Lode a Mishima e a Majakovskij.
Giovanni Lindo Ferretti, Morire
L’apertura della stagione invernale del 1993 del Cocoricò non segna solo l’inizio delle serate invernali di quell’anno della discoteca riccionese: è l’apertura di un periodo particolarmente fecondo di contaminazione tra il mondo delle discoteche romagnole (che è tutt’altro che un fenomeno provinciale, ma tra gli esempi maggiori a livello europeo di quello che era la proposta musicale e di intrattenimento notturna) e l’arte contemporanea. Il Cocoricò, con l’inaugurazione del 13 novembre, vede il battesimo della direzione artistica di Loris Riccardi. Chiamato proprio in quell’anno, dopo la guida di Ferruccio Del Monte, Riccardi inizia con una stagione estiva di passaggio e ancora non totalmente figlia dello stile che avrebbe caratterizzato i successivi anni all’insegna della provocazione, dell’eccesso, del superamento di quanto mai offerto in una discoteca, incrociando il divertimento e le ultime mode nelle arti, a volte anticipandole o esasperandole fino al loro limite: “Non era quello che si incontrava normalmente in una discoteca. Non credo di poter dire di aver fatto del Cocoricò una discoteca migliore di altre, io ho fatto una discoteca diversa dalle altre”, così Riccardi ci racconta quell’anno in un’intervista concessa per questo articolo.
Partendo da un altro tipo di fonti, il miglior documento per conoscere la serata di apertura e quanto avrebbe proposto quella stagione è un servizio televisivo raccolto da Isa B. (alias Isabella Valentini) per il canale tematico dedicato alla musica e alle discoteche Match Music. Qui si possono recuperare immagini tra le luci stroboscopiche che mostrano sincopate figure che ballano, la musica a tutto volume, i volti di alcuni frequentatori. E, soprattutto, le interviste: un uomo vestito con spalline argentate e gonfiate simili a un’armatura con maglietta nera aderente con in braccio un furetto in calore (lo si intuisce dal colore chiaro del pelo), un botta e risposta telegrafico con il D.J. residente della discoteca, Cirillo (“Come ti chiami?” – “Cirillo.” “Che musica fai?” – “Hardcore.”) e, la più importante, alla PR Silvia. Lei è Silvia Minguzzi, PR storica del locale, ed è grazie alle sue dichiarazioni che è possibile comprendere la stagione di allora e quanto ciò che nel Cocoricò avveniva aveva decisamente a che fare con l’arte contemporanea. Queste le parole di Silvia intervistata tra la folla del locale:
Abbiamo abbandonato il misticismo con la chiusura della stagione estiva. E ci rivolgiamo alla denuncia sociale: sulla guerra, la violenza, la depressione, la decadenza… È anche un po’ ispirato alla Biennale che c’è stata quest’anno: molto angosciante. Abbiamo cercato di creare questo clima dentro il locale, portando dentro molte cose militari, tra cui queste armi [un pezzo di artiglieria] che risalgono a delle guerre.
Terminata la brevissima intervista, la camera fa una panoramica verso destra dove si vede un obice di colore verde, che potrebbe essere proveniente dalle vicine basi militari ospitate nel riminese e lungo la costa adriatica per guardare ad est, dove fino a qualche anno prima, oltre la Jugoslavia, si estendeva uno dei due imperi del mondo post Seconda guerra mondiale.
La chiave d’accesso per leggere la stagione di quell’inverno è allora fornita dalla stessa organizzazione del locale, e oltre al tema, o meglio ancora all’atmosfera che vuole dare, il riferimento è preciso: la LXV Esposizione d’arte internazionale di Venezia di quell’anno intitolata Punti cardinali dell’arte.
