"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

AES+F, The Feast of Trimalchio (2009-2010)

Con qualche annotazione sulla serenità delle immagini delle civiltà antiche

Giuseppe Barbieri, Silvia Burini

English abstract

AES+F, The Feast of Trimalchio, 2009-2010: Allegory # 5 (Sunset of Europe), chromogenic print in Diasec, 205x180 cm (courtesy AES+F).

Il testo che qui presentiamo riprende, in qualche sensibile misura, il capitolo pressoché omonimo, apparso a inizio 2022, ma solo in lingua inglese, nella nostra ampia monografia sul celebre gruppo di video-artisti russi[1]: quella porzione fu allora, più di altre, frutto di una serie di amputazioni e riscritture, necessarie per corrispondere all’impostazione grafico-editoriale del volume. In questa circostanza alcune di quelle parti sono state fortemente sintetizzate, altre trovano una più distesa articolazione. Vi si aggiungono altresì, tuttavia, alcune finali considerazioni sulla “serenità” delle traduzioni visive dei testi letterari, sulla scorta di un paio di osservazioni di Johan Huizinga e del suggestivo titolo di un volume di Lionello Puppi.

The Feast of Trimalchio è la seconda parte della Liminal Space Trilogy realizzata dagli AES+F e apparsa a qualche anno di distanza dalla prima, Last riot (2005-2007). È un’opera complessa, che ha ricevuto da subito una considerevole attenzione da parte della critica[2]: un lungo video, che sfiora i 70’, ne costituisce la base. Vi si affiancano però anche 3 vasti dipinti a olio su tela, caratterizzati da un eloquente frame perimetrale a ghirlande floreali. In qualche modo queste ultime richiamano i dipinti quattrocenteschi, tra gli altri del pittore veneziano Carlo Crivelli, e le pergole fiorite di molta successiva pittura veneta (da Mantegna a Bellini, a Cima), rivelando la loro natura di simboli, soprattutto mariani[3] e il loro indubitabile appartenere a una “botanique chrétienne”[4], che li configura pertanto in una dislocazione “paradisiaca”. L’analisi di padre Pozzi cui rinviamo in nota aggiunge tuttavia un elemento ancora più decisivo: sottolinea infatti la dimensione metaforica di questi elementi, anzi, “le possibilità stesse della pittura nel rappresentare una metafora”[5], che è una delle dimensioni permanenti della ricerca degli AES+F e che si nutre - anche per semplice osmosi - di tecniche e procedimenti antichi. L’opera comprende anche grandi digital collage: le Allegories, che in qualche modo richiamano, nella loro articolazione, i cicli dei Quattro Continenti della pittura tardo-barocca, con i Trionfi di Asia, Africa e America e l’anti-trionfo d’Europa, che rivela qualche remota eco del ciclo di affreschi che Giambattista Tiepolo realizza tra 1752 e 1753 alla Würzburger Residenz[6]; altri larghissimi Panoramas, altri stills a colori su carta, di assai più ridotte dimensioni, e infine due Portfolio, entrambi composti da 16 immagini, stampate digitalmente su carta.

The Feast si svolge in un tempo sospeso (una settimana di vacanza) e in un non-luogo[7] (un’isola nell’oceano che riunisce insieme, in un lussuoso resort, le attività apparentemente incompatibili che si possono svolgere al mare o in montagna): vi convergono con più mezzi di locomozione turisti e agenti di sicurezza, attesi da un personale di servizio impeccabile e attentissimo, da spazi scenograficamente enfatizzati, dilatati sino a consentire punti di vista e strategie di osservazione anche molto differenti. La più varia umanità, di ogni etnia, colore, attitudine, livello sociale, è impegnata a trascorrere un tempo piacevole e sempre uguale, se non assistessimo purtuttavia anche a una sorta di tsunami, a invasioni animali, a sconvolgimenti metereologici, a una curiosa pioggia di palline da golf, a un progressivo slittamento dei ruoli sociali, in una generale fusione e confusione di gender. Come in ogni tempo sospeso si susseguono momenti vuoti e scene iconiche, gesti dimessi ed eroici, tragedie e languori, in un orizzonte visivo che si fa, alla fine, immisurabile, in cui l’isola è vasta come il pianeta ed entrambi proprio come una pallina da golf, quando vengano osservati dallo spazio siderale.

