Note su alcune aperture giurisprudenziali al principio del “libero utilizzo” e sugli effetti nelle culture del riuso
Alessia Brandoni
English abstract
E ora, eccomi qui, nel profondo Brooklyn,
anni dopo, eccomi qui al mio tavolo coperto di
poesie, film, romanzi, saggi. Eccomi qui, ora, a lottare
con tutto, rivivendo la tua vita, dal Friuli a Napoli a Roma
alla Palestina all’India all’Africa a Chaucer al Marchese de Sade […].
Da una lettera di Jonas Mekas a Pier Paolo Pasolini, 2014
Jonas Mekas, The Internet Saga, 2015.
Nello scenario attuale che vede l’arte visiva e le pratiche audiovisive contemporanee composte da molteplici pratiche di montaggio, riassemblaggio, citazione e utilizzo di materiale preesistente – found footage, pratiche collettive di mash-up, mappe e atlanti in quanto forme estetiche e prassi artistiche – assume rilevanza provare a chiarire, alla luce di una certa giurisprudenza per lo più europea, se e in che misura sia consentito l’utilizzo di frammenti o di intere opere altrui all’interno di un’altra opera senza che questo costituisca una violazione del diritto d’autore e, quando esistente, del connesso diritto di riproduzione che spetta al produttore (di un film, di un brano musicale, di una banca dati ecc.).
Nel rapportare la giurisprudenza che si richiamerà, anche in commento, con alcune culture del riuso, si terrà anche a mente la suddivisione operata in Archivi impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea (Baldacci 2016), su alcune tendenze al recupero e riutilizzo di immagini preesitenti. Laddove, a partire dall’evidenza di come “l’aspetto politico e quello mnestico sono da sempre le due facce dell’archivio”, si ipotizza come tale prassi sembra aver preso, tra le altre possibili, due forme espressive, e altrettante pratiche processuali, prevalenti: c’è chi basa la propria ricerca dando pregnanza al rapporto con il passato e lo fa o con sguardo rivolto a “tecniche démodé e obsolete, ai vecchi proiettori e pellicole”, o con attività basate “sulla ricerca in archivio e su un metodo rigoroso” portate avanti anche in quanto accademici; e c’è chi, “specialmente tra le ultime generazioni, ha lo sguardo interamente rivolto al futuro, quindi ai nuovi media e a quel pullulare di opportunità di creazioni, condivisione, usabilità e circolazione delle immagini fornite da Internet, al di là del diritto d’autore e di citazione e del corretto uso dei materiali ‘rubati’ ad altri” (Baldacci 2016).
Pensando, quindi, alla complessità di fenomeni quali la coesistenza interattiva “tra testi del passato analogico e del presente digitale” e ai suoi effetti sull’“ecosistema della proprietà intellettuale e dell’industria culturale” (Fabbri 2012, 23), si intende, appunto, offrire una veduta su una certa giurisprudenza che ha offerto una interpretazione ampia sia dell’eccezione di citazione (cfr. art. 5, par. 3, lett. d) dir. Infosoc; art. 70 l.a.) che del libero utilizzo all’interno del diritto armonizzato europeo (in particolare si fa riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE e all’art. 24, par.1, della legge tedesca sul diritto d’autore). Interpretazioni che sembrano voler abbandonare l’errore di base che vede delineare il limite del diritto d’autore come qualcosa di naturale, unitario, addirittura ontologico; invece di considerarlo per quello che è nei rapporti materiali, vale a dire un dispositivo economico. Ché già nel lemma ‘privativa’, cardine della disciplina che informa tanto il diritto d’autore che la proprietà intellettuale, risuona fin troppo forte il timore di una qualche perdita di malcelata origine metafisica.
In questa prospettiva occorre tornare tra le pieghe della decisione della Corte di Giustizia emessa nel caso Pelham (CGUE 29 luglio 2019, in causa C-476/17, Pelham GmbH, Moses Pelham, Martin Haas c. Ralf Hütter, Florian Schneider-Esleben). In primo luogo perché in essa sono stati affrontati vari aspetti sia dell’eccezione di citazione che, più in generale, della possibile individuazione di altre forme di libero utilizzo; inoltre perché occorre restare vigili nei confronti di battute d’arresto contenute in recenti pronunce (cfr. Cass. 8 febbraio 2022 n. 4038, Monica de Bei Schifano, Archivio Mario Schifano, Marco Giuseppe Schifano c. Fondazione M.S. Multistudio), in quanto dirette a vanificarne la portata espansiva.
