"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Le conseguenze della festa

Comportamenti trasgressivi durante e dopo il simposio nella pittura vascolare greca di età arcaica e classica

Ludovico Rebaudo

English abstract

1 | Simposiasti che suonano e cantano con pane e altro cibo posato sui tavolini davanti alle klinaiKantharos monoansato attico a figure nere, assegnato alla Classe dei kantharoi monoansati. Provenienza ignota, ca. 500 a.C. New York, Metropolitan Museum, 06.11.4 (foto Metropolitan Museum).

Il simposio, una festa anomala

Un volume pubblicato di recente evidenzia l’importanza della convivialità privata – cioè del simposio – nel sistema delle feste della società greca arcaica e classica (van den Eijnde, Blok, Strootman 2018). Per la sua pervasività il simposio costituisce, come è stato osservato, una sonda con cui è possibile esaminare le istituzioni della polis a tutti i livelli: dall’oikos ai diversi tipi di affiliazione religiosa e professionale, dalle strutture istituzionali ai rapporti con le altre poleis e, da un certo momento in poi, con le monarchie ellenistiche (van den Eijnde 2018, 2-3). Tuttavia, è interessante notare che il simposio greco del VI e del V secolo a.C. si distingue dalle feste di fasi cronologiche e culture contermini per una caratteristica che in termini antropologici risulta anomala: la prevalenza del vino sul cibo. La letteratura antropologica, all’interno della quale lo studio dei rituali festivi è uno sviluppo recente, ha evidenziato questa singolarità (v. Bibliografia). Se in generale la festa è una riunione di persone impegnate in un consumo straordinario di cibo (‘commensalità’) e bevande (‘convivialità’), in tutte le culture la commensalità prevale sulla convivialità, sia come durata che come importanza simbolica. Lo si constata nell’età palaziale micenea (Fox 2012, 66-111; Weilhartner 2017; Pullen 2017; Earle 2019 [Phylakopi]; Georgiadis 2020 [Rodi]), nella prima età del ferro greca (Fox 2012, 112-189; Alexandridou 2018 [Atene]; Vlachou 2018 [Amykles]; Christakopoulou 2020 [Stamna]), persino a Sparta nel pieno V secolo, dove il simposio ha caratteristiche peculiari (Rabinowitz 2009). In questi contesti, e anche in altri (Kistler 2017 [Etruria]), il cibo era al centro dei rituali rappresentativi del prestigio dei gruppi sociali. Al contrario, nelle città greche il cibo era un elemento accessorio che poteva essere consumato – e in molte occasioni lo era [Fig. 1] – ma non ne costituiva il momento principale. Quando il simposio era accompagnato da un pasto formale (deipnon), questo aveva luogo prima (Musti 2001, 7-9; Węcowski 2014, 28). Fino all’ultimo quarto del V secolo la preminenza della convivialità sulla commensalità distingue il simposio privato dalle feste religiose pubbliche non meno della partecipazione, che era numerosa e volontaria nelle feste (ad es. gli adepti di un determinato culto), circoscritta e selezionata nei simposi (ad es. un gruppo di pari o i membri di una associazione: v. Bibliografia). La riprova che si tratti di una sostanziale anomalia ci è fornita dal fatto che dal tardo classicismo le forme del simposio tornano progressivamente a normalizzarsi, cioè a lasciare sempre maggiore spazio alla commensalità, al punto che per l’età ellenistica è stato coniato l’appellativo di simposio-festa: a evidenziare come le riunioni private adottassero ormai regolarmente abitudini e comportamenti che in precedenza avevano caratterizzato le cerimonie pubbliche (Lynch 2018, 234).

Simposio e ubriachezza

Dato che il simposio arcaico e classico coincide con il consumo del vino, ci interessano le conseguenze che tale consumo produceva negli individui: l’ubriachezza (v. Bibliografia). La teologia mediterranea conosce ubriachi celebri, come il dio Ugaritico El o il patriarca biblico Noah (Sarpi 2012). La lirica arcaica greca è a sua volta piena di riferimenti, ma una vera riflessione sembra nascere solo più tardi, nell’ambito della scuola peripatetica, che, a quanto riusciamo a dedurre dagli scarsi frammenti, si è occupata delle questioni relative all’etica del simposio: il valore rituale del bere e la considerazione sociale dell’ubriachezza (v. Bibliografia). Questo è per noi il nocciolo della questione: com’era percepita dalla società greca del VI e del V secolo l’ubriachezza derivata dal simposio?

