Come partecipare al meglio al focus “la festa” proposto per i festeggiamenti di Engramma? Si è pensato a un excursus sullo sfaccettato mondo del ludico che fu centrale nella cultura italiana ed europea tra Cinquecento e Settecento, con esemplificazioni del serio ludere tanto sul versante del play quanto su quello del game.
Fu la civiltà del Rinascimento che, riprendendo spunti già offerti nei secoli precedenti (Boccaccio, in primis), lanciava negli spazi delle corti, nei palazzi dell’alta e media società, nei salotti e nei giardini, il gusto della conversazione; e questa si poteva attivare anche attorno a libri-gioco che stimolavano dialoghi dotti su pagine fatte di parole e immagini: tali furono i prodotti che il nuovo mezzo tipografico offriva al mercato e ne uscirono di spettacolari. Così i preziosi Libri di Sorti, Libri di Ventura, Libri di Astrologia: tutti materiali che invitavano, sotto le vesti del ludico, a riflettere di filosofia morale, di pace e di guerra, di verità e di menzogna, di razionalità e di illusione, di destino individuale e di sorti collettive, di caso o fortuna, di ristori dello spirito e di stimoli per l’intelletto (Urbini 2019). In tal senso le conversazioni dei partecipanti ai vari giochi non erano solo passatempi, ma anche prove di saperi: venivano messe alla prova la cultura, l’intelligenza, la capacità di associazione, venivano richiesti principi di matematica, calcoli di architettura, rudimenti di musica; veniva sollecitata la memoria, dote quest’ultima tanto apprezzata dall’interesse che andava ricrescendo per la mnemotecnica. Valga un esempio, per tutti.
A Venezia usciva alle stampe nel 1540 Le sorti intitolate giardino d’i pensieri di Francesco Marcolini, un libro-gioco corredato da uno splendido apparato figurativo, con duecentosei pagine illustrate, cento incisioni, duemiladuecentocinquanta terzine: un reticolo di percorsi combinatori – attraverso carte da gioco – con richiami ai grandi filosofi dell’antichità, agli artisti e letterati dei tempi più prossimi, alla storia. Una vera e propria summa di sapere e di conoscenza (Procaccioli et alii 2006), un esempio raro di cultura come gioco dei giochi. Il ludico, libero da scrupoli e condizionamenti, recuperava anche la dimensione di “civile conversazione”.
“Giochi verbali” erano al centro della vita di corte e i quesiti di intrattenimento, per esempio, facevano discutere le gentili brigate come la Giustizia potesse superare Cupido, le passioni, ma avesse bisogno della Forza cui a volte doveva cedere. Le categorie proprie del vivere erano già state visualizzate anche in splendide immagini di mazzi di carte, i tarocchi, che avevano avuto all’origine non scopo divinatorio, ma scopo conoscitivo e a chi li maneggiava parlavano di Giustizia, Amore, Forza, Destino, Malattia, Stoltezza, Coraggio, Prudenza, e quant’altro chiamasse in causa la ragione e l’etica, il dubbio e il bivio delle scelte.
Ci avevano pensato gli artisti a ideare quegli oggetti di nicchia per passatempi di principi e a produrre mazzi di lusso per illustri committenti. Così in ambito ferrarese era stato confezionato un mazzo di tarocchi (per la loro raffinatezza addirittura attribuiti – ma senza certezza – all’officina del grande Andrea Mantegna) che facevano spaziare tra condizioni del vivere umano, arti e scienze, pianeti e sfere: chiara la funzione edificante del gioco per un itinerarium mentis in Deum, dalla carta del ‘Misero’ alla ‘Prima Causa’, allo stesso ‘Dio’ (Depaulis 1984).
Così in ambito milanese per la corte dei Visconti si erano confezionati mazzi di tarocchi miniati che mostravano le interferenze e corrispondenze tra quelle carte e il mondo delle arti figurative coeve, pittura e miniatura (Bandera, Tanzi 2013).
Così in area veneta da Matteo Maria Boiardo con I cinque Capitoli, a Pietro Aretino con le sue Carte parlanti, la letteratura utilizzava mazzi di tarocchi per collegare quelle carte ad altrettante personalità del tempo, donne innanzi tutto, che costituivano il nuovo pubblico della stampa; nascevano collane poetiche di “trionfi” di gentildonne, di “giostre” amorose, di “templi” carichi di imprese ed emblemi per percorsi in “machine” di rappresentazione dei sentimenti umani e dei grandi interpreti di esse nei vari secoli.