Quest’ultima decisione della giurisprudenza italiana, di taglio più restrittivo, ha infatti inteso ribadire come la citazione sia una eccezione rispetto alla tutela forte e granitica accordata ai diritti dell’autore. Nello specifico, la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimi l’utilizzo e la riproduzione di un’opera dell’arte figurativa nella sua interezza (nel caso di specie di opere di Mario Schifano), in tal modo fornendo un’interpretazione letterale dell’eccezione di citazione ancorata alle sole riproduzioni parziali dell’opera, con la conseguenza di escludere le singole opere dell’arte figurativa (si pensi a dipinti e sculture ma anche a fotografie e installazioni) dalla possibilità di essere riutilizzate, e ciò valendo sia rispetto a usi rivolti a fruizioni di carattere scientifico, sia nei confronti di usi diretti alla creazione di nuove opere nelle quali è implicato un carattere trasformativo[1]. D’altronde, come rilevato in dottrina, “l’eccezione di citazione, come delineata dall’art. 70 l.s. e come interpretata dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane maggioritarie fino a oggi, risente ancora fortemente della concezione secondo cui le eccezioni e limitazioni alla tutela autoriale costituiscono ‘isole di libertà in un mare di esclusiva’” (Visentin 2022, 837). Mare in cui la citazione, secondo la rotta stretta delineata dalla Convenzione di Berna, deriva la propria legittimità anzitutto dalla sussistenza del nesso di strumentalità e dal rispetto del principio di non concorrenza (a riprova della pervasività dei dispositivi economici implicati nel sistema giuridico che regola il diritto d’autore).
Nella decisione Pelham, invece, vertente sull’utilizzo di circa due secondi del brano musicale dei Kraftwerk, Metall auf Metall, da parte della rapper Sabrina Setlur all’interno del proprio brano musicale originale Nur mir (la pratica del c.d. sampling, o campionamento), la Corte di Giustizia dell’UE, ponendosi di fronte alla richiesta di condanna di quest’ultima da parte degli autori del brano, anche in qualità di produttori dei fonogrammi, riprodotti e ripetuti in loop in Nur mir ma a una velocità ridotta, ha affrontato, seppure partendo da una qualificazione negativa applicata al caso di specie, risolta poi positivamente per altra strada, “le condizioni di applicabilità dell’eccezione di citazione” – a partire dal sampling ma muovendosi verso interpretazioni più generali – nel solco di un bilanciamento tra l’armonizzazione del diritto d’autore e dei diritti connessi e l’implementazione delle eccezioni e limitazioni previsto in ambito europeo (cfr. Direttiva 2001/29 “InfoSoc”). In una nota a commento della sentenza della CGUE in oggetto (Banterle 2020, 399), la dottrina ha rilevato come, in merito alle suddette condizioni di applicabilità, la CGUE si sia “attestata all’interno di una recente giurisprudenza della Corte a fornire un’interpretazione […] più elastica […] del concetto di citazione”, in quanto “la citazione non dovrebbe essere limitata al solo scopo di “critica” (menzionato dalla norma al solo scopo esemplificativo)”, bensì dovrebbe essere collegata a una più generale finalità di “illustrare un’affermazione, di difendere un’opinione o, ancora, di permettere un confronto intellettuale tra tale opera e le affermazioni del suddetto utente. In sintesi, dunque, dovrebbe sussistere l’obiettivo di “interagire” con l’opera originale (Pelhan, punto 71)” (Banterle 2020, 399). La nota a commento della sentenza della Corte di Cassazione italiana su citata (sent. Cass. n. 4038/2022), situandosi, per via di un riferimento ad altri contesti normativi europei (il sistema tedesco, per esempio) e al quadro più espansivo delineato dalla CGUE nel caso Pelham, all’interno di una critica all’interpretazione rigida adottata dalla Cassazione italiana in merito all’art. 70 l.a., ha messo in evidenza come “una nozione di citazione così limitata quanto allo scopo perseguito come quella italiana sembra difficile da accettare alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, nonostante non si debba dimenticare che gli Stati membri conservano un margine di