Il titolo del lavoro rinvia scopertamente al nucleo principale del Satyricon di Petronio[8], uno dei riconosciuti capolavori della letteratura latina del I sec. d.C., giuntoci frammentario, con l’eccezione del libro XV, che narra appunto la Coena Trimalchionis, scoperto da Poggio Bracciolini in un codice a Colonia nel 1423, poi perduto e ritrovato, in una versione da questo derivata, e oltre due secoli dopo, in una biblioteca della costa dalmata, a Traù. Risulta misterioso anche l’autore, non concordemente identificato con C. Petronius Arbiter, per cui disponiamo di un suggestivo ritratto di Tacito (Annales XVI, 18-19), che non fa però il minimo cenno al romanzo. Per quanto il ricorso a testi letterari o figurativi di riconosciuta importanza culturale non configuri mai un intento “illustrativo” da parte degli AES+F, il rinvio pur ideale ma scoperto al Satyricon merita almeno alcune considerazioni.

Il preciso richiamo al testo e al suo autore (“great wit and melancholic lyric poet”), che compare, sul sito del gruppo, in exergo al concept dell’opera, non può non indicare la volontà esplicita di una ripresa: non tanto del magmatico sviluppo della narrazione petroniana quanto piuttosto in riferimento alle strutture dell’assetto narrativo del romanzo. Il libro che narra lo strabiliante banchetto è infatti, anzitutto, un testo di straordinaria vivacità, anche grazie alla pluralità dei suoi registri linguistici, indispensabili a introdurre sulla scena classi, ceti sociali, generi diversi e di rocambolesca variabilità, in forza di destini sempre mutevoli e dell’incessante azione della capricciosa Fortuna. Ma più che il tumultuoso snodarsi delle vicende narrate e le inarrivabili sequenze di pietanze offerte ai commensali, il dato saliente è proprio il suo “espressionismo linguistico”: come ha notato Cesare Segre[9] ciò ha consentito a un genere letterario molto popolare e di nessuna particolare pretesa letteraria (il cosiddetto “romanzo greco”, che si imperniava sulla iniziale separazione di una coppia di innamorati che, dopo un processo più o meno complicato di espiazione, si ricongiungevano in conclusione, in un tranquillizzante “happy end”) di segnare in profondità, invece, una secolare prospettiva della letteratura europea (così attentamente indagata da Michail Bachtin[10]); quella che, sulla scorta di molti testi medievali, tragitta dal Gargantua et Pantagruel di Rabelais[11] al romanzo picaresco e giunge almeno sino alle opere di Carlo Emilio Gadda.

Proprio per questo il romanzo ha conservato in epoca moderna e più recente una fattiva attualità culturale, senza divenire insomma soltanto una citazione dovuta: “saporoso romanzo dei bassifondi” per Väänänen[12], aveva folgorato Huysmans, l’autore di A rebour, con il suo stile “d’un brio indiavolato”; risulta per più aspetti un’“enciclopedia dei consumi culturali di un’epoca”[13], ma per Queneau è anche un testo che “più lo si àncora nel tempo e nello spazio, e più si rivela libero”[14]; appariva infine a Bachtin[15] (ma potremmo continuare a lungo) come un inarrivabile fenomeno di parodizzazione dei generi letterari, e proprio in questo senso è spesso avvicinato all’“Odissea dei diseredati”, l’Ulysses di Joyce. Anche sul registro semantico le intime qualità del testo affiorano nella traduzione degli AES+F con perdurante evidenza. Gli ambiti tematici che più caratterizzano il banchetto di Trimalcione sono quelli gastronomico e sessuale, in una complessiva dinamica di carnevalizzazione della realtà, che privilegia gli strati della nostra esperienza per secoli considerati “bassi”, fisicamente e moralmente, ma su cui registriamo costantemente infiniti ritorni di interesse, per la loro perfetta e diffusa corrispondenza con ciò che siamo quotidianamente.

