"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

201 | aprile 2023

97888948401

La visita di Warburg nel Nuovo Messico

Fritz Saxl*

English version (1957) | English abstract

1 | Warburg con un Pueblo (da F. Saxl, Lectures, plate 231).

Aby Warburg, fondatore dell’Istituto Warburg, era, al momento della morte (il 26 ottobre 1929), impegnato nei preparativi del ventiquattresi­mo Congresso americano di antropologia. Aveva riposto in questo congres­so molte speranze e aspettative poiché, offrendo la sua biblioteca come sede del convegno, intendeva saldare un vecchio debito. Si era sentito profonda­mente obbligato verso gli etnologi americani fin dall’epoca del suo ritorno dal viaggio negli Stati Uniti (1896), che aveva giocato un ruolo decisivo nella sua vita [Fig. 1].

Non è facile comprendere di primo acchito le ragioni di questo fatto. Un visitatore occasionale troverà soltanto un piccolo numero di volumi nella biblioteca, e poche immagini nella raccolta fotografica, attinenti alle ricerche di antropologia. Con le sue quattro sezioni principali dedicate alla storia dell’arte, della religione, delle scienze naturali e della filosofia, del linguaggio e della letteratura, oltre che alla storia politica e sociale, la bi­blioteca appare espressamente rivolta alle ricerche sulla storia della civiltà in generale. Essa sarebbe necessariamente incompleta per la ricerca antro­pologica e non potrebbe offrire che strumenti molto limitati a uno studioso di culture primitive. Tuttavia è impostata su problemi particolari, più che generali. E pretende la completezza solo quando si occupa di problemi par­ticolari. Uno di questi – che possiamo considerare il nostro problema cen­trale – riguarda il modo in cui l’antichità classica influenzò le civiltà me­dievali e moderne dell’area mediterranea. Sembrerebbe perciò che l’Istituto si interessi soprattutto dell’Europa. Perché dovrebbe includere tra i suoi interessi anche l’antropologia americana, e perché sarebbe stato necessa­rio agli occhi del fondatore? Credo che il modo migliore di rispondere a questa domanda consista nel descrivere l’evoluzione delle concezioni di Warburg. Questa non è solo una questione di carattere biografico; infatti lo sviluppo della biblioteca è intrecciato a quello delle idee e della perso­nalità di Warburg, e se noi studiosi piú giovani speriamo di conservare nell’istituto lo spirito con cui egli Io fondò, è perché egli ci ha insegnato che i nostri problemi riguardano in ultima analisi sia questo vecchio mondo sia il nuovo. Ho detto ‘in ultima analisi’ perché in primo luogo dovrò di­stogliervi dai pellerossa e condurvi sulla scena europea. Egli infatti doveva all’America la capacità di guardare alla storia europea con gli occhi di un antropologo.

Warburg non aveva un interesse originario per gli indiani americani: aveva cominciato al contrario con delle ricerche sulla storia dell’arte fioren­tina. Ma ciò che lo attirava a Firenze era qualcosa di abbastanza diverso da ciò che attrae gli storici abituali dell’arte. Egli non si proponeva di com­prendere l’individualità di un artista o la genesi del suo stile. Non si in­teressò mai di problemi come l’attribuzione di un dipinto a questo o a quel maestro, o le diverse opinioni sulla storia architettonica della catte­drale di Firenze. Anche se il suo lavoro si basava in gran parte sull’uso degli archivi dedicati a problemi di storia dell’arte, non vi rovistava alla mera ricerca di nuovi documenti. Anche la storia dell’arte fiorentina nel suo complesso non lo interessò mai in quanto tale. Il suo interesse si limitava a un singolo periodo relativamente breve che, tuttavia, gli appariva come un’epoca di enorme importanza dal punto di vista della storia dell’umanità; si tratta dei decenni che concludono il quindicesimo secolo, la fioritura del cosiddetto primo Rinascimento, il periodo di Botticelli, Pollaiuolo e Ghirlandaio. Quel periodo vide la più vigorosa rinascita dell’antichità classica in terra d’Europa [Fig. 2], ma differiva completamente, nel modo di trattare i clas­sici, dal diciottesimo secolo. Nel quindicesimo secolo — e questa fu l’os­servazione da cui muoveva la ricerca di Warburg — il termine ‘classico’ non significava “nobile semplicità e serena grandezza” (Winckelmann [1755] 1825, 34). Ciò che il diciot­tesimo secolo chiamava lo stile classico ‘ideale’ non era apparso al primo Rinascimento nella stessa luce. Che cosa intendeva allora con ‘antichità’ tale periodo? Warburg dedicò i primi anni della sua vita fiorentina a setacciare e a sistemare il materiale necessario per chiarire questo proble­ma. Penso che non ultimo dei suoi meriti sia l’essersi rivolto all’antropo­logia degli indiani americani per aiutarci a risolverlo.