discrezionalità significativo nell’implementazione di questa eccezione […] tale spazio di discrezionalità, tuttavia, come notato dalla Corte di Giustizia, dev’essere pur sempre bilanciato con il rispetto dei principi di proporzionalità, effettività di eccezioni e limitazioni e giusto equilibrio fra i vari diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico europeo, fra cui la libertà di espressione degli utenti delle opere protette” (Visentin 2022, 855). I termini restrittivi con cui la giurisprudenza italiana interpreta l’eccezione di citazione sembrerebbero, a questo punto, in palese contrasto con quei fini legittimi della citazione secondo i quali, in virtù di quel confronto e di quella interazione già menzionati, la CGUE è arrivata ad auspicare l’avversarsi di un proposito generale che vede, e non più in posizione subordinata alle prerogative della privativa, la creazione di un dialogo tra l’opera citata e quella citante[2]. Dialogo il cui spazio di esistenza, come rilevato, sia “assai più ampio, onnicomprensivo e indefinito dei fini di critica e discussione indicati dal legislatore italiano” (Visentin 2022, 855). Proposito, questo, autorevolmente espresso in ambito europeo, che finalmente ridimensionerebbe la rigidità dell’impianto normativo italiano, in particolare perché si andrebbero ad adottare criteri non più solo riferiti a un limite quantitativo, ossia la lunghezza e il numero delle citazioni, o strumentale, vale a dire la finalità di critica, discussione e insegnamento (oltre al venerato rispetto per il limite economico che vieta la concorrenza tra i mercati di riferimento delle due opere)[3]. Ecco, allora, che il riferimento all’interazione dialogica tra l’opera citante e quella citata nonché – come vedremo meglio più avanti – l’attenzione all’elemento trasformativo presente nell’opera che ‘ruba’ qualcosa a un’altra, restituiscono l’emersione della portata qualitativa della posta in gioco.
Sempre in questo ambito – e in un’ottica espansiva che vede la citazione non più rinchiusa nel recinto dell’eccezione – il ‘diritto’ a un uso dialogico e creativo della citazione è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale tedesca nella causa intentata contro il drammaturgo Heiner Muller, rispetto all’utilizzo di due lunghi estratti da Vita di Galileo e Coriolano di Bertold Brecht, all’interno della sceneggiatura teatrale Germania 3: Gespenster am totem Mann (Corte costituzionale federale, 29 giugno 2000). Tramite l’uso di un corsivo evidente con cui ha riprodotto senza alcun camuffamento i testi citati, Muller ha inteso evidenziare l’instaurazione di un dialogo artistico con le opere originarie da parte dell’opera citante, a sua volta opera di creazione e tutelata quindi dal diritto d’autore. La Corte tedesca, come commenta la dottrina, “attraverso un giudizio di proporzionalità”, e “ammettendo così la riproduzione anche di brani molto estesi” (altra scossa al regime del limite quantitativo), ha valorizzato il parametro costituito dalla “capacità dell’opera citata di “adattarsi” alla nuova creazione e di costituire parte integrante di un’autonoma espressione artistica, così da favorire la nascita di quest’ultima e il dialogo culturale fra autori diversi” (Visentin 2022, 859).
Il riferimento all’interazione tra opere come a un elemento allo stesso tempo costitutivo ed espansivo assume ulteriore valenza se lo consideriamo nell’ottica che informa le culture del riuso in ambito audiovisivo. Culture il cui segno distintivo si rinviene tanto nel ricorso a un dialogo costante con le immagini preesistenti, del passato, quanto a un utilizzo di immagini altrui “montate” in una temporalità simultanea e in una spazialità eterogenea. A essere convocate, in queste azioni creative e performative, sono infatti pratiche di agentività relazionale e posizionamenti di sguardi mai irrelati (sull'interazione tra le immagini come elemento costitutivo vedi Daney 1997), piuttosto visibilmente implicati con i contesti e con le pratiche di altri e altre – intelletti generali che dialogano (e si auspica sfrenatamente) con la stratificazione che permea e struttura la memoria collettiva del reale.