Simbolicità e letteratura, coreografie e teatralità, testi visualizzati e proiettati nello spazio, intersezioni tra poesia, pittura, calligrafia, loci memorativi. In epoca rinascimentale è sfida di conoscenza inseguire il caleidoscopio della morfologia del gioco, del gioco giocato in mille forme culturali (Nadin 1997).
A quella aperta stagione – rabelaisiana si potrebbe dire – di trionfo del ludico seguono tempi di ripiegamento, codificazione, repressione. Il primo Seicento mostra l’impegno, a volte anche ossessivo, a demonizzare quale regno del Maligno l’universo del gioco che, nelle maglie sociali, era esploso in ritmi vertiginosi, a tutti i livelli, con preoccupanti risvolti che esigevano sempre nuove strette normative. Il dilagare del gioco aveva conseguenze pericolose sui singoli soggetti, sui nuclei familiari, sui patrimoni.
Ma a Venezia, in una città metropoli crocevia di incontri e di genti, il gioco poteva anche essere come un sale che insaporiva gli intrattenimenti e dava vita a piccoli e grandi giri di traffici di denaro; e infatti a Venezia diventava pervasivo in ogni classe sociale, dalla più infima alla più alta, quella di patrizi e dogi stessi. Decine e decine di bandi si moltiplicavano per tentare di mettere un freno al fenomeno: furono dapprima orali quei bandi, poi addirittura vennero scolpiti sui muri cittadini, come ancor oggi si possono leggere i pochi sopravvissuti (Nadin 2022) [Fig. 1]. Il fenomeno era italiano ed europeo.
Si infittivano allora i Trattati “contro” i giochi per la loro pericolosità, si stigmatizzavano i comportamenti rovinosi che ne potevano seguire: così, per esempio, Angelo Rocca, vescovo romano, citava i tanti casi di immagini sacre sfregiate da giocatori perdenti che in molte chiese d’Italia dovevano fungere da exempla deterrenti per le terribili conseguenze intervenute. Molti facevano voto di non cadere mai più nel vizio e testimonianze del pentimento sono varie medaglie votive conservate in musei e collezioni private. Non si era già nel passato, d’altronde, sulla scia di accensioni di predicatori, impastati mazzi di carte per confezionare quale ex voto addirittura crocefissi (Del Corno 1989)?
Ma non poteva che essere ambivalente la politica di repressione, lo insegnò Venezia, complici eventi epocali, quali la peste nel 1630. Le casse dello stato potevano anche essere foraggiate con l’abile sfruttamento di private passioni e fu scelta di lungimiranza economica l’apertura del Ridotto nel 1638, la prima, in assoluto, casa da gioco pubblica. Le ansie moralistiche erano destinate a cedere agli interessi economici di stato e, via via, cresceva l’interesse per incanalare eccessi e colpe verso utilizzi più virtuosi della naturale inclinazione ludica dell’uomo, per trovare i giusti puntelli e dirigerla verso l’area del lecito. Il fenomeno, anche in questo caso, era italiano ed europeo.
Furono riflessioni di filosofi e pedagogisti a concentrarsi sulle tematiche del ludico, le teorie didattiche di un Comenio insegnano, e a sviluppare un interesse sempre crescente per l’utilizzo delle immagini come strumenti didattici. Le carte da gioco diventate ormai oggetti di uso quotidiano potevano acquisire valenze altre, diventare pictae pagellae istruttive: i simboli dei quattro semi nelle carte in uso in varie regioni e nei vari paesi di Europa potevano essere solo accennati in ogni singola carta e lasciare spazio a immagini di varie discipline; i giovani, maneggiando i vari mazzi, potevano imparare in modo divertente contenuti di storia, di geografia, di mitologia.
Il boom fu ovunque. Si scopriva che l’apprendimento veniva facilitato dalle immagini appunto. Qualche esempio.
In Francia per il delfino, futuro Luigi XIV, fu un artista italiano, Stefano della Bella, a realizzare quattro mazzi di carte con incise figure relative alle seguenti discipline: storia dei Re più famosi, delle Regine, delle Favole Mitologiche, della Geografia. Ogni immagine era accompagnata da una breve scritta illustrativa. Il seme e il numero restavano impressi in un angolo delle singole carte. Il giovane principe imparava a conoscere protagonisti della storia e della letteratura del passato e a costruire una sorta di atlante dei vari paesi del mondo; le immagini – come teorizzava Comenio – erano appunto strumenti per facilitare l’apprendimento [Fig. 2].
