Riviste di architettura. Traiettorie
Editoriale di Engramma n. 188
Fernanda De Maio, Anna Ghiraldini, Michela Maguolo
English abstract
Questo è un numero dedicato al mondo delle riviste di architettura, con l’obiettivo di mettere a fuoco un settore in evoluzione e oggetto di dibattito. Risale a venticinque anni fa il saggio intitolato Le riviste di architettura. Costruire con le parole, contenuto in Storia dell’architettura Italiana. Il secondo novecento – curato da Francesco Dal Co ed edito da Electa nel 1997 – che Marco Mulazzani dedica al tema delle riviste italiane, riportando, tra l’altro, il censimento di Eugenio Battisti della fine degli anni Ottanta sulle riviste dedicate al progetto: cinquantasei riviste di architettura, quattordici di urbanistica, ventisei per l’arredamento, diciotto per il design, per un totale di centoquattordici riviste. Di queste, nel volume Teorie, scuole, eventi, primo de L’architettura del Novecento curato da Marco Biraghi e Alberto Ferlenga e pubblicato nel 2012 per Einaudi, solo undici entrano nell’elenco delle trentuno riviste internazionali individuate dai curatori quali voci da approfondire, perché ritenute incisive sul piano del lavoro ‘concreto’ per il dibattito sull’architettura del secolo breve. Di segno opposto l’elenco stilato nel 2022 dall’ANVUR, Agenzia nazionale per la valutazione del sistema Universitario e della ricerca italiano, che censisce oltre trecentocinquanta riviste di architettura tra nazionali e internazionali di livello eccellente (la cosiddetta classe A) e più di duemiladuecento affidabili dal punto di vista scientifico, cosicché se cercassimo tra il primo e il secondo elenco ANVUR le sole riviste italiane, scopriremmo che il numero attuale supera di gran lunga la soglia indicata da Battisti nel 1989. È chiaro che i tre elenchi di cui si è detto hanno origine da intenti molto diversi. Così mentre il primo fissa, come in un fotogramma la condizione data in un particolare momento storico ‘di soglia’ – quella tra il mondo prima di internet e il mondo dentro internet – il secondo elenco, ultra selettivo, mira a fissare l’impatto che alcune riviste hanno avuto nell’avanzamento di una riflessione sullo stato dell’architettura dimostrandosi insostituibili strumenti di agitazione del dibattito intellettuale. L’elenco dell’ANVUR, invece, nato con l’obiettivo presunto oggettivo di assicurare la massima autorevolezza alle pubblicazioni di chi si candida a diventare professore universitario di architettura in Italia, non ha fatto altro, purtroppo, che drogare il panorama delle riviste contemporanee. Ha infatti promosso una proliferazione agganciata a una domanda molto settoriale e circoscritta, quella dei professori universitari di ingegneria civile e architettura – che i dati Istat del 2019 dicono essere tremilaquattrocentosettantacinque nelle tre fasce di ordinario, associato e ricercatore – o aspiranti tali – poche migliaia in più – mentre gli oltre duecentocinquantamila architetti e ingegneri italiani attingono dalle piattaforme digitali gli spunti per l’aggiornamento professionale a cui aspirano o alle riviste proposte dagli ordini professionali o ancora a quelle di tipo aziendale. Quindi, al di là dell’elenco più o meno significativo, in cui una qualunque delle riviste di architettura presentata in questo numero è inserita, ciò che oggi è evidente per qualunque rivista è quanto il suo impatto si stemperi per la concorrenza di altre forme di comunicazione aziendale e delle piattaforme digitali, le quali consentono una sorta di felice anarchia per una informazione senza filtri della cultura architettonica, in cui ciascun architetto, studio o gruppo, può, senza grossi vincoli di budget e di tempo, costruire la comunicazione della propria esperienza nel campo professionale o attingere a questo strumento per il proprio aggiornamento.
