La modernità di un antimoderno
Presentazione di Jacob Burckhardt, Il Rinascimento italiano. Civiltà e arte, Torino 2023
Maurizio Ghelardi. Presentazione a cura di Filippo Perfetti
English abstract
In occasione della pubblicazione per “i millenni” di Einaudi, presentiamo l’opera seminale di Jacob Burckhardt, Il rinascimento italiano. Civiltà e arte, a cura di Maurizio Ghelardi. Dopo aver approntato negli ultimi anni due volumi, sempre per la stessa collana, dedicati agli scritti editi e inediti di Aby Warburg, Ghelardi realizza ora un’importantissima edizione del corpus di uno dei precursori del lavoro di Warburg e di tutto il milieu tedesco. Jacob Burckhardt pone le basi per il rinnovamento della storia dell’arte: disciplina sconvolta e rinnovata per l’affermarsi non solo di nuove scoperte, ma anche da nuove istanze epistemiche: il problema dell’oggettivazione delle espressioni estetiche, di cosa queste dicano e di come si possa parlare di loro. Nell’introduzione (di cui presentiamo qui un estratto per gentile concessione dell’Autore e dell’Editore) Ghelardi scrive:
Burckhardt ritiene che il compito di uno storico dell’arte non consista “nell’enumerare le condizioni esterne, le esigenze e persino nel descrivere le singole scuole e artisti”, bensì nel mostrare, attraverso un’impostazione per generi, la complementarità tra forma e funzione, immagine e parola [...]. Al contempo i ‘generi’ permettono di spiegare l’insorgenza di nuovi compiti artistici, di raggruppare sincronicamente le opere in base alle loro funzioni.
È attraverso una storia dell’arte svincolata dalla conoscenza della sola opera d’arte, del singolo artista o singola scuola, che è possibile aprire una finestra verso un mondo non ideale ma intessuto del tempo e dei suoi accadimenti, inconsci o voluti che siano. E in questo modo
[...] il mondo storico si presenta come un cosmo che racchiude in sé molteplici polarità: ogni epoca è individuale, poiché manifesta una forza spirituale che racchiude la “molteplicità delle altre epoche storiche”.
Questo tentativo di osservare e di oggettivare un’epoca tramite l’espressione artistica è stato uno degli sforzi principali nella vita di studioso di Burckhardt, di cui Il rinascimento italiano è l’esempio migliore. Il rinascimento italiano, ora leggibile in italiano nella nuova traduzione del curatore del volume Einaudi, per la prima volta è corredato dalla sua parte inedita approntata negli anni ’60 dell’Ottecento e poi abbandonata dal suo autore. Come scrive Ghelardi ne La modernità di un antimoderno, nell’opera di Burckhardt è presente la crisi di una disciplina e di un’epoca, nelle loro istanze e nei loro spostamenti, e in cui Burckhardt trova il bandolo per guardare il passato e il presente: “L’unico centro permanente e almeno per noi possibile: l’uomo che soffre, che anela e che agisce, l’uomo qual è, qual è sempre stato e sempre sarà. Perciò la nostra considerazione della storia sarà in certa misura patologica”.
Una patologia delle forme espressive dell’uomo è quanto emerge allora da Burckhardt, che – uomo anch’egli, e perciò sofferente del suo tempo – è portatore di queste istanze del moderno e, essendo “uomo che anela” non è semplicemente un uomo del suo tempo, ma un uomo che agisce e piega, secondo la tensione energetica della sua epoca, un nuovo spazio per il pensiero e per la ricerca.
Sommario
Jacob Burckhardt: la modernità di un antimoderno di Maurizio Ghelardi
Nota ai testi
Bibliografia delle opere citate, integrata con edizioni moderne e non esplicitamente menzionate da Burckhadt
Elenco delle illustrazioni
Parte prima. La civiltà del Rinascimento in Italia. Un tentativo
capitolo i. Lo Stato come opera d’arte
capitolo ii. Lo sviluppo dell’individuo
capitolo iii. Il risveglio dell’Antichità
capitolo iv. La scoperta del mondo e dell’uomo
capitolo v. La vita sociale e le feste
capitolo vi. Morale e religione
Parte seconda. Architettura, decorazione, scultura, pittura
ARCHITETTURA
capitolo i. Il senso monumentale dell’architettura italiana
capitolo ii. Committenti, dilettanti e architetti
capitolo iii. Protorinascimento e gotico
capitolo iv. Lo studio dell’architettura antica e di Vitruvio
capitolo v. I teorici
capitolo vi. Il trattamento delle forme nel primo Rinascimento
capitolo vii. Il trattamento delle forme nel XVI secolo
capitolo viii. Il modello architettonico
capitolo ix. Struttura architettonica delle chiese
capitolo x. Monasteri e edifici di confraternite
capitolo xi. Composizione architettonica del palazzo
capitolo xii. Ospedali, fortezze e ponti
capitolo xiii. Migliorie e nuovi piani urbanistici
capitolo xiv. Ville
capitolo xv. Giardini
DECORAZIONE
capitolo i. Carattere della decorazione rinascimentale
capitolo ii. Scultura decorativa in pietra
capitolo iii. Decorazione in bronzo
capitolo iv. Lavori in legno
capitolo v. Pavimenti. Calligrafia
capitolo vi. Pittura delle facciate
capitolo vii. Pittura e stuccatura degli interni
capitolo viii. Lavori di oreficeria e vasi
capitolo ix. Decorazioni temporanee
SCULTURA
capitolo i. Collocazione e materiali
capitolo ii. Prospettiva generale e studi
capitolo iii. La scultura nel primo Rinascimento
capitolo iv. La scultura nel XVI secolo
capitolo v. Collocazione della pittura
capitolo vi. Compendio delle tecniche pittoriche
capitolo vii. Tendenza generale e studi
capitolo viii. La composizione
capitolo ix. Vita e anima trasfuse nella pittura
Jacob Burckhardt: la modernità di un antimoderno
Maurizio Ghelardi
da: M. Ghelardi, Jacob Burckhardt: la modernità di un antimoderno, Torino 2023, XXIX-XXXII, LII-LXI.
