"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Pieter Bruegel il Vecchio, “La gazza sulla forca” (1568)

Alessandro Zaccuri

English abstract

Pieter Bruegel il Vecchio, La gazza sulla forca,1568, olio su tavola (45,9 x 50,8 cm), Hessisches Landesmuseum, Darmstadt.

C’è sempre qualcosa di lugubre nelle feste dipinte da Pieter Bruegel il Vecchio. Il sonno come di morte che si abbatte sui beoni del Paese di Cuccagna, i volti sgraziati e i corpaccioni stolidi che occupano la scena della Festa paesana o del Banchetto di nozze, il vociare scomposto che sale dalla taverna del Censimento di Betlemme, l’ombra apocalittica che si stende sulla folla radunata per La battaglia di Carnevale e Quaresima: questi e altri sono gli esempi che si potrebbero addurre per dimostrare quanto contrastata e in definitiva contraddittoria sia la celebrazione della vitalità popolare solitamente ascritta al grande pittore fiammingo. L’apice di questa inquietudine si tocca in una delle ultime opere del maestro, La gazza sulla forca, realizzata nel 1568 e conservata presso l’Hessisches Landesmuseum di Darmstadt. Di dimensioni relativamente ridotte (45,9 x 50,8 cm), il quadro sfrutta un singolare effetto di visione dall’alto, che costringe lo spettatore ad assumere il punto di vista di chi si sia arrampicato su un albero. Siamo infatti in una delle tante foreste che si incontrano nei dipinti di Bruegel il Vecchio, dal limitare del bosco che fa da quinta al Ritorno dei cacciatori nella neve fino alla magnifica Predicazione di Giovanni il Battista, dove l’ambientazione allude al fatto che i calvinisti, impossibilitati a radunarsi entro le mura delle città, si dessero appuntamento in prossimità dei boschi.

I riferimenti di tipo religioso sono assenti dalla Gazza sulla forca, se si fa eccezione per un generico rinvio al memento mori che si può desumere dalla rappresentazione nel suo complesso. Nella foresta dipinta da Bruegel il Vecchio (e all’interno della quale noi stessi ci troviamo, accomodati in una imperscrutabile posizione sopraelevata) si confrontano stasi e movimento, che è come dire morte e vita. Nella parte sinistra del quadro, un gruppetto di persone sta festeggiando un avvenimento o una ricorrenza di cui non sappiamo nulla: accompagnati dal suono di una cornamusa, tre personaggi – una donna e due uomini – sono impegnati in un ballo al quale gli altri guardano con sentimenti che vanno dall’ammirazione al sospetto. Entusiasti sembrano due uomini di spalle, uno dei quali alza la gamba destra ad accennare un passo di danza, con le mani posate sui fianchi a ribadire un intento giocoso. Meno perspicuo è l’atteggiamento di una coppia allacciata in quella che potrebbe essere sì una figura di ballo, ma che nella sua approssimazione rimanda semmai a un goffo tentativo di farsi da parte. Un po’ oltre, dietro il suonatore dalle guance gonfie, due donne parlano tra loro, indifferenti alla musica e al trambusto. In primissimo piano, infine, un uomo è accovacciato a defecare, estraneo a tutto ciò che non sia la soddisfazione dei bisogni più elementari.

Non è questo, però, il vero punto di stasi del dipinto, al centro esatto del quale, costruita su una roccia, sta una forca. Ed è su questo strumento di morte che si è posata e sta immobile la gazza, animale araldico dell’eloquenza e, per estensione, della calunnia. Secondo una tradizione abbastanza consolidata, la presenza dell’uccello andrebbe intesa come un testamentario ammonimento dell’artista (Bruegel il Vecchio morirà a Bruxelles nel settembre del 1569) nei confronti dei maldicenti, destinati a pagare cara la loro malevolenza. Una croce, collocata a poca distanza dal patibolo, sottolinea in modo non equivoco la minaccia. Questo sistema di opposizione e rispondenze è compresso nella metà inferiore del quadro, essendo quella superiore occupata dalla raffigurazione di un paesaggio quasi sfacciatamente arioso rispetto alla cupezza complessiva dell’apologo costituito dalla prossimità fra danza e supplizio. È un susseguirsi di città fortificate su alture svettante, fattorie che si insinuano fin dentro il margine del bosco e villaggi adagiati nella valle percorsa da un fiume.

La gazza sulla forca è, da ultimo, un quadro di perturbante asprezza. L’idea che il festeggiamento sia stato allestito in vista di un’esecuzione capitale si insinua con lentezza nella mente dello spettatore, ma una volta affiorato non si lascia più ignorare. Una simile mescolanza di allegria e violenza non è estranea alla sensibilità culturale dell’Europa nell’età della Riforma, lungo una linea che di lì a poco porterà alla sanguinaria immaginazione dei grandi drammaturghi elisabettiani. Come Shakespeare nelle sue tragedie, anche Bruegel il Vecchio corregge con un impercettibile particolare poetico il crudo realismo dell’insieme: ai piedi della forca, tanto più appartata rispetto alla compagna, un’altra gazza completa la struttura dell’emblema, introducendo una variazione numerica o duplicazione alla quale forse corrisponde un rovesciamento dell’intero significato simbolico. Finché dura la danza, il movimento della festa può ancora avere la meglio sulla stasi del supplizio.

English abstract

The Magpie on the Gallows (1568) is one of the latest paintings by Pieter Bruegel the Elder. It represents the contradiction between movement and stasis by showing a peasant dancing under a scaffold. A bird (a magpie) sits on the gallows as an ominous sign of punishment and maybe revenge. In this short analysis, the various elements of the painting are discussed in their symbolic and allegorical meanings, in an attempt to understand how much the feast's movement could oppose the stasis of the death sentence.

keywords | Pieter Bruegel the Elder; The Magpie on the Gallows; Movement; Stasis; Feast; Death sentence.

Per citare questo articolo / To cite this article: A. Zaccuri, Pieter Bruegel il Vecchio, “La gazza sulla forca (1568)”, ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 361-364 | PDF 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0081