"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

215 | agosto 2024

97888948401

Testi dal Prometeo incatenato INDA 1954

Brani dalla traduzione di Gennaro Perrotta, collegabili a video o a foto della scheda integrata

Prometeo incatenato, vv. 12-126, traduzione Gennaro Perrotta

EFESTO
Cratos e Bia, l’ordine di Zeus ora voi l’avete eseguito, e nulla più vi trattiene. Ma io non ho cuore di legare a forza un dio del mio sangue a questa rupe battuta dalle tempeste. Eppure, bisogna che io abbia questo coraggio: trascurare gli ordini del padre è grave. O figlio audace della saggia Temi, mio malgrado, tuo malgrado, t’inchioderò con catene indissolubili a questa rupe deserta, ma, bruciato dalla fiamma ardente del sole, perderai il fiore della pelle. Con tua gioia la notte dalla veste stellata nasconderà la luce del giorno, e poi di nuovo il sole dissiperà le brine dell’aurora. E il peso di questo male sempre presente di consumerà senza posa: non è nato ancora il tuo liberatore. Ecco quello che hai guadagnato col tuo amore per gli uomini. Tu, dio, che non temi l’ira degli dèi, hai concessi ai mortali doni più grandi del giusto.
Per ammenda, tu farai la guardia a questa triste rupe, in piedi, insonne, senza mai piegare il ginocchio. Molti lamenti, molti pianti leverai invano. È inesorabile l’animo di Zeus: duro è ogni nuovo padrone.

CRATOS
Ebbene, a che indugi e ti lamenti invano? Non odii il dio odioso agli dèi, che ai mortali ha ceduto il tuo privilegio?

EFESTO
Legami di sangue e amicizia hanno una gran forza!

CRATOS
Lo dico anch’io. MA disobbedire agli ordini del padre, com’è possibile? Non temi ancor di più questo?

EFESTO
Sempre spietato, tu, e tracotante!

CRATOS
Compiangerlo non è un rimedio. Non t’affannare invano in cose non giovano a nulla.

EFESTO
Arte mia, quanto ti odio!

CRATOS
Perchè l’odii? Di questi mali di ora, a dire il vero, essa non ha nessuna colpa.

EFESTO
Questa arte, tuttavia, oh, l’avesse avuta in sorte qualche altro!

CRATOS
Tutto è odioso, fuorchè essere re degli dèi. Libero non è nessuno, tranne Zeus.

EFESTO
Lo so; a questo non ho nulla da ribattere.

CRATOS
non t’affretti, dunque, a cingere di catene costui, perchè non ti veda indugiare il padre?

EFESTO
Ecco, puoi vedere già pronti gli anelli.

CRATOS
Avvolgili, dunque, intorno ale sue braccia, e con gran forza batti col martello, inchiodalo alla rupe.

EFESTO
Ecco fatto; e non è opera vana.

CRATOS
Batti più forte, stringi, non allentare. Egli è capace di trovare una via di scampo anche dove non c’è scampo.

EFESTO
Questo braccio, intanto, è legato indissolubilmente.

CRATOS
Incatenagli ora anche quest’altro saldamente: impari che egli è molto abile, ma è meno abile di Zeus.

EFESTO
Tranne costui, nessuno potrebbe rimproverarmi giustamente.

CRATOS
Ora inchiodagli forte nel petto, da parte a parte, il superbo morso del cuneo d’acciaio.

EFESTO
Ahimè, Prometeo, io piango per le tue sofferenze.

CRATOS
E tu ancora indugi e piangi per i nemici di Zeus? Guarda di non dover piangere te stesso un giorno!

EFESTO
Tu vedi uno spettacolo orrendo.

CRATOS
Io vedo costui che ha quello che si merita. Su, gettagli le catene intorno ai fianchi.

EFESTO
Necessità vuole ch’io faccia questo. Non insistere troppo con i tuoi comandi.

CRATOS
Certo che ti comanderò, e griderò, anzi. Scendi giù, incatenagli forte le gambe.

EFESTO
Ecco, anche questo è fatto senza lunga fatica.

CRATOS
Batti ora forte le catene, che penetrino nella carne: è severo il giudice dell’opera.

EFESTO
Come risponde al tuo aspetto il tuo linguaggio!

CRATOS
Intenerisciti pure, tu: ma a me non rimproverare l’arroganza e la durezza della mia indole.

