Un giorno mi sono trovato in un posto non so dove pieno di gente in festa. Tutti cantavano e ballavano. Molti erano in maschera. Altri, per lo più giovani, giocavano con i loro sentimenti ammiccando l’un l’altro. C’è anche il tempo dell’amore. La piazza era piena e le architetture d’intorno facevano grande scena rendendo senza tempo quella straripante gioia collettiva. Perché tanta allegria? Lo chiesi a molti. La risposta è stata sempre la stessa: un nome, Mattia, e una frase: “Ci ha liberati, un bambino ci ha liberati”.
Ecco la vicenda. Mi è stata raccontata da un poeta e narratore danese, Hans Christian Andersen, anche lui lì, nel non so dove, a far festa. Sempre nel non so dove, c’è un re. Un re vanitoso, preoccupato solo dei suoi vestiti. Ogni ora ne cambia uno. D’altra parte, nel suo mondo è l’abito che fa il monaco. Forse cambiando continuamente d’abito la regalità vuol presentarsi sempre diversa rimanendo sempre uguale: questo sì, è vero potere.
Un giorno arrivano due individui. Raccontano a tutti di saper tessere delle stoffe con disegni e colori meravigliosi e con un potere magico davvero incredibile: le stoffe diventano invisibili per coloro che non sono all’altezza della loro carica o che sono stupidi.
Il re vuole subito incontrarli per dar loro l’incarico di confezionare abiti magnifici. Pensa tra sé e sé: “Vestito con quelle stoffe potrò, se le vedono o non le vedono, riconoscere gli incapaci che lavorano per me o gli stupidi che mi odiano”. Anticipa molto denaro e concesse ai nuovi arrivati l’uso di un grande laboratorio.
Il tempo passa e il re è in apprensione. Manda allora il suo più fidato ministro a vedere come procedono i lavori. Questi trova i due indaffarati attorno a dei grandi telai e a lunghi tavoli per tagliare le stoffe. Con fare ansioso, muovendosi qua e là di fretta, sembrano manipolare delle stoffe che devono esserci ma che lui non vede.
“Dio mio!” pensa. “Ma allora io sono uno stupido e indegno del mio importante ruolo?”
“Cosa vi sembra?” chiedono i due figuri fermandosi per un attimo.
“Magnifico! Magnifico” risponde il ministro quasi balbettando.
“Il re sarà felice”.
I ministri, i consiglieri, la servitù e la popolazione tutta, in un battibaleno, vengono a sapere del portento venturo, e si crea una aspettativa diffusa in tutto il regno.
Finalmente le stoffe possono essere lavorate per diventare degli abiti preziosi e arriva il giorno delle prove. I due figuri fanno indossare al re pantaloni, giacche, camice e quant’altro con aria soddisfatta, dicendosi: “Qui va bene; là una piccola modifica; lì manca una arricciatura”. Così parla chi davvero se ne intende.
Il re non vede e non sente addosso nulla, proprio nulla. Imbarazzato chiede:
“Come mai non li sento questi magnifici abiti?”
“Vostra maestà, la stoffa è più leggera della tela del ragno. Fa parte delle sue straordinarie qualità”.
“Possibile che io sia stupido?” pensa tra sé e sé non vedendo nessuna stoffa. E subito si riprende: “No! No! Non è possibile”, e rivolto ai due esclama con entusiasmo straripante: “Magnifico! Magnifico!”.
Nomina i due figuri Grandi Tessitori Imperiali con delega al Taglio e al Cucito e viene il giorno della Parata di Corte. C’è grande folla mentre il re cammina davanti a tutti, impettito con i ciambellani a portare lo strascico, anche se più leggero della tela del ragno. La folla è entusiasta e batte le mani urlando: “Viva il re, viva il re”.
D’un tratto la voce di un bambino: “Ma il re è nudo, il re è nudo”. È Mattia.
Sconcerto! Vociare diffuso! Silenzio pesante! E poi un urlo liberatorio di tutti: “Il re è nudo, il re è nudo”.
Il re rabbrividisce perché sa che hanno ragione, ma intanto pensa:
“Ormai devo condurre questa parata fino alla fine”. E così si drizza fiero e con un’andatura ancora più maestosa, procedendo più nudo che mai, mentre i ciambellani lo seguono reggendo uno strascico che non c’è.
“Il re è nudo, il re è nudo”.
“Il re è nudo, il re è nudo”.
E così tutti a fare festa, anche se il re continua a fare il re.