La denuncia sociale, il mettere in luce la “guerra, la violenza, la depressione, la decadenza” deriva proprio dalla Biennale di quell’anno. Per riconoscere l’aderenza alle tematiche attorno a cui ha gravitato l’esposizione sono utili le parole nel testo di presentazione redatto dal curatore della Biennale del 1993, Achille Bonito Oliva. Nel catalogo, Bonito Oliva descrive il mondo di cui le opere esposte vogliono essere il sintomo: “[Un] mondo frantumato, franato, terremotato per motivi geografici, politici, economici e morali” (Bonito Oliva 1993, XXIX). E aggiunge ancora, “un momento storico come l’attuale, attraversato da una frantumazione politica e da un frazionismo sociale al limite della lotta tribale” (Bonito Oliva 1993, XXIII). Sulla stessa scia appare la descrizione del mondo data dalla PR. La critica – anche quella per nulla favorevole alle scelte di Bonito Oliva – riconosce il tema e la denuncia, come Renato Barilli, che scrive
I giovani artisti […] vogliono schioccare, provocare, marcare il proprio territorio affrettatamente, in uno stato di urgenza. Ci va della vita stessa e non dell’arte. Regressione? Probabilmente. Scorrettezza? Sicuramente. Attitudine politica? Senza dubbio. Oscenità? Forse. Ma l’oscenità non è piuttosto di coloro che oggi si vogliono coprire gli occhi? (Barilli 1993).
Se non si può parlare di una stretta analogia, parole identiche o simili si sarebbero potute facilmente utilizzare per quanto quasi in contemporanea sarebbe avvenuto al Cocoricò. È da notare la velocità di ricezione da parte della curatela artistica della discoteca di quanto proposto a Venezia. Come si è detto, l’apertura della discoteca è avvenuta il 13 novembre, soltanto un mese dopo la chiusura della Biennale, che era rimasta aperta dal 14 giugno al 10 di ottobre. Il Cocoricò è come se raccogliesse il testimone di quella Biennale appena chiusa, dandone una sua versione adattata al contesto della discoteca.
Per avere una conferma ulteriore e ultima su quale fosse la fonte di ispirazione è utile ascoltare lo stesso Riccardi: “Ero contaminato da gente culturalmente molto alta e anche la Biennale può sicuramente averci influenzato”. Lo stesso allarme e stato di crisi avvertito dalla scena artistica è quanto lo ha portato a quella stagione invernale del Cocoricò:
In quel momento c’era una certa situazione vicino a noi che era la guerra in Kosovo. In quel periodo ero in contatto con Demo Ciavatti, ipotizzavamo di fare un allestimento diverso al Cocoricò, di proporre un importante cambiamento, e a un certo punto mi disse: sai Loris che ho un aggancio per mettere dentro dei carri armati al Cocoricò. Gli dico che è perfetto. Quindi abbiamo realizzato questo allestimento che è stato – diciamo, in maniera volgare – un trauma. Nessuno si aspettava una cosa del genere.
I pezzi di artiglieria dell’allestimento “venivano forse da Aviano” e si può facilmente individuare da quali opere della Biennale siano stati ispirati. Il rimando immediato è alla scultura del gruppo TODT Big Bombs: un lanciarazzi piazzato ad Aperto. Così il catalogo:
E Aperto è un bel titolo per una mostra d’arte contemporanea, uno “spazio” … aperto … sull’attualità dei tempi. A Venezia, nel momento italiano in cui sembra crollare l’Impero, l’Impero di ogni “sentire”, con tutta la nostra amabile e sofferta cosiddetta “cultura”. [...] E nello spazio d’America, l’America vaga o determinata, TODT come “band”, TODT come affermazione frammentata di linguaggio, ricostruisce dai “resti” di un’umanità disattenta, una natura dolente, visionaria e corruttibile. Uno sguardo indeterminato che costantemente separa e perennemente riunifica una deviata, subita sensibilità da ridefinire (Scuteri 1993, 340).
Dove fosse diretto quel razzo piazzato da TODT non è dato sapersi: se fosse stato diretto contro la discoteca riccionese non sarebbe stato un problema, non solo per l’arsenale in dotazione, ma anche per il loro gusto di essere al centro del mirino. Come si legge in un’intervista di quel tempo al proprietario della Piramide, Bruno Palazzi:
[Domanda:] Se da Sarajevo partisse un missile non controllato, dove vorresti che cadesse?
[Risposta:] Mi sembra ovvio… Sul Cocoricò (Bartoccetti 1994, 75).