EFESTO
Andiamo: intorno alle sue membra egli ha una rete.

CRATOS
Fa il superbo qui ora, ruba agli dèi i loro privilegi, donali agli uomini effimeri. In che cosa possono i mortali alleviare le tue sofferenze? A torto gli dèi ti chiamano Prometeo. Hai bisogno tu stesso d’un Prometeo, d’un preveggente, per districarti da questa rete.
(Escono Cratos, Bia ed Efesto)

PROMETEO (solo)
Etere divino,
venti dalle ali veloci,
sorgenti dei fiumi,
innumerevole sorriso
delle onde del mare,
Terra, che a tutti sei madre,
e tu, onniveggente occhio del Sole,
guardate quello che soffro
io, dio, dagli dèi.
Guardate da quali tormenti indegni straziato, per infiniti anni
io soffrirò:
tali infami legami ha per me immaginato il nuovo signor dei beati.
Ahimè! Ahimè!
il mio presente affanno
e quello che seguirà
io piango. Ma quando è destino
che spunti la fine
di queste mie pene?
Che dico? Tutto innanzi tempo io vedo
con certezza il futuro; inaspettato
nessun dolore a me verrà; ma deve
pur sopportare ognuno la sua sorte
immutabile, come può, sapendo
del destino invincibile il potere.
Ma non posso parlare nè tacere
Della sorte mia triste. Per il dono
che ho concesso ai mortali, sono avvinto
in queste pene, o me infelice!
Cercai, rubai, nascosta in una canna,
la sentenza del fuoco, che ai mortali
è la maestra d’ogni arte e gran tesoro.
Di questa colpa io pago
il castigo, inchiodato, incatenato
sotto l’aperto cielo.
Ahimè! Ahimè!
Qual rumore, quale odore
invisibile a me vola?
divino? umano? o d’un semidio?
È giunto a questa rupe estrema
qualcuno a guardar le mie pene?
O che vuole mai?
Guardate me incatenato,
dio sventurato,
di Zeus il nemico,
da tutti gli dèi odiato
che la reggia frequentato di Zeus,
per troppo amore ai mortali.
Ahimè! Ahimè!
Quale sussurro d’uccelli
odo a me vicino?
L’etere freme d’un lieve
battito d’ali.
Ogni cosa che s’avvicina
mi fa paura. 

→torna alla Scheda integrata del Prometeo incatenato, INDA 1954

Prometeo incatenato, vv. 128-192, traduzione Gennaro Perrotta

CORO
Non avere paura. Una schiera
è giunta di fanciulle amiche,
a questa rupe, volando
a gara sulle ali veloci
del carro, l’animo del padre
avendo persuaso a fatica.
m’han portata rapidi i venti.
L’eco dei colpi del maglio
giunse ai recessi degli antri,
scosse da me il verecondo
pudore. E mi sono slanciata,
scalza, sul carro alato. 

PROMETEO
Ahimè! Ahimè! 
Progenie di Teti feconda,
figlie del padre Oceano
che s’avvolge a tutta la terra
col suo scorrere insonne,
guardate, vedete
a quali catene inchiodato,
sulla vetta di questo dirupo
una veglia non invidiata
dovrò vegliare.

CORO
IO vedo, Prometeo. Paurosa
una nebbia piena di lagrime
m’avvolge gli occhi, vedendo
il tuo corpo che si consuma
sulla roccia, nell’ignominia
di queste catene d’acciaio.
Regnano nuovi timonieri
sull’Olimpo; con le sue nuove
leggi, Zeus contro ogni legge
tutte le cose governa,
e tutto distrugge che un tempo
era grande e potente.

PROMETEO
Oh, sotto la terra
giù, sotto l’Ade
accoglitore dei morti,
laggiù, nel Tartaro infinito
mi avesse gettato,
selvaggiamente avvinto
in infrangibili catene,
sì che mai nessun dio,
nessun essere mai
gioisse del mio soffrire!
Ludibrio dell’etere, io soffro
per la gioia dei miei nemici.

CORO
Chi è così duro di cuore
tra gl’immortali, che gioisca
di questo? Chi non s’addolora,
tranne Zeus,
Con te dei tuoi dolori?
Nel perpetuo corruccio
dell’inesorabile suo cuore
di Urano egli doma la stirpe,
né avrà pace finché non sazi
il cuore, o con la violenza
conquisti un altro il suo trono
arduo a conquistare.