2 | Filippino Lippi, Tre Ninfe, fine XV- inizio XVI sec. Oxford, Christ Church Cathedral (da F. Saxl, Lectures, plate 232a). 
3 | Cleo Jurino, Disegno cosmologico, 1896, Santa Fé (da F. Saxl, Lectures, plate 232b).
4 | Quaresima fiorentina, incisione su rame, 1475/1490, Firenze, Galleria degli Uffizi (da F. Saxl, Lectures, plate 232c). 

A cavallo tra il 1895 e il 1896 Warburg fu negli Stati Uniti: si trattava di un viaggio agli archetipi. Il primo Rinascimento aveva trovato i suoi modelli nell’antichità pagana. E per riuscire a penetrare il paganesimo clas­sico, uno storico non può fare esperienza più proficua di un viaggio in terra pagana. Warburg era stato allievo non solo degli storici dell’arte Justi e Janitschek ma anche di Usener, vale a dire di quella scuola tedesca di storia delle religioni che, come Frazer in Inghilterra, cercava di compren­dere i testi classici e le origini delle religioni greca e romana tramite il pa­ganesimo vivente. Fu proprio come allievo di Usener che Warburg si recò a Santa Fé, a Albuquerque e nel distretto di Mesa Verde. Ebbe la fortuna di trovare nei dirigenti della Smithsonian Institution delle persone in mas­simo grado desiderose di consigliarlo e di assisterlo, e mantenne per loro un sentimento di gratitudine per tutta la vita. Nel territorio indiano, fu colpito profondamente soprattutto da due esperienze, alla cui luce comin­ciò a comprendere i suoi problemi relativi alla cultura europea. Da un lato, ebbe occasione di assistere ai rituali dei festival indiani, alle danze che erano palesemente una espressione di emozioni religiose; dall'altro, ebbe modo di osservare il formarsi e la trasmissione dei simboli.

Warburg si occupò soprattutto del serpente come simbolo del fulmine. Perché il fulmine [Fig. 3], è rappresentato da un serpente e in che modo si può ricostruire l’elaborazione di questa forma simbolica? Questa era la prima domanda; con quale forza l’immagine ‘serpente’ riuscirà a sopravvivere una volta che sia stata formata? È ancora viva, anche nei luoghi in cui le influenze europee prevalgono?

Warburg cominciò a rendersi conto che il formarsi di un simbolo, come il ‘serpente’ per il fulmine, deve essere compreso come un atto di illu­minismo. L’indiano spaventato cerca di rendere intellegibile l’apparire del lampo confrontandolo al serpente, un essere che può afferrare fisicamente. O piuttosto, si può dire che le due cose si fondono – perché è caratteristico che nel ragionamento dell’indiano il ‘come’, che mantiene distinte le due parti di un paragone, venga omesso: per lui, il fulmine ‘è’ il ser­pente. Ha la stessa forma guizzante del serpente quando fugge via; è il suo nemico mortale allo stesso modo del serpente. Eguagliando i due es­seri gli diventa possibile afferrare l’intangibile. In altri termini, un simbolo serve a circoscrivere un terrore senza forma. Esso scaturisce dalla sensa­zione di sgomento di fronte al pericolo, e diviene la difesa dell’uomo contro ciò che non è conosciuto. Giacché il fulmine non può essere controllato, mentre il serpente, anche se capace di produrre terrore, può essere pa­droneggiato. Può diventare parte dello stesso corpo umano – voi sapete che i danzatori Walpi tengono in bocca i serpenti nel corso della danza – può essere ingoiato e fatto diventare un messaggero della pioggia.

5 | Sandro Botticelli, Giuditta con la testa di Oloferne, Amsterdam, Rijksmuseum (da F. Saxl, Lectures, plate 233a).
6 | Menade frenetica, rilievo in stucco, I secolo d.C., Roma, Basilica sotteranea di Porta Maggiore (da F. Saxl, Lectures, plate 233b).