Oppure, un altro riferimento possibile è alla sezione ai Giardini Macchine della pace, il cui titolo allude, rovesciandolo, alle macchine della guerra. Da lì arriva la scenografia per la serata prevista per la Pasqua, come racconta Riccardi: “A Pasqua facemmo un allestimento bellissimo con una serie di bandiere bianche per tutto il locale che avevamo visto e preso dalla Biennale”. In questo caso l’opera a cui si rifà è Progetto per la pace di Mario Ceroli, un’installazione del 1969 riproposta a Venezia nel 1993:
Si tratta di cento bandiere di seta bianca che sorgono da un campo di sabbia, un terreno recinto e dunque, in qualche modo, consacrato. Alla bandiera è stato sottratto ciò che in genere è chiamato a portare, l’emblema che distingue, ma anche divide, una nazione dall’altra. E così la bandiera resta come materiale, elemento concreto, denominatore comune a tutte le genti. Così le bandiere vengono piantate come alberi e replicano la serialità delle sagome (anch’esse materie ritagliate rese astratte dall’eliminazione dei connotati) realizzando uno spazio che aspira alla coralità di una selva (La foresta analoga è il titolo di un successivo lavoro) tanto fitta che nella prima versione una figura ci si aggirava vagamente (Cherubini 1993, 888).
Come per gli artisti, sempre capaci di rifarsi a un qualche modello, nessuna remora o problematica nel copiare per Riccardi:
In quel momento ero anche amico di Enrico Ghezzi che mi diceva di non preoccuparmi nel copiare delle cose che mi piacevano. Mi diceva che quando una cosa è data non viene per niente male prenderla. Quindi qualche cosa che ho visto alla Biennale in quegli anni l’ho presa e portata al Cocoricò.
Anche le arti performative rivestono un ruolo importante nel restyling del Cocoricò a partire da quella stagione: “Dal punto di vista delle performance teatrali avevamo fatto delle cose bellissime”. La performance prevista nella serata di apertura si intravede all’inizio del servizio televisivo: alla parete, seminudi, una donna e due uomini, bloccati, legati con delle corde a delle croci in legno. Qui, il riferimento, se può essere trovato nella Biennale, è nell’opera di Andres Serrano:
La violenza e la fine del corpo fisico sono gli elementi più visibili de La Morgue: cause di morte di Serrano. Come nelle scene di natura morta olandesi, che esprimono un’ampia critica sociale, i corpi in decomposizione sono uno studio di disordine sociale. Raccontando la causa della morte, Serrano fornisce informazioni sulla vita di quei corpi solitari non identificati che giacciono all’obitorio in attesa di essere riconosciuti. Incorporando palesemente l’iconografia cattolica, questi cadaveri sono paragonabili a strutture a uno stadio di estinzione e così generano una particolare tensione (Sichel 1993, 330).
Le arti performative erano già presenti a Venezia, scelte da Bonito Oliva nel suo interrogare le forme più diverse della produzione artistica contemporanea. Un caso da prendere in esame, in quanto per estetica si avvicina alla performance appena descritta, è quella di Eugenia Vargas, di cui erano esposte alcune fotografie:
[...] scattate durante uno spettacolo in cui
l’artista usava il proprio corpo, una componente ricorrente della sua opera. Un indizio della portata concettuale di queste immagini, che seguono la circolazione degli umori corporali, è la lotta delle donne contro il graduale declino dei loro corpi che invecchiano (Sichel 1993, 330).È però necessario contestualizzare quell’azione al Cocoricò. Nella ideazione della stagione invernale del 1993, Loris Riccardi, assieme a Nicoletta Magalotti (alias NicoNote, attrice e performer che da lì in poi gestirà all’interno del locale la sala del Morphine), decide di coinvolgere anche alcuni nomi protagonisti del teatro di ricerca italiano di quegli anni. In quel periodo, e non solo, riferirsi al teatro di ricerca italiano significa dire romagnolo (inutile ripetere qui un elenco di nomi che certamente lascerebbe indietro qualcuno). Ad allestire le “azioni sceniche” – come riportavano i flyer del tempo – è chiamata l’attrice e regista Monica Francia. Sua è l’ideazione della performance di quella sera che coinvolge tre attori. Eppure, di quell’esperienza, Monica Francia non resta soddisfatta, a differenza di uno dei performer presenti, Gerardo Lamattina, entusiasta con Loris Riccardi di quanto avvenuto:
…primi giorni di un freddo novembre del 1993 quando Monica Francia venne chiamata da una discoteca di Riccione, per sperimentare un’“animazione” nuova. Io ero con lei e dopo una surreale e buffa discussione con Loris Riccardi, Direttore artistico del Cocoricò, decidemmo che il 13 novembre, giorno dell’inaugurazione invernale, tre persone sarebbero state crocifisse nel corridoio di ingresso della discoteca.