Semplificando, nei poeti arcaici si individuano due tendenze di segno opposto: da una parte l’incoraggiamento a bere senza ritegno come rimedio contro i mali dell’esistenza; dall’altra l’esortazione a non esagerare per godere di piaceri più decenti (Itgenshorst 2015, 76-78). Il più noto invito a bere della tradizione lirica è il fr. 346 di Alceo, nel quale, all’esortazione a non “aspettare le lucerne”, segue il consiglio di bere una coppa dopo l’altra di vino poco diluito, perché il vino è stato concesso da Dioniso agli uomini perché dimenticassero gli affanni. Si tratta di un invito a ubriacarsi, ripetuto più esplicitamente nel fr. 335: “la miglior medicina per coloro che hanno portato il vino è ubriacarsi”. Un buon esempio del precetto opposto è l’invettiva di Archiloco contro un ospite non invitato, al quale il ventre pieno di “vino non miscelato” (χαλίκρητον μέθυ) ottenebrava il cuore e la ragione. Ma il testimone più importante è il fr. 356 PMG (= 356 Campbell = 356 Bernsdorff = 33 Gentili) di Anacreonte (questioni testuali: Gentili 1958, xxii; Pretagostini1982; Palmisciano 2019). È costituito di due strofe che Ateneo riporta una di seguito all’altra e che dovrebbero appartenere allo stesso componimento, dato che sono collegate dalla locuzione προελθών (“proseguendo”), riferita al poeta (così Pretagostini 1982, 47-48, note 4, 5 con bibliografia; contra Palmisciano 2019, 18-19).
 

A          ἄγε δὴ φέρ᾿ ἡμὶν ὦ παῖ
             κελέβην, ὅκως ἄμυστιν
             προπίω, τὰ μὲν δέκ᾿ἐγχέας ὕδατος,
             τὰ πέντε δ᾿ οἴνου
             κυάθους ὡς ἀνυβρίστως
             ἀνὰ δηὖτε βασσαρήσω.

B         ἄγε δηὖτε μηκέτ᾿ οὕτω
           πατάγῳ τε κἀλαλητῷ
           Σκυθικὴν πόσιν παρ᾿ οἴνῳ
           μελετῶμεν, ἀλλὰ καλοῖς
           ὑποπίνοντες ἐν ὕμνοις.

A            Su, ragazzo, portaci
              la coppa, che io beva tutto
              d’un fiato, versa dieci mestoli
              d’acqua e cinque di vino,
              cosicché legittimamente
              mi scatenerò come una Bassaride.

B            Su, non più così
              con urla e schiamazzi
              la bevuta scitica presso il vino
              tiriamo in lungo, ma fra begli
              inni beviamo con misura.

Nella prima parte (A) Anacreonte esorta il giovane schiavo a portare il recipiente per bere e a miscelare l’acqua e il vino in rapporto di due a uno, una proporzione ‘carica’ (v. Bibliografia), di modo che, dopo aver bevuto d’un fiato (ἄμυστις, cfr. Call. fr. 178, vv. 11-2), possa abbandonarsi al baccanale. Nella seconda parte (B) la prescrizione è opposta: smettiamo di bere come Sciti e di schiamazzare, beviamo invece con misura (ὑποπίνειν), cantando begli inni. “Bere come sciti” (l’espressione usata da Anacreonte, Σκυθικὴ πόσις, significa letteralmente “bevuta scitica”) era un modo di dire proverbiale che equivaleva a “bere vino puro”, in riferimento alla storia del re spartano Cleomene, che secondo Erodoto (VI, 84; cfr. Athen. X, 427a-b) divenne pazzo per aver imitato gli Sciti nel bere il vino non diluito (Lissarague 1990b, 7; Cerri 1991; De Siena 2012, 31). Non sappiamo quale fosse il consiglio finale di Anacreonte, ma dato che i due comportamenti sono trattati paritariamente nel frammento, anche dal punto di vista lessicale, è probabile che entrambi riflettessero opinioni condivise. Non credo si possa accogliere una recente proposta, secondo la quale l’insofferenza per il bere troppo sarebbe stato l’atteggiamento dominante (Itgenshorst 2015). Come qui, i richiami alla moderazione sono più spesso indirizzati contro il bere il vino puro che contro il bere in sé, poiché il vero spauracchio erano i malanni che pativa chi era intossicato dal vino troppo forte (Villard 1988b, 451-453; Osborne 2014). Lo stesso è stato osservato nel Lazio arcaico (Gras 1983, 1067-1068). Una lettura in senso moralistico della tradizione è quindi sicuramente forzosa e unilaterale. Senza contare che in certi casi la presa di posizione contro il bere rifletteva semplicemente posizioni conservatrici. Penso a Crizia, che in un famoso passo contrappone i “sobri” lacedemoni agli ateniesi “ubriaconi” (fr. 88 B 33 Diels-Kranz = 338A F 10 FGrHist, ap. Athen. XI 463 e–f), oppure al passo delle Leggi (II, 666a-b) in cui Platone regolamenta l’accesso al vino in base all’età. In definitiva, le due posizioni riflettono l’eterna e mai risolta diatriba fra trasgressivi e benpensanti, una delle costanti antropologiche della cultura occidentale.

