"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

88 | marzo 2011

9788898260331

Antonella Sbrilli
Google Art Project
Da una stanza all'altra, nei musei del mondo

 

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Lanciato con enorme risonanza a febbraio del 2011, Google Art Project consente di compiere on line visite virtuali a (per ora) 17 musei europei e americani e di esplorare alcuni capolavori in essi conservati, coniugando l’altissima risoluzione delle immagini (7 gigapixel) con la possibilità di muoversi nelle sale grazie all’utilizzo della tecnologia Street View  usata in interno. La funzione Create an Artwork Collection permette inoltre ai visitatori, previa registrazione a Google, di allestire e condividere una propria selezione di opere, scegliendo fra quelle presenti.

I milioni di persone che in questi due primi mesi hanno utilizzato il servizio, e creato decine di migliaia di collezioni, sono la prova che il progetto incontra, e insieme contribuisce a creare, una richiesta diffusa, e lo fa in modo efficace sul piano della facilità di utilizzo, della presentazione e del format; a questa efficacia concorrono evidentemente la posizione egemonica di Google come motore di ricerca e il suo impegno nel campo della documentazione culturale, espresso già con Google Books e Google Scholar (l’anagramma di Google Art: Great Logo). 

Quando si accede al sito, appare ogni volta un’immagine diversa, a rotazione, in rappresentanza dei 17 musei partner del progetto. In basso a destra una didascalia rivela prima la collocazione, poi il titolo e l’autore dell’opera da cui è tratto il frammento. Le due carte d’ingresso sono dunque: l’ingrandimento straordinario di una parte dell'opera e la  sua localizzazione.

Sulla sinistra dello schermo, il visitatore trova l’elenco dei musei e, in evidenza, quello in cui l’opera ingrandita è collocata. A questo punto si può scegliere se accedere direttamente alla riproduzione dell’opera e alle informazioni ad essa allegate (schede tecniche e storico-critiche essenziali), o entrare nella sala in cui l’opera si trova, visitandola, come si entrasse in un videogioco, con le modalità che Street View ci ha rese familiari (talvolta non senza inquietudine) nell’esplorazione delle mappe cittadine.

Capita con Street View, per esempio, di vedere la propria macchina parcheggiata davanti casa e anche di riuscire a ricostruire tramite indizi la giornata in cui la Google car  è passata a fotografare l’angolo con il bar e il giornalaio, rimontando poi le foto in modo da dare l’impressione della continuità delle strade e dell’orizzonte.

L'idea di applicare agli spazi interni dei musei la tecnologia di ripresa delle strade è un punto di forza del progetto, perché il visitatore riconosce un'interfaccia familiare. L'effetto è simile alla resa immersiva degli ambienti ottenuta con software come QuickTime VR. Niente a che vedere, evidentemente, con le ricostruzioni tridimensionali in grafica vettoriale (immagini sintetiche ricreate ex novo), il cui scopo è diverso, così come anche le modalità di fruizione, che necessitano spesso di programmi da scaricare e postazioni dedicate. 

I musei di Google Art Project sono stati fotografati senza pubblico, in piena luce:

 

in questo giorno solitario, montato ad arte, virtuale come la visita che si sta effettuando, si possono imboccare i lunghi corridoi dell’Hermitage:

rigirarsi negli ampi spazi regolari del Museo Van Gogh di Amsterdam, di cui si vede anche l'ingresso sulla Paulus Potterstraat transitata da biciclette:


oppure attraversare il patio della Frick Collection di New York passando dalla sala ovale con i ritratti:

                   

L’elenco dei musei coinvolti comprende alcune grandi collezioni nazionali: gli Uffizi di Firenze, la reggia di Versailles, la National Gallery e la Tate Britain di Londra, il Museo Reina Sofia di Madrid, l’Alte Nationalgalerie e la Gemäldegalerie di Berlino, l’Hermitage di San Pietroburgo e la galleria Tetrjakov di Mosca, il Rijksmuseum di Amsterdam, per gli Stati Uniti il Metropolitan di New York; raccolte di collezionisti del secolo scorso (imprenditori e magnati dell’acciaio) divenute musei aperti al pubblico, come la Frick Collection di New York, il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, la raffinata Freer Gallery dello Smithsonian di Washington; per l’arte contemporanea sono presenti il Moma di New York e il piccolo e interessante Museo Kampa di Praga, oltre al museo monografico su Van Gogh di Amsterdam.