PROMETEO
Avrà certo bisogno ancora
di me, straziato da forti catene,
il signore dei beati:
ch’io gli riveli l’audace trama
che vuole spogliarlo di onori e di regno.
E non mi ammalierà con i dolci
incanti della persuasione,
né per timore di dure minacce
io svelerò questo mio segreto,
se prima egli sciolto non m’abbia da queste
selvagge catene
e sconti di questa ignominia la pena.

CORO
Ardito tu sei: alle amare
sventure tu non cedi mai;
troppo liberamente parli.
La paura
scuote l’anima mia.
Io temo per la tua sorte:
tu come approderai al porto,
dove mai potrai tu la fine
 delle tue sofferenze?
Impenetrabile ha l’anima,
inesorabile il cuore
il figlio di Crono.

PROMETEO
Io so che egli è duro di cuore
ed ha in sua balìa la giustizia;
ma sarà mite quel giorno
quando egli, così fiaccato,
acquieterà l’animo suo crudele:
farà ansioso con me ansioso
alleanza ed amicizia.

→torna alla Scheda integrata del Prometeo incatenato, INDA 1954

Prometeo incatenato, vv. 561-886, traduzione Gennaro Perrotta

IO
Qual terra è questa? qual gente? chi vedo
nei ceppi di pietra,
battuto dalle tempeste?
Per quale colpa punito tu muori?
Dimmi in quale parte della terra
io son giunta, sventurata, errando.
Ahimè! Ahimè!
Me sventurata ancor punge l'assillo,
l’ombra d'Argo nato dalla Terra.
Allontanalo, o Terra! Io mi spavento
quando vedo il bovaro dai mille occhi.
S'avanza con l'insidioso sguardo.
Neppur morto, la terra lo nasconde.
Egli a me sventurata
uscendo di sotterra, dà la caccia,
e mi spinge ad errare,
affamata, sulla marina sabbia.

CORO
Mormorano le sonore
canne unite con la cera
un canto che addormenta.
Ahimè! Ahimè!
Dove mi trascina
questo mio errare lontano?
Quale colpa mai,
quale colpa mai,
trovasti in me, figlio di Crono,
per aggiogarmi a queste pene?
Ahimè!
Così tormenti
con l'assillo che mi spaventa
una povera folle?
Bruciami col fuoco,
celami sotterra,
dammi in pasto ai mostri del mare.
Oh, non mi rifiutare
quel che imploro, o signore.
Troppo m'ha consumata
questo infinito errare;
io non so come imparare
ai tormenti a scampare.
Odi tu la voce
della fanciulla
che ha le corna di giovenca?

PROMETEO
E come non udire la fanciulla agitata dall'assillo, la figlia d'Inaco, che ha acceso d'amore il cuore di Zeus, ed ora, odiata da Era, è costretta a consumarsi in terminabili corse?

IO
Come avviene che del padre
pronunzi il nome? Chi sei?
Dillo a me sfortunata.
Chi sei tu, sventurato,
che a me sventurata
dici parole veraci?
Il male divino
hai tu nominato,
che mi morde e mi distrugge
col pungolo che mi fa errare?
Ahimè!
Ignobilmente
a balzi impetuosi correndo,
cacciata dalla fame,
qui giungo, domata
dal rancore di Era.
Quali, ahimè, tra gli sventurati
soffrono quanto io soffro?
Svelami quali affanni
dovrò ancora soffrire.
Quale mai scampo ha il male,
qual è la sua medicina?
Dimmelo, se lo sai.
Rivelalo, parla
alla fanciulla,
alla sventurata errante.

PROMETEO
Ti dirò chiaramente tutto quello che vuoi sapere, senza intrecciare enigmi, ma con parole franche, com’è giusto parlare ad amici. Tu vedi colui che ha donato il fuoco ai mortali, Prometeo.

IO
Tu che apparisti comune salvezza a tutti i mortali, sventurato Prometeo, per quale colpa soffri questa pena?

PROMETEO
Ho finito proprio ora di piangere i miei mali.

IO
Non mi concederai questo favore?

PROMETEO
Dimmi il favore che vuoi: tutto saprai da me.

IO
Dimmi chi ti ha inchiodato alla rupe.