Trasgredire è onorare Dioniso

A noi interessa ciò che Anacreonte dice nella prima parte del fr. 356. Il verbo usato per descrivere il baccanale dopo la bevuta è ἀναβασσαρεῖν, che significa “agire come le Bassaridi”, cioè come le menadi di Tracia, le più selvagge e furibonde fra le seguaci di Dioniso. È evidente che Anacreonte parla di un comportamento trasgressivo e senza freni, ma questo comportamento è dal suo punto di vista ἀνυβρίστως, “privo di hybris”, dunque “legittimo” (sul concetto di ὑβρις applicato al simposio: Murray 2018b, 199). L’avverbio, che deriva da una congettura di J.C. de Pauw generalmente accolta (Pretagostini 1982, 48), mentre il testo tràdito sarebbe ὠς ἄν᾽ ὑβριστιῶσανα (da cui PMG, ad loc: ὡς ἀν᾽ †ὑβριστίως†), è sembrato problematico a molti commentatori. In realtà mi pare non solo spiegabile, bensì ovvio. Se infatti abbandonarsi a Dioniso attraverso il vino era una forma di culto e la baldoria era assimilata alla possessione dionisiaca delle baccanti, come implica l’uso di ἀναβασσαρεῖν, qualsiasi comportamento finiva per rientrare nei limiti che il contesto rituale rendeva leciti; nei limiti della “moralità cultuale”, secondo una definizione recente (Rostad 2020, 58-62). Non è certo un caso se Anacreonte attinge al lessico religioso anche la definizione di ciò che si canta dopo la bevuta moderata: ὕμνοι, non ἀοιδαί, quindi canti in onore degli dei, secondo la nota definizione delle Leggi platoniche (700b): “vi era un genere di canto che costituiva delle preghiere per gli dei, e ad esso davano il nome di inni” (τι ἦν εἶδος ᾠδῆς εὐχαὶ πρὸς θεούς, ὄνομα δὲ ὕμνοι ἐπεκαλοῦντο). Tutto questo si circoscrive in una concezione dell’ubriachezza che può essere formulata così: i comportamenti estremi sono ἀνυβρίστοι perché rientrano nella sfera religiosa; gli ubriachi che si abbandonano alle intemperanze non fanno altro che mettere in campo un rituale dionisiaco. Il fatto che i comportamenti trasgressivi siano rappresentati con compiacimento sulla ceramica, cioè sugli oggetti che si usavano durante i riti stessi, è strettamente correlato a questa concezione. Naturalmente non è detto che la logica fosse condivisa da tutti. L’insofferenza da parte di chi non aveva voglia di subire le conseguenze delle intemperanze altrui doveva essere ben viva: la legislazione repressiva frequentemente richiamata aveva solide motivazioni (Murray 2018b; Murray 2018c).

Ubriachi in azione

Ragionevolmente ci sono due momenti in cui gli ubriachi si scatenavano: nella fase finale del simposio, dopo la bevuta, all’interno dell’andròn o comunque nello spazio privato che aveva ospitato i simposiasti (struttura e allestimento degli andròn: Morgan 2011); più tardi durante il komos, quella sorta coda facoltativa della festa, durante la quale i partecipanti si riversavano ubriachi in strada, suonando, cantando, danzando e schiamazzando nei modi più vari (Isler Kerenyi 2007a; Green 2007; Visconti 2009-2010, 25-65). La tradizione letteraria è ricca di allusioni all’ubriachezza ma avara di dettagli sui comportamenti reali. Al contrario, nella pittura vascolare del VI e del V secolo le rappresentazioni sono abbondanti sia per numero che per varietà. Combinando i documenti testuali e figurativi si ricava un quadro abbastanza completo di ciò che accadeva.