Manibus Auctoris
Pubblichiamo qui nella sua interezza, e per la prima volta, il progetto sul Rinascimento italiano che Jacob Burckhardt aveva ideato ed elaborato tra il 1856 e il 1864.
Il volume comprende la cura e le traduzioni della prima edizione di Die Cultur der Renaissance in Italien (1860) e del manoscritto sull’arte del Rinascimento italiano del 1862-64 che avrebbe dovuto costituire la seconda parte della celebre opera. In effetti, nella prima edizione di Die Cultur der Renaissance in Italien si legge: “Pensiamo di colmare la lacuna più grave in un prossimo futuro rimediando con un volume specifico sull’arte del Rinascimento”. Nel 1876, nella premessa alla terza edizione apparsa in italiano, l’autore preciserà: “Alla maggior lacuna del libro avevamo pensato di poter supplire con un’altra opera che avrebbe dovuto avere per titolo L’arte nel secolo del Rinascimento. Questa intenzione si è però realizzata solo in parte” (Cfr. Nota ai testi in Burckhardt [1856-1864] 2023). Il compito che Burckhardt afferma di aver realizzato “solo in parte” corrisponde al manoscritto del 1862-64 che l’autore utilizzerà come fonte per le successive ricerche sulla scultura e i generi (Gattungen) della pittura rinascimentali, nonché come materiale per alcune conferenze. Nelle pagine che seguono non affronteremo la grandissima fortuna che ha avuto e ha tuttora Die Cultur der Renaissance in Italien, un’opera quasi sempre decontestualizzata non solo dalle successive ricerche che l’autore dedicherà a questo tema, ma pure dal suo reiterato tentativo di esporre le principali tappe della civiltà europea: dai Greci fino agli anni immediatamente posteriori alla creazione del Reich. Né ci addentreremo nella selva delle interpretazioni storiografiche che gravano su questa celebre opera. Ripercorreremo invece, dopo una premessa, l’orizzonte della sua riflessione sul Rinascimento italiano, evidenziando le peculiarità di un progetto ove sono presenti in nuce i principali temi che su questo argomento l’autore articolerà fino agli ultimi mesi prima della morte (1897). Infine, nella Nota ai testi ci soffermeremo sui lavori preparatori per la prima edizione di Die Cultur der Renaissance in Italien – segnalando alcune varianti della seconda (1869) e terza edizione (apparsa nel 1876 in italiano) – e sulla genesi del manoscritto sull’arte italiana del Rinascimento del 1862-64.
L’idea da cui nasce questo libro non è solo quella di proporre, a distanza di più di un secolo e mezzo dall’unica traduzione italiana di Die Cultur der Renaissance in Italien, una nuova edizione basata sulla prima stampa (1860); neppure di voler nostalgicamente rinverdire il ramificato albero di una riflessione dolorante per le molte potature del tempo, ma di rendere disponibile il progetto originario sul Rinascimento italiano, così come Burckhardt lo aveva concepito a cavallo degli anni Sessanta del XIX secolo. In effetti, ogni autore e la sua opera vivono anche grazie all’infinita serie di lettori imperfetti che si succedono. Ma è pur vero che nel caso di Burckhardt non si può fare a meno di entrare nelle intercapedini dei suoi testi, nel mormorio indefinito delle sue opere incompiute, nei tanti progetti lasciati allo stato di abbozzo, poiché essi rispecchiano un dialogo critico che l’autore ha sempre intessuto con se stesso.