Queste pur brevi considerazioni dovrebbero metterci sull’avviso, una volta di più, sulla complessità, le interne stratificazioni, le frequentissime sfumature di forma e di senso che connotano tutti i lavori degli AES+F. Dovrebbe inoltre consentirci di comprendere meglio le loro impressionanti attitudini rielaborative[16]. A nostro avviso The Feast of Trimalchio tiene infatti davvero conto delle strutture petroniane che abbiamo pur sommariamente indicato: naturalmente non sulla base di un approccio filologico, come chiarisce bene la lunga intervista che hanno rilasciato a Olga Sviblova[17], ma per la loro capacità di afferrarne il senso dall’interno di una tradizione artistica e culturale che, come abbiamo visto, si è consolidata nel corso dei secoli.

Un primo elemento, in questo senso, è la consueta cifra estetica dal gruppo, che mescola paradosso e parodia[18] in una lucida prospettiva tropica, ossia mediante il procedimento retorico che prevede la deviazione o la trasposizione di un significato su un piano diverso e sorprendente: e in questo caso l’approccio tropico si sostanzia nell’accurato straniamento delle pratiche svolte dai privilegiati turisti, in una cornice che capovolge radicalmente l’atmosfera da bassofondo e la triviale volgarità dispiegata nel banchetto romano nell’eleganza sofisticata dell’isola che li accoglie (che trova puntuali e realistici riscontri nel Kempinsky Hotel di Dubai).

Possiamo dire con sicurezza che in questo resort Trimalcione si sarebbe terribilmente annoiato. I suoi invitati erano ciarlieri, lascivi, irosi e irritabili, generosi, esibizionisti di ricchezze, di avventure, di personali vicende, gioiosi e disponibili all’irruzione del futuro: non avevano timore di mostrare il loro lato oscuro, che ai loro occhi era semplicemente una delle componenti coesistenti della personalità, individuale e sociale. L’élite di inizio XXI sec. invece lo traveste, omologandolo, e lo cela nei recessi del proprio io, protetto da strati di ipocrisia pubblicitaria, il che risulta particolarmente evidente negli still che si affiancano al video.

In quest’ultimo la rarefazione di gesti, pratiche, azioni fanno emergere l’atmosfera artificiosa, da reality, della situazione: studiosi e critici hanno spesso osservato che i video AES+F sono stupefacenti reality del presente, anche quando tematizzano passati e soprattutto futuri non prossimi e non prevedibili. Dobbiamo però aggiungere che anche stavolta, come nel precedente Last riot, siamo all’interno di un non-luogo, e ciò comporta inevitabilmente delle non-azioni o al massimo delle azioni quasi esclusivamente convenzionali: quelle di The Feast nascono da gesti più legati alla danza o alla pantomima, per altro non farsesca (piuttosto, orientale). La complessa identità personale dei personaggi petroniani viene stabilita a un diverso meta-livello, dove ciò che conta è sottolineare con enfasi i segni dell’appartenenza a etnie diverse, ribaditi dagli abbigliamenti e dalle acconciature.

In questo senso, l’enorme variabilità e pluralità di accenti del testo latino, che l’opera degli AES+F conserva, nel momento in cui viene idealmente “trapiantata” in un medium che non prevede parole (i tumultuosi discorsi del Satyricon) deve essere indicata con esplicite dinamiche di enfatizzazione. Il Camp Style[19]  ben si presta allo scopo: lo rintracciamo senza sforzo nella gestualità cosciente degli interpreti[20], i loro costumi, gli accessori e gli utensili (per la pulizia, per il fitness, per lo sport) che iniziano ad assumere un ruolo crescente nella narrazione di un universo pacificamente post-human, dove le macchine sono prolungamenti naturali degli arti.

