"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

203 | giugno 2023

97888948401

Architettura e propaganda 

Il Museo delle Navi di Nemi, spunti per una ricerca

Giacomo Calandra di Roccolino

English abstract

1 | I reperti raccolti dal Borghi nel 1895.

2 | Il teatro romano di Trieste “liberato” dalle case medievali.

3 | Il frammento dei Flamini durante l’estrazione e la traslazione dalle fondamenta di palazzo Fiano-Almagià.

4 | L’Ara Pacis ricostruita all’interno della ‘teca’ ancora in costruzione.

5 | Due immagini d’epoca dell’ara Pacis e del Museo delle Navi appena realizzati.

6 | La sistemazione di una delle due navi dopo l’alaggio in una struttura provvisoria.

7 | Planimetria generale del Museo. (cliccare per ingrandire)

8 | Sezione trasversale del Museo. (cliccare per ingrandire)

9 | immagine d’epoca in cui si vedono le travi di raccordo tra le arcate una delle scale a chiocciola

10 | Gli interni del Museo subito dopo la sua apertura

11 | Gli sfollati all’interno del Museo.

12 | Immagine odierna di una delle due aule del Museo.

L’impresa archeologica del recupero delle navi di Nemi era stata tentata fin dalla metà del XV secolo da architetti, studiosi o semplici antiquari. Nonostante i resoconti di Alberti e di De Marchi, la presenza delle navi era rimasta avvolta nella leggenda. Solo con il recupero dei bronzi e degli altri frammenti da parte di Borghi nel 1895, si ebbe una prova tangibile della presenza dei due relitti e si poté stabilirne l’esatta posizione. Da quel momento in poi l’interesse attorno alle navi e al loro potenziale recupero crebbe in tutta Europa, divenendo una delle vicende archeologiche più note e studiate [Fig. 1].

Trent’anni dopo, il regime fascista approfittò di questo interesse generale avviando il recupero e, pur tra mille difficoltà, portandolo a termine con l’inaugurazione del “Museo delle Navi romane” nella primavera del 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia. Nonostante l’entusiasmo che questa ‘impresa’ suscita ancora oggi sia tra gli archeologi, sia tra gli storici, molti aspetti della vicenda sono stati poco studiati e approfonditi: uno di questi è il progetto per il Museo delle Navi, l’edificio progettato e realizzato per proteggere e rendere fruibili le “navi di Caligola” al più vasto pubblico. Questo primo contributo sul tema si colloca nella cornice del progetto di collaborazione avviato di recente tra il Museo di Nemi, lo Iuav di Venezia, l’Università di Roma Tre e altre importanti istituzioni italiane (vedi Centanni, De Angelis, Pallottino in questo stesso numero di Engramma) e mira ad approfondire gli aspetti ancora poco indagati di questa straordinaria vicenda, comprese le fasi del progetto e della realizzazione del Museo.

Una premessa è però necessaria: questa impresa non può essere letta come un episodio isolato, ma dev’essere inserita nel più ampio progetto propagandistico avviato dal regime subito dopo la salita al potere. Il ben noto interesse del fascismo per l’antichità romana non è che marginalmente scientifico, ma è dovuto soprattutto al desiderio di rafforzare il senso di appartenenza alla Nazione e al consolidamento di quell’identità italiana che si cerca di stimolare agendo su vari fronti. L’archeologia deve infatti suscitare negli italiani il sentimento di un’appartenenza nazionale storicamente comune, visivamente riconoscibile.

In alcune città di confine – come ad esempio Trieste, tornata solo da pochi anni all’Italia – lo sventramento di intere porzioni della città medievale per riportare alla luce i ruderi del teatro romano, era finalizzato a riaffermare l’italianità della città della Venezia-Giulia [Fig. 2]. In questa cornice si colloca anche l’allestimento degli scavi di Aquileia, altra città romana della Decima Regio.

L’esaltazione dell’archeologia romana subisce un’accelerazione dal 1936, con la “riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma”. Contestualmente – in preparazione del Bimillenario Augusteo del 1937-1938 – Mussolini si fa promotore di quella che viene definita la sua imitatio Augusti, ovverosia il confronto tra sé e il primo imperatore. Paradossalmente il Duce, in seguito ai venti di guerra sempre più minacciosi che si addensavano sull’Europa, si presenta come Pacificator orbis: l’unico in grado di calmare le mire espansionistiche della Germania nazista.