Pietra angolare della sua riflessione è l’idea di storicità che egli contrappone allo storicismo e alla filosofia della storia: “la nostra contemplazione non è solo un diritto e un dovere, ma è al contempo un bisogno elevato: è la nostra libertà in mezzo alla coscienza dell’enorme e generale dipendenza e al fluire delle necessità” (Burckhardt [1868-1873] 1998, 10). Più volte Burckhardt dichiara di non seguire un metodo ‘scientifico’ nello studio della storia, neppure “di avere un metodo” codificato (“[…] ci definiamo infatti ‘non scientifici’ e non abbiamo alcun metodo”, Burckhardt [1898-1902] 2010, 304; "Ogni metodo è discutibile e nessuno è universalmente valido", Burckhardt [1868-1873] 1998, 5), e persino di distaccarsi da un’impostazione evenemenziale. Di qui la sua polemica verso quei testi che narrano i cosiddetti eventi, perlopiù incerti, contestati, coloriti e fabbricati dalla fantasia o dall’interesse, e al contempo la rivendicazione dell’importanza della trattazione storico-culturale che “trae vita […] da ciò che le fonti e i monumenti palesano senza intenzione […] anzi involontariamente […]” (Burckhardt [1898-1902] 2010, 301). Per Burckhardt le fonti non costituiscono un repertorio, ma sono documenti e immagini che riflettono una determinata epoca, anche se in una storia della civiltà si è costretti a “sezionare un grande continuum culturale in singole categorie, che spesso sembrano arbitrarie, per potergli conferire una forma espositiva purchessia” (Cfr. Burckhardt [1898-1902] 2010, 303. Cfr. a questo proposito anche Thierry 1827, soprattutto la quinta lettera, e Guizot 1830). In quest’ultima frase sembra risuonare l’eco di alcune pagine di Guerra e pace.
La storia della civiltà si propone dunque “di penetrare nell’intimo dell’umanità passata e di rivelare quello che essa era, voleva, pensava, intuiva e poteva” (Burckhardt [1898-1902] 2010, 301). Essa si inscrive in quelli che, nelle lezioni Sullo studio della storia, l’autore definisce i condizionamenti tra le ‘potenze’ della vita: Stato, Religione e Cultura (Burckhardt [1868-1873] 1998, 45 sgg.). Queste convinzioni ci fanno comprendere sotto una nuova luce i testi qui pubblicati e ci permettono di interrogare meglio il suo lascito manoscritto: una sorta di macrotesto che collega, attraverso le sue carsiche correnti, le idee che di volta in volta Burckhardt decide di riattivare e articolare, soprattutto in relazione alla situa- zione del tempo: “il nostro interesse si volge a quel passato che è chiaramente connesso con il presente e con il futuro” (Burckhardt [1868-1873] 1998, 35). Ciò che l’autore sottende è “una forma delicata di empirismo” che presuppone un’“intuizione sensibile”: "ove non posso procedere dall’intuizione sensibile (Anschauung) non combino nulla […] con questa intendo […] quella storica che risulta dall’impressione suscitata dalle fonti. Ciò che ricostruisco storicamente non è il risultato di una pura e semplice critica delle fonti […] ma un tentativo che mira a confermare l’intuizione sensibile”, senza la quale “i fatti restano segni privi di significato, impedendoci di percepire l’immagine unitaria di un’epoca” (Burckhardt 1949, 204). Allo stesso tempo Burckhardt relativizza anche la centralità dell’intuizione sensibile giacché la storia della civiltà consiste in un lavoro ‘artigianale’ che, sullo stesso tema, conduce gli autori a conclusioni diverse:
I contorni spirituali di un’epoca della storia della civiltà presentano […] agli occhi di ciascuno un’immagine diversa. Se poi si tratta di una civiltà che ancor oggi continua a influire come diretta progenitrice della nostra, giudizio e sensibilità soggettivi si insinuano inevitabilmente a ogni passo nell’espositore come nel lettore [e] gli stessi studi […] potrebbero, in mano ad altri, non solo avere un ben diverso impiego e trattamento, ma anche dare occasione a conclusioni essenzialmente diverse (Premessa (1860) a La civiltà del Rinascimento in Italia).
La trattazione della storia della civiltà rimanda a un presupposto antropologico, a una pulsione (Trieb) umana intesa come dynamis, vis activa, sicché l’agire risulta sempre inscritto in un diagramma pulsionale, e perfino una certa pittura, in quanto “insondabile espressione” di un radicato bisogno esistenziale, è interpretabile come Existenzmalerei: “il nostro punto di partenza: l’unico centro permanente e almeno per noi possibile: l’uomo che soffre, che anela e che agisce, l’uomo qual è, qual è sempre stato e sempre sarà. Perciò la nostra considerazione della storia sarà in certa misura patologica ” (Burckhardt [1868-1873] 1998, 5).
[…]
Non è certo questa la sede per ripercorrere tutte le questioni affrontate da Burckhardt nel suo progetto sul Rinascimento italiano. Tuttavia, è opportuno soffermarsi brevemente almeno su alcuni temi di fondo. Anzitutto, Burckhardt scorge i prodromi del Rinascimento non nella tradizione artistica, bensì in quella letteraria che, a partire da Dante, è sviluppata dai cosiddetti “poeti-filologi”: “la nuova specie dei poeti-filologi che segue Dante non tarda a impadronirsi del concetto di fama in una duplice accezione: loro stessi diventano i personaggi piú celebri d’Italia e allo stesso tempo come poeti e storiografi si fanno consapevoli dispensatori della fama altrui. Simbolo esteriore di questo tipo di fama è in particolare l’incoronazione poetica […]” (Burckhardt [1856-1864] 2023, 98). E ancora: “[…] se si considera il contenuto [della Divina Commedia] non c’è fenomeno naturale o problema culturale di una qualche importanza che Dante non abbia investigato, e su cui il suo giudizio – spesso solo poche parole – non sia la voce più autorevole del tempo. Per l’arte figurativa egli rappresenta una fonte – e proprio per le cose piú importanti anche rispetto alle sue due righe sugli artisti del tempo. Così ben presto egli diventa anche una fonte di ispirazione” (Burckhardt [1856-1864] 2023, 94). Dietro l’apprezzamento per l’opera di Dante, frutto dell’insegnamento di Picchioni, Burckhardt nasconde forse la figura di Goethe. Si pensi, ad esempio, a un’opera come il Torquato Tasso.