In un tale panorama è evidente che le riviste di architettura devono trovare o ritrovare una ragion d’essere differente dalla semplice informazione o aggiornamento tecnico né tantomeno possono appiattirsi sulle mere necessità che affliggono la gran parte del mondo accademico. Le riviste, tanto più quelle di architettura, si progettano e si disegnano perché progettare e disegnare sono forme del pensare e, per questo, per la copertina abbiamo scelto un disegno del menabò di “Dromos” proposto da Cherubino Gambardella nel suo articolo.
Riviste di architettura. Traiettorie riannoda dunque idealmente i fili con altre occasioni di dibattito recenti – il numero monografico sulle piccole riviste di architettura di “FAM” del 2018, Le ‘piccole riviste’ di architettura del XX secolo, il ciclo di eventi Fare riviste: avventure, oggetti, teorie tenuto all’Università Iuav di Venezia fra il 2018 e il 2019, il meeting di Matera Progetto teoria editoria del 2019, l’incontro Comunicare l’architettura, organizzato da “Area” nel dicembre 2020 – in cui il dibattito sulla trasformazione del discorso intellettuale e militante sull’architettura si scontra con questioni e interrogativi analoghi a quelli da cui è partita “Engramma”.
Qual è la domanda reale di riviste di architettura a fronte di una offerta che appare crescente? La nascita di piccole riviste di nicchia è una risposta all’esigenza di spazi per la formazione del pensiero e della critica dell’architettura? Quali sono gli obiettivi delle riviste di architettura oggi: l’informazione, la comunicazione, la critica dell’architettura, o altro ancora? Quali difficoltà devono affrontare le riviste scientifiche, dal punto di vista della struttura, del sostegno logistico, tecnico e organizzativo? Come e in che modo le istituzioni scientifiche e culturali (in primis le università) le ospitano, ne agevolano il funzionamento, le sostengono e le promuovono? Quale il carattere, e a volte impreciso, profilo di definizione delle riviste di architettura che hanno soprattutto una destinazione commerciale, ma che hanno una storia importante e un importante riconoscimento scientifico? In quel caso, quale tipo di rapporto – intellettuale ed economico – lega le componenti della redazione? Che tiratura hanno (se ancora ha senso parlare di tiratura) e quali forme di collaborazione tecnica e scientifica lega le componenti della redazione? In che modo le riviste di architettura hanno accettato la sfida del passaggio dal supporto cartaceo a quello digitale? Che ruolo ha la grafica in questo passaggio? La rivoluzione digitale ha interessato / influenzato / migliorato la conoscenza dell’architettura e la sua diffusione?
Luoghi di informazione tecnica, di aggiornamento professionale, ma anche di discussione e confronto critico per sviluppare idee intorno ai modi di abitare le città, i luoghi pubblici e le case, le riviste si sono date, in alcuni casi, l’obiettivo di orientare in forma diffusa il gusto e lo stile, in altri, come riflesso di avanguardie culturali, hanno inciso fortemente sulla nascita di alcuni settori industriali di alta specializzazione e qualità estetica. Originate da spinte sociali, economiche e culturali le riviste di architettura hanno anche rappresentato delle esperienze collettive e delle volontà militanti. Per un certo periodo, alcune di loro sono state luogo di formazione, in cui i progetti culturali proposti, di grande forza e talvolta tendenziosità, erano alternativi a quelli prodotti da accademia e università, da cui i loro direttori – architetti impegnati come professionisti e come intellettuali – erano spesso messi ai margini. Quanto di tutto questo è ancora vivo nel panorama attuale? Cosa è cambiato?