Come il primo imperatore, Mussolini promuove opere pubbliche che sono, almeno fino all’entrata in guerra dell’Italia, il simbolo della pacificazione e del progresso che vuole instaurare. In questo contesto l’architettura, assieme a quella che possiamo definire “architettura archeologica”, gioca un ruolo fondamentale e viene intesa come un elemento educativo per la popolazione.

La costruzione in pochi anni di un numero elevatissimo di edifici pubblici, oltre ad essere il motore economico che permette all’Italia di superare la depressione, contribuisce all’identificazione della popolazione con la figura del capo del governo. In ogni città e paese viene realizzato almeno un edificio (ufficio postale, Casa del Fascio, Casa del Balilla, ecc..) che diventa segno tangibile della spinta riformatrice del regime.

In quegli anni Mussolini si identifica anche come Restaurator Urbis, e dichiara di voler liberare i monumenti della storia di Roma dalle “incrostazioni parassitarie accumulate in secoli di abbandono” per lasciarli “giganteggiare nella necessaria solitudine” (Mussolini 1951). La Capitale è, infatti, la città in cui più che in ogni altra si concentrarono le azioni di demolizione e sgombero, dove vengono rasi al suolo interi quartieri per perseguire il progetto mussoliniano di creare una “nuova Roma imperiale”, quella evocata in molte occasioni come “la Terza Roma, dopo quella dei Cesari e quella dei Papi”.

Due progetti a confronto

Prima di illustrare il progetto e la realizzazione del Museo delle Navi di Nemi, credo sia interessante accennare brevemente a un'altra ‘impresa’, che presenta molti elementi comuni con l’impresa nemorense.

Mi riferisco al recupero, alla ricostruzione e alla nuova collocazione dell’Ara Pacis Augustae, iniziata contestualmente all’impresa di Nemi alla fine degli anni 1920, che si concluse precipitosamente per essere inaugurata in tempo per la chiusura dell’anno augusteo, il 23 settembre 1938. Ciò che emerge confrontando i due progetti è innanzitutto l’eccezionalità e spettacolarità del recupero. Se nel caso delle navi fu necessario riattivare l’emissario antico del lago e, attraverso l’azione delle pompe idrovore fornite dalla Riva, abbassarne il livello di ben 20 metri per consentire il recupero, nel caso dell’Ara Pacis si sarebbe proceduto al congelamento del fango che ne inglobava i resti a causa della presenza della falda acquifera, e al successivo scavo e estrazione dei diversi frammenti incastrati sotto le fondamenta del palazzo Fiano-Almagià, che vi era stato costruito sopra nel Rinascimento [Fig. 3].

Un altro elemento comune è l’autore delle due architetture che furono costruite per esporre le opere: Vittorio Morpurgo. L’architetto – di famiglia ebraica, tanto da assumere il nome della madre, Ballio, a seguito dell’emanazione delle leggi razziali – non apparteneva alla generazione dei giovani razionalisti laureatisi alla scuola di Roma. Aveva infatti una decina d’anni più di loro e il suo mentore era stato Marcello Piacentini, che aveva caldeggiato con successo la sua candidatura per la cattedra di architettura d’interni presso il Politecnico di Torino.

Anche dal punto di vista tipologico e funzionale gli incarichi affidati a Morpurgo hanno molti elementi comuni. Sia il padiglione in vetro e acciaio progettato per proteggere ed esporre l’Ara, sia il Museo delle Navi si possono ascrivere a un nuovo tipo di edificio museale, con caratteri ben precisi e di cui questi due edifici sono certamente tra i primi esempi in Italia. Si tratta di edifici costruiti per esporre grandi reperti archeologici a breve distanza dal luogo del ritrovamento; considerabili, in un certo senso, un tipo di coperture archeologiche, benché queste ultime siano solitamente costruite in situ [Fig. 5]. Infatti, per evidenti motivi, entrambi gli oggetti furono traslati in luoghi più consoni alla loro visibilità.