PROMETEO
Il volere di Zeus e la mano di Efesto.

IO
E di quali colpe tu sconti la pena?

PROMETEO
Basta quello solo che ti ho detto.

IO
Ma, oltre a questo, rivela almeno a me sventurata quale sarà la fine del mio errare.

PROMETEO
Non saperlo è, per te, meglio che saperlo.

IO
Non mi nascondere quello che dovrò soffrire.

PROMETEO
Non ti voglio negare questo favore.

IO
Perché, allora, indugi a svelarmi tutto?

PROMETEO
Non mi rifiuto, ma temo di turbare l'animo tuo.

IO
Non ti preoccupare più oltre di me: io stessa così desidero.

PROMETEO
Bisogna che parli, poiché tu lo vuoi. Ascolta.

CORO
No, non ancora. Concedi anche a me un favore. Prima ascoltiamo la malattia di costei: ella stessa narrerà le sue vicende sventurate. E saprà, poi, da te quello che le resta da soffrire.

PROMETEO
Spetta a te, Io, fare questo favore a costoro, soprattutto perché sono sorelle del padre tuo: piangere e lamentare le proprie sventure quando si strappano le lagrime a quelli che ascoltano, non è vana pena.

IO
Non so come potrei non darvi ascolto. Saprete con parole chiare tutto quello che desiderate. Eppure, io mi vergogno a raccontare di dove si è abbattuta su me sventurata la tempesta divina che ha deformato il mio aspetto.
Visioni notturne erravano continuamente nella mia stanza di vergine e mi blandivano con parole carezzevoli: «O fortunata fanciulla, perché vuoi rimaner vergine così a lungo, quando puoi sposare il più glorioso degli sposi? Da te Zeus è acceso col dardo del desiderio, e vuol godere il tuo amore. E tu, fanciulla, non rifiutare il talamo di Zeus, ma va al prato di Lerna alto d'erba e ai pascoli e alle stalle del padre tuo, perché l'occhio di Zeus plachi nel desiderio soddisfatto».
Di questi sogni ero in balia, io infelice, tutte le notti, finché osai raccontare a mio padre i miei terrori notturni. Ed egli mandò molti messaggeri a Delfo e a Dodona, per sapere che cosa dovesse dire o fare per esser gradito agli dèi. Ed essi tornavano e riferivano responsi ambigui, oscuri, difficili a interpretare. Alla fine, giunse a Inaco un chiaro responso, che gli ordinava di scacciarmi dalla mia casa e dalla mia patria, e di farmi errare, libera come una bestia consacrata, fino agli estremi confini della terra: se egli non obbediva, sarebbe caduta la folgore infocata di Zeus, e avrebbe distrutta tutta la sua stirpe.
Spinto da questi oracoli di Apollo, egli mi scacciò e mi bandi dalla casa, mio malgrado, suo malgrado: lo costringeva a forza il morso impostogli da Zeus. E subito il mio aspetto e la mia mente si travolsero; e con le corna, come mi vedete, tormentata dal morso dell'assillo, io mi lanciai con balzi folli verso la bella corrente di Cercnea e la sorgente di Lerna. Un bovaro, figlio della Terra, Argo spietato, mi seguiva, spiando le mie orme con i suoi mille occhi. Improvvisamente un destino inatteso lo privò della vita; ed io, tormentata dall'assillo, sono cacciata di terra in terra dalla sferza divina.
Hai udito quel ch'è avvenuto. Se mi puoi dire quanto io devo ancora soffrire, parla. E non mi confortare, per compassione, con parole bugiarde: i discorsi finti sono per me il più vergognoso dei mali.

CORIFEO
Ahimè! Taci, ahimè!
non avrei mai creduto, mai
che parole così strane
mi giungessero all'orecchio
 né così orrendi a vedere,
così orrendi a soffrire,
patimenti, tormenti, spaventi
col pungolo dalla doppia punta
mi gelassero di terrore l'anima.
Oh, destino, destino!
Un brivido mi prende
nel vedere la sventura d'Io.

PROMETEO
Troppo presto gemi e ti spaventi. Attendi finché saprai anche il resto.

CORO
Parla, racconta. A chi soffre è dolce saper bene prima quello che gli resta da soffrire.