Per capire che aria si respira nel mondo pulviscolare delle riviste che si occupano di architettura o anche di architettura, consolidato dal fenomeno della valutazione della qualità della ricerca e dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, abbiamo, per un verso, deciso di affidare il saggio di apertura a una posizione intellettuale che ricerca nella incisività di una visione critica trasmissibile e sentita necessaria da un ampio pubblico, quantomeno di addetti ai lavori, la ragion d’essere di una rivista di architettura e, per l’altro, di strutturare il numero in tre sezioni denominate Storie, Prospettive, Testimonianze, per tessere la trama con cui i saggi e le interviste di architetti e storici impegnati come direttori, redattori o autori costruiscono le traiettorie delle riviste di architettura che proponiamo ai lettori di “Engramma”. Il saggio di apertura, affidato ad Alberto Ferlenga, entra nel vivo delle questioni proponendo un insolito parallelo tra due riviste sorte in contesti e momenti storici differenti con intenti simili: la “Sammlung Nützlicher Aufsätze und Nachrichten die Baukunst Betreffend. Für Angehende Baumeister und Freunde der Architektur”, il cui primo numero esce a Berlino nel 1797 su iniziativa di David Gilly e la “Casabella-Continuità” di Ernesto Nathan Rogers del 1954, rifondata a Milano sulle orme della “Casabella” di Giuseppe Pagano ed Edoardo Persico, con l’obiettivo di essere un luogo di riflessione, rinnovamento professionale e lotta culturale e, che un po’ come la “Sammlung” di Gilly, diventa la culla di una nuova generazione di architetti.
La sezione dedicata alle Storie investiga, innanzitutto, il modo in cui nell’Italia del secondo dopoguerra le riviste di architettura osservano le coeve esperienze di nuovi modi di costruire in regioni lontane e in via di sviluppo a supporto della propria volontà di accreditarsi quali strumenti per la rifondazione del paese in veste moderna e democratica Così il denso articolo di Daniele Pisani racconta i tentativi, non sempre riusciti, di Albe Steiner in Messico e Lina Bo Bardi in Brasile di contribuire più che alla conoscenza di specifiche architetture e contesti latino-americani, all’uso di quelle esperienze quali modelli militanti di architettura, per promuovere la civiltà democratica nel nostro paese. Il saggio di Alberto Pireddu fornisce il prequel dell’articolo precedente, poiché testimonia e descrive l’impegno teorico e l’afflato innovativo di Lina Bo Bardi e Carlo Pagani, coadiuvati da bravissimi collaboratori interni ed esterni tra cui figura Bruno Zevi, per perseguire l’obiettivo di raccontare l’architettura come un impegno civile per la ricostruzione del paese negli anni e nei mesi che per la Bo rappresentano l’ultimo momento prima di lasciare l’Italia in favore della sua nuova patria. Sul ruolo di “Zodiac”, la nuova rivista fondata da Adriano Olivetti su una idea di Bruno Alfieri, nell’ambito del panorama architettonico italiano e quale prodotto di una cultura d’impresa all’avanguardia, si concentra, invece, l’articolo a firma di Aldo Aymonino e Federico Bilò, che anticipa uno studio monografico degli stessi autori sulla rivista, di prossima uscita. Con l’articolo dedicato a “Rassegna”, altra rivista italiana degli anni Trenta ripresa da Vittorio Gregotti e Pierluigi Cerri all’alba degli anni Ottanta, Guido Morpurgo, oltre a pubblicare l’inedito numero zero della rivista appena rifondata, ne descrive l’unicità nell’affollato panorama delle riviste di architettura italiane di quegli anni, per tracciare un itinerario argomentativo, geografico e scalare da Small Objects a Big Machines, tipico della riflessione di Gregotti, che in questa sede appare affrancato dal compito – affidato al simmetrico “Casabella”, diretto tra gli altri anche dallo stesso Gregotti – di confrontarsi in modo diretto con l’architettura contemporanea. Chiude la sezione una incursione oltre Manica proposta da Andrea Foffa, che descrive come una delle riviste storiche inglesi abbia governato la propria trasformazione sul supporto digitale.
