"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

190 | marzo 2022

97888948401

Figli di Marte 2022. Immagini in guerra

Editoriale di Engramma 190

a cura di Monica Centanni e della redazione di Engramma

English abstract

Feri Mavortis imago – poche sillabe bastano a Stazio per descrivere l’apprendistato di Achille alla guerra, quasi un motto: “Tutte le immagini del feroce Marte: nessuna mi restò ignota” (Achill. II, 130-131: Nec me ulla feri Mavortis imago praeteriit). Ma al poeta della Tebaide serve invece un alto numero di parole e di versi, un lussuorioso repertorio di immagini, per raccontare lo strazio della guerra civile che insanguina, da sempre, la terra della città.

La terra della città è intrisa di sangue fraterno. Invece bastano tre versi a Eschilo per restituire l’immagine dell’esito della guerra civile – la prima, la più vera, la più violenta delle guerre – che ha il suo perfetto trionfo nel fratricidio incrociato di Eteocle e Polinice: “Severo, il ferro crudele / decide quanta terra tocchi a ciascuno, / quel tanto che occuperanno i loro corpi da morti (Sept., 730-733: πικρός, ὠμόφρων σίδαρος, / χθόνα ναίειν διαπήλας, / ὁπόσαν καὶ φθιμένοισιν κατέχειν). Eschilo era un guerriero – a Maratona, a Salamina ha combattuto in prima fila, da valoroso. Eschilo era un figlio di Ares, e per questo le parole più nette e più precise sulla violenza e sugli orrori della guerra – parole e immagini salve da ogni patetismo – sono le sue.

Feri Mavortis imago. Marzo 2022: guerra in Europa. E le immagini sono, nuovamente, in guerra. Feroce l’immagine della Madonna/Saint Javelin (la nostra immagine di copertina), che tra le braccia non tiene il bambino ma un lanciarazzi anticarro, arruolata come talismano, esibita come trofeo. Feroce l’immagine del bambino che, giocando alla guerra, la fa. Feroce la deriva pornografica del pathos, dei corpi e delle macerie. Feroci le immagini da circo mediatico hollywoodiano, con il maschio gladiatore impettito al centro dell’arena. Feroce la giaculatoria verbale guerrafondaia dei signori del mondo che eruttano parole distruttive – parole impugnate come armi per demonizzare e non per tracciare una via alla ragione. Feroce l’esibizione di insegne e simboli, surrogati forti di assenza di idee, inventati al servizio di nuove religioni.

Fin dai suoi primi numeri Engramma ha cercato di fare i conti con le immagini in guerra.

Nel 2001, dopo l’attacco alle Twin Towers, Engramma pubblica il saggio corale 9.11.2001. ‘Occidente’ negli echi di guerra. Scrivevamo allora: “Nel tempo precario della guerra, dopo l’attacco devastante contro i due simboli geometrici del potere occidentale – i parallelepipedi gemelli che disegnavano lo skyline di New York e il Pentagono – e dopo la conseguente strage di migliaia di vite, tornano prepotenti nel lessico del dibattito culturale coppie oppositive elementari come “noi” e “gli altri”, “amico” e “nemico”, “civile” e “barbaro”. Si agita una temperie incandescente di ragionamenti e di passioni tenuti sopiti da cinquant’anni di “pace ufficiale”: “Occidente”, “tradizione occidentale” sono il tema teorico e il refrain retorico intorno a cui si riorganizza la sintassi dell’identità nel tempo della guerra [...]. Ma non c’è polemos, insegna il linguaggio tragico, che non riveli al fondo un grumo di stasis, di conflitto intestino irriducibile al gioco facilitato dell’identità/alterità. Il nemico, al di fuori di ogni schema retorico-bellicista, non si mostra se non come figura del mio problema”.

Dal 2008 in avanti Engramma ha ospitato vari contributi dedicati alla protezione del patrimonio culturale, alle distruzioni belliche, alla ricostruzione post-bellica, alle tracce che la guerra lascia e alla sua memoria. Tra i numeri della rivista dedicati specificamente al tema: Hostium rabies diruit. Distruzione di monumenti artistici in Italia 1942-1945 (gennaio 2008); Il volto e la massa. Guerre, morte e architettura in Italia nel XX secolo (dicembre 2011); Guerra e memoria. Monumenti in guerra (marzo-aprile 2012); Bombe sulle rovine. Bombardamenti dei siti archeologici in Italia (gennaio/febbraio 2013); Arte in guerra: Venezia 1797-1815 (novembre 2013); Architettura, guerra e ricordo (gennaio-febbraio 2014); Architetture per la memoria (gennaio 2015), fino al recente bḁ′ṅkë / bùṅkër (ottobre 2021).