Dopo aver visto come l’eccezione di citazione, tramite percorsi argomentativi e approcci non restrittivi – e non subalterni né alla logica autoreferenziale, e premiale verso il mercato, delle privative, né alla mistica della paternità dell’opera – possa aprire degli spazi per il riconoscimento della liceità del riuso di opere altrui (e sia in forma di frammenti che anche, se in relazione, nella loro interezza), è necessario affrontare la questione, valutata anch’essa dalla giurisprudenza fin qui richiamata, dei c.d. “usi trasformativi”. A monte, infatti, della decisione della CGUE sul caso Pelham c’è una interessante pronuncia della Corte tedesca che, come ricostruito in dottrina, interpretando l’art. 24, par.1 della legge tedesca sul diritto d’autore, aveva preso in esame “la situazione in cui un’opera dell’ingegno è stata utilizzata come ispirazione, punto di partenza, per una nuova espressione creativa, talmente differente nella sua apparenza esteriore che l’espressione creativa dell’opera iniziale svanisce […]. Applicando tale principio, la Corte suprema tedesca aveva ritenuto che il brano Nur mir presentasse caratteristiche individuali originali che si distinguono dal sample di due secondi ripreso nel fonogramma dei Kraftwerk. E che quindi Nur mir dovesse essere considerata una creazione indipendente” (Banterle 2020, 396). La CGUE, radicalizzando il ragionamento della Corte tedesca, in sede di impugnazione ha individuato la configurabilità della liceità del libero utilizzo solamente laddove il frammento utilizzato in una nuova opera non sia più riconoscibile[4]. Di conseguenza, l’elemento qualitativo per l’ammissibilità del libero utilizzo non sarà più, in questo caso, l’“interazione” tra le opere, in ragione della quale, lo abbiamo visto, a non poter mancare è proprio l’elemento della riconoscibilità del frammento o dell’opera ri-utilizzata tramite la pratica della citazione. Al contrario, ciò che qui andrà di volta in volta verificato sarà proprio l’elemento riconducibile alla perdita di riconoscibilità del frammento impiegato nella nuova opera. Opera che in ogni caso, per superare il giudizio di liceità, dovrà a sua volta confrontarsi (o scontrarsi) con il concetto di “creatività”, fattispecie giuridica ancora troppo spesso legata, quanto alla sua individuazione, a criteri come “lavoro dell’uomo” “opera intellettuale”, “impronta personale”, “libertà individuale”, “assenza di un qualsiasi condizionamento” – tutte qualificazioni tipiche di un soggetto liberale pensato come fosse un soggetto neutro, autonomo, astratto e, se proprio in vena di concedere qualcosa all’esperienza e alla differenza, agito vieppiù da intenti strumentali e pulsioni assimilative.
Infine occorre ricordare – quanto alle lecite appropriazioni delineate dalla interpretazione estensiva adottata dalla riferita giurisprudenza europea – il confronto, oramai di lunga data, tra la giurisprudenza europea e quella statunitense in materia di fair use (i cui tanti spunti richiederebbero di essere approfonditi in un testo a parte).
In uno scenario di questo tipo, ecco allora che le pratiche di riuso di materiali preesistenti indicate all’inizio di questo testo potranno trovare ascolto, in un eventuale giudizio di liceità, secondo due vie (peraltro, se si pensa alle modalità implicate nei vari tipi di riuso, non per forza alternative): per quanto concerne l’eccezione di citazione a contare sarà la qualità della relazione che l’opera citante ha intessuto con le opere citate e, a rigore, il percorso logico-argomentativo seguito nello stabilirne di volta in volta le interazioni; per quanto attiene ai liberi utilizzi “trasformativi”, idonei a travalicare i confini delle privative originarie, a entrare nell’interazione interpretativa della giurisprudenza e della dottrina sarà stavolta la creatività dell’attività trasformativa applicata nella nuova opera.
Di volta in volta. Dentro la congerie delle esperienze. Allorché non va dimenticato, in una lettura non liberale del diritto – ma che va anche a sostegno di una impostazione minimamente bilanciata in fatto di interessi – che i diritti sono strumenti e non fini in sé; e che è dubbio che possa esserci un fuori dalle norme giuridiche che non sia, a sua volta, influenzato e agito da “altre norme, molte delle quali altrettanto eteroimposte, e quindi più difficilmente visibili e contestabili” (Pitch 2008, 275). E questo vale, del resto, anche per l’autoimprenditorialità e l’autosfruttamento che sta alla base di tanto lavoro culturale e artistico.
Nota a margine. Per ogni attività di raccolta, archiviazione e rimontaggio c’è un resto che non smette di convocarci (in vari ambiti). Di fronte a questo – a guisa di occorrenze-fantasma per il filo dei discorsi fin qui implicato – appaiono in flagrante alcune immagini latenti: la vita ri-vissuta di Jonas Mekas, le Verifiche incerte di Grifi e Barruchello, la Cinécriture di Agnes Varda, le Histoire(s) di Jean-Luc Godard, il cinema esposto di Douglas Gordon e di Albert Serra, la decostruzione dell’immagine egemone di Yervant Gianikian e Angela Ricci-Lucchi, gli atlanti, collages e frammenti di reale di Virginia Eleuteri Serpieri, i frame espansi (inclusi i risvegli) di Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo.