Per Burckhardt il Sacco di Roma (1527) segna il crepuscolo della civiltà rinascimentale. Esemplari in tal senso sono i suoi reiterati rimandi al testo di Pierio Valeriano De infelicitate litteratorum, registro puntiglioso della sfioritura di una civiltà ormai avviata verso un destino oscuro e gramo (Burckhardt [1856-1864] 2023, 330). Anche l’ultimo capitolo della Cultur der Renaissance in Italien è una severa diagnosi della senescenza italiana, ormai incanalata verso la cosiddetta “ispanizzazione”, mentre in ambito artistico si fa strada la precettistica e la cosiddetta "pittura frettolosa". Come in tutti i periodi di decadenza prevalgono adesso una religiosità magica, una retorica meramente celebrativa e una eclettica passione per il collezionismo che finisce per imbalsamare il passato (Burckhardt [1856-1864] 2023, 663 sgg.). Si tratta di idee che richiamano per taluni aspetti il suo libro su L’epoca di Costantino il Grande, ove centrale è l’idea della “senescenza” culturale di una società.
Nella Civiltà del Rinascimento in Italia, la drammatizzazione tra le aspettative degli uomini e la descrizione storico-culturale non scaturisce da una rinascita dell’Antichità: “Dobbiamo […] tenere per ferma una delle tesi principali di questo libro: non l’Antichità soltanto”, ma il connubio che si è creato tra questa e “lo spirito nazionale italiano” ha permesso il sorgere del Rinascimento in Italia (Burckhardt [1856-1864] 2023, 114; cfr. 409, 662 sgg.). Di qui la parafrasi, più volte utilizzata, di un detto di Alfieri: “l’Italia è il paese dove la pianta uomo riesce meglio che altrove”.
Nell’idea che la cultura consista in idee, credenze, valori, forme artistiche, ognuna delle quali è condivisa da un determinato popolo in una certa epoca, si riaffaccia oltre a Herder anche l’ombra di Leopold von Ranke e la sua convinzione dell’assolutezza delle epoche storiche: “da dove era scaturito lo stimolo vivente a tutta la bellezza grazie alla quale questo popolo [italiano], in questa epoca, è diventato il modello e l’impulso per tutto quello che accadrà in seguito? Da dove è scaturita la luce, anzi l’effetto della libertà? Anzitutto, dagli sforzi in conflitto dei partiti esistenti […] dal risveglio di tutte le forze umane in lotta, dall’invidia universale che si è gettata sull’arte, sulla vita attiva, sulla scienza e sull’antichità” [1].
Non a caso il ritmo, il tono descrittivo della Storia dei Papi (Geschichte der Päpste) e dei primi due volumi della Storia tedesca nell’epoca della Riforma (Deutsche Geschichte im Zeitalter der Reformation) di Ranke sembrano rispecchiarsi, ad esempio, nelle pagine in cui Burckhardt si sofferma sul piacere di Pio II per il paesaggio, sull’Itinerarium Syriacum di Petrarca, sulla sua ascesa al Monte Ventoso e su quelle epistole ove il poeta descrive città e paesaggi. Burckhardt ritiene, al pari di Ranke, che la storia della civiltà sia “un’arte” che deve realizzare le esigenze della critica e dell’erudizione, ma “al contempo debba offrire allo spirito colto lo stesso godimento che scaturisce dall’opera letteraria piú riuscita” [2]. Allo stesso tempo lo storico della civiltà deve però anche “riconoscere le forze vitali, la loro successione e la loro reciproca influenza, nonché i loro mutamenti”, raggruppando “i fenomeni in base alla loro intima affinità”, analizzando “le situazioni consolidate, seguendo un suo principio interno”, sicché ogni epoca possa essere giudicata in sé: “[…] l’essenza dell’imparzialità consiste semplicemente nel riconoscere le posizioni occupate dalle forze attive […] nella loro distintiva identità, nel confronto e nella lotta dell’una con l’altra […]” (von Ranke 1875, VII-VIII; cfr. Burckhardt [1898-1902] 2010, 298). Si tratta di un’affermazione di Ranke a cui Burckhardt si richiama quando recepisce la lezione di Machiavelli e di Guicciardini e in cui conferma la sua presa di distanza dalla retorica umanistica (Burckhardt [1856-1864] 2023, 69, 154, 171). Per Burckhardt la storia della civiltà non consiste dunque in un feticismo dei fatti, bensì nella forza figurativa delle immagini grazie alle quali si declina drammaticamente la narrazione:
Arte e letteratura, che raccolgono dal mondo, dal tempo e dalla natura immagini di validità e intelligibilità universali, sono l’unica cosa durevole, e costituiscono una seconda creazione ideale sottratta alla temporalità […] le opere poetiche e artistiche sono esteriormente soggette alle vicissitudini […] anche di esse sopravvive abbastanza per liberare, entusiasmare e unificare spiritualmente i millenni a venire […] l’arte opera anche nel frammento, nell’abbozzo, nel semplice accenno, anzi ancor più energicamente nel frammento (Burckhardt [1868-1873] 1998, 76-77).