Nel 2015, Engramma dedica un numero agli “abbecedari” della guerra, con particolare riferimento al trauma che colpì l’Europa con la guerra 1914-1918: il titolo “Figli di Marte. Warburg, Jünger, Brecht” è lo stesso di una mostra allestita a Venezia (Iuav, spazio Gino Valle (28.4.2015 / 8.5.2015). Il tema veniva così introdotto: “I figli del pianeta divengono, secondo la felice definizione warburghiana, gli ‘sbandati figli di Marte’ (si veda la Tavola C del suo Bilderatlas). In Warburg stesso, per altro, si potrebbe riconoscere quello spirito inquieto, sconvolto dal trauma della Prima guerra mondiale (che oppone la Germania, sua patria di nascita, all’Italia, sua patria di elezione), proprio degli ‘sbandati figli di Marte’ nell’età contemporanea”. Nell’esposizione e nel numero della rivista la scelta era stata mirata: “Convocare tre straordinari protagonisti del Novecento europeo, come Aby Warburg, Bertolt Brecht, Ernst Jünger, a intrecciare i loro sguardi e i loro pensieri sulla guerra, sulla memoria e sul potere delle immagini. I tre intellettuali tedeschi, diversi e distanti per formazione culturale e impronta ideologica, reagiscono al cataclisma fisico e geopolitico indotto dal conflitto mondiale, con le stesse due mosse: l’investimento sull’immagine, come risposta all’afasia della guerra; il progetto di ricominciare ad articolare parole per il ‘mondo mutato’ iniziando dal sillabario”.

Alla fine del 2015, Engramma dedicava un numero al martirio di Palmyra considerando la guerra in Siria “un tragico avamposto del sommovimento che sta sconvolgendo la geopolitica del Mediterraneo e dell’Europa”. L’Editoriale di quel numero, in cui sono pubblicati anche stralci dello spettacolo “Omaggio di Venezia a Palmyra تدمر . Canto per immagini, parole suoni”, finiva con una testimonianza dell’ultimo difensore della città, l’archeologo Khaled Al Asaad:

“Sarebbe ridicolo e vile andarmene da Palmyra”: le parole di Khaled Al Asaad sono semplici e perfette. E se forse è vero che, come scrisse Bertolt Brecht in Vita di Galileo, “Unglücklich das Land, das Helden nötig hat”, in questo tempo segnato dalle contraddizioni e dal conflitto abbiamo davvero bisogno di parole e di esempi eroici come quelli di cui l’archeologo di Palmyra ci ha lasciato testimonianza: di quello stile di coraggio civile che, direbbe Hannah Arendt, è “virtù politica per eccellenza”, avvertiamo l’urgente necessità.

In chiusura della presentazione di quel numero, rispondendo all’abusato aforisma di Bertolt Brecht, scrivevamo: “Ma felice è il popolo che può annoverare fra i suoi eroi l’archeologo Khaled Al Asaad”.

Marzo 2022, ed è di nuovo tempo di guerra. Questa volta la guerra è molto più vicina, non solo per la geografia ma per la titanica invasione mediatica e per la violenza dell’occupazione dello spazio del pensiero. La guerra ci fa orrore ma la risposta non può essere un facile pacifismo, né si può essere pacificati o arresi allo stato delle cose. Una definizione di pace al negativo, come assenza di conflitto, non serve a impedire le stragi e le distruzioni. Questo numero di Engramma nasce come risposta all’attacco che la guerra sempre muove alla ragione e all’intelligenza critica: perciò ospita una serie di interventi di figure rilevanti nel panorama culturale italiano, ma il suo motore è un altro, ovvero l’urgenza di articolare una viva forma della militanza psichica in un lavoro scientifico svolto in forma corale.

La prima sezione di questo numero speciale è dedicato a James Hillman al quale, per le sue riflessioni su Ares, abbiamo affidato il ruolo di Arianna, per avere un filo da seguire in questo nostro labirinto contemporaneo. Ares e quel terribile amore per la guerra. Una lettura di James Hillman mette insieme una presentazione del volume dedicato al “terribile amore per la guerra” pubblicata in Engramma (n. 45, 2005) al momento della sua pubblicazione italiana e una silloge di passi del capitolo dedicato a Ares nel volume Figure del mito.

La terza sezione del numero raccoglie interviste e interventi di intellettuali italiani che parlano con voci dissonanti rispetto ai cori da stadio che inquinano i sensi e ottundono l’intelligenza critica. In un dialogo a distanza che si può intrecciare tra i contributi che abbiamo raccolto, Nadia Fusini vede con orrore che “Qualcosa del passato, non digerito dalla storia, erutta a sproposito”; Luciano Canfora ribatte: “Il pericolo gravissimo è la prospettiva immediata”; e come ci ricorda Lorenzo Braccesi: “L’impegno dello storico: attendere i dati e condannare la propaganda”. Moni Ovadia afferma che questa è la stagione in cui prevale “Il buio di senso”; Massimo Cacciari riconosce nello scontro in atto “Un altro capitolo della guerra civile europea”. E infine Salvatore Settis pronuncia il suo No deciso e argomentato sul tema cruciale per l’“avvenire delle nostre scuole” e, più in generale, per l’etica e i fondamenti della cultura europea: “Sanzioni culturali contro Mosca. No a una scelta inaudita”.