Molto mi fa ancora riflettere questa favolosa vicenda: sulla nostra infingardaggine, sull’opinione pubblica che si impone come verità, sul potere, i suoi vizi e virtù, su quanto la tecnica giochi con la menzogna oltre alla sua ben nota efficacia, sulla stupidità che spesso si aggrappa al potere, sulla vanità e, soprattutto, su che cosa sia la verità.
Certo che Mattia ha detto il vero e certo che questa verità si è fatta immediatamente libertà e festa, ma il re, impettito, ha continuato a governare. Dovremmo – credo – interrogarci sempre e ancora sulla verità e in particolare sul rapporto tra la verità, il visibile e l’invisibile. Sul reale e il virtuale. Sul possibile e l’impossibile. Si pensi oggi al metaverso, ma anche a quello strano fenomeno per principio invisibile che chiamiamo entanglement e che caratterizza la fisica quantistica. C’è una verità della quale non possiamo fare esperienza? Una verità che possiamo affidare solo alla ragione, dura e incontestabile? E, di contro, anche una verità contingente, molle, possibile, adattabile? E se si (come ci dice da tempo la filosofia) hanno qualcosa in comune?
Guarda caso mi è venuta in mente una scultura di Ron Mueck: eccola!
Perturbante! L’iperrealtà, la finzione, più reale del reale, rende provocatorio il sorriso del ragazzino e improbabile e inquietante quella sua innocenza. Mi è capitato di vederla alla Saatchi di Londra. Da lontano ho subito percepito una sorta di disagio. Forse perché è così realista che mi aspettavo si muovesse? Certo! Ma c’era anche dell’altro. Mi sono avvicinato e ho notato che l’altezza e la postura erano quelle tipiche di un bambino ma il volto aveva i segni, i caratteri di una personalità quasi formata. Quel bambino stava diventando un ‘lui’, avendo così una sua identità. Mi apparivano contemporaneamente due identità contrapposte nella stessa figura: un prima e un dopo, resi contemporanei quando dovrebbero appunto essere un prima e un dopo, mondi in sintonia ma diversi. Compariva qualcosa che si sta facendo altro da ciò che è.
Si dirà: questa è la vita, procede, evolve, trasforma, metamorfizza. Ma c’è comunque il momento del prima e quello del dopo. E, perché no?, anche la sua specifica forma. E c’è comunque qualcosa che chiamiamo identità. E poi c’è il fatto che quell’opera, incredibilmente più reale del reale, non è altro che un’opera d’arte, un manufatto, un qualcosa fatto dalle mani di qualcuno. Fatta grazie a degli arti. Qualcosa che forse sfida la stessa vita: prova a fissarla e cerca di condurla in una sorta di buco nero, l’assoluto. In un impossibile senza tempo.
Ecco che ciò che chiamiamo arte non è solo un’opera e di certo non è solo ciò che di quell’opera ci racconta il gergo della critica e della storia dell’arte. Anche da ciò la mia l’inquietudine.
Mi sono avvicinato ancor di più. Mi attirava in particolare il naso. Era leggermente più grande di quanto dovesse essere. In modo quasi impercettibile. Indubbiamente i nostri sensi hanno per così dire una sorta di sesto senso. Si attivano segnalandoci qualcosa che non è come dovrebbe essere prima ancora che noi ci si possa pensare. Hanno una loro memoria d’ordine.
Ho guardato il titolo dell’opera: Pinocchio. Ho pensato sorridendo che se fosse entrato in quel momento nella sala Ron Mueck, lo scultore, si sarebbe presentato come Geppetto.
Pochi anni dopo, per un allestimento al Parco di Pinocchio a Collodi, ho chiesto a un caro amico, Sergio Camin, di disegnare diversi personaggi ricordando Pinocchio. Eccoli:
C’è Dante Pinocchio, Cristoforo Colombo Pinocchio, Topolino Pinocchio, c’è Pinocchio Pinocchio… e ci sono, non in scena, Io Pinocchio. Ognuno con le proprie bugie e verità, con la propria storia singolare e insieme collettiva.
Ognuno di questi personaggi è portatore di storie e valori, modellati dalle nostre non-verità e da tutto ciò che non è mai stato detto e persino non dicibile della loro/nostra vita (reale o immaginaria che sia). Siamo inevitabilmente tutti presi per il naso (e Pinocchio lo sa, dio mio se lo sa!), anche e soprattutto quelli che si credono portatori della verità. Cosa significa allora fare storia? descrivere e produrre opere? interpretare il mondo? parlare tra di noi?