La sezione successiva è dedicata a investigare le Prospettive per le riviste di architettura all’insegna di una nuova leggerezza e tempestività di visione che appare oggi appesantita dal processo di scientificità nella moltitudine di riviste peer-reviewed incentrate sul politicamente corretto. In tal senso è da intendere il ragionamento di Cherubino Gambardella il cui articolo, pur non sottraendosi alle regole del gioco, propone la rivista come collezione di spunti ricomposti per produrre una nuova meraviglia del fare architettura e accompagna le sue riflessioni con i disegni autografi del menabò del numero zero della rivista “Dromos” fondata con quei criteri richiamati nel saggio. Segue su questa scia l’articolo di Tim Steffen Altenhof che, raccontando alcune esperienze di ambito anglo-americano note e nuove e la difficoltà di essere realmente aggiornato dalla moltitudine di riviste peer-reviewed, sia per mancanza di tempo sia per la difficoltà di selezione, sottolinea due modi essenziali per concepire oggi una rivista/pubblicazione di architettura – il primo come forma di comunità e il secondo come scuola – rivolgendosi sia agli studiosi che agli architetti attraverso un oggetto di stampa abilmente progettato ma rigorosamente distante dalle lentezze dei processi accademici. Eva Maria Froschauer sottolinea, invece, soprattutto l’indissolubile legame che da Leon Battista Alberti in poi esiste tra architettura e media per poi rilevare come, prima o poi, l’architettura praticata risente della trasformazione degli strumenti attraverso cui essa viene diffusa e raccontata e come il mezzo della rivista specializzata, in particolare, abbia creato ripetutamente un quadro autoreferenziale per la “scena architettonica” all’interno della quale alcuni argomenti potevano essere letteralmente “fatti”. Sul rapporto tra architettura e media si muove anche l’articolo di Riccardo Rapparini che chiude la sezione e a partire da un’intervista, datata 2006, tra Roberto Calasso e Cesare Garboli – in cui il concetto di inattualità emergeva come base per fare delle riviste di letteratura un mezzo “profondamente creativo e originale” capace di “influenzare il proprio tempo” e non assecondarlo – propone che lo stesso concetto di inattualità possa configurarsi come modello interpretativo capace di fare delle riviste di architettura uno strumento di difesa contro un periodo storico dominato da meccanismi comunicativi basati sulla ripetizione ossessiva e sterile del contenuto.
Tornare alle riviste come luoghi di formazione, costruzione e trasmissione del sapere in contrasto con un’attualità che trova nella comunicazione acritica il “mezzo opposto alla conoscenza” appare ancora oggi il salvacondotto di questa forma di comunicazione e le Testimonianze raccolte nell’ultima sezione sembrano promuovere tale posizione. Si tratta di contributi contraddistinti da un tono discorsivo e colloquiale sia nella forma di intervista che del racconto indiretto. Il primo contributo di Nicole Cappellari e Julien Correira si riaggancia alla tavola rotonda organizzata dagli autori nel marzo 2021 presso l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne e riporta la testimonianza dell’architetto, storico e teorico francese Jacques Lucan sulla sua esperienza come redattore capo di diverse riviste, tra cui “AMC” (1977-1987) e “Matières” (1997- 2020), per mettere a fuoco l’idea di una rivista di tendenza e la sua rilevanza per il nostro tempo nonché il ruolo delle riviste come laboratorio e canale per la creazione di teorie. Il contributo successivo, di Michela Maguolo, attraverso l’intervista a Sophie Lovell, direttrice di “uncube”, una rivista digitale sperimentale pubblicata tra il 2012 e il 2016, dà conto dell’approccio fortemente interdisciplinare dei contenuti, in cui al centro veniva posto il complesso sistema in cui l’architettura è incorporata più che l’architettura in sé stessa con i suoi edifici, e del successivo radicamento di alcuni membri della redazione nell’ambito della creazione e gestione di piattaforme digitali per la comunicazione dell’architettura anche grazie al supporto di finanziamenti ottenuti dal programma europeo Creative Europe. Il contributo di Paolo Carpi è il racconto della storia della rivista “San Rocco” da parte di uno dei suoi fondatori: della filosofia alla base della rivista alla ricerca della leggerezza in architettura, della “impossibilità a costruire una teoria” come modo per costruire la strategia su cui si è appoggiata la costruzione di ciascun numero attraverso il meccanismo del call for paper e dell’ultimo atto surrealista di dichiarazione di morte presunta, che in filigrana s’intende dovuto al contemporaneo esaurirsi della spinta intellettuale e della sostenibilità economica della rivista, in attesa di una “San Rocco” 2.0. Diverso per tono e determinazione, ma accomunato dalla stessa volontà di dichiarare una stretta attinenza al mondo della progettazione architettonica, l’articolo dei direttori di “FAM” Lamberto Amistadi ed Enrico Prandi, che in merito alla prima rivista italiana di progettazione architettonica, interamente digitale ad aver ottenuto il massimo riconoscimento dall’ANVUR, raccontano con limpida chiarezza tutti i passaggi per stare dentro il mainstream delle regole ministeriali senza rinunciare a costruire una identità eclettica. A chiudere la sezione e il numero viene presentata da Laura Camerlingo, Alessia Sala e Cesare Sartori una recente iniziativa editoriale del Senato degli Studenti dell’Università Iuav di Venezia, “Terreno Comune”: si tratta di una conversazione sul progetto editoriale per dar conto di come ancora oggi, pur nella eterogeneità dei prodotti realizzati a ogni uscita, una rivista di architettura nasca tra gli studenti per costruire nuovi orizzonti di senso o, forse, semplicemente alleanze per poi divenire uno (stra)ordinario esperimento di ricerca intorno alla propria educazione di progettisti.