Le scene di ubriachezza durante il simposio ricorrono soprattutto sui vasi attici prodotti a cavallo fra VI e V secolo. Sono di vario tenore: vi si possono osservare feste dignitose, come quella descritta nella seconda parte del frammento di Anacreonte, ma anche baldorie sfrenate e orgiastiche, per le quali il termine ἀναβασσαρεῖν non sarebbe sprecato. Dato che esiste un’ampia bibliografia su questo punto e che i vasi più noti sono stati commentati molte volte (Lissarague 1990a; Lissarague 1990b; Luce 2003; Catoni 2010; Iozzo 2012; Catoni 2017; Murray 2018a, 107-131; Ferrara 2019), mi limito a ricordare un documento che merita molta maggior attenzione di quella che ha ricevuto. Si tratta di una coppa di tipo B proveniente da Vulci dipinta nel primo o nel secondo decennio del V secolo e attribuita al Pittore di Brygos (Londra, British Museum, inv. 1866,0805.4: BAPD 203927, su cui Cohen 2000, 193; Hubbard 2014a, 132; Itgenshorst 2015, 95; Murray 2018b, 182). Sul lato principale [Fig. 2] un ragazzo in ginocchio sulla kline colpisce tutto quello che ha intorno con un otre vuoto, che usa come una mazza. Il suo vicino, che sta per ricevere il colpo, è lanciato in un ballo orgiastico al ritmo del flauto. Il busto rovesciato all’indietro e la gamba sollevata in una specie di calcio da kick-boxing non appartengono al repertorio delle pose codificate della danza; il suo è un agitarsi forsennato, un susseguirsi di movimenti senza controllo piuttosto che un ballo formale, per quanto eccitato dal vino (Visconti 2009-2010, 44-65; Smith 2020, con bibliografia).
 

2 | Comportamenti trasgressivi durante il simposio. Coppa attica a figure rosse attribuita al Pittore di Brygos (lato A). Da Vulci, 490-480 a.C. London, British Museum, inv. 1866,0805.4 (foto British Museum).

Sul lato B [Fig. 3], malauguratamente in condizioni peggiori, troviamo l’immagine più iconica della trasgressione sessuale di tutta la pittura vascolare attica, se non di tutta l’arte greca: un giovane piegato in avanti in uno scorcio estremo che ci mostra ostentatamente ano e genitali. Sarebbe inutile cercare confronti per questa posa tra l’osceno e l’irridente, perché non ne troveremmo. È probabile che si tratti di un invito per gli altri simposiasti, alludendo in questo modo alla più proverbiale delle conseguenze dell’ubriachezza: l’eros. Una rappresentazione più iconica dell’ubriachezza da simposio sarebbe impossibile.
 

3 | Comportamenti trasgressivi durante il simposio: giovane ubriaco che si offre. Coppa attica a figure rosse attribuita al Pittore di Brygos (lato B, particolare). Da Vulci, 490-480 a.C. London, British Museum, inv. 1866,0805.4 (foto British Museum).

La pratica sia etero- che omo-erotica è associata con tale frequenza al simposio che possiamo considerarla un topos (Visconti 2009-2010, 172-206; Robson 2013, 47-49; Corner 2011; Corner 2014; Hubbard 2014). Le scene si compiacciono di un repertorio di situazioni, che in qualche caso hanno un riscontro nella tradizione scritta.
 

4 | Avances di un simposiaste adulto a un giovane schiavo. Coppa attica a figure rosse firmata da Hegesiboulos come poietés (lato B). Provenienza ignota, ca. 500 a.C. New York, Metropolitan Museum, inv. 07.286.47 (foto Metropolitan Museum).

Un esempio classico sono le molestie a un giovane schiavo, come nella coppa firmata dal poietés Hegesiboulos (New York, Metropolitan, Museum, inv. 07.286.47 [Fig. 4]), celebre soprattutto per la rappresentazione nel tondo interno, dove un uomo anziano dai tratti orientali è accompagnato da un cane maltese (Moore 2008). Questo comportamento tutto sommato triviale, che costringe il ragazzino a difendersi, è attribuito a Sofocle da Ione di Chios (ap. Ath. XIII, 603e). Un altro esempio sono le avances a un’etera di proprietà di un altro partecipante, come nel celebre caso di Neaira, che, pur essendo proprietà di Phrynion, intrattiene rapporti con Stephanos e con molti uomini, dopo essersi ubriacata (Ps.-Demost. 59, 33: v. Bibliografia).