PROMETEO

Il vostro primo desiderio l'avete per mia intercessione facilmente appagato: voi desideravate udire prima da lei stessa il racconto delle sue sofferenze. Ascoltate ora il resto: quali dolori deve ancora soffrire, per volere di Era, questa fanciulla. E tu, figlia d'Inaco, imprimi nella tua mente le mie parole, se vuoi conoscere la fine del tuo errare.
Di qui volgiti prima verso Oriente: cammina per terre non arate, e giungerai presso gli Sciti nomadi che abitano in capanne intrecciate di giunchi, in alto, su carri dalle buone ruote, armati di archi saettanti. Non ti avvicinare ad essi, ma attraversa questa terra sfiorando le sonore scogliere del mare. A sinistra abitano i lavoratori del ferro, i Calibi: da essi bisogna che ti guardi, poiché sono feroci e inavvicinabili per gli stranieri.
E giungerai all'Ibriste, un fiume che merita il suo nome: non lo attraversare, perché attraversarlo non è facile, prima di giungere al Caucaso, il più alto dei monti, dove il fiume prorompe dalla vetta 
con tutta la sua forza. Superando cime che arrivano alle stelle, scendi verso mezzogiorno, e giungerai presso le Amazzoni guerriere, odiatrici degli uomini, che abiteranno un giorno Temiscira presso il Termodonte, fin dove è Salmidesso, dura mascella del mare, ospite crudele ai naviganti, matrigna delle navi. Esse ti guideranno molto volentieri nel tuo cammino.
E giungerai così all'Istmo Cimmerio, alla stretta porta della palude Meotide, e lo lascerai, per varcare con animo intrepido lo stretto Meotico. E sarà tra i mortali grande ed eterna la fama del tuo viaggio, e il Bosforo avrà da te il suo nome. Abbandonato il suolo d'Europa, giungerai nel continente d'Asia.
Ma non vi sembra che il signore degli dèi sia ugualmente violento in ogni cosa? Volendo congiungersi, egli ch'è un dio, con questa donna mortale, l'ha condannata a queste corse erranti.
Oh, un pretendente ben crudele tu hai trovato, fan-ciulla, alle tue nozze! I discorsi che ora hai uditi non sono, credi, neppure un preludio.

IO
Ahimè! Ahimè!

PROMETEO
Tu di nuovo gridi e gemi. Che farai, quando conoscerai il resto dei tuoi mali?

CORO

Ti restano altre sciagure da annunziare a costei?

PROMETEO
Sì, un tempestoso mare di sventure funeste.

IO
Perché vivere? Perché non gettarmi da questa aspra rupe? Precipitando giù, mi libererei da tutti i mali. Meglio morire una volta che soffrire crudelmente tutti i giorni.

PROMETEO
Difficilmente tu sapresti sopportare le mie pe-ne: a me il destino non concede di morire. La morte sarebbe liberazione dai mali. Ma per me non c'è nessuna fine delle mie sofferenze, prima che Zeus cada dal suo trono.

IO
È possibile che Zeus cada dal suo trono?

PROMETEO
Tu avresti gioia, credo, ad assistere a questo evento.

IO
E come non l'avrei, io che soffro crudelmente per volere di Zeus?

PROMETEO

Sappi che questo avverrà.

IO
E chi gli toglierà lo scettro della sua signoria?

PROMETEO
Egli stesso, da sé, con i suoi disegni folli.

IO
In che modo? Dimmelo, se non te ne verrà danno.

PROMETEO
Celebrerà nozze per le quali un giorno piangerà.

IO
Con una dea o con una donna mortale? Dillo, se puoi.

PROMETEO
Che importa con chi? Non è lecito dirlo.

IO
Lo sbalzerà dal trono la sposa?

PROMETEO
Sì: genererà un figlio più potente del padre.

IO
E non vi è scampo per lui da questa sorte?

PROMETEO
No: potrei liberarlo soltanto io, sciolto dalle catene.

IO
E chi libererà te, se Zeus non vuole?

PROMETEO
È destino che sia uno dei nati da te.

IO
Che dici? Un figlio mio ti libererà dai mali?

PROMETEO
No: un tuo discendente, della tredicesima generazione.

IO
Qui il tuo vaticinio più non è chiaro.

PROMETEO

Non cercare, allora, di sapere le altre tue sofferenze..

IO
Non mi privare di questo dono: me l'hai promesso.