La nuova ‘teca’ dell’Ara Pacis fu realizzata in pochi mesi e la sua collocazione urbanistica, accanto ai ruderi del Mausoleo di Augusto, è il frutto di scelte precipitose e travagliate, dettate soprattutto dalla scadenza del Bimillenario Augusteo e dalla necessità di dare un senso alla completa distruzione dell’Auditorium di Roma, che fino al 1936 inglobava i resti del Mausoleo.

Morpurgo fu incaricato sia per il suo ruolo di progettista dell’intera sistemazione urbana di Piazza Augusto Imperatore, sia per la sua esperienza, a quell’epoca ancora in corso, con il museo di Nemi.

L’anastilosi dell’Ara Pacis e la sua sistemazione all’interno della Teca di Morpurgo, segnano dunque un altro importante momento della autolegittimazione di Mussolini a guidare l’Italia [Fig. 4].

Il Museo delle Navi di Nemi

Il recupero e la sistemazione museale delle navi di Nemi fu possibile grazie a un gruppo di uomini e di imprese illuminate oltre che, come si è visto, al contesto storico e politico di quegli anni. Nel 1927 Mussolini, raccogliendo le proposte della commissione voluta da Corrado Ricci l’anno precedente, aveva impartito le sue direttive durante il discorso celebrativo per il suo ingresso nella Società Romana di Storia Patria. Fin dalla prima commissione del 1926 si era auspicato che i materiali recuperati dallo scavo, ma anche i reperti venduti al Museo Nazionale romano da Borghi, potessero essere conservati a Nemi in un museo edificato appositamente sulla sponda pianeggiante del lago, a poca distanza dal luogo in cui le navi erano affondate e si erano conservate per duemila anni. In quel discorso del 1927 Mussolini aveva confermato la volontà di realizzare l’opera, così come avrebbero fatto le successive commissioni ministeriali.

Le navi erano state nel frattempo liberate dal fango e le strutture lignee erano state puntellate ed erano stati costruiti dei supporti lignei per ridurre al minimo le sollecitazioni meccaniche. In seguito ebbe luogo l’alaggio di entrambe le navi su quattro rotaie per spostarle in un’area pianeggiante adiacente al luogo dove sarebbe stato costruito il museo [Fig. 6].

La prima nave fu quindi ricoverata sotto una copertura provvisoria fornita dall’Aeronautica Militare, mentre la seconda fu semplicemente coperta con dei teli. Tra le varie opzioni per la realizzazione della struttura definitiva del Museo, fu presa in considerazione anche quella di utilizzare elementi prefabbricati utilizzati per i ricoveri dell’Aeronautica.

Fortunatamente però, in questo caso, non vi era una particolare urgenza per la realizzazione, al contrario di quanto avvenuto per l’Ara Pacis, e si decise infine di realizzare una struttura definitiva in cemento armato.

Una serie di incidenti e la mancanza di fondi pubblici provocarono una nuova interruzione nel completamento dell’opera. Tutte le figure coinvolte, da Guido Ucelli che aveva dedicato energie e fondi della sua impresa, alle personalità politiche che avevano dato inizio al recupero, cercarono invano delle soluzioni, mentre le strutture lignee romane esposte agli agenti atmosferici andavano degradandosi.

Solo verso la fine del 1933 il Ministero della Marina prese in carico la costruzione di un edificio adatto a ricoverare i due scafi. Non avendo però anch’esso mezzi sufficienti per finanziare l’opera autonomamente, si impegnò a cercare queste risorse presso privati.

Vittorio Morpurgo, che all’epoca non aveva ancora iniziato il suo progetto per Piazza Augusto Imperatore, rispose positivamente a questo appello ed elaborò un progetto preliminare a titolo gratuito. Negli intenti del Ministero, il museo di Nemi sarebbe dovuto diventare il Museo Navale di Roma. Oltre a Morpurgo anche numerosi consorzi industriali offrirono gratuitamente materiali e manodopera.

Sotto la regia del Ministero dei Lavori Pubblici si poté così dare inizio alla costruzione del Museo. L’edificio progettato da Morpurgo si compone di due grandi sale accostate a pianta rettangolare delle dimensioni di circa 80 per 30 metri. Al centro delle due aule si trova una galleria di 10 metri di larghezza, mentre tutto intorno al perimetro corre una corsia di 5 metri. L’intera superficie coperta che presenta una pianta pressoché quadrata di 80 per 80 metri copre quindi una superficie di quasi 6400 metri quadrati [Fig. 7].