Warburg escogitò un esperimento per misurare il potere che risiede in tali simboli perfino nella nostra epoca. Chiese a un insegnante di lingua inglese di Keam’s Canyon di raccontare ai suoi scolari indiani una storia in cui c’è un uragano – la storia di Giannino guard’ in aria. I bambini dovevano illustrare il racconto; lo scopo dell’esperimento era stabilire se qualcuno di quei bambini indiani americanizzati avrebbe rappresentato il fulmine con il simbolo del serpente. I vivaci disegni che ne risultarono so­no oggi in possesso del Museo etnologico di Amburgo. Com’era naturale, la maggioranza dei bambini rappresentò il fulmine nella sua forma stiliz­zata; ma due su quattordici utilizzarono il simbolo indistruttibile del ser­pente con la testa a forma di freccia, proprio come i loro antenati erano soliti rappresentarlo nelle pitture sulla sabbia nel santuario sotterraneo di Kiwa [Fig. 7, 8].

Mediante Jacob Burckhardt, di cui – fin dai suoi anni di università – aveva amato, ammirato e riletto tante volte La civiltà del Rinascimento in Italia, Warburg aveva grande familiarità con i festival paganeggianti del Rinascimento fiorentino. Dopo il suo ritorno dall’America Warburg li con­siderò con occhi differenti. I cortei in maschera con i loro carri, gli stessi Canti carnascialeschi di Lorenzo de’ Medici, gli apparivano come la pro­genie di quelle danze a cui aveva assistito nella Mesa Verde. Si rese conto che il significato dei giochi pagani del Rinascimento è in ultima analisi la loro tonalità religiosa. Cominciò a comprendere perché, per il primo Rinascimento, l’antichità classica significasse un più profondo senso del movi­mento, perché la vita ricalcata sui modelli classici si esprimesse nell’esul­tante atmosfera delle rappresentazioni festive; infatti le tracce in cui il mondo antico sopravvive contengono i residui delle straordinarie espe­rienze emotive dell’umanità primitiva. I cerimoniali orgiastici degli Zuni si annidano nei Canti carnascialeschi [Fig. 4]. Il risveglio dell’antichità nel primo Rinascimento, segnalato dall’intensificazione della gestualità nella vita e nell’arte, significava un rinnovarsi di quelle forme di espressione ed alta intensità che traggono origine in alcune delle più profonde emozioni e desideri dell’umanità.

7 | Fulmine sotto forma di serpente, disegno di uno studente nativo (da F. Saxl, Lectures, plate 234a). 
8 | Nuvole e fulmini, mosaico di sabbia Moki (da F. Saxl, Lectures, plate 234b).

Si deve in parte alle esperienze di Warburg in territorio indiano, dove aveva cominciato a comprendere il significato della simbologia del serpente e della sua capacità di sopravvivenza, se egli divenne lo storico di quelle immagini simboliche che il mondo antico aveva creato, e che sopravvivono nell’Europa moderna. Una delle figure più tipiche del primo Rinascimento è quella di Giuditta che impugna la testa di Oloferne, “la cacciatrice di teste”, come Warburg la chiamava [Fig 5]. Egli trovò il modello pagano di questa immagine nella menade invasata seguace di Dioniso [Fig. 6]. Diviene qui chiaro in modo quasi misterioso quanto i fenomeni americani siano strettamente con­nessi a quelli europei; e si può anche vedere come l’interpretazione war­burghiana dell’arte scaturisca dalla sua esperienza tra gli indiani. Le forme simboliche sono coniate nella profondità dell’esperienza umana: il serpente è il simbolo del fulmine, la cacciatrice di teste quello della donna invasata nel suo trionfo sul maschio. Questi simboli hanno il potere di limitare e condensare la paura e lo sgomento; e poiché essi sorgono dalla profondità, e allo stesso tempo riescono ad articolarla, sopravvivono in quello strano medium che Warburg e altri hanno chiamato la memoria sociale (Hering [1870] 1921, Semon 1908, Butler 1877 e 1880, si veda anche Lee 1923 e Hartog 1924). Il ser­pente-fulmine vive ancora nella mente dei bambini indiani americanizzati; la menade appare nella Firenze del primo Rinascimento come una figura cristianizzata, una formula per quella intensa emozione fatta rivivere dall’antichità classica.

Indubbiamente la tradizione in America significa qualcosa di diverso dalle civiltà mediterranee. Mentre là può restare costante, qui parliamo di una rinascita classica quando essa si manifesta dopo un periodo in cui l’antichità giocava una parte minore, o almeno diversa. Gli artisti fiorentini del quindicesimo secolo, che avvertivano la povertà espressiva nella tradi­zione dei loro immediati precursori, si rifacevano alle formule del passato pagano per aumentare i loro poteri. Per usare un parallelo dallo sviluppo dei linguaggi: essi trovavano i loro superlativi, per così dire, basandosi su radici linguistiche estranee (Osthoff 1889). Ma, indipendentemente dai diversi mezzi con cui il conio delle forme espressive è lasciato in retaggio alle diverse cultu­re, i processi di formazione e di trasmissione sono comuni sia all’America sia all’Europa. È in questa prospettiva – e solo in questa – che possiamo in ultima analisi comprendere perché nella Firenze del quindicesimo secolo l’‘antichità’ significasse un più profondo senso della vita e un maggior potere di espressione artistica.