PROMETEO
Di due discorsi te ne terrò uno solo.

IO
Di quali discorsi? Dimmelo e concedimi la scelta.

PROMETEO
Te la concedo. Scegli: ti rivelerò chiaramente o quello che tu dovrai ancora soffrire, o chi sarà il mio liberatore.

CORO
Di questi due favori, fanne uno a costei, un altro a me: non disprezzare la mia preghiera. A costei, rivela il resto delle sue peregrinazioni; a me, chi sarà il tuo liberatore. Questo è il mio desiderio.

PROMETEO
Poiché così desiderate, io non rifiuterò di rivelare tutto quello che volete. Prima a te, Io, narrerò le tue corse turbinose: tu scrivile nel libro della memoria.
Quando avrai traversato il mare che divide i continenti, verso l'Oriente infiammato dal sole, varcando il fragore del mare, cammina finché giungerai alle pianure gorgonee di Cistène, dove dimorano le vergini annose, le tre Forcidi dall'aspetto di cigno, che hanno un occhio solo e un dente solo in comune, e mai non le guarda il sole con i suoi raggi, né la notturna luna. Vicino ad esse stanno tre sorelle alate, le Gòrgoni dal vello di drago, odiate dai mortali: nessun mortale, dopo averle vedute, avrà soffio di vita. Questo è il pericolo dal quale ti raccomando di guardarti. Ma odi un altro spettacolo orrendo. Guardati dai cani muti di Zeus dal becco aguzzo, i grifoni; e dall'esercito a cavallo degli Arimaspi con un occhio solo, che abitano presso il fiume Plutone dalle acque che trascinano l'oro. Non ti avvicinare ad essi.
Giungerai, poi, a una terra remota, presso un popolo nero che abita vicino alle sorgenti del sole, dov'è il fiume Etiope. Segui le rive del fiume finché giungerai a una cateratta, dove, dai monti Biblini, il Nilo getta le sacre acque gradevoli a bere. Esso ti condurrà fino alla terra niliaca dalla forma di triangolo, dove è destino, Io, a te e ai tuoi figli fondare la lontana colonia.
Se qualcuna di queste cose ti sembra oscura e difficile a comprendere, ripeti la domanda, e saprai chiaramente tutto. Io ho più tempo che non vorrei.

CORO
Se hai ancora altro da rivelare a costei, delle sue peregrinazioni funeste, o l'hai dimenticato, parla. Se hai detto tutto, concedi a noi, allora, il favore che ti abbiamo chiesto: certo te ne ricordi.

PROMETEO
Costei ha udita tutta la fine del suo viaggio. Ma perché ella sappia che non m'ascolta invano, narrerò le pene che ha sofferte prima di giungere qui: le darò così la prova che io dico la verità.
Tralascerò tutto il resto del lungo racconto; verrò subito alla fine del tuo vagare. Giungesti ai campi Molossi, presso Dodona dall'alto mente, dov'è l'oracolo e il tempio di Zeus Tespròto, e, incredibile prodigio, le querce parlanti. Queste ti vaticinarono chiaramente, non per enigmi, che saresti divenuta la sposa gloriosa di Zeus: ti è dolce ancora quel ricordo? Di I, punta dall'assillo, ti lanciasti lungo la costa, fino al grande golfo di Rea, di dove la tempesta che ti squassa ti ha respinta indietro fin qui nelle tue corse errabonde. Nell'avvenire quel mare, sappilo bene, sarà chiamato Ionio, a ricordare a tutti i mortali il tuo viaggio. Questa è la prova che la mia mente vede di là dalle cose che tutti ve-dono. (Rivolto al Coro) Il resto, io lo dirò a voi e a costei insieme, tornando al discorso di prima. Vè una città, Canòpo, l'ultima di quella terra, proprio sulla foce sabbiosa del Nilo: là Zeus ti renderà il senno col solo tocco della sua mano serenatrice. E tu genererai il nero Epafo, che avrà nome dal tocco generatore di Zeus. Egli godrà il frutto di tutta la terra bagnata dall'ampia corrente del Nilo. Alla quinta generazione, dopo di lui, cinquanta vergini sue discendenti torneranno contro la loro volontà ad Argo, per fuggire le consanguinee nozze con i loro cugini. Ed essi, folli d'amore, nibbi incalzanti da vicino colombe, verranno qui a caccia di nozze che cacciare non potranno. Il dio rifiuterà loro le vergini, e la terra pelasgia li accoglierà, uccisi nella strage compiuta dalle femmine, con l'audacia vegliante nella notte. Ogni donna priverà della vita il suo sposo, bagnando nel sangue la spada dal doppio taglio. Tali amori tocchino in sorte ai miei nemici. Ma l'amore ammalierà una delle fanciulle, ed ella non ucciderà il suo sposo, ma si spunterà il suo coraggio. Vorrà esser chiamata vile piuttosto che omicida. Ed ella genererà in Argo una stirpe di re.
Occorrerebbe un lungo discorso per spiegare chiaramente tutto. Da questa stirpe nascerà un eroe, glorioso per il suo arco, che mi libererà dai miei tormenti. Questo è il vaticinio che ha rivelato a me l'antica madre, la Titanide Temi. A dire come tutto avverrà, sarebbe necessario un lungo discorso, e tu ad ascoltarlo non avresti nessun vantaggio.