Il cuore del numero di Engramma è però la Galleria di immagini, a cura del Seminario Mnemosyne, divisa in capitoli e introdotta da una presentazione che segna i bordi e intona il registro del nostro gioco. Feri Mavortis imago: il volto del feroce Marte fa mostra di sé nei cadaveri e nelle macerie che occupano il paesaggio fisico e mentale di questi giorni; il fronte della battaglia prende i nomi delle città e dei territori da difendere, o da annettere, o da riconquistare, o da liberare; l’armamentario bellico è fatto della sempre nuova e variegata gamma di macchine per la distruzione di vite e di monumenti che l’uomo, con macabra fantasia, continua a inventare. Ma il vero campo di battaglia, il fronte condiviso e conteso dagli schieramenti belligeranti, è il territorio dell’immaginario, l’obiettivo primo e ultimo che va espugnato e invaso con ogni mezzo. Perciò l’arsenale bellico è fatto anche e soprattutto di immagini: è una gara ad arruolare le icone sacre, a sfogare il pathos in cartoline di pornografico romanticismo, a reclutare eserciti di bambini deportati recta via dai video-game a nuove crociate di fanciulli, a comporre ‘nature morte’ di corpi e di oggetti tradotti in istantanee pubblicitarie, a inventare nuovi simboli e nuove insegne (I. Arruolare le icone; II. Romanticismo pornografico; III. La crociata dei fanciulli; IV. Still Dead; V. In hoc signo). L’ultimo capitolo, e l’ultima domanda, è se le immagini fanno comunque segno, e se possono tornare utili all’esercizio della storia e della memoria: un caso specifico – la morte nel 2014 del giornalista Andrea Rocchelli, reporter nel Donbass – è la testimonianza di una potenza e di un’energia dell’immagine non liquidabile e non censurabile (VI. Immagini malgrado tutto).

Tutti appunti per una tavola warburghiana che ruota intorno alle immagini e alle figure del potere. La luce di Marte che brilla su questa guerra illumina chiaramente quale sia il teatro, quali il genere e la scena: i signori della guerra sono la compagnia di giro di un circo che sarebbe comico, se non fosse macabro. Titani, ballerini (aspiranti titani ed ex ballerini) e a completare la terna – profetizzava James Hillman – sta “il Vecchio Re dal cuore raggelato, malato di senescenza, disseccato dal consumo di vita. Il Vecchio Re ha solo paura – paura di cambiare. Guardalo in viso: il Vecchio Re ha paura!”. Sulla scena del teatro del potere, un corpo gonfio di narcisismo o rinsecchito per senilità. Feroce è lo show di personaggi da avanspettacolo che fanno a gara con ringhi sbraiti proclami, cercando soltanto di far saltare il tavolo – per interesse, per corruzione, per paranoica irresponsabilità, per demenza. O semplicemente perché non sanno fare altro. Il titano, il ballerino e il re decrepito: è l’eterna, e sempre interscambiabile, trinità caricaturale – tronfia di hybris, tronfia di esibizionismo, tronfia di boria monarchica.

Ma per comporre una tavola warburghiana è necessario, prima di tutto, lasciare tempo al pensiero. Ritmare, prima di tutto, distanze e spaziature. Per questo, per ora, questi materiali – la Galleria e gli approfondimenti – sono solo Appunti per una tavola di Mnemosyne.

English abstract

Since its first issues, Engramma has come to terms with images in war. In 2001, after the attack on the Twin Towers; in 2015, an issue dedicated to the abecedaries of Aby Warburg, Bertolt Brecht, and Ernst Jünger; at the end of 2015, an issue on the martyrdom of Palmyra, dedicated to the archaeologist Khaled Al Asaad. But already since 2008 Engramma has hosted various contributions and devoted several monographic issues to the protection of cultural heritage, wartime destruction and post-war reconstruction. March 2022 – and it is war time again. The first section of this special issue is dedicated to James Hillman and his reflections on Ares and the "terrible love of war". The third section collects interviews and interventions by Italian intellectuals who speak with voices that are dissonant with the stadium choirs that pollute the senses and dull critical intelligence: Nadia Fusini, Luciano Canfora, Lorenzo Braccesi, Moni Ovadia, Massimo Cacciari, and Salvatore Settis. At the heart of this issue of Engramma, you can find an Image Gallery, edited by Seminario Mnemosyne in six chapters: I. Enlisting Icons; II. Pornographic Romanticism; III. The Crusade of the Children; IV. "Still Dead"; V. In hoc signo; VI. Despite everything, Images.

keywords | Ukraine War; Images and War; Sons of Mars.

Per citare questo articolo: Figli di Marte 2022. Immagini in guerra. Editoriale di Engramma 190 a cura di Monica Centanni e la Redazione di Engramma, “La Rivista di Engramma” n. 190, marzo 2022, pp. 7-12 | PDF dell’articolo

To cite this article: Figli di Marte 2022. Immagini in guerra. Editoriale di Engramma 190 a cura di Monica Centanni e la Redazione di Engramma, “La Rivista di Engramma” n. 190, marzo 2022, pp. 7-12 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.190.0001