Le ultime ricerche di Warburg si estesero oltre il campo della storia del­l’arte fino a comprendere la divinazione pagana nel Rinascimento. Egli stu­diò il revival delle classiche nozioni riguardanti il nesso tra individuo e cosmo, e l’influenza sull’uomo degli spiriti e dei dèmoni astrali che si an­nidano in tutto l’universo. Nel loro rinascere nell’astrologia e nella magia, egli riconobbe un parallelo con la rinascita di quei prototipi della passione che erano stati creati dai greci e dai loro successori romani. Anche in que­sto caso ci imbattiamo in problemi di dimensione più ampia di quella eu­ropea, familiari agli americanisti quanto agli storici del Rinascimento italiano. Ma nei suoi ultimi anni Warburg non si occupava piú della psico­logia dei popoli primitivi. In quanto storico, egli cercava di definire il significato dell’universo pagano del pensiero nel quindicesimo secolo e il suo influsso sulle personalità individuali; e cercava anche di rintracciare le fasi del percorso lungo il quale le idee della tarda epoca pagana erano state trasmesse alla Spagna medievale e al Rinascimento italiano. Egli segui l’iti­nerario di queste idee nel loro viaggio verso nord, fino alla cerchia di Lutero.

Dei fatti che le sue ricerche hanno messo in luce, vorrei qui ricordarne solo uno, forse il più sorprendente ed illuminante di tutti. Martin Lutero nacque il 10 novembre 1483. Su questo fatto egli stesso non aveva dubbi. Sua madre morì nel 1531, e chiunque avrebbe potuto rivolgersi a lei per questa informazione. Nondimeno esisteva una generale controversia sulla data della nascita di Lutero. Un simile atteggiamento verso la realtà può sembrare meno stupefacente all’americanista di quanto non lo sia per lo storico della Riforma. Infatti, i cosiddetti primitivi considerano spesso i fatti conosciuti in base all’esperienza come una questione di secondaria importanza. C’era gente che credeva che Lutero fosse nato nel 1484, mentre altri si attenevano alla vera data del 1483. Anche le opinioni sull’esatta ora di nascita di Lutero erano discordanti. Il motivo della contro­versia era il seguente. Nel febbraio 1484 una particolare costellazione oc­cupava il cielo; i pianeti Giove e Saturno si congiungevano nel segno dello Scorpione [Fig. 9]. Questa era la costellazione sotto il cui influsso, secondo l’opi­nione degli astrologi piú autorevoli, sarebbe nato un profeta. Cosi i suoi amici consideravano Lutero come un riformatore, mentre i suoi nemici lo consideravano come un perturbatore dell’ordine spirituale, la cui venuta era stata predetta dalle stelle. Perfino il suo amico Melantone, che aveva avuto la possibilità di consultare la madre di Lutero sull’esatta data di nascita, teneva per un fatto stabilito che Lutero fosse il profeta del 1484; e lo stesso facevano i suoi avversari cattolici.

Qui diviene chiaro ancora una volta quanti insegnamenti Warburg, stu­dioso di storia europea, avesse tratto dal suo viaggio americano. Le sue esperienze gli avevano infatti consentito di conoscere l’esistenza di simili doppie verità, e di comprendere che per l’uomo del Rinascimento, non meno che per gli indiani, esistevano due regni di fatti in una certa misura indipendenti l’uno dall’altro: il mondo dell'esperienza razionale e quello della magia. Quando essi vengono in conflitto la verità magica può sopprimere quella empirica anche nell’Europa del sedicesimo secolo.

9 | Giove e Saturno nella costellazione dello Scorpione, xilografia da Johannes Lichtenberger, Pronosticatio, Wittenberg 1527, 515 (da F. Saxl, Lectures, plate 234c).
10 | Mosè e il serpente di bronzo e Crocifissione, miniatura da Biblia Pauperum del 1340-1350, Weimar, Cod. max. 4 fol. 6v (da F. Saxl, Lectures, plate 234d).