Oltre a mazzi di carte, anche giochi di percorso da tavolo diventavano occasioni didattiche. Negli stessi ambienti di corte nasceva, per esempio, come gioco da tavolo il Giuoco d’arme dei Sovrani ideato da Oronce Finé detto de Brianville, gioco per apprendere l’arte del guerreggiare e insieme nozioni di storia e di geografia. Lo proponeva lo stampatore e traduttore Bulifon, con questa consapevolezza: “Questi è il fine della presente traduttione, onde resti communicata così degna fatica alla Repubblica Letteraria d’Italia” (Bulifon 1667).
E sempre in Francia appariva anche un gioco di percorso per acquisire i fondamenti di verità religiose: era il Prix d’histoire sainte ou Figures de la Bible. In tutta la cultura europea era il trionfo della linea pedagogica che finalizzava l’agon alla conoscenza.
In area veneta esigenze economiche e processi evolutivi del costume, dal Ridotto di cui sopra agli spettacoli teatrali alle feste del Carnevale sempre più dilatato nel tempo, portavano nel corso del Seicento a legittimare nuove forme del ludico in tutte le sue forme e la cultura di fine secolo veniva invasa dalle più disparate proposte, mentre vari editori veneziani importavano anche versioni di giochi francesi e tedeschi.
Apparvero così giochi ideati dal benedettino Casimiro Freschot: I preggi della nobiltà veneta, l’uno con un mazzo di carte da gioco rappresentati stemmi nobiliari, imprese, fregi di sculture; l’altro costituito da un percorso da tavolo contenente immagini geografiche, pensato per istruire i giovani figli del senatore Girolamo Michiel: si giocava con i dadi e ogni casella era corredata da una scritta relativa ai fatti di storia antica e contemporanea (Freschot 1682).
L’esito forse più interessante e originale del Seicento veneziano in materia è rappresentato da una raccolta di biografie femminili affidata a un mazzo di cinquantadue carte da gioco ideato da Giovanni Palazzi [Fig. 3]. Tutta la storia di Venezia veniva raccontata attraverso un mazzo di carte strutturato su di uno schema che vede, oltre ai quattro assi in lode della città, dogaresse, badesse, patrizie, letterate protagoniste di illustri azioni: la Virtù delle donne veneziane dunque veniva declinata in vari ambiti e nelle sfaccettature molteplici di amore di patria, fortezza, prudenza, modestia, pietà coniugale materna religiosa, culto delle scienze, delle lettere della poesia. Insomma, Palazzi dimostrava quale parte avessero avuto le donne nel costruire la grandezza della Serenissima e quanto avessero concorso a crearne i costumi con le loro doti e le loro capacità (Palazzi 1681).
Dunque, nel corso del secolo XVII più che a insistere a demonizzare il mondo del ludico era prevalso l’interesse a sfruttarlo nelle sue potenzialità educative. E si moltiplicavano intanto i lotti e le lotterie in capitali del commercio e della finanza quali Venezia, Genova, Amsterdam, Parigi, Londra, Madrid. A Parigi furoreggiava la Loterie royale, a Londra la Million Lottery era inaugurata nel 1694 (Muchembled et alii 1994). Cresceva la diffusione del gioco d’azzardo, pienamente funzionale alla economia di stato.
Il secolo successivo si apriva con svariati studi teoretici sul mondo del ludico. Il gioco veniva collegato al diritto e alla morale, si scrissero Trattati e Riflessioni, Dissertazioni anche teologiche; pienamente d’accordo col gioco un Voltaire, più critico un Rousseau, entusiasta un Casanova. La cultura europea maturava un interesse nuovo per i concetti di caso, casualità, probabilità, matematica, speranza e nasceva una vasta produzione epistemologica. Così il matematico francese De Moivre scriveva The doctrine of chance che diventava un caposaldo della letteratura successiva del settore (De Moivre 1738) e a Venezia l’abate Giammaria Ortes studiava combinazioni e probabilità con puntuali analisi matematiche.
Nella Venezia settecentesca che si professionalizzava come centro turistico e come capitale europea dell’azzardo, i ritrovi da gioco, decine e decine, erano ovunque e il gioco, diventato pervasivo di ogni ceto sociale, finì con il rappresentare via via anche una grave minaccia alla stabilità sociale. E non piacque proprio al pubblico vedersi rappresentato nella commedia di Goldoni Il Giuocatore in cui la patologia esasperata del protagonista per il gioco era crisi, ossessione (Pizzamiglio 2001).