Anche questo (come la storia? perché il linguaggio? come sappiamo e quali saperi? come la tecnica? che cosa è l’opera d’arte? e, in particolare, cosa è architettura?) è il paesaggio nel quale da tempo mi muovo inevitabilmente – ripeto, inevitabilmente – in modo indisciplinato. Ma la voce di Mattia e il suo “Il re è nudo” mi tocca profondamente proprio in questo e nostro oggi.
Ecco il motivo (o la mia convinzione). Siamo passati dal modo di produzione industriale a quello digitale. Questo, si badi bene, non significa che non si producono più prodotti industriali, ma che i processi, sia produttivi che di valorizzazione economica e sociale, sono governati da logiche digitali. Quando cambia il modo di produzione cambia tutto, proprio tutto. I valori sui quali si organizza la società, la funzione dei saperi, delle tecnologie, del lavoro e della transazione economica, il rapporto con ciò che chiamiamo natura o mondo, l’idea stessa di realtà e verità, e così di seguito. Cambia e questa è l’indicazione più sintetica, l’episteme, cioè il rapporto tra fare e pensare. Il digitale non è questione tecnica, ma appunto epistemica. E allora qualcuno (ognuno di noi) può (dovrebbe) dire: “Il re è nudo”. Sia il re da tempo insediato, il modo di produzione industriale, sia quello che ora si è imposto, il digitale. Il primo ci ha dato molto e il secondo promette moltissimo. Il primo ha seminato anche molti pericoli e moltissime contraddizioni; il secondo potrebbe fare danni catastrofici, ma anche risolvere i danni che il modo di produzione industriale non ha neppure avvertito. Dipende da noi e dalla nostra capacità di vedere che il re è nudo.
Forse può aiutarci ciò che spinge Mattia a parlare: l’ingenuità? Difficile ritrovarla. Quante incrostazioni ci illudono o ci frenano? Quanto la storia spesso ci incatena invece di liberarci? Mattia non dice il re è nudo perché odia il re, o vorrebbe cambiarlo, non ha ragioni politiche, ne pensa di voler fare il sarto da grande. Non ha bisogno di saperi speciali per dire ciò che vede. Si affida all’evidenza ma lo fa nel disinteresse. I filosofi che hanno seguito e ancora seguono la fenomenologia potrebbero dire che Mattia, con la sua ingenuità, va alle cose stesse, sospende il giudizio, fa epochè. Tant’è! Ma Mattia non ha bisogno di sapere di fenomenologia, per dire quello che dice. Forse è impossibile recuperare l’ingenuità, ma possiamo senza dubbia fare di più per trovare una certa libertà di pensiero, non ascoltando le sirene di ciò che si vuole come assoluto o come universale. Magari affidandoci sempre di più a un pensiero controfattuale, un pensiero che sa che la nostra percezione sensibile alle volte ci prende per il naso soprattutto quando ci illudiamo di essere al centro dell’universo.
Il passaggio al digitale pretende di ripensare e ripraticare i saperi (cioè il rapporto teoria e pratica). Come? Depotenziando i saperi competenti e/o specialistici, i saperi politecnici, che hanno alimentato l’episteme del modo di produzione industriale? Assolutamente no! Riducendo la loro presunzione insieme veritativa e totalizzante? Questa forse è la strada. Come? Intrecciandoli tra loro, riducendo la differenza tra teoria e prassi, rimescolando ciò che è stato separato, scienza ed arte, divenute sorelle nemiche. E ancora con il superamento dei gerghi accademici, privilegiando i linguaggi reali e potenziali come quelli che si sono aperti con l’intelligenza artificiale; comprendendo la dimensione potenzialmente postmeccanica e biotica della tecnologia; ripensando i valori e le categorie del politico; alimentando una storiografia senza alcuna presunzione di verità, ma come continua e umanissima autovalutazione, come riflessione sul già stato, ma anche come modo di alimentare il non ancora.
“Il re è nudo”. Dobbiamo continuare la ragione e il senso della festa, anche se sappiamo che il re continuerà, il più delle volte impettito, a fare il re.
Starting from Andersen’s The Emperor’s New Clothes, the author reflects on the essence of truth and deceit. The exclamation in the tale “but he hasn’t got anything on” should be reminded by us every day.
keywords | Andersen’s The Emperor’s New Clothes; Ron Mueck; Pinocchio; The essence of truth.
Per citare questo articolo / To cite this article: R. Masiero, Il re è nudo, ”La rivista di Engramma” n.200, v.2, marzo 2023, pp. 79-84 | PDF