Le immagini, con la loro forza evocativa, costituiscono le più antiche testimonianze della storia umana, permettono di stabilire un dialogo con il tempo e il passato. A questo proposito si pensi a come Burckhardt concepisce l’allegoria: sorta per ragioni artistiche e letterarie, come fuga dall’elemento brutalmente fattuale, essa cerca di rendere sensibile allo spettatore e al lettore un determinato episodio o momento storico (Die Malerei nach Inhalt und Aufgaben, in JBW XI, 262 sgg.). Il mondo storico si presenta come un cosmo che racchiude in sé molteplici polarità: ogni epoca è individuale, poiché manifesta una forza spirituale che racchiude la “molteplicità delle altre epoche storiche”.
Diversa è la struttura del manoscritto sull’arte del Rinascimento italiano, composto da 692 fogli suddivisi in 296 paragrafi, nella cui premessa si legge “[…] cercando per una volta di trattarla [l’arte] in base agli oggetti e ai generi, vorrei inserire, in quella che fino a oggi è stata la storia dell’arte narrata, solo una seconda parte sistematica, piú o meno in base al modello che Karl Ottfried Müller ha seguito per il suo manuale di archeologia […] Forse sembra che in questo modo dissacri la storia dell’arte, privandola dei suoi dèi”. Si tratta di un’impostazione in cui, pur rappresentando “un primo tentativo […] grazie alla mia compilazione, credo di aver trovato qui e là punti di vista essenzialmente nuovi” (Burckhardt [1856-1864] 2023, 367-68). Anche l’origine storica e terminologica di Rinascimento trova in questo testo una formulazione precisa:
La parola rinascita compare forse per la prima volta in Vasari (III, 10) nel proemio alle Vite in un’accezione cronologica difficile da definire e, casualmente, solo in relazione alla scultura. Eppure, con questo termine viene inteso in generale il grande movimento artistico che inizia nel XII secolo. A partire da questo momento l’espressione viene estesa a tutti gli aspetti della vita, anche se essa resta di per sé unilaterale, dato che evidenzia soltanto una parte della realtà. Effettivamente il termine non rende pienamente conto né della libera originalità con cui l’Antichità riconquistata viene assorbita e rielaborata, né della ricchezza di quella specifica mentalità moderna che si manifesta parallelamente a questo grande movimento (Burckhardt [1856-1864] 2023, 392)
Il superamento del concetto di imitazione e lo sviluppo di un atteggiamento critico che implica una distanza nei confronti del passato sono i due fenomeni che, a partire dal XV secolo, gli artisti italiani cercano di rappresentare. Così, a proposito di Francesco di Giorgio Martini si legge che egli: “[…] mise a confronto le rovine e l’opera di Vitruvio […] di cui seguì la trattazione degli ordini, aggiungendo nel suo trattato un commento che fu valido per tutto il Rinascimento. Difatti, scrive di aver dedotto faticosamente le regole dall’Antichità, mentre le composizioni che rappresenta sono opera sua. Il Rinascimento usò l’Antichità solo come mezzo espressivo per le proprie idee” (Burckhardt [1856-1864] 2023, 409). La questione decisiva per l’arte “non è mai un sempre nuovo che cosa”, bensì “il come”, cioè il modo in cui si giunge alla nuova formulazione di un dato problema artistico. Il Rinascimento utilizzò l’Antichità “solo nella piú libera combinazione […] le proporzioni furono scelte senza eccezione nel modo piú autonomo e l’influenza degli ordini antichi su di esse fu apparente. In realtà l’uso degli ordini dipese piuttosto dalle proporzioni” (Burckhardt [1856-1864] 2023, 417). Il testo del 1862-64, articolato in base ai generi (Gattungen) artistici, si intreccia con Die Cultur der Renaissance in Italien nel “[…] grande compito della scoperta e riproduzione del mondo in parole e immagini” (Burckhardt [1856-1864] 2023, 358), poiché ciò che è visivo vive nelle creazioni artistiche ove la mente (Geist) non parla, ma costruisce, forma e dipinge, mentre la parola si prefigge di vivificare caratteri ed eventi.