Indecenze comiche

Ma più delle pratiche trasgressive di fine del simposio, dal nostro punto di vista sono interessanti quelle cui gli ubriachi si abbandonavano dopo, durante il komos. Il komos è uno dei soggetti più frequentemente rappresentati nella ceramica greca: comune a tutte le scuole, raggiunge numeri impressionanti sia nella ceramica corinzia, in cui fa la sua comparsa tra il Protocorinzio Recente e il Corinzio Antico, cioè tra il 620 e il 600 a.C., sia in quella attica, dove esplode all’inizio del VI secolo su un tipo di coppe derivate da quelle corinzie (Coppe dei Comasti) e prosegue ininterrottamente fino al IV secolo (v. Bibliografia). Il principale motivo di interesse delle scene di komos è che costituiscono una delle manifestazioni più antiche, se non la più antica in assoluto, dello spirito comico greco (Natale 2008; Wannagat 2015). Fin dai primi documenti la rappresentazione è convenzionale: sequenze di danzatori di aspetto grottesco, vestiti di un corto chitone senza maniche, con il ventre e i glutei prominenti [Fig. 5], che si muovono con gesti enfatici. In più, fra i danzatori sono presenti zoppi e storpi con una frequenza che lascia quasi stupefatti. Se avessimo bisogno di conferme per la lettura in chiave comica delle rappresentazioni, questo sarebbe l’argomento definitivo (Wannagat 2015, 45-66). È stato persino proposto di considerare il komos una sorta di parallelo dei fregi animalistici: la rappresentazione di un mondo immaginario nel quale le regole dell’agire umano lasciano il posto a un sistema di valori lontano e mostruoso (Isler Kerenyi 2007b, 19).
 

5 | Comasti danzanti. Aryballos corinzio attribuito al Pittore dei Comasti di New York. Provenienza ignota, Corinzio Antico, 620-590 a.C. New York, Metropolitan Museum, 06.1021.17 (foto Metropolitan Museum).

Una circostanza è degna di attenzione: la danza dei comasti, pur se grottesca, non ha di solito nulla di osceno. Non che manchino le eccezioni, dato che alla danza si mescolano talora attività sessuali esplicite o molestie più o meno scherzose, ma si tratta di numeri che a confronto con la quantità di rappresentazioni di sola danza risultano piccoli (Visconti 2009-2010, 172-226; Wannagat 2015, 96-117). Ancor più rare sono le rappresentazioni di risse e zuffe, come in una celebre coppa di Onesimos (San Pietroburgo, Hermitage State Museum, В2110 [651]: BAPD 203327, su cui Murray 1990, 185; Cohen 2000, 192). Mancano del tutto, infine, gli atti di vandalismo, che invece dovevano essere frequenti, dato che i comasti passavano facilmente dalla baldoria gioiosa alla violenza. Quando Aristofane mette in scena nelle Vespe un gruppo di ateniesi che inseguono Philokleon con l’intenzione di linciarlo, dopo che costui nell’ebbrezza del komos aveva saccheggiato le loro proprietà (vv. 1225-1449), ironizzava certamente su una situazione familiare (Pütz 2003, 165-166).

È invece interessante osservare che la trasgressione si manifesta in forme che non ci saremmo aspettati: la necessità di defecare, orinare e vomitare, ovvero con la rappresentazione degli effetti diretti del troppo bere. Questi comportamenti triviali, che in una trentina abbondante di casi si mescolano alla danza ripartiti fra la ceramica corinzia, attica e beotica, non sono stati catalogati e commentati in modo sistematico. La cosa non stupisce: la loro incompatibilità con la nostra idea di decoro, sostanzialmente coprofobica, è un fattore dissuasivo. Eppure esse meritano attenzione per due ragioni. In primo luogo, perché permettono di capire fino a che punto nel contesto rituale del dopo-simposio la moralità cultuale rendesse leciti comportamenti che l’etica quotidiana respingeva decisamente (Angelakis, Koutsoyiannis, Tchobanoglous 2005, 201-211, con analisi della terminologia). In secondo luogo, perché lo spirito comico intrinseco al komos offriva agli artigiani l’occasione di enfatizzare anche i comportamenti più disgustosi. Mi riprometto di trattarne in altra sede (Rebaudo c.s.), ma alcuni esempi sono necessari per completare il nostro quadro.