Ma l’estetica Camp coinvolge in qualche modo anche gli scenari. La scelta di un’aura “vittoriana” esplicita il desiderio di ricollegarsi a quell’eclettismo “coloniale” che prova a riassumere in un unico luogo le suggestioni esotiche dei viaggi di allora e delle implicite sopraffazioni che quei viaggi comportavano. C’è qualcosa di più: le prospettive sono sempre profonde, molto accentuate (anche per la disposizione degli attrezzi sportivi), sembrano impaginate in accordo ideale con le tre celebri tavole (di Urbino, Baltimora e Berlino) del primo Rinascimento umbro-toscano; sono spazialità dilatate in altezza, non estranee, per la disposizione dei fondali, alle scelte espressive di Botticelli (dal cassone con la Storia di Nastagio degli Onesti, 1483, alle sue Storie di Virginia e di Lucrezia, spartite tra Bergamo e Boston, del 1498); sono anch’esse eccentricamente contaminate - come del resto i prototipi italiani della prima età moderna - dalla crescente presenza di elementi orientaleggianti o di derivazione dagli sfondi dei videogame.

Anche i punti di vista non mancano di interesse, perché spesso paiono dislocati in posizioni elevate (come una loggia), tali da consentire uno sguardo a volo d’uccello, da secoli esplicito segnale di una volontà di controllo. Questa attenzione per lo sguardo, per sottili dinamiche visive, svolge un ruolo essenziale nell’opera: non è infatti impertinente affermare che, almeno su un registro squisitamente espressivo, uno dei temi centrali in The Feast of Trimalchio è il movimento degli sguardi, così come in Last riot era quello degli arti.

Così - come a noi pare - non possiamo trovarci a disagio, di fronte all’evidente spezzettarsi del filo narrativo: gli AES+F hanno scelto lucidamente la rinuncia a una narrazione unica o all’unicità di un messaggio, in favore di vari livelli narrativi dove si mescolano i piani della realtà, del sogno, dell’inconscio, e tutto è ugualmente possibile senza che ci sia predilezione per una linea o un’altra. Come in altri lavori del gruppo l’ambiguità e la duplicità rappresentano insomma un valore, da conquistare con intelligenza: ed eccoci osservare per esempio abbracci che possono rivelarsi il segno di una lotta, massaggi interrotti per la concreta assenza di un “corpo” autentico, tragedia e commedia che si interpolano, come per esempio nella sequenza con il volo della carrozzina.

Qualche rapida e penultima considerazione può servire a sottolineare il rapporto, solo fino a un certo punto misterioso, che gli AES+F stabiliscono con le tradizioni culturali che li hanno preceduti. L’attenzione così suggestiva che essi accordano in quest’opera agli antichi riti della mensa, dalle coene del mondo antico ai banchetti della prima età moderna, trova certamente alimento nel repertorio millenario di immagini che li hanno accompagnati: gli artisti hanno dichiarato in alcune occasioni (anche a noi) l’influsso esercitato su di loro dagli affreschi pompeiani e dalle tematiche di lusso quotidiano. Ma ci sono inoltre assonanze con il codice imposto per la rappresentazione dei banchetti, poco dopo la metà del XVI sec., da Paolo Veronese (e non pensiamo solo alle celeberrime Nozze di Cana del Louvre) poi ripreso nel XVIII sec. da Tiepolo: nei brunch AES+F (dove si consumano anche frutti di mare con sembianze vagamente ibride: un anticipo, una profezia del presente, se consideriamo quali saranno probabilmente i nostri prossimi consumi alimentari) non si percepisce solo (se non in minima parte) la dimensione “acropolica” così insistentemente accentuata da Veronese nei suoi vasti dipinti di soggetto religioso per le grandi congregazioni veneziane[21], ma solo perché, come abbiamo anticipato, il punto di vista adottato nel video è spesso dall’alto. Quelle scene dipinte a metà Cinquecento, come sappiamo, rappresentavano l’espressione di una profonda fase di rifeudalizzazione della società europea: in The Feast of Trimalchio si mostrano invece, ma con analoghi accenti, i riti neofeudali della società contemporanea.