Burckhardt ritiene che il compito di uno storico dell’arte non consista “nell’enumerare le condizioni esterne, le esigenze e persino nel descrivere le singole scuole e artisti” (Burckhardt [1844-1846] 2006, 21), bensì nel mostrare, attraverso un’impostazione per generi, la complementarità tra forma e funzione, immagine e parola. E questo è il caso, ad esempio, del busto ritratto: “Il ritratto scolpito cinquecentesco rende l’elemento individuale non in maniera idealizzata, anzi talvolta in modo molto grande e libero. Adesso […] il busto […] diventa un genere duraturo” (Burckhardt [1856-1864] 2023, 757). Al contempo i “generi” permettono di spiegare l’insorgenza di nuovi compiti artistici, di raggruppare sincronicamente le opere in base alle loro funzioni. Significativo è anche il modo in cui l’autore introduce il tema della bellezza come Existenzmalerei o Existenzbild [3]. Qui la pittura “idealizzante”, ma non “ideale”, prescinde dai fattori accidentali per dar vita a una forma artistica che non ha corrispettivi nella natura; si presenta come un “visibile parlare” (Burckhardt [1856-1864] 2023, 660). L’Existenzmalerei non esiste come realtà, ma può essere creata come se esistesse. Questo genere traduce in immagini una condizione umana che vive in un’armonica esistenza:
Le arti non hanno a che fare con qualcosa che esiste anche senza di esse, né devono svelare leggi – poiché non sono scienza – ma hanno il compito di rappresentare una vita piú elevata che senza di loro non esisterebbe. Le arti poggiano su misteriose vibrazioni che si impadroniscono dell’animo. Quello che si sprigiona da tali vibrazioni non è piú individuale, e sottoposto al tempo, ma denso di significato simbolico e imperituro (Burckhardt [1868-1873] 1998, 76).
Ma non tutta la tradizione pittorica è Existenzmalerei. Così, ad esempio, Carpaccio crea “figure che sembrano graziose bambole distribuite nel quadro senza criterio alcuno” (Burckhardt [1855] [1952] 2001, 87), mentre Tiziano, Veronese e Palma il Vecchio non si prefiggono di realizzare gli ideali astratti della condizione umana “poiché tendono a un’attività più elevata” che sollecita l’educazione dell’occhio: “senza l’arte del vedere […] ci si smarrisce nella massa delle diverse impressioni che si succedono molto velocemente l’una dopo l’altra” [4]. Le opere dall’effetto più puro e completo sono “le quiete immagini dell’esistenza […] ove un solo suono, un unico sentimento (Stimmung) saturano l’intero quadro nel momento in cui l’intenzione storica si ritrae” e l’ambito poetico si estende anche a ciò che il profano è solito attribuire alla tecnica e all’esecuzione (Burckhardt [1855] [1952] 2001, 200).
Nell’Existenzmalerei risiede il rapporto tra immagine e parola che incarna una possibilità di conoscenza aperta a un mondo ideale e allo stesso tempo storico. Diversamente dalla “violenza psichica” di Michelangelo che propugna un’arte come calco del proprio concetto (Seidel 2002, nonché l’importante frammento di Burckhardt Michelangelo furioso, in Ghelardi 1991), ove “grandi figure estranee provengono da un possente mondo primitivo che si impongono per la loro interiore necessità” (Burckhardt [1856-1864] 2023, 751), nell’Existenzmalerei “udiamo passo dopo passo il messaggio: avvicinatevi dal vostro al nostro mondo! Noi vi indichiamo una seconda esistenza purché abbiate la volontà di raggiungerla […] grazie a noi vi potete liberare di ciò che grazioso, dolce e raffinato, poiché noi fummo per secoli più vicini alla natura e più forti dell’ideale del vostro tempo” (JBW XIII, 391). Di ciò, eccellente esempio la pittura di Tiziano che “percepisce nelle cose e nelle persone quell’armonia dell’esistere che dovrebbe essere propria del loro essere, o che vive in esse ancora offuscata e ignota. Quello ciò che nella realtà si mostra come decaduto, disperso, contingente, egli lo rappresenta nella sua interezza, felice e libero” (Cfr. JBW XVIII, 155 sgg.). Altri artisti non sono da meno di lui: Paolo Veronese “ha innalzato la pittura dell’esistenza ad un ultimo, insuperabile livello, potenziando anche il colore in modo adeguato a questo possente problema”. La Cena a casa Levi e la Cena a casa di Simone sono “il frutto sommo e necessario dell’Existenzmalerei che si è scrollata di dosso gli ultimi vincoli storici, e che utilizza un minimo pretesto per festeggiare, con un’esultanza libera, la magnificenza e lo splendore del mondo, soprattutto una generazione umana bella e non costretta, nel momento in cui è nel pieno godimento della vita”. Qui:
I vincoli storici, dai quali il pittore ha preso spunto ma da cui si è liberato, corrispondono allo zelo della pittura religiosa, all’ammaestramento che pretende di fornire la pittura storica, al fondamento narrativo della pittura di genere. Veronese ha sì tratto spunto dalla tradizione iconografica, secondo cui ogni convito o cena deve essere raffigurato come un tema storico-religioso, ma allo stesso tempo non è rimasto vincolato a un genere artistico specifico poiché i caratteri individuali si rispecchiano nei singoli ritratti. Dopo essersi affrancato dalla pretesa costrittiva alla quale lo avrebbe limitato un determinato genere (Gattung), Veronese può esprimere così nei ritratti e nelle mezze figure un valore eterno, ove prevale talvolta l’attività libera, talaltra l’esistenza pura più bella.