Le due grandi aule a tutta altezza sono separate da un livello intermedio corrispondente alla galleria centrale e alle passerelle in quota, che corrispondono alle corsie al piano terra. A questa galleria si accede grazie a due scultoree scale a chiocciola, anch’esse in cemento, poste in asse con l’ingresso ed equidistanti da esso [Fig. 8].

Dal punto di vista figurativo, Morpurgo si ispirò ai cantieri navali storici, come ad esempio gli arsenali medicei di Pisa, realizzati nella prima metà del Cinquecento su progetto di Bernardo Buontalenti, ma anche alle grandi Hallen in cemento armato che in quegli anni venivano esaltate sulle riviste tedesche come Bauwelt e Moderne Bauformen (entrambe riviste possedute da Morpurgo) e nelle pubblicazioni di Ludwig Hilbersheimer.

Ed è proprio il cemento armato che egli utilizzò per realizzare la struttura portante. Questa si basa su uno scheletro costituito da grandi portali in cemento armato gettato in opera con luce di 30 metri; le arcate sono concatenate da robuste travi di raccordo nella parte centrale e con un raddoppiamento dei sostegni sui fronti laterali per consentire l’attraversamento delle gallerie che perimetrano l’intero museo [Fig. 9].

Anche nelle facciate Morpurgo riprese il modello degli arsenali antichi di Pisa e di Venezia ma introdusse nuovi elementi compositivi. Il fronte principale è caratterizzato da due grandi arcate a tutto sesto che, insieme alla finitura a intonaco grezzo color rosso antico e i contrafforti in travertino, conferisce un’aura di monumentalità romana alla facciata principale.

Un ultimo elemento degno di nota è certamente il gioco delle altezze, elaborato per offrire al visitatore diversi punti di vista delle navi. Con pochi gradini ottiene dei ‘bacini’ corrispondenti alla linea di galleggiamento delle navi, offrendo così una prospettiva simile a quella che si sarebbe vista dalle sponde del lago quando le navi potevano ancora galleggiare.

Il trasferimento delle navi all’interno della struttura, lasciata appositamente al grezzo, fu completato nel gennaio del 1936; in seguito fu costruito il fronte principale. Negli anni successivi Morpurgo ebbe modo di occuparsi dei dettagli progettando personalmente le finiture del museo e dando prova della sua competenza nell’allestimento degli interni. Progettò inoltre le vetrine destinate a contenere i reperti, nonché i raffinati e sottili sostegni dei due scafi.

Il museo fu infine inaugurato alla presenza di Benito Mussolini il 21 aprile 1940, giorno del Natale di Roma [Fig. 10].

Nella primavera del 1944 alcuni sfollati dai vicini paesi di Nemi e Genzano si rifugiarono all’interno della struttura, nella speranza di scampare così ai bombardamenti alleati. Il Soprintendente Salvatore Aurigemma organizzò quindi lo sgombero di tutti i reperti trasportabili, che furono nascosti in un luogo sicuro. Ciò non bastò però a scongiurare il disastro e con esso la fine delle navi (sulla vicenda della distruzione delle navi, vedi la recentissima monografia in Altamura, Paolucci 2023 e il contributo degli stessi studiosi in questo numero di Engramma). La struttura portante del museo resistette all’incendio ed esso poté essere riaperto pochi anni dopo, esponendo i pochi reperti che era stato possibile salvare. Le due navi furono ricostruite dal Genio Civile in scala 1:5, potendo fare affidamento sugli accurati rilievi che erano stati fatti dei due relitti [Fig. 11].

Le vicende del Museo delle Navi romane nel secondo dopoguerra sono ancora tutte da studiare, a partire dalla riapertura avvenuta nel 1953, e la ricerca sarà fruttuosa soltanto a patto di incrociare dati e documentazioni diverse da rileggere in un quadro unitario (vedi, e.g., in questo numero di Engramma il contributo di Ilaria Grippa e Christian Toson sui dati che