Nel paradiso AES+F ritroviamo inoltre la coesistenza, che ha segnato per millenni la cultura occidentale, degli “impossibili” (adynata, in greco, impossibilia, in latino): la luce perenne, l’assenza di stagioni, il pacifico rapporto tra umani, transumani, animali, l’incontro pur superficiale di civiltà differenti e lontane, la mescolanza degli stili e delle epoche, sono tutti tratti che affondano da un lato nei miti antichi evocati a partire da Archiloco, dall’altro nelle profezie bibliche (Is. 11) e che sono qui straordinariamente emblematizzati. Ne ha ragionato lucidamente, in un libro ammirevole, oltre mezzo secolo fa, Ernst Robert Curtius[22], partendo da uno dei Carmina Burana che presenta il “mondo capovolto”, per mostrarne i sentieri di trasmissione nella civiltà dei secoli successivi, fino al nostro recente passato delle ideologie e delle futurologie. Quegli elementi connotano costantemente il topos del locus amoenus, del giardino edenico: quando esso coincide con un’isola (da quella di Cithera che compare nell’Hypnerotomachia Poliphili al giardino-isola di Armida nella Gerusalemme tassiana[23]) il locus moltiplica esponenzialmente il proprio orizzonte di senso.

L’opera degli AES+F può essere inoltre collegata, non impertinentemente a nostro avviso, alla riflessione che Johan Huizinga esprime, tra altre considerazioni, nel suo De kunst der Van Eyck’s in het leven van hun tijd[24], un saggio che ha il pregio di dilatare ulteriormente, in questa sede, il significato della festa, cui il numero 200 di “Engramma” è giustificatamente dedicato. Un suo passo, riferito alle “feste di corte” borgognone, che riportiamo qui di seguito per esteso, fonda in qualche modo il senso anche più risonante di un’osservazione di qualche pagina precedente.

La festa - scrive Huizinga - conservava ancora parecchio della funzione che aveva avuto tra i popoli primitivi[25]: quella di manifestazione sovrana della cultura. Nelle epoche di grande rinnovamento della società ritrova quella funzione, come durante la Rivoluzione francese. Noi uomini moderni possiamo dedicare ogni momento di tranquillità e di distensione alla ricerca della nostra più intima concezione della vita e della più pura gioia di vivere [nel 1916!]. Ma un’epoca di insicurezza cronica e di scarsa diffusione dei piaceri dello spirito aveva bisogno a tale scopo della festa. Quanto più stridente è il contrasto con la miseria della vita quotidiana, tanto più forti devono essere i mezzi necessari a raggiungere lo stordimento indispensabile a mitigare la realtà. E il XV secolo è un’epoca di tremenda depressione e pessimismo. Come antidoto all’oppressione secolare di lotta e fame, d’ingiustizia e violenza, della peste, dell’inferno e delle streghe non bastava la quotidiana promessa della salvezza celeste. Di tempo in tempo era necessaria anche una gloriosa celebrazione, collettiva e solenne, della bellezza della vita, in quanto uno svago individuale regolare come quello fornito dalla letteratura o dalla natura era a disposizione di pochi, i libri erano preziosi come gioielli e al di fuori delle mura cittadine o dei giardini la natura era pericolosa. Gioco, amore, vino, danza e canto non erano sufficienti: la festa doveva nobilitarli con la bellezza.