L’artista non pretende di rappresentare la vita quotidiana, di dar vita a una pittura di genere (Genremalerei), neppure ha l’intenzione di raffigurare un milieu. Per lui, come per Tiziano, la questione fondamentale concerne i caratteri umani, rappresentati come “toni di un solo accordo”, non animati attraverso una visione ultraterrena o un dolore rassegnato, ma raffigurati “come espressione di una felicità quieta”, con figure energiche e ben formate che suscitano nello spettatore “un interiore godimento” (Burckhardt [1855] [1952] 2001, 213 sgg.; cfr. JBW XVIII, 155-156). Per Burckhardt l’Existenzmalerei ha a che fare dunque sia con la consonanza simpatetica del sentimento, sia con la peculiarità del mondo che viene raffigurato. L’autore non identifica il “godimento” con un piacere puramente estetico, giacché il godimento costituisce già di per sé una possibilità di conoscenza che si apre a un mondo ideale e allo stesso tempo storico. Esso è infatti il risultato di una formazione, è il riflesso dei principî intellettuali tipici della pittura italiana del Rinascimento, ma anche una necessità per sfuggire dal rumore del tempo. Molti altri sarebbero i temi presenti in questo progetto sul Rinascimento italiano su cui varrebbe la pena soffermarci. Ma spetterà al lettore analizzarli; poiché, come scrive Burckhardt, “una volta inebriato da quegli studi sul gran secolo, ognuno crederà di vedere l’insieme là dove non vede che una parte, ognuno farà le sue categorie, che poi si troveranno povere e difettose, e l’opera [da me] concepita ognuno vorrebbe non ritoccarla solamente, bensì rifarla; ma nel frattempo corre la vita e ogni anno adduce nuovi obblighi”(Burckhardt 1949, 187).
Sebbene sia vissuto in un’epoca di incipiente esaltazione dell’identità nazionale, e abbia assistito a una radicale trasformazione della società europea, Burckhardt ha sempre tenuta ferma l’idea che il progresso morale dell’individuo non sia il destino annunciato dalla civiltà moderna. Né si è mai illuso di potersi scaldare a un sol dell’avvenire, o ha mai confidato nelle illusioni illuministe di scacciare i demoni della notte: “a proposito di tutte le distruzioni si può sempre affermare che l’economia della storia universale ci resta oscura nelle sue grandi linee e non sapremo mai che cosa sarebbe accaduto se qualcosa, perfino la cosa più atroce, non fosse mai avvenuta” (Burckhardt [1868-1873] 1998, 26). Nella sua riflessione sembra scorrere una sorta di stoicismo che, criticando l’illusione del progresso, non rinuncia tuttavia a intravedere nella società umana uno sviluppo, almeno relativamente alla conoscenza.
Il compito di Burckhardt non è mai stato accademico, ma intellettuale e civile, volto a formare e a educare gli uomini alla cittadinanza. Alla sua vocazione di insegnante, più che alla pubblicazione delle sue ricerche, Burckhardt ha sempre affidato il compito di raddrizzare l’obliquo discorso sul destino della cultura e dell’uomo moderni. Di qui il significato che egli ha da sempre attribuito alle sue numerosissime conferenze pubbliche, una sorta di skyline della storia della civiltà europea (JBW XIII; il secondo volume delle conferenze è in corso di pubblicazione). Ed è proprio questa passione civile a spiegare anche la sua polemica verso la frammentazione del sapere, il cieco dominio della spontaneità, la presunta bontà dei cosiddetti impulsi naturali e il consumo strumentale della conoscenza.
Il suo “aristocratico liberalismo” riflette questo insieme di valori, mentre l’eco pressante degli eventi a lui contemporanei nutre la sua rivisitazione del passato e al tempo stesso l’analisi della società a lui contemporanea, le cui radici culturali individua nelle crescenti aspirazioni nazionali e nazionaliste, nel ruolo sempre più preponderante dello Stato e del militarismo: “Ciò che si è soliti ritenere progresso della moralità consiste […] nell’asservimento dell’individuo avvenuto grazie all’enorme potere dello Stato, un asservimento che può crescere fino alla formale abdicazione dell’individuo stesso” (Burckhardt [1868-1873] 1998, 81).
Burckhardt è stato un punto di riferimento per studiosi d’arte europei della seconda metà del XIX secolo. A lui si sono rivolti Waagen, Bode, Strzygowski, Geymüller, Wölfflin, Warburg e così via. Ma è stato anche colui che ha intravisto l’incipiente decadenza della scienza positivista, il rischio per la cultura del cesarismo e del crescente ruolo di masse dal futuro incerto, calcando un terreno che già Renan e Taine avevano dissodato, e che in un certo qual modo anche Nietzsche solcherà.
Tutto ciò doveva ineluttabilmente recare nella sua immagine del Rinascimento italiano i contorni di un persistente ideale, talvolta la cristallizzazione di un modello. Certo è che non vi è forse testimonianza pari in tutto il secolo XIX di un disegno sull’arte e la civiltà europee coerentemente condotto giorno dopo giorno, anno dopo anno, benché il suo progetto sul Rinascimento italiano fosse destinato negli anni a mutarsi e a essere declinato, soprattutto attraverso il suo crescente interesse per i problemi artistici, mentre la sua passione per la conoscenza sembrava sempre più costituire un rifugio da quelle che definiva “le stanchezze per la modernità”. Da questa radice sgorgava il suo radicato pessimismo e scetticismo, solo in parte mitigato da una forma di conoscenza che restava l’unico e disarmato baluardo di fronte al frastuono del presente.
