ROSA (1652)
Salvator Rosa, L'Invidia, in Satire di Salvator Rosa con le note di Anton Maria Salvini e di altri, London 1781
Uscito Apelle di quel grande intrigo
Per tabella votiva apprese un quadro
Per cui dallo stupor mai non mi sbrigo;
Poiché con artifizio alto, e leggiadro
Della calunnia vi scopri l'usanza;
e il ritratto di lei maligno, e ladro.
Con orecchi asinini in regia stanza
D'un altro Mida ei figurò l'effigie,
Che sedea tra il sospetto, e l'ignoranza.
Movea verso di lui l'atre vestigie
La calunnia sfacciata, e aveva accanto
Insidia, e falsità compagne Stigie.
Colla destra pel crin lacero, infranto
Un fanciullo traea, che al Ciel rivolto
L'innocenza de cor dicea col pianto.
Nella sinistra man tenea raccolto
Un gran torchio di fiamma oscura, e nera
Che tra i suoi fumi il giorno avea sepolto.
Eri, Indivia, ancor tu di quella schiera,
E givi innanzi a lei rabbiosa, e schiava
In sembianza d'Aletto, e di Megara.
Alla Calunnia alfin dietro veniva
Il Pentimento afflitto, e si volgeva
Verso la Verità, che lo seguiva.
Questo quadro d'Apelle in me solleva
Più di un pensier, e nel pensier m'abbozza
Un gran desio, che nel mio cor s'alleva.
Chi sa? Scornar potrei chi m'urta, e cozza:
Un Apelleo io non son, ma qualche poco
So maneggiare anch'io la Tavolozza.
Farò con il pennel forse un bel gioco
Ancorchè questo non sia mal da biacca,
Poiché al cancro ci vuole il ferro, e il fuoco.