La bellezza, dunque, come registro necessario a un’epoca di smarrimento, di “depressione e pessimismo”, che assomiglia ormai molto da vicino a quella che quotidianamente viviamo. Riprendendo un tratto saliente de L’elemento estetico delle rappresentazioni storiche, la sua celebre prolusione del 1905, Huizinga riafferma, con un registro perfettamente adattabile alla tensione alla molteplicità di accordi che connota il percorso degli AES+F, che “noi vogliamo delle immagini che siano metà sogno, che non abbiano dei contorni netti, in cui l’interpretazione soggettiva del nostro animo abbia campo libero. Questo bisogno trova più spazio in una percezione visiva dei fenomeni storici piuttosto che in una intellettuale”[26]. Una precisa conseguenza del peso crescente assunto dall’immagine, già all’inizio del XX sec., coincide con il fatto

che la nostra immagine di quasi tutte le civiltà passate è divenuta più serena di quanto lo fosse prima. Ciò è naturale. Nell’arte il gusto amaro del dolore delle epoche che l’hanno creata si volatilizza subito. L’arte non si lamenta. L’arte non si lamenta, mentre nella letteratura, che ripete senza posa l’afflizione per tutta la sofferenza del mondo, traspare sempre una nota di dolore e di insoddisfazione. Il dolore che trova espressione nell’arte figurativa trapassa subito alla sfera dell’elegiaco e della quiete serena, mentre il dolore che viene detto rinnova ogni volta la sofferenza. Anche il racconto storico ci trasmette la vita passata mediante la parola, ed è un canto eterno di oppressione e sofferenza[27].

Agli occhi del grande storico olandese per decenni purtroppo sbeffeggiato nel nostro Paese[28], l’arte appare insomma come implicita e costante espressione della festa, a prescindere da ogni sua connotazione semantica. E non solo quella visiva, dato che anche l’ambito performativo vi gioca un ruolo cruciale. In questo senso, ma ormai solo in forma di congedo, è l’invito a riprendere in tal senso le considerazioni soprattutto iniziali di Lionello Puppi nel suo Lo splendore dei supplizi. Liturgia delle esecuzioni capitali e iconografia del martirio nell’arte europea dal XII al XIX secolo[29]. Il termine “splendore” vi era inteso da Puppi nella sua derivazione foucaultiana (da Surveiller et punir), come esplicita rivelazione di verità e potere, o meglio della verità del potere. Noi proponiamo di intendere quello “splendore” anche nel senso huizinghiano della serenità (felicità?) dei segni dell’arte, e nel nesso lotmaniano tra la città-teatro e la “serena”, financo “festosa”, rappresentazione del dolore che vi si svolge.

Note

[1] Cfr. AES+F, introduction and texts by Giuseppe Barbieri e Silvia Burini, essay contributions by Hou Hanru, Brooke Lynn McGowan, Tom Morton, Tina Rivers Ryan, Milano, Rizzoli New York, 2022, pp. 214-257.

[2] Cfr., tra altri, Jacqueline Millner, AES+F’s The Feast of Trimalchio, in AES+F: THE REVOLUTION STARTS NOW!, Exhibition catalogue, a cura di Rex Butler e Ead., Brisbane, The University of Queensland Art Museum, 2010; Francisco Javier Panera Cuevas, AES+F: Seduction and Amorality – Editorial, in “artpulsemagazine.com” (cfr. http://artpulsemagazine.com/aesf-seduction-and-amorality); Gareth Harris, The Best Times AES+F, in THE LIMINAL SPACE TRILOGY, catalogo della mostra a cura di Olga Sviblova, Manege Central Exhibition Hall, Moscow, MAMM-Triumph Gallery, 2012, poi replicato in occasione della mostra al Martin-Gropius-Bau (2012) e al Musée des Beaux Arts de La Chaux-de-Fonds (2014) e da ultimo in AES+F. Predictions and Revelations, catalogo della mostra (Manege Central Exhibition Hall, Saint Petersburg, luglio-settembre 2019) a cura di Nail Farkhatdinov. Mosca, Triumph Gallery, 2019, pp. 34-39. Si vedano anche gli interventi di Tim Morton e Brooke Lynn McGowan in AES+F… cit. (alla nota 1).