Sembra quasi naturale che questo tema, America ed Europa, venga an­che discusso nel primo volume degli Studies del nostro Istituto. Nel suo Die Begriffsform im mytischen Denken E. Cassirer descrive i fenomeni ti­pici del ragionamento basato sulle associazioni. Gli Zuni assegnano al Nord guerra e distruzione, al Sud matrimonio e medicina, all’Est magia e reli­gione (Cushing 1892 e 1920, Cassirer 1922, 22 e sgg. e 57 e sgg.). Si tratta della stessa struttura, in cui la coordinazione prende il posto del pensiero concettuale, per cui l’astrologia collega una stella con una divinità, attribuendole qualità ed effetti specifici, come il calore o l’umi­dità, e la collega con determinati metalli, malattie, professioni ed età. Warburg cercava di comprendere come storico e psicologo ciò che Cassirer cercava di descrivere in termini filosofici. Warburg aveva compreso la vita e l’arte del Rinascimento alla luce della sua esperienza americana. Cassirer usava i dati offerti dall’antropologia per spiegare il pensiero pre-empirico in Europa prima dell’epoca di Galileo.

In una delle sue conferenze più toccanti Warburg una volta tentò di dimostrare l’affinità tra lo spirito indiano e quello europeo. Egli seguì il simbolo del serpente dagli Zuni al Laocoonte e alla storia biblica del ser­pente di bronzo che la cristianità considerava come simbolo della morte sacrificale di Cristo [Fig. 8]. Dopo aver parlato del simbolo del fulmine negli orna­menti Pueblo e della danza Humiscachina, mostrò la famosa danza del serpente eseguita dagli indiani che tenevano dei serpenti vivi in bocca durante un rituale. Qui i serpenti non vengono sacrificati. Ma, per effetto della dedica religiosa e della effettiva mimica della danza, essi sono tra­sformati in messaggeri che, inviati per ritornare alle anime dei morti, crea­no il temporale nel cielo in forma di fulmine. 

Amburgo, Istituto Warburg, inverno 1929-1930.

*Pubblichiamo il testo della conferenza Warburgs Besuch in Neu-Mexico, pronunciata da Fritz Saxl alla Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg nell’inverno 1929/1930 e pubblicata, nella sua traduzione inglese, con il titolo Warburg’s Visit to New Mexico nel 1957 (F. Saxl, Lectures, London 1957, 325-330). La prima (e unica) traduzione italiana del testo – a firma di Alessandro Del Lago – è pubblicata nel 1984 in “aut aut” (numero 199-200 (gennaio/aprile 1984), 10-16) e qui riproposta, nella sua prima edizione digitale. 

Riferimenti bibliografici
  • Cassirer 1922
    E. Cassirer, Die Begriffsform im mytischen Denken, Leipzig 1922. 
  • Butler 1877
    S. Butler, Life and Habit, London 1877. 
  • Butler 1880
    S. Butler, Unconscious Memory, London 1880.
  • Cushing 1892
    F.H. Cushing, Outlines of Zuñi Creation Myths, XIII Report of the Bureau of American Ethnology, 1891-1892.
  • Cushing 1920
    F.H. Cushing, Zuñi Breadstuff, New York 1920.
  • Hartog 1924
    M. Hartog, Introduction, in S. Butler, Unconscious Memory, London [1880] 1924, IX-XXV.
  • Hering [1870] 1921
    E. Hering, Über das Gedächtnis als Eine allgemeine Funktion der organisierten Materie, ristampato in Fünf Reden, Leipzig 1921.
  • Lee 1923
    V. Lee, Introduction, in R. Semon, Mnemic Psychology, London 1923. 
  • Osthoff 1889
    H. Osthoff, Vom Suppletivwesen der indogermanischen Sprachen, Heidelberg 1889.
  • Semon 1908
    R. Semon, Die Mneme als erhaltendes Prinzip im Wechsel des organischen Geschehens, Leipzig 1908.
  • Winckelmann [1755] 1825
    J.J. Winckelmann, Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bilhauerkunst, in Sämtliche Werke, Donauöschingen 1825, vol. I. 
     
English abstract

We publish the text of the lecture Warburgs Besuch in Neu-Mexico, delivered by Fritz Saxl at the Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg in the Winter of 1929-1930 and published in its English translation Warburg’s Visit to New Mexico in 1957 (F. Saxl, Lectures, London 1957, 325-330). The first (and only) Italian translation of the text —by Alessandro Del Lago— was published in 1984 in “aut aut” 199-200 (January April 1984), 10-16 and it is here published in its first digital edition.

keywords | Jacob Burckhardt; Fritz Saxl; Hermann Usener; Aby Warburg; Social Memory; Serpent Ritual.

Per citare questo articolo / To cite this article: F. Saxl, La visita di Warburg nel Nuovo Messico, “La Rivista di Engramma” n. 201, aprile 2023, pp. 191-199 | PDF of the article 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.201.0007