IO
Ahimè! Ahimè!

Ancora mi scuote il delirio,
mi brucia ancora la follia.
Mi punge il dardo dell'assillo
che arde senza fuoco;
forte batte per il terrore
contro il petto il cuore.
Ruotano turbinosi gli occhi.
Fuor di strada sono trascinata
da un violento vento di follia.
Non so quello che dico:
torbide le parole battono ciecamente,
battono contro le onde della sventura orrenda.

→torna alla Scheda integrata del Prometeo incatenato, INDA 1954

 
Prometeo incatenato, vv. 944-1079, traduzione Gennaro Perrotta

ERMES
A te, a te, al saggio, al te, più aspro dell’asprezza, a te che hai peccato contro gli dèi per concedere onori agli uomini effimeri, al ladro del fuoco, a te io dico: il padre Zeus ti ordina di rivelare quali nozze sono queste che tu vanti e chi lo sbalzerà dal trono. e queste cose non le rivelare per enigmi, ma ad una ad una. E non mi costringere a far la strada due volte, o Prometeo: tu vedi che Zeus con questi mezzi non si placa.

PROMETEO
Solenne e pieno d’arroganza è il tuo discorso, come si conviene a un servo degli dèi. Voi siete i nuovi signori d’un nuovo regno, e credete di abitare una rocca dove non entra il dolore. Ma non ho veduto, forse, da essa cader due sovrani? Il terzo, quello che ora regna, io lo vedrò cadere con molta ignominia e molto presto. Credi tu che io tremi, spaurito, davanti ai nuovi dèi? Ne sono molto lontano, anzi assolutamente lontano. Ma tu ritorna subito di dove sei venuto: non saprai nulla di quello che mi domandi.

ERMES
Già una volta, proprio per questa tua ostinazione, sei caduto in questi tormenti.

PROMETEO
La mia sventura, sappilo bene, io non la cambierei mai con la tua schiavitù. È meglio, io penso, esser lo schiavo di questa roccia, anziché essere il messaggero fedele del padre Zeus. Così conviene oltraggiare chi oltraggia. 

ERMES
Tu esulti, pare, dei mali che soffri!

PROMETEO
Io esultare? Così possa io vedere esultare i miei nemici!

ERMES
Anche me incolpi delle tue sventure?

PROMETEO
In una parola: odio tutti gli dèi, che hanno ricevuto bene da me e mi fanno del male ingiustamente.

ERMES
Sento che sei impazzito, e di una follia non lieve.

PROMETEO
Sì, sono folle, se odiare i nemici è follia.

ERMES
Come saresti insopportabile nella prosperità!

PROMETEO
Ahimè!

ERMES
Questa parola Zeus non la conosce.

PROMETEO
LA conoscerà: tutto insegna, invecchiando, il Tempo.

ERMES
Ma tu non hai imparato ancora ad esser saggio.

PROMETEO
No: se fossi saggio, non parlerei con te, che sei un servo.

ERMES
Tu non vuoi dir nulla, pare, di quello che vuol sapere mio padre.

PROMETEO
E certo io lo devo ricambiare con la mia riconoscenza!