Come detto era un freddo novembre e la performance [...] fu molto apprezzata dal pubblico ma una vera sofferenza (a causa del freddo) per i performer. Monica Francia però non gradì molto il comportamento del pubblico che fu di grande curiosità ma anche di grande violenza e immediatamente disse che non voleva mai più lavorare in una discoteca...
Per me invece fu una vera folgorazione e dopo una settimana era nata la TBC (Teddy Bear Company), la prima e unica compagnia di teatro da discoteca in Italia (Lamattina FLQ!).
Monica Francia firma le azioni sceniche di alcune successive serate di quella stagione, ma l’esperienza più duratura sarà quella inaugurata quella notte da Lamattina, che coinvolgerà, sotto il nome di Teddy Bear Company (abbreviabile in “TBC”, sigla che ovviamente rimanda alla tubercolosi ribaltando il nome esteso dall’aspetto piuttosto giocoso), tante figure di spicco (e non solo) del teatro di ricerca romagnolo, tra cui ad esempio Luigi De Angelis:
Gerardo, insieme a me [Riccardi], ha costruito tutte le performance dell’ingresso del Cocco. Sono sue, io dicevo va bene va male, ma le ha costruite lui. Così i Fanny & Alexander sono sbarcati dal di lì, sono nati al Cocoricò.
De Angelis e Chiara Lagani non furono i soli, accanto a loro parteciparono moltissimi altri: ché di interventi e contaminazioni tra il teatro e il Cocoricò sarà piena tutta la stagione diretta da Riccardi. Nello stesso inverno, infatti, sarà presente la Socìetas Raffaello Sanzio e anni dopo La Fura del Baus – per citare solo due compagnie.
Tra la performance della Vargas e questa prima di Monica Francia e Gerardo Lamattina s’intravede la stessa preminenza dell’esposizione del corpo e della sua carnalità, caratteristica che le accomuna all’Azionismo viennese, come esplicitato direttamente da Lamattina:
Noi ci rifacciamo, fra l’altro, a esperienze artistiche come la body art, o l’azionismo viennese, e questo traspare dalle nostre performance. Però non abbiamo affatto un’intenzione divulgativa, non vogliamo “portare” alle masse delle discoteche una versione semplificata di queste correnti artistiche. A noi serve come punto di partenza, ma il risultato dev’essere un’esperienza immediata, una messa in crisi della percezione dello spettatore senza riferimenti colti. Si fa cultura anche in questo modo, anzi spesso è più interessante (Lamattina FLQ!).
La stagione invernale 1993-94 prosegue con serate che riprenderanno a piene mani dal mondo dell’arte i propri riferimenti, come solo si nota dal flyer per la notte del 25 dicembre, dove una dissacrante immagine di Gesù che imbraccia un’arma automatica (se vista oggi, dopo il 2022, non potrà che richiamare l’effigie della santa con Javelin ideata dagli ucraini) viene associata alle immagini della serie Guns di Andy Warhol e il titolo dell’evento “؟Is happiness a hot gun?” gioca in modo macabro con la celebre frase di Linus nei Peanuts: “Happiness is a warm blanket”, o di sua sorella Lucy: “Happiness is a warm puppy”. Una pistola, dopo un obice, in mezzo a una guerra e una discoteca. Seppur il legame con la Biennale non sempre è 1:1 per le opere proposte nelle due sedi, è piuttosto evidente l’influenza e il rimando che permeano sottotraccia le scelte artistiche; d’altronde, se Enrico Ghezzi era tra le voci ascoltate da Riccardi e Lamattina vuole sublimare ciò che cita invece di restituirlo pedissequamente, appaiono ancora una volta utili le parole di Bonito Oliva che ben dispone quali siano i canoni, post postmodernismo e transavanguardia, per la citazione o il riferimento:
L’opera, non riproducendo nuove dinamiche concettuali, può diventare essa stessa semplice riproduzione di uno stereotipo. Per evitare tale paralisi, l’artista sembra adottare uno shakeraggio dell’esistente, un’agitazione eclettica dei linguaggi preesistenti, rispettando il carattere del riciclaggio, riconversione e citazione ogni volta garantite dal già fatto o dal presente vissuto (Bonito Oliva 1993, XXX).