La scena più antica è eccezionalmente precoce. Un aryballos ancora protocorinzio nello stile (località ignota, collezione privata) mostra un comaste in posizione frontale e a gambe larghe, probabilmente intento a defecare, anche se le dimensioni ridottissime impongono di essere cauti (Isler-Kerényi 1988, 272-273; Isler-Kerényi 2007, 12-13). Il fatto che il soggetto ritorni nei decenni successivi è un indizio a favore dell’interpretazione in chiave coprologica. Nella produzione corinzia successiva la defecazione è richiamata in modo allusivo, come qualcosa che appesantisce dall’interno la tunica ripiegata dei comasti [Fig. 6]. Per quanto poco vistosa, non può sfuggire la trivialità di questa soluzione, dato che il danzatore si porta addosso il poco piacevole fardello lungo tutto il suo percorso di danza, cosa che avrà suscitato il disgusto degli adepti di comportamenti simposiali più moderati.

6 | Comasti che defecano durante la danza. A sinistra: aryballos corinzio (particolare). Da Cuma, 580-570 a.C. Londra, British Museu, inv. 1884,1011.48. A destra: hydria attica a figure nere (particolare). Provenienza ignota, 520-500 a.C. Non attribuita. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, inv. 50425 (da: Wannagat 2015).

La tradizione attica è addirittura più esplicita: la defecazione è rappresentata con tanto di dettagli realistici, ovvero di deieizioni che cadono dal corpo del comaste, come su un’hydria a figure nere di provenienza ignota della seconda metà del VI secolo (Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, inv. 50425: BAPD 43377, su cui Dasen 1993, 167, tav. 61.1a-b; Wannagat 2015, 126-127).

L’attenzione dei ceramografi è attratta anche dagli inconvenienti più direttamente correlabili al bere: il vomito e la minzione. Un kantharos di produzione beotica del primo quarto del VI secolo, proveniente dalla necropoli di Rhitsona (Tebe, Archaiologikò Moussio Thivòn, inv. 6809: BAPD 1012266, Wannagat 2015, 85-87), è probabilmente l’attestazione più antica: un comaste che vomita in mezzo ai compagni danzanti, mentre un altro orina in un’oinochoe tenuta in mano da un individuo adulto molto piccolo, probabilmente uno schiavo nano [Fig. 7]. 
 

7 | Un comaste vomita reggendosi il capo. Kantharos beotico (lato A, particolare). Da Rhitsona (Beozia), 580-570 a.C. Tebe, Archaiologikò Moussio Thivòn, inv. R 86.274 (da Wannagat 2015).

Quasi tutte le rappresentazioni di questo tipo si concentrano in un periodo abbastanza breve, fra la fine del VI e il primo quarto del V secolo, in cui questo tipo di trasgressione coprologica incontrava evidentemente un particolare favore, almeno ad Atene. Non può essere un caso che si tratti degli stessi decenni in cui si affollano le scene più esplicite di ubriachezza nel simposio, come la coppa londinese del Pittore di Brygos che abbiamo già discusso [Figg. 2, 3]. Il compiacimento per la trasgressione rituale sembra toccare in questa fase il punto più alto.

La serie dei comasti che vomitano conta, a mia conoscenza, una quindicina di documenti prodotti dai principali artigiani dell’epoca: il Pittore di Andokides e il Pittore di Nikoxenos (bilingui), il c.d. Proto-Panaetian Group, Onesimos, il Pittore di Brygos, il Pittore della Fonderia, il Pittore della Dokimasia (Rebaudo c.s.). Le scene di minzione sono poco meno numerose: una decina, di cui due hanno come protagonista una donna, certamente un’etera. Una rarità, quest’ultima, cui è stata attribuita una dimensione voyeuristica, che potrebbe avere avuto origine nell’officina del Pittore di Dikaios (kalpìs Parigi, Musée du Louvre, inv. G 51), un pioniere interessato al tema della presenza femminile (Kilmer 1993, 146; 150-151, cat. R531; Sutton 2000, 193). Non si può non notare che le scene di minzione posseggono un contenuto comico intrinseco, perché il comaste orina immancabilmente in una oinochoe. L’allusione è chiara: il vino torna da dove è venuto, ma la sua sostanza è nel frattempo mutata e di sicuro non è più attraente come prima. Vale ad esempio uno dei vasi più tardi: la magnifica chous attribuita al Pittore di Oionoklès proveniente da Atene (Malibu, J.P. Getty Museum, inv. 86: BAPD 10147, su cui Kilmer 1993, 60, 63; Clark, Gaunt 2002, tav. 22a; Bundrick 2009), in cui lo schema è quello più spesso adottato per questo tipo di situazione, quello del giovane schiavo che regge l’oinochoe di fronte al comaste ubriaco, in questo caso stranamente itifallico [Fig. 8].
 

