"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Lasciare la festa

Giorgiomaria Cornelio

English abstract

Così, la scomparsa [...] di queste feste, di cui, se ci
si limitasse alle apparenze esteriori e da un punto di
vista semplicemente "estetico", ci si potrebbe
rallegrare per via dell’aspetto “laido” che
inevitabilmente assumono, questa scomparsa,
diciamo, costituisce al contrario, se si va al fondo
delle cose, un sintomo assai poco rassicurante,
poiché testimonia che il disordine ha fatto irruzione
nell’intero corso dell’esistenza e si è a tal punto
generalizzato da far sì che noi viviamo in realtà, si
potrebbe dire, in un sinistro "carnevale perpetuo"

R. Guénon, Simboli della scienza sacra

Nel descrivere il ballo dei Ponteleone, Giuseppe Tomasi di Lampedusa raggela, in una specie di istantanea del congedo, l'atmosfera velata della festa nel momento della fine, quando i servitori assonnati evitano di cambiare le candele dei lampadari, e “i mozziconi corti” spandono “nei saloni una luce diversa, fumosa, di mal augurio”; leggiamo nel Gattopardo: “nella sala del buffet, vuota, vi erano soltanto piatti smantellati, bicchieri con un dito di vino che i camerieri bevevano in fretta guardandosi attorno. La luce dell’alba si insinuava dai giunti delle imposte, plebea” (Tomasi di Lampedusa 1958). Questa forma di vuota stanchezza, entro la quale i resti  hanno esaurito ogni impiego e giacciono abbandonati, esposti ma senza più contorni  netti, senza certa proprietà, marca allo stesso tempo il trionfo e l'esaurimento della festa, e del movimento con cui essa investe tutto ciò che vi si trova coinvolto. Don Fabrizio lo sa: è ora di andarsene. Ma cosa accade quando subentra un'impossibilità del congedo? Quando nessuno sembra più essere capace di lasciare la festa, e nell'alternanza ritmica della vita, nella sua vicenda oscillatoria, viene meno la forza in grado di reagire all'ebrezza del disfacimento? Ecco che sonno ed evanescenza diventano, più che attributi della liberazione, stadi terminali dell'essere, sinistramente estesi all'intera esistenza. 

Tra le lettere dall'India di Lady Wilson, pubblicate nel 1911, ve ne è una che descrive, riferendosi al ballo, il festivo, immediato precipitare tra cose che non hanno più contorni definiti: “c'è qualcosa al mondo di più inebriante” si chiede la dama “d'un ballo con un palco perfetto, una banda perfetta, un perfetto compagno e uno spirito intonato alla felicità? Non sai se sei dentro o fuori del corpo, ma soltanto che fai parte della musica sulle ali d'una canzone, accanto al segreto della vita, senza prima né poi, esclusivamente nell'Adesso immediato” (Wilson [1911] 1984). Che tale mescolanza di forze, tale approssimarsi alla scena del mondo fino a coincidervi - non sai se sei dentro o fuori del corpo, ma soltanto che fai parte -, vada considerata come un paesaggio iniziatorio (si veda Zolla Il dio dell’ebbrezza. Antologia dei moderni dionisiaci 1998), un momento di rigenerazione di potenze altrimenti castrate, è acquisizione comune nelle più svariate tradizioni; la festa è un precipitare tra le cose che rinnova i sensi, perché permette di attingere al mondo fuori dalla sua economia quotidiana, e quindi dal consueto spazio percettivo che assoggetta le cose. Ma a ciò deve rispondere, dialetticamente, la necessità intervallare di un prendere le distanze, di uno spazio del pensiero - della scoincidenza, della stonatura - entro il quale fare ritorno con sensi rinnovati. Questo perché la festa non si dà soltanto come il momento dell'assoluto festeggiamento, ma come la delimitazione che essa segna nel tempo profano, dalla quale pure dipende. 

Luchino Visconti, Il Gattopardo (1963)

Tutto ciò lo vediamo in maniera particolare nelle feste che non sono contraddistinte da un completo rovesciamento dell'ordine - da orge o violenze ripetute -, ma che intrattengono un rapporto di vicinanza col gesto quotidiano e, proprio nel conservarlo, attuano una sospensione della sua economia. Come scrive Giorgio Agamben: “la festa non è definita da ciò che in essa non si fa, ma piuttosto dal fatto che ciò che si fa – che in sé non è diverso da ciò che si compie ogni giorno – viene dis-fatto, reso inoperoso, liberato e sospeso dalla sua “economia”, dalle ragioni e dagli scopi che lo definiscono nei giorni feriali (il non fare è, in questo senso, solo un caso estremo di questa sospensione). Se si mangia, non lo si fa per assumere cibo; se ci si veste, non lo si fa per coprirsi o ripararsi dal freddo; se si veglia, non lo si fa per lavorare; se si cammina, non è per andare da qualche parte; se si parla, non è per comunicarsi delle informazioni; se ci si scambiano oggetti, non è per vendere o per comprare” (Agamben 2009). Che si tratti di rovesciamento o di disattivazione del quotidiano, entrambe le modalità sono definite dalla tensione che esse instaurano con questo tempo profano. Nel tempo in cui viene smarrito ogni legame col tempo, un velo fumoso e cosmetico arriva a coprire tutto, trasformando in norma la confusione dello sforamento; la festa, persa proprio perché onnidiffusa, assume così i tratti di un carnevale perpetuo, incapace di discriminare il tempo, di marcare in esso la tensione dell'innesco percettivo.

Nessun fraintendimento è più pericoloso di quello che afferma che la liberazione in vita debba per forza coincidere con la festa perpetua, senza contemplare la necessità di un disaggiustamento ritmico. Mircea Eliade, nel suo Trattato di storia delle religioni, esplicita bene questo punto: “nell’alternanza vita quotidiana-orgia (Saturnali, Carnevale, eccetera) identifichiamo la stessa visione ritmica della vita, formata di azione e di sonno, di nascita e di morte”(Eliade [1949] 1976). Ciò che balla, nella festa, è proprio il suo portamento dialettico, la mobilità continua della vita: il suo apparire nel dileguare - come parte stessa di un dileguare. La festa non si definisce nel mantenimento, ma nel congedo: quando gli occhi, coperti dai fumi, hanno già pianto la loro prima impressione, e si rendono pronti a vedere con nuovo vigore. Perché, fuori dalla stanca luce dei palazzi agghindati a festa, vi sono, come bene sapeva Don Fabrizio, stelle lontane, ancora da ammirare.

 
Riferimenti bibliografici
  • Agamben 2009
    G. Agamben, Nudità, Milano 2009. 
  • Eliade [1949] 1976
    M. Eliade, Trattato di Storia delle Religioni, Torino [1949] 1976.
  • Tomasi di Lampedusa [1958] 2022
    G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Milano [1958] 2022.
  • Wilson [1911] 1984
    Lady A. Wilson, Letters from India, London [1911] 1984.
  • Zolla 1998
    E. Zolla, Il dio dell’ebbrezza. Antologia dei moderni dionisiaci, Torino 1998.
English abstract

Through comparing literary texts (Tomasi di Lampedusa’s The Leopard),correspondences (Lady Wilson’s letters) and cultural interpretations (Zolla, Agamben, Eliade), the author discusses the dialectical relationship between the feast and the daily life.

keywords | Feast; Daily life; Alternance

Per citare questo articolo / To cite this article: G.Cornelio, Lasciare la festa. ”La rivista di Engramma” n.200, vol.1, marzo 2023, pp. 255-258 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0066