Note
1. Si riportano le conclusioni della sentenza qui riferita: “La riproduzione di opere d’arte, allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera; per godere del regime delle libere utilizzazioni, inoltre, detta riproduzione deve essere strumentale agli scopi di critica e discussione, oltre che al fine meramente illustrativo correlato ad attività di insegnamento e di ricerca scientifica dell’utilizzatore e non deve porsi in concorrenza con l’utilizzazione economica dell’opera che compete al titolare del diritto: diritto che ricomprende non solo quello di operare la riproduzione di copie fisicamente identiche all’originale, ma qualunque altro tipo di replicazione dell’opera che sia in grado d’inserirsi nel mercato della riproduzione, e quindi anche la riproduzione fotografica in scala” (Cass. Sez. I civ., n.4038/2022).
2. “In particolare, qualora il creatore di una nuova opera musicale utilizzi un campione sonoro (sample) prelevato da un fonogramma e riconoscibile all’ascolto di detta nuova opera, l’utilizzo di tale campione sonoro può, a seconda delle circostanze del caso concreto, costituire una ‘citazione’, a norma dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2001/29, letto alla luce dell’articolo 13 della Carta, a condizione che detto utilizzo abbia l’obiettivo di interagire con l’opera da cui il campione è stato prelevato, nel senso prospettato al punto 71 della presente sentenza, e che le condizioni previste all’articolo 5, paragrafo 3, lettera d), siano soddisfatte” (CGUE 29 luglio 2019, emessa nel caso Pelham). Laddove quest’ultima norma prescrive che “quando si tratti di citazioni, per esempio a fini di critica o di rassegna, sempreché siano relative a un’opera o altri materiali protetti già messi legalmente a disposizione del pubblico” si debba indicare, “salvo in caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell’autore e che le citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e si limitino a quanto giustificato dallo scopo specifico”.
3. Così, infatti, argomenta ancora, in senso restrittivo, la giurisprudenza italiana: “Vige, al riguardo, un limite analogo a quello operante per le altre esigenze indicate nell’art. 70, rispetto alle quali questa Corte ha avuto modo di osservare che la libertà di utilizzazione si giustifica essenzialmente con la circostanza che l’opera di critica, di discussione, di insegnamento ha fini del tutto autonomi e distinti da quelli dell’opera ‘citata’, i cui ‘frammenti’ riprodotti perciò stesso, non creano una neppur potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all’autore”, per quindi concludere che “il nesso di strumentalità di cui all’art. 70, comma 1, l.aut. (così come, in maniera ancora più precisa, il riferimento alla “misura giustificata dallo scopo” di cui all’art. 10 della Convenzione di Berna) impone quindi di verificare se la riproduzione posta in atto, anche per l’estensione che concretamente assume, non sia eccedente rispetto ai fini indicati” (sent. Cass. n. 4038/2022).
4. La giurisprudenza della Corte tedesca al fine di bilanciare l’esercizio della libertà artistica e l’interesse economico del produttore, in questo caso di fotogrammi, ha indicato che il parametro di riferimento – “quando non è più riconoscibile all’ascolto?” – dovesse essere quello dell’“ascoltatore medio di musica”, rimandando, pertanto, a un criterio assai generico la verifica sulla riconoscibilità della registrazione originale.
Riferimenti bibliografici
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S. Daney, Il cinema, e oltre. Diari 1988-1991, Milano 1997. - Donati, Furin 2023
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E. Visentin, Rigidità e flessibilità nella disciplina dell’eccezione di citazione: quale direzione?, “AIDA” XXXI (2022), 837-863.
English abstract
In an era marked by widespread reuse of images and audiovisual materials – through montage, found footage, mash-ups, and archival aesthetics – Alessia Brandoni’s contribution explores the legal contours of quotation and transformative use in contemporary artistic practices. Focusing on European jurisprudence, particularly the CJEU’s Pelham ruling and relevant German and Italian case law, the analysis highlights the tension between restrictive copyright interpretations and a more dialogic, relational approach to reuse. Against the backdrop of artistic cultures of assemblage and citation, the paper advocates for a legal framework that recognizes reuse not as infringement but as a legitimate creative and critical act – thus repositioning copyright as an economic tool, rather than an ontological right.
keywords | Reuse Culture; Quotation Right; Transformative Uses; Pelham; Copyright; Fair use.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Alessia Brandoni, Note su alcune aperture giurisprudenziali al principio del “libero utilizzo” e sugli effetti nelle culture del riuso, “La Rivista di Engramma” n. 222, marzo 2025.