English abstract
The present issue of “La Rivista di Engramma” is dedicated to the topic of the architecture journal, a sector that is in transformation, and the centre of ongoing debate. In the current historical moment – where digital platforms allow a sort of happy anarchy for unfiltered information about the architectural culture and each architect, studio or group can build the communication from their own experience in the professional field without great constraints of budget and time – what remains of the architecture journal? What is its goal: information, communication, architectural criticism or something else? What kind of problems do architecture journals face today? Have they accepted the challenge of the transition from paper to digital? If so, how? And what is the role of graphics in this transition? Has the digital revolution affected/influenced/improved the knowledge of architecture and its diffusion?
The issue is divided into three sections – Storie, Prospettive, Testimonianze (Stories, Perspectives, Testimonials)– introduced by Alberto Ferlenga’s essay, which proposes a parallel between two journals, David Gilly’s “Sammlung” and Ernesto Nathan Rogers’s “Casabella-Continuità”, belonging to different contexts and historical moments, but with similar aims. The section Storie opens with an essay by Daniele Pisani on the missed dialogue between the Italian architectural culture and the internationally acclaimed Brazilian architecture in the second half of the XX century. Alberto Pireddu recounts the story of the journal “A” by Lina Bo Bardi and Carlo Pagani; Aldo Aymonino and Federico Bilò propose an insight of “Zodiac”, its relationship with Adriano Olivetti and its international vocation; Guido Morpurgo’s article dwells on issues 0 and 1 of Vittorio Gregotti’s “Rassegna”; and Andrea Foffa describes the digital turn of a historical magazine, “The Architect’s Journal”. The second section, Prospettive, investigates possible futures in the development of the journals, starting with Cherubino Gambardella’s proposal for magazines like out-of-time collections; followed by Tim Steffen Altenhof identifies two essential ways to conceive of an architectural publication today: as a form of community, and as a school. Eva Maria Froschauer reflects on the timeliness of media relationships between architecture and journals, while Riccardo Rapparini applies the concept of Roberto Calasso and Cesare Garboli’s untimeliness to architectural journals. The third section, Testimonianze, collects contributions in the form of interviews, conversations and personal recollection: Nicole Cappellari and Julien Correira interview Jacques Lucan on the Tendency journals, Michela Maguolo interviews Sophie Lovell on the experimental magazine “uncube”, Paolo Carpi recalls the experience of “San Rocco”, Lamberto Amistadi ed Enrico Prandi tell the story of “Fam”, the first Italian web architectural journal recognized for excellence by the Italian National Agency for the Evaluation of Universities and Research Institutes; and Laura Camerlingo, Alessia Sala and Cesare Sartori describe the students’ editorial project “Terreno comune”.
Keywords | Architectural Journals; Stories; Perspectives; Testimonials.
Per citare questo articolo / To cite this article: Fernanda De Maio, Anna Ghiraldini, Michela Maguolo, Riviste di architettura. Traiettorie. Editoriale di Engramma n. 188, “La Rivista di Engramma” n. 188, gennaio-febbraio 2022, pp. 7-14 | PDF dell’articolo