ERMES
Veramente mi schernisci come se io fossi un fanciullo

PROMETEO
E non sei un fanciullo e anche più sciocco di un fanciullo, se aspetti di sapere qualche cosa da me? Non vi è tormento né astuzia, con la quale Zeus potrà piegarmi a rivelare questo segreto, prima che egli sciolga queste infami catene. Intanto, cada pure l’infiammata folgore; e non turbini di neve dalle bianche ali e con tuoni sotterranei Zeus confonda e sconvolga ogni cosa. Nulla mi piegherà a svelare chi è destino che abbatta la sua signoria.

ERMES
Ma guarda se questo tuo contegno ti può giovare

PROMETEO
Da gran tempo ho tutto guardato e tutto deciso.

ERMES
Rassegnati, stolto, rassegnati una volta ad aver senno, davanti a queste sventure!

PROMETEO
M’infastidisci inutilmente: è come se tu parlassi a un’onda del mare. Non ti venga mai in mente che io, spaventato dal volere di Zeus, divenga una femmina e supplichi con le palme tese, scimmiottando le donne, di liberarmi da queste catene, colui che odio tanto. Ne sono ben lontano. 

ERMES
Credo che, parlando, dirò molte cose, ma invano. Tu non t’intenerisci per niente, né ti plachi per le mie preghiere, mordi il freno come un puledro appena aggiogato, e resisti, e lotti contro le redini. ma ti esalti fidando nella tua abilità che è vana: l’ostinazione, in chi non ha senno, per sé stessa, vale meno che niente. Considera, se non ti persuaderanno i miei discorsi, quale tempesta, quali ondate violente, cadranno su te, di mali ineluttabili. Prima di tutto, il padre Zeus, col tuono e con la fiamma del fulmine, squarcerà quest’aspra rupe, e occulterà il tuo corpo: ti stringerà la pietra nel suo abbraccio. Poi, dopo lungo tempo, tornerai alla luce. Ma il cane alato di Zeus, la fulva aquila, voracemente farà a brani il tuo corpo, lo ridurrà un grande straccio: ospite non invitato, verrà a banchettate tutto il giorno, a saziarsi del tuo nero fegato. E di questo tormento non aspettare mai la fine, finché non appaia qualche dio che sconti per te la tua pena e voglia scendere nell’Ade senza luce e negli abissi tenebrosi del Tartaro. Rifletti, dunque. Questa non è una vanteria bugiarda, ma una decisone anche troppo ferma. non sa mentire la bocca di Zeus: tutto quello ch’essa dice, si compie. Guarda intorno a te e medita: non credere che l’ostinazione valga più della saggezza.

CORO
A me le parole di Ermes non sembrano inopportune. Egli ti esorta ad abbandonare la tua ostinazione e a seguire saggezza e prudenza. Ascoltalo. Per un saggio, errare è vergogna.

PROMETEO
I messaggi ch’egli mi annunzia
io li conoscevo. Vergogna
non è, se il nemico riceve
oltraggio dal nemico.
Ed ora su me sia lanciato
il bifido riccio di fuoco,
l’etere sia scosso dal tuono
e dal furore dei venti selvaggi,
ed un gran soffio squassi la terra
nel profondo, fin dalle radici;
e l’onda del mare cancelli
col violento strepito le vie
delle stesse del cielo. E il mio corpo
nel Tartaro cupo egli getti,
nei gorghi crudeli del Fato.
Non potrà darmi la morte.

ERMES
Si odono soltanto dai folli
pensieri e parole tali.
Che cosa manca alla follia
nei suoi voti? E la follia non cede.
Voi che soffrite per le sue sventure,
da questi luoghi fuggite
subito, che non vi spaventi
il rombo orrendo del tuono.

CORO
Altre cose dimmi, consigliami,
così da persuadermi. Intollerabili
son queste tue parole.
Tu vuoi ch’io sia vile?
Quel che soffrire bisogna
voglio soffrire con lui.
Odiare io so i traditori:
non v’è nessuna colpa
ch’io più di questa spregi.

ERMES
Ricordate quel che vi predico.
Non incolpate la sorte
il giorno che Ate vi darà la caccia,
e non dite che Zeus vi ha gettate
in un’impreveduta sciagura.
Voi stesse vi siete gettate.
Voi non all’improvviso, non ignare,
non per nascosto inganno, 
ma per la vostra stoltezza
nell’inestricabile rete
impigliate cadrete di Ate.

→torna alla Scheda integrata del Prometeo incatenato, INDA 1954