Non perciò la riproduzione stereotipizzante, ma l’agitazione eclettica dei linguaggi garantisce l’artisticità di opere che si rifanno ad altre. Questo criterio, utilizzato per i nomi in mostra a Venezia, è il medesimo che permette di comprendere e vedere nella loro dimensione artistica (arte da discoteca, come il teatro di Lamattina è “teatro da discoteca”) gli allestimenti, le opere, i materiali promozionali e le performance del Cocoricò.
Di ciò che è stato proposto nella stagione invernale del 1993 non si sa quale sia stata la reazione e ricezione del pubblico, ma forse non è neppure molto utile chiederselo: “Abbiamo sempre lanciato sui flyer dei messaggi che volevano dire qualcosa. Poi che siano stati raccolti non è neanche importante. Però sono stati detti. Quindi nell’aria si respirava qualcosa di molto importante”. Di un trauma e di guerra diceva quella stagione; inaugurata da uomini crocifissi, a richiamare un sacrificio di sé fino alla morte in opposizione al disfacimento del mondo e prima di tutto per la redenzione degli uomini che lo abitano. Nel Novecento, nello stesso mese di novembre, ma il giorno 25, un uomo aveva offerto, con un gesto irreversibile, attraverso il seppuku, un sacrificio di se stesso per opporsi al proprio tempo e alla storia che si opponeva alla sua vita. Quell’uomo era stato eletto come padrino della discoteca: “L’avevo scelto perché avevo in mente che era in fondo un guerrafondaio, per il modo in cui avevo letto le sue cose”. Il titolo dato all’inverno del 1993 del Cocoricò è M. A Tribute to Yukio Mishima.
Note
Il presente articolo anticipa un più ampio studio dedicato al rapporto tra l’arte contemporanea e il teatro con le discoteche in Romagna. Un ringraziamento va a Gerardo Lamattina, Silvia Minguzzi, Loris Riccardi: senza di loro non solo non ci sarebbe stato quanto qui si è tentato di ricostruire ma non sarebbe stata possibile la stesura di questo contributo.
Riferimenti bibliografici
- Barilli 1993
R. Barilli, Di tutti i colori: il sesso secondo Toscani, “Corriere della Sera”, 13 giugno 1993. - Bartoccetti 1994
A. Bartoccetti, Il piacere di essere imitati, “Future Style”, 1994, 75. - Bonito Oliva 1993
A. Bonito Oliva, Punti cardinali dell’arte, in A. Bonito Oliva (a cura di), Punti cardinali dell’arte. XLV Esposizione internazionale d’arte, vol. I, Venezia 1993, XXIII-XlI. - Cherubini 1993
L. Cherubini, Eiréne, in A. Bonito Oliva (a cura di), Punti cardinali dell’arte. XLV Esposizione internazionale d’arte, vol. II, Venezia 1993, 887-889. - Lamattina FLQ!
G. Lamattina, Fanculo la quiete!, Ravenna (in corso di pubblicazione). - Scuteri 1993
R. Scuteri, Forse. Forse…, in A. Bonito Oliva (a cura di), Punti cardinali dell’arte. XLV Esposizione internazionale d’arte, vol. I, Venezia 1993, 340. - Sichel 1993
B.Sichel, News from Post-America. Notizie post-americane, in A. Bonito Oliva (a cura di), Punti cardinali dell’arte. XLV Esposizione internazionale d’arte, vol. 1, Venezia 1993, 330.
The article presents the 1993 winter season of the Riccione disco Cocoricò. The discotheque, from that year under the artistic direction of Loris Riccardi, became a place to encounter examples of contemporary art and research theatre. In the article, thanks to video documents, photographs and an interview with Riccardi, the layout of that season influenced by the 1993 Biennial directed by Achille Bonito Oliva is analysed. A number of cross-references between the staging and the works exhibited in Venice are evident. Mention is then made of the performances by Gerardo Lamattina with his Teddy Bear Company (TBC), which was the bridge between the important world of theatre in Romagna and the Cocoricò. This article anticipates a broader study dedicated to the relationship between contemporary art and theatre with discos in Romagna.
keywords | Cocoricò; Biennale Arte; Riccione; Loris Riccardi.
Per citare questo articolo / To cite this article: F. Perfetti, Inverno e guerra al Cocoricò del 1993. È Riccione o Venezia? “La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 159-168 | PDF