni visibili legate al progetto […] sono numerose: portali, ponti, sottopassi, muri di sostegno, pozzi di ventilazione, accessi di gallerie per il trasporto dei materiali o di gallerie di sondaggio, edifici tecnici, serbatoi, villaggi di minatori, paesaggi, terrazzamenti, vasche di infiltrazione, passaggi ecologici, opere di protezione contro le inondazioni […].
Tutti i pezzi di questa opera devono sottostare oltre che alle leggi dell’ottimizzazione strutturale anche ad alcune regole di posizionamento preciso sul territorio,
[...] come se fossero sempre state là, con la loro forma che ha preso in prestito qualcosa alla poesia dei treni che, tra qualche anno, attraverseranno il paesaggio a gran velocità tra Zurigo e Milano, avvicinando un po’ il mare del Nord al Mediterraneo” (Sigrist 2016).
Ciò che l’esperienza di Ruchat Roncati e dei suoi collaboratori porta anche nel progetto della galleria del San Gottardo è il tema della profonda relazione che deve instaurarsi tra il disegno del tracciato e il disegno dei manufatti affinché “l’inserimento delle nuove figure dei manufatti restituisca una nuova forma e una possibile nuova narrazione dei paesaggi attraversati” (Valente 2017). Simulare l’atemporalità dei nuovi segni/manufatti e al contempo far sì che essi offrano una nuova narrazione del territorio sono le coordinate entro cui vengono disegnate le opere in cemento armato dentro le viscere della montagna come nei punti in cui il tubo riemerge nel paesaggio e si trasforma in portale, viadotto, torre/cabina di ventilazione e controllo e così via. Diciasette anni di lavori sono stati necessari per compiere questa opera ciclopica che le attuali letture distopiche del pianeta pongono ad introduzione dell’antroturbazione, ossia di quell’atto di scavo incessante di montagne per realizzare milioni di metri cubi di gallerie per treni, metropolitane, miniere; per costruire la città dentro la terra.
La festa
Atemporalità e nuova narrazione di questo arco alpino sono anche le coordinate entro cui si muove la festa di celebrazione dell’apertura del nuovo traforo ferroviario del San Gottardo. La celebrazione consta di più eventi tra il 31 maggio 2016 e il fine settimana seguente: si inizia con una cena tra i ministri dei trasporti e altre autorità dei paesi confinanti e svizzeri; il 1 giugno si tiene il taglio del nastro accompagnato dal viaggio lungo la galleria dei primi ministri delle nazioni confinanti e dallo spettacolo teatrale di danza e musica con drammaturgia del regista tedesco Volker Hesse alla presenza di ottocento persone; infine nel fine settimana successivo si svolge la festa popolare. Però è lo spettacolo teatrale che desta le maggiori sorprese. Costato otto milioni di euro, si tratta di una rappresentazione che avviene in contemporanea all’ingresso della galleria verso il Canton Ticino a Pollagio e verso il Canton Uri a Ertfeld. Mentre a Ertfeld però la rappresentazione avviene all’interno di un capannone, sul versante italiano questa si svolge all’aperto, rendendo molto più spettacolare l’impatto dei trenta minuti di messa in scena. Il regista si avvale di centocinquanta artisti volontari, più che altro abitanti del luogo, e alterna momenti di spettacolare perizia acrobatica a momenti di danze orgiastiche e dionisiache. Volendo “dimostrare che il progresso ha anche un lato spaventoso e che l’audacia della tecnologia è sempre associata ai sacrifici” (Schaub 2016), Hesse dà inizio alla festa facendo marciare i ballerini vestiti in tuta da lavoro verso un gigantesco schermo su cui si proietta l’immagine della montagna che crolla man mano che i lavoratori si arrampicano lungo funi, accompagnati dal suono cupo dei tamburi. Poco dopo, precipitando verso terra, questi si liberano dei loro panni da lavoro per simulare corpi nudi e dare inizio alle danze liberatorie in cui s’innestano tutti personaggi dell’olimpo mitico delle montagne alpine, con in testa il diavolo in forma di caprone, presunto autore del famoso ponte medievale, fino all’introduzione, nella parte finale, di personaggi che rappresentano altri miti della contemporaneità, dai politici megaloencefalici ai turisti.
Divenuto subito oggetto di dileggio da parte di quasi tutte le testate europee o all’opposto additato come manifestazione esoterica e massonica del nuovo ordine mondiale che controlla le masse, lo spettacolo racconta in modo eccessivo, ipercolorito se si vuole, il mondo di oggi, così come è, oscillante tra superstizioni, visioni apocalittiche, resistenza di tradizioni ormai svuotate dai loro antichi significati, laica fede nella ipertecnologizzazione purista di ogni manifestazione umana. Festa carnevalesca più che rappresentazione teatrale, la messa in scena in fondo ha attivato il rito di consacrazione della nuova montagna antropomorfizzata, ma ha anche offerto l’occasione, suo malgrado, per riflettere sugli effetti della cosiddetta “antroturbazione”.
Riferimenti bibliografici
- Bellasi 2002
P. Bellasi, Il San Gottardo, il diavolo e il buco della serratura, “Quaderni grigionitaliani” 71 (2002). - Hafner s.d.
U. Hafner, Il San Gottardo nella storiografia, Biblioteca Nazionale Svizzera, s.d. - Maffioletti, Navone, Toson 2018
S. Maffioletti, N. Navone, C. Toson (a cura di), Un dialogo ininterrotto. Studi su Flora Ruchat-Roncati, Padova 2018. - Maffioletti 2018
S. Maffioletti, L’Autostrada N2, “K+A” 69, “Kunst + Architektur in der Schweiz” 2 (2018), 40-47. - de Reynold [1948] 1982
G. de Reynold, Le Saint-Gothard et le Val d’Urseren, in Cités et pays Suisses. L’âge de l’homme, Lausanne [1948] 1982. - Schaub 2016
C. Schaub, Viel Theater um einen Tunnel: Volker Hesses Gotthard-Spektakel, “SRF” (1 giugno 2016). - Schutte [1900] 2011
A. Schulte, Geschichte des mittelalterlichen Handels und Verkehrs zwischen Westdeutschland und Italien mit Ausschluss von Venedig, Leipzig [1900] 2011. - Sigrist 2016
P. Sigrist, L’architettura della nuova linea ferroviaria AlpTransit San Gottardo, “Espazium” (9 giugno 2016). - Valente 2017
I. Valente, La Transjurane. Architettura della strada e ordinamento del territorio, “Werk bauen+wohnen” 2017.
The celebration of the new Gotthard railway tunnel is an opportunity to reconnect the threads of different stories, in which an exceptional and mythologized landscape – that of the Swiss Alps outlined among others by William Turner – intertwines with the cyclopean dimension of some of the most important European transit infrastructures and their skillful architecture, subject of the patient and decades-long work of architects such as Flora Ruchat Roncati and Rino Tami. But the party also becomes the symbol of something more deadly, of a danger looming over our planet: its total dissolution if new, slower paces of modification made by man do not take the place of the accelerated pace with which technology is disturbing the Earth, even in the depths of its bowels with kilometers and kilometers of tunnels for transit or for mining and alternative energy sources, to satisfy our needs as citizens of the 21st century.
keywords | Infrastructure; Alps; Architecture; Gotthard railway tunnel.
Per citare questo articolo / To cite this article: F.De Maio, La festa inaugurale del traforo del San Gottardo, “La rivista di Engramma”, n.200, vol.1, marzo 2023, pp.325-332 | PDF