Si accede alle opere digitalizzate, all'interno di ciascun museo, anche attraverso elenchi alfabetici per artista, che intrecciano le opere dello stesso autore presenti in altri musei del progetto. In sintonia con la filosofia geografica dell'operazione, spesso il luogo d'origine dell'artista è presentato con una mappa. In alcuni casi, il sistema collega la scheda dell'artista a Google Scholar e dei video di spiegazione sono accessibili dalla voce Media.

Christian Ghiron, responsabile Nuove Tecnologie per il ministero per i Beni culturali, (intervistato il 25 febbraio 2011) rileva un immediato effetto positivo di Google Art Project sugli accessi ai singoli siti dei musei coinvolti, come nel caso degli Uffizi. Grazie all’eco telematica di Google, il nome dei musei circola in rete in modo quantitativamente significativo, compare ai primi posti delle ricerche, si riproduce nei vari luoghi della comunicazione e della condivisione di dati pubblici e di esperienze personali. Lo scopo dell’operazione, dice Ghiron, riguarda soprattutto, in prima battuta, l’informazione relativa all’arte: raggiunto il numero più alto possibile di contatti, gli effetti seguiranno, portando con sé l’aumento dei visitatori reali, l’adesione di musei meno noti e frequentati, la richiesta di altra informazione, la documentazione di mostre temporanee.

L’home page di Google Art Project invita anche implicitamente a un gioco, quando il frammento dell’opera proposta, proprio a causa dell’enorme ingrandimento, non si riesce a individuare subito, oppure rivela aspetti particolari dello stile dell'autore. 

Il dipinto Nella serra di Edouard Manet del 1879 (Berlino, Alte Nationalgalerie) è presentato da un grumo di pennellate marroni, un tocco di blu, uno di rossastro sulla trama visibile della tela.

È l’ingrandimento di una zona del quadro che compare in piccolo sulla sinistra, ma quale? Non è facile rintracciare il punto sull’intero, bisogna ingrandire la superficie passo passo, vagando dai vasi di fiori alla giacca scura dell'uomo, per accorgersi che quella svirgolata di colori è l’occhio di Jules Guillemet che osserva la moglie nel giardino d’inverno. Avvicinandosi si perde la cognizione del soggetto, allontanandosi si comprende la fisionomia; alla giusta distanza, difficile da mantenere con il mouse, si intravedono insieme la trama dei segni tracciati da Manet e il loro diventare forme.

La possibilità di ingrandire le riproduzioni digitali di opere d’arte ha trovato applicazioni sin dai primi anni ‘90 in prodotti pionieristici come la visita alla Galleria Borghese di Roma e più di recente, nella visualizzazione di 15 capolavori del Prado (vedi, in Engramma 71, aprile 2009, l'articolo di Sara Agnoletto, 15 opere maestre).

Strumenti usati principalmente per la conservazione e lo studio specialistico sono dunque ora a disposizione di tutti, invitando anche lo sguardo del visitatore a un cambio di scala. Non si tratta solo di osservare minuziosamente particolari dello sfondo, come i contadini che giocano nel dipinto di Brueghel il Vecchio al Metropolitan di New York, o le righe del giornale nel collage di Juan Gris (Museo Reina Sofia, Madrid), ma di cogliere l'intreccio fra stile e materie dei dipinti in un modo consentito finora solo a chi avesse l'opera sempre a disposizione.

Così, per esempio, l'avvicinamento alla coperta rossa del letto di Van Gogh nella camera di Arles (1888) mostra dei cretti quasi informali:

 

Da molte delle opere presenti nel sito emergono tessiture, modelli, affinità, discontinuità, dialoghi: ecco i capelli ventilati della Venere di Botticelli (Uffizi), al tempo stesso mossi da una brezza immaginaria e fermi  come un pattern decorativo, e accanto i riccioli ingranditi del giovane Rembrandt nell'autoritratto conservato al Rijksmuseum di Amsterdam.

     

Google Art Project invita ad allestire, oltre alla propria collezione di opere favorite, anche personali percorsi su temi, a seguire collegamenti intravisti fra le opere e fra le stanze dei musei, grazie alle peculiarità che questo strumento mette a disposizione: l'estremo avvicinamento alla superficie dipinta e il movimento nello spazio che la ospita.


Antonella Sbrilli
Google Art Project. From room to room in the Museums of the World

“Explore museums from around the world, discover and view hundreds of artworks at incredible zoom levels, and even create and share your own collection of masterpieces” says the homepage of the Google Art Project. Launched on February 2011, Google Art Project collects hundreds of high-resolution images of artworks from seventeen European and American museums and allows virtual tours of the galleries housing them, by using Google’s Street View technology. The friendly interface of this product, as well as the possibility to get information by navigating both the museum’s building and the paintings’ surface has been determining its diffusion.