Si dovette correre ai ripari con una legge che sancì la chiusura nel 1774 della casa da gioco pubblica, il Ridotto, divenuto il luogo simbolico del gioco come passione rovinosa e nevrosi. Era necessario recuperare la dimensione positiva e sana degli impulsi ludici e ci pensarono ancora una volta a farlo filosofi ed educatori. Eruditi e storici recuperarono lo schema dei giochi dell’oca, tanto diffusi nelle pratiche di vita quotidiana, e li riutilizzarono per diffondere le discipline più varie. Molte officine tipografiche si specializzarono nella stampa di giochi di storia e di geografia innanzi tutto e fra questi alcuni erano destinati a festeggiare l’elezione di un nuovo doge per includere il neoeletto tra i personaggi illustri della storia. Tra gli esemplari di pregio conservati nel Museo Correr, piace citarne due.
Il primo è un gioco di “storia universale” di Francesco Bianchini che inizia da Adamo per snodarsi nei secoli fino a giungere alla casella di arrivo con il ritratto del doge in carica, Alvise Mocenigo, eletto nel 1722 e rimasto in carica fino al 1732: è l’arco temporale che permette di datare anche il gioco. Si imparava la storia giocando, si legge nella specifica intestazione Quadro cronologico dell’Istoria universale in forma di giuoco: ci volevano due dadi e si metteva all’inizio una posta che guadagnava il primo che giungesse alla casa del Doge. Iniziava la lista Matusalemme per richiamare via via filosofi, poeti e uomini politici di Grecia e di Roma, storici e religiosi di epoca medioevale, artisti uomini di cultura e di armi dei secoli XVII e XVIII [Fig. 3].
Il secondo mostra un gioco di geografia ideato da Casimiro Freschot, benedettino, precettore dei figli del senatore Girolamo Michiel. Il grande tabellone è ripartito in 160 caselle di cui 7 centrali occupate, oltre che da qualche indicazione di percorso, dalla immagine della pianta di Venezia: perché è Venezia, ovviamente, il traguardo da raggiungere. I criteri di attuazione del percorso sono quelli del tradizionale gioco dell’oca: ogni partecipante avrà un contrassegno, ci sarà una piccola posta iniziale in denaro che servirà per suddividere i regali previsti all’arrivo in determinate caselle, a ogni tappa del percorso il giovane giocatore dovrà leggere a voce alta quanto vede scritto: nomi di fiumi, di città, struttura politica degli stati, religione. Ci saranno, nel percorso, tappe pericolose – equivalenti al pozzo/prigione del gioco dell’oca – quali, per esempio: il mare dei corsari di Tripoli o le terre africane prossime al capo di Buona Speranza o i confini del Canada: tutti luoghi in cui si potrà diventare schiavi o essere assaliti con pericolo stesso di vita. Proprio l’incontro/scontro con ‘Barbari’ renderà accidentato, avventuroso il gioco: la paura che il getto di dadi faccia capitare in aree geografiche rischiose diventa occasione per sperimentare il gusto del rischio e innescare battute tra i partecipanti con momenti di socializzazione [Fig. 4].
Felicemente Antonio Bulifon, traduttore del gioco di Finé de Brianville, aveva scritto: “Haud scio an quidquam felicius discitur, quam quod ludendo discitur” (Bulifon 1667).
Riferimenti bibliografici
- Bandera, Tanzi 2013
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O. Finé de Brianville, Giuoco d’arme dei sovrani tradotto da A. Bulifon con Stemmario, Napoli 1667. - Delcorno 1989
C. Delcorno, Exemplum e letteratura. Tra Medioevo e Rinascimento, Milano 1989. - De Moivre 1718
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S. Urbini, Fortuna in Laguna. Xilografie, letterati, editori e attori. A proposito dell’Arboro di frutti della Fortuna, “La Rivista di Engramma” n. 162, gennaio/febbraio 2019, 113-135.
English abstract
The article offers a brief summary of the phenomenon of game-books, tarot and figurative arts, verbal games and pastimes in Renaissance courts, in which playing cards and cognitive path games were recovered as educational tools between the seventeenth and eighteenth centuries in Italy and Europe.
keywords | Venice; Game-books; Playing cards.
Per citare questo articolo / To cite this article: L.Nadin, Morfologia di giochi culturali tra Cinquecento e Settecento, ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 95-102 | PDF