8 | Comaste che orina assistito da un giovane. Chous attica a figure rosse (lato principale). Da Atene, ca. 480 a.C. Attribuita al Pittore di Oionoklès. Malibu, California, The J. Paul Getty Museum, inv. 86.AE.237.

L’attenzione degli artigiani dell’inizio del V secolo per queste forme di incontinenza trasgressiva trova un riflesso nella letteratura comica. Non è il caso di richiamare qui le scene della Pace, delle Vespe e del Pluto di Aristofane, estremamente eloquenti ma troppo recenti rispetto alle immagini vascolari; esse valgono comunque a mostrare che il pubblico ateniese aveva una familiarità di lungo periodo con simili comportamenti. Ma scendere alla fine del secolo non è necessario. Ben prima di Aristofane la commedia allude ad essi in modo riconoscibile. Un frammento di Epicarmo di Kos (fr. 146, ap. Athen. II 36 c–d) li inserisce in una serie di eventi legati al bere (Rosenbecker 2015, 88-90):

† ἐκ μὲν θυσίας θοίνα
ἐκ δὲ θοίνας πόσις ἐγένετο. (Β) χαρίεν, ὥς γ’ ἐμοὶ ⟨δοκεῖ⟩.
(Α) ἐκ δὲ πόσιος κῶμος, ἐκ κώμου δ’ ἐγένεθ’ ὑανία,
ἐκ δ’ ὑανίας δίκα, ⟨’κ δίκας δ’ ἐγένετο καταδίκα⟩,
ἐκ δὲ καταδίκας πέδαι τε καὶ σφαλòς καὶ ζαμία.

(pers. A) dal sacrificio nasce la festa,
dalla festa nasce il bere [...] (pers. B) Mica male, secondo me!
(A) Dal bere nasce il komos, dal komos la maialeria,
dalla maialeria la denuncia, dalla denuncia la condanna,
dalla condanna le catene, i ceppi, la punizione.

L’enumerazione è impostata secondo una climax che va dal meglio al peggio, o se vogliamo dalla maggiore alla minore dignità dei comportamenti. Il punto più alto è la celebrazione del sacrificio augurale (θοίνα), il più basso le catene (πέδαι) e i ceppi (σφαλòς) che attendono il simposiaste ubriaco. Sacrificare e bere sono cose positive, come sottolinea il personaggio B, ma confluiscono nel komos, alla fine del quale c’è il carcere. Komos e comportamenti trasgressivi sono strettamente correlati, potremmo quasi dire che coincidono, perché durante il komos ha libero sfogo la ὑανία dei simposiasti. Epicarmo non avrebbe potuto usare un termine più eloquente. La ὑανία e il suo equivalente attico ὑηνία, derivate per aferesi di συανία/συηνία (da σῦς*), definiscono il comportamento proprio dei maiali (ingl. swinishness) e, metaforicamente, i comportamenti umani indecenti. Aristofane utilizza il termine nello stesso significato nella scena finale della Pace, quando il coro degli ateniesi dichiara di voler evitare le “maialerie” di Theogenes durante il komos del banchetto nuziale: ἵνα μὴ γένηται Θεογένους ὑηνία (v. 928). Non c’è bisogno di chiedersi in che cosa consista realmente tale ὑηνία: le scene vascolari parlano chiaro. Certo, l’ambito semantico del termine era vasto, e poteva includere le varie forme di intemperanza sessuale e gli atti di vandalismo: quanto meno così ci suggerisce Aristofane. Ma che vi rientri la gamma di ritualità escrementizie e scatologiche che piaceva ai ceramografi è fuori discussione.
 

Per concludere 

Questo lavoro non ha una vera e propria conclusione. Il suo scopo era richiamare l’importanza sugli aspetti meno noti della trasgressione rituale nell’ambito del sistema simposio/komos attraverso la loro tradizione iconografica. Ciò che emerge dall’analisi è lo stretto legame con lo spirito dionisiaco, inteso come elemento moralizzante delle azioni trasgressive e con la visione comica del mondo, che fornisce la chiave per la lettura delle immagini.
 