[3] Cfr. Giovanni Pozzi, Sull’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi, 1993, pp. 185-213 (Rose e gigli per Maria. Un’antifona dipinta, è il titolo del saggio in questione).

[4] Cfr. Louis-François Jehan, Dictionaire de Botanique Chrétienne…, in Nouvelle Encyclopédie Théologique, t. VIII, Paris, Migne, 1860.

[5] Pozzi, Sull’orlo del visibile, p. 194.

[6] Cfr. in questo senso Svetlana Alpers, Michael Baxandall, Tiepolo e l’intelligenza figurativa, 1994, tr.it. di Michele Dantini, Torino, Einaudi, 1995, segnatamente i capp. 3 e 4 della III parte.

[7] Cfr. Marc Augé, Non-lieux: Introduction à une anthropologie de la surmodernité, Paris, Seuil, 1992

[8] L’edizione cui abbiamo fatto riferimento è Satyricon, traduzione di Monica Longobardi, con una presentazione di Cesare Segre, Siena, Barbera, 2008.

[9] Cfr. Cesare Segre, Presentazione… cit, p. VIII.

[10] Cfr. Michail Bachtin, Tvorčestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja i Renessansa, Saint Petersburg, Izdatel’stvo, 1965. Cfr. anche Id., Estetica e romanzo, 1975, tr.it. di Clara Strada Janovic, Torino, Einaudi, 1979.

[11] Sulla figura dell’autore del Gargantua et Pantagruel è imprescindibile almeno il rimando a Lucien Febvre, Le problème de l’incroyance au XVI˚siècle. La religion de Rabelais, Paris, Editions Albin Michel, 1942 e 1968.

[12] Cfr. Veikko Väänänen, Introduzione al latino volgare, Bologna, Pàtron, 1974, p. 56.

[13] Alessandro Barchiesi, Extra legem: consumo di letteratura in Petronio Arbitro, in Oronzo Pecere-Antonio Stramaglia (a cura di), La letteratura di consumo nel mondo greco-latino, atti del convegno internazionale di studi (1994), Cassino, Università degli Studi di Cassino, 1996, pp. 191-208, qui p. 203.

[14] Nel suo saggio su Petronio (1951): vedilo in Raymond Queneau, Segni, cifre e lettere e altri saggi, Torino, Einaudi, 1981, pp. 96-99, qui p. 99.

[15] Cfr. Bachtin, Estetica e romanzo… cit., pp. 276-277.

[16] Cfr. anche Alison Rowley, The Feast of Trimalchio: Consuming Passions, in AES+F: The Feast of Trimalchio, catalogo della mostra a cura di Olga Sviblova (Mosca, Garage Center for Contemporary Culture, maggio 2010), Mosca, Triumph Gallery, pp. 279-313, qui p. 281: “It is at this fundamental structural level that AES+F’s vision of a Trimalchio’s feast for the twenty-first century can be understood as a complex analogue of Petronius’ creative imagination”.

[17] Olga Sviblova, A Guilty Pleasure. An Interview with AES+F, ivi, pp. 44-87.

[18] Cfr. Gareth Harris, Self-centered Sybarites, ivi, pp. 8-19, qui p. 15: «Such dichotomies, however, require an exquisite sense of control. From the frozen poses of the cruel youths on parade to the erotic choreography of torsos, set to a soundtrack by Beethoven and Mozart, AES+F show their mastery. Other imagery – the arch, pristine rendition of a striking wheelchair - bound paraplegic flying through the air (a comical episode ending in tragedy) – demonstrates AES+F’s surprisingly comedic touch, an aspect of the collective’s work that is often ignored in critiques which concentrate on their polished production values. Even the colour clash of the costumes – the masters in white and the lusher palette of the servants’ outfits – transforms into a tasteful interplay».