Grazie all’opera sul Rinascimento italiano, Burckhardt ci trasmette, attraverso una sorta di caleidoscopio, non solo l’immagine di un’epoca porpora e oro, ma anche quella di una età pervasa da crisi e incertezze, che l’autore fa proprie persino rispetto al suo presente. L’immagine di un Rinascimento segnato da una perenne e distruttiva conflittualità, da un disordine morale, da cui solo l’arte si emancipa, il destino annunciato di una decadenza vista la crescente ispanizzazione dell’Italia, riflettono, come nel caso della malvagità del potere, una sorta di condizione ontologica, che però l’autore si propone di declinare storicamente. Benché l’intera vicenda umana sia segnata da nascita, crescita e decadenza, da una concezione ciclica, essa non implica una rinuncia alla conoscenza, alla guicciardiniana intelligenza delle cose ove si coniugano mente ed esperienza della vita. O meglio quell’esperienza che ci tramandano le fonti. Forse proprio in questi aspetti risiede il valore e l’insegnamento imperituro di quest’opera.
Infine non bisogna dimenticare che nella sua riflessione si rispecchiano anche i tratti tipici della tradizione basileese, di questa Augusta Rauricorum dei Cesari cresciuta ai piedi dei primi contrafforti della Foresta Nera. Da questa Basilea scabra, diffidente, pietista, piena talvolta di asprezza scolastica e al contempo impregnata di memoria umanistica, Burckhardt aveva appreso che l’Italia da lui prediletta si era spinta fin qui alle porte della “barbara” Germania. Burckhardt appare come uno di quegli autori dallo ‘stile tardo’ che operano dentro il loro presente, ma che sono da esso interiormente ed esteriormente separati. Una figura che, proprio per la sua lucida antimodernità, per la sua aristocratica contrapposizione intellettuale, ci appare ancora oggi portatrice di una modernità.
Note
1. von Ranke 1885, 19. Significativo è il giudizio di Franz Kugler in una recensione apparsa nel “Beiblatt zum Deutschen Kunstblatt” del 16 marzo 1854, 97: “quello che la storiografia è capace di fare, anche con un patrimonio modesto di considerazioni artistiche e storico-artistiche acquisite autonomamente, è stato dimostrato in particolare dai capolavori di Leopold Ranke”.
2. Cfr. ad esempio von Ranke 1870, 5. "È un falso metodo quello che tende a isolare i fatti da ciò che costituisce il loro colore e la loro fisionomia individuale, ed è impossibile che uno storico possa raccontare senza dipingere, e poi ben dipingere senza raccontare", così Thierry 1827, cinquième lettre.
3. Un primo cenno a questo tema si trova in uno dei taccuini fiorentini utilizzati per Il Cicerone (cfr. JBA, PA 207, 36, f. XXXV). Existenzmalerei ed Existenzbild sono termini creati da Burckhardt, anche se forse traggono ispirazione dalle pagine che F. Kugler aveva dedicato a Tiziano nel suo Handbuch der Geschichte der Malere, Kugler 1847, 37, seconda ed. ix-x (si tratta di un’aggiunta di Burckhardt).
4. Burckhardt [1855] [1952] 2001, 87-93. A proposito di Tiziano si legge in un appunto dei taccuini fiorentini utilizzati per Il Cicerone (cfr. JBA, PA 207, 36, f. XXXV): “La Venere di Tiziano. Puro colore e immagine dell’esistenza (Existenzbild). La testa somiglia alla Bella di Pitti, ma non è certo un quadro dipinto alla Hayez! Nella concezione di Tiziano si scorgono forme eterne. La posizione voluttuosamente leggera. Hayez il personaggio in forma di divinità associato a una ballerina dalla condotta non irreprensibile implica una voluta dissacrazione di un ideale classico di bellezza in nome della verità e dell’attualizzazione di situazioni e di personaggi al costume contemporaneo”.
Riferimenti bibliografici
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A. Thierry, Lettres sur l’histoire de France, Paris 1827.
English abstract
We present here Jacob Burckhardt’s Il Rinascimento italiano. Civiltà e arte. This important volume, edited by Maurizio Ghelardi and published by Einaudi in its i Millenni series, is the project on the Italian Renaissance that Jacob Burckhardt conceived between 1856-1864. The volume includes the editing and translations of the first edition of Die Cultur der Renaissance in Italien (1860) and the manuscript on the Art of the Italian Renaissance from 1862-64 that was to form the second part of the famous work.
keywords | Jacob Burckhardt; Maurizio Ghelardi; Einaudi; Rinascimento.
Per citare questo articolo / To cite this article: M. Ghelardi, presentazione di F. Perfetti, La modernità di un antimoderno. Presentazione di Jacob Burckhardt, Il Rinascimento italiano. Civiltà e arte, Torino 2023, “La Rivista di Engramma” n. 206, ottobre/novembre 2023, pp. 275-288 | PDF of the article