Riferimenti bibliografici

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Festa pubblica e festa privata | Differenze fra la festa pubblica, prevalentemente a carattere religioso, e il simposio privato in Grecia: Schmitt-Pantel 1990; Erickson 2011. Lo stesso in altre culture: Twist 2015 (Çatalhöyük, Turchia, Neolitico); Otto 2015 (Tall Bazi, Mesopotamia, Bronzo Recente).

Simposio e preparazione del vino | La bibliografia sul simposio e sulle questioni tecniche relative al vino (preparazione, consumo, lessico) è ovviamente sterminata. Rimando ai testi usati in questo lavoro: Murray 1990; Orfanos, Carrière 2003; Murray 2009; Menghini 2012 (spec. Moscato 2012); Hobden 2013; Węcowski 2014; Dickmann, Heinemann 2015; Węcowski 2017. Sulle diverse ricette di diluizione del vino, in particolare: Mau 1900, coll. 613-614 (ancora fondamentale); Longo 2000, 265-268; Cianferoni 2012, 70; Lissarague 1990b, 23-27.

Ubriachezza e riflessione sull’ubriachezza | Sul tema dell’ubriachezza nel mondo antico lo studio più organico è Villard 1988a, che mi è risultato inaccessibile; ho consultato Villard 1988b, che ne costituisce un breve sunto. Utili anche Cerri 1991 e i saggi contenuti in Jouanna, Villard 2002. Più recentemente: Itgenshorst 2015, le cui tesi sono discutibili; Anghelina 2017 (sintesi). Sulla riflessione nell’ambito della scuola peripatetica, in generale: Fortenbaugh 1984, 324-335. Abbiamo notizia di un περὶ μέθης (Sull’ubriachezza) di Aristotele (frr. 99-111 Rose; Petrova 2020), che potrebbe essere tutt’uno con il περὶ συμπωσίου (Sul simposio) della lista di Diogene Laerzio (Fortenbaugh 2015, 101), a dimostrazione del fatto che le nozioni di simposio e di ubriachezza tendevano a coincidere. Il terzo libro dei Problemata physica pseudo-aristotelici contiene 35 discussioni περὶ οἰνοποσίας καὶ μέθης (Sul bere vino e l’ubriachezza), ma tratta solo di problemi fisiologici (Cavarra 2002; Fortenbaugh 2015). Nel III secolo a.C. tre esponenti importanti della scuola scrissero ciascuno un περὶ μέθης: Teofrasto (frr. 569-79 FHS&G; Fortenbaugh 2012, 372-374; Fortenbaugh 2015, 101-102), Cameleonte di Eraclea (frr. 9-13 Wehrli; Fortenbaugh 2012, 372-386) e Ieronimo di Rodi (frr. 28-30 White; Fortenbaugh, White 2019, 150-155).

Neaira e la prostituzione delle etere | La vicenda di Neaira è commentata in relazione alla pratica della prostituzione tra la fine del V e il IV secolo a.C.: Hamel 2003, con discussione delle fonti; inoltre: Glazebrook 2005; Müller 2018.

Komos e tradizione iconografica | Classificazione delle Coppe dei Comasti: Brijder 1983. In tempi recenti tradizione figurata è stata indagata da T.J. Smith, che ha prodotto due studi fondamentali: Smith 2007, sulle varianti regionali, e Smith 2010, che contiene un catalogo delle rappresentazioni in età arcaica. Della medesima studiosa sono alcuni contributi specifici: Smith 2000 (comasti nello spazio del simposio); Smith 2003 (comasti nella ceramica attica a figure nere all’inizio del V secolo); Smith 2014 (comasti nella ceramica attica a figure rosse); Smith 2020 e Smith 2021 (comasti e danza). Si v. anche: Isler Kerenyi 2007b, 12-14; 17-44; Steiner 2009.
 

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English abstract

Between the early sixth and late fifth centuries BCE, Corinthian and Athenian vase painters depicted on their vessels some male individuals (to a much lesser extent feminine) indulging in trivial actions during symposium and komos. The scenes are discussed as images of ritual behavior, induced by Dionysian drunkenness and according to Anacreon anhybrìstos (licit). It is emphasized that they are among the earliest manifestations of the comic spirit in the Greek pictorial tradition.

keywords | Symposium; komos; komasts; drunkenness; defecating; urinating; vomiting; comic spirit.

Per citare questo articolo / To cite this article: L.Rebaudo, Le conseguenze della festa. Comportamenti trasgressivi durante e dopo il simposio nella pittura vascolare greca di età arcaica e classica, ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 197-220 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0098