[19] Cfr. Susan Sontag, Notes on 'Camp', in “Partisan Review” 31, n° 4 (Fall 1964), pp. 515–530.

[20] Alcuni di loro assumono pose estatiche di intonazione religiosa: se a Trilogia completata The Feast of Trimalchio viene collegata al Paradiso (perduto, ritrovato o da cui evadere…), Last riot all’Inferno e la successiva Allegoria Sacra al Purgatorio, non stupisce che compaiano tropiche “icone” dell’arte cristiana, pur nei loro slittamenti di senso dato che stanno a indicare il declino morale che coinvolge i protagonisti: si possono individuare le stazioni di una bizzarra Via Crucis, con un Gesù con folta chioma rossa che trascina faticosamente una tavola da surf, ovvero la classica composizione della Pietà che coinvolge però un esausto giocatore di tennis, sorretto da alcuni chef asiatici; o ancora (a 27’55”) le tre concierge che sembrano attualizzare, dopo Bill Viola, la Visitazione di Pontormo.

[21] Cfr. al riguardo Giuseppe Barbieri, “Fuora del luogo dove è il nostro Signore”: Paolo Veronese e lo spazio moderno della mensa, in Id. (a cura di), Nelle sale da pranzo di Paolo Veronese. La rappresentazione dei riti della mensa e la cultura dell’ospitalità, Crocetta del Montello (TV), Terra Ferma, 2011, pp. 12-71.

[22] Cfr. Ernst Robert Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern, A. Franke Verlag, 1948, cap. V.

[23] Gerus. Lib., canti XV-XVI.

[24] L’arte dei Van Eyck nella vita del loro tempo, in “De Gids” LXXX,  n°6 (1916), pp. 440-462, poi in Le immagini della storia. Scritti 1905-1941, a cura di Wietse de Boer, Torino, Einaudi, 1993, pp. 103-154.

[25] L’espressione non può non ricordare gli studi sul prelogismo, pressoché coevi, dell’antropologo francese Lucien Lévy-Bruhl riversati nel trattato su Le funzioni mentali delle società inferiori (1910), né farci dimenticare la radicale revisione di queste posizioni, alla fine della sua vita, nei suoi straordinari Carnets, pubblicati nel 1952 da Einaudi su pressante indicazione di Ernesto de Martino.

[26] Le immagini della storia… cit., pp. 104.

[27] Ibidem.

[28] Si veda a conferma l’introduzione di Umberto Eco all’edizione einaudiana dell’Homo Ludens (1973).

[29] Milano, Berenice, 1990.

English abstract

This article is a review of the video artwork Feast of Trimalchio, the second part of the Liminal Space Trilogy realised by AES+F. The Feast of Trimalchio is a clear reference to the Satyricon by Petronius, book XV, narrating the Coena Trimalchionis. The feast is rendered in Camp Stylebut there are similarities with the code of representation of banquets invented by Paolo Veronese in XVI cent. and continued in the XVIII cent. by Tiepolo. The brunch proposed by AES+F show impossibile paradises that correspond to a phase of refeudalisation of the European society. The term “splendor” – as intended by Focault (in Surveiller et punir) – is an explicit revelation of truth and power, or better of the truth of power. The proposal of this article is to intend the “splendor” of AES+F also in the sense of serenity of artwork (Huizinga) and in the relation city-theatre (Lotman): a “serene” and perhaps “festive” representation of the sorrow that takes place in it.

keywords | AES+F; Feast of Trimalchio; Liminal Space Trilogy.

Per citare questo articolo / To cite this article: G.Barbieri, S.Burini, AES+F, The Feast of Trimalchio (2009+ 2010). Con qualche annotazione sulla serenità delle immagini delle civiltà antiche ”La rivista di Engramma” n.200, vol.1, marzo 2023, pp. 53-62 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0090