DELLA FONTE (1472)
Bartolomeo della Fonte, traduzione di Calumniae non temere credendum, 1472, Berlin-Dahlem, Kupferstichkabinett, cod. 78 C 26, c. 3v
Uno huomo che daman dextra siede con grandi orechie simili a quelle di Mida, la mano a la Calumnia che a se viene da la lungha porge. Stannogli presso due donne: cioè l'Ignorantia et Sospeto. Dal altra parte la Calumnia bella donna chome sdegnosa et arrabiata viene, che daman sinistra una fiochola accessa porta, chon la dextra strasina un giovane pecapegli alzante lemani alcielo et in testimonio gli dij chiamante. Inanzi a la Calumnia va il Livore huomo pallido et brutto et con lo sguardo de gl'ochi acuto a uno lungho tempo malato simile. Due altre donne cioè la Insidia et la Fraude la Calunnia confortono et adornono. Dietro segue la Penitentia donna maninchonosa con veste negra et lacerata, che lacrimando si volta indietro la Verità che ne viene vergognosa et timida raghuardando.
DELLA FONTE (1472)
Prefazione indirizzata a Ercole d'Este, duca di Ferrara, alla traduzione di Bartolomeo della Fonte del Calumniae non temere credendum, Berlin-Dahlem, Kupferstichkabinett, cod. 78 C 26, c. 1r
Di tanti vitii da' quali la natura humana è del continuo oppressata, non è alchuno de l'invidia più horrendo. Perché chome la ruggine il ferro chosì lei de l'invidente l'animo sempre rode. Né mai si può tanto pestifero vitio con alcuni remedij medicare che non sempre diventi piggiore. Perché quanto a l'invido beneficij maggiori si fanno, tanto più si contrista, maggior dolor piglando de la potentia de l'amico che piacere del beneficio ricevuto. Onde la invidia è un dolor continuo, che dal bene del proximo nostro nasce. Da lei, chome da un amarissimo fonte, il pestilentissimo fiume de la calumnia discende. Vitio tanto de l'invidia piggiore, quanto la invidia a se medesima, la calumnia et a se stessa et agl'altri sovente nuoce. Imperoché de la calumnia gravissime inimicitie, sanguinolentissime guerre, et crudelissime morti nascono. Per potere adunque apertamente conoscerla, terminato ho da Luciano tradurla, et a te, Duca invictissimo, diritarla, non perché io stimi havrene bisogno la tua Excellentissima Signoria (imperoché io so bene gl'optimi et admirabili costumi et la incredibile et divina sapientia tua optimamente conoscerla), ma perché al tuo Felicissimo nome mandandola molti altri ne piglino qualche fructo. Dipoi desiderando io mandar qualche dono a la tua illustrissima Signoria, non havendo oro o argento o gemma alcuna, et quando io l'havessi la Magnificentia tua non la desidera, giudichai non poter mandare chose più grata che qualche ricordo de la buone letter. Et nel vero che più pretiosa gioia di quelle si può donare, che de la lungheza del tempo chome le picture de Parrhasio et di Zeusi et d'Apelle, o le sculpture di Pirgotele, di Mentore, di Lisippo, di Scopa non si consumono? Accepta adunque con lieto animo, preclarissimo Hercole, dal tuo devotissimo Fontio questo libro de la Calumnia de Luciano. Il quale io in effecto, et non in decti, fedele interprete ho traducto, accioché et a legger sia più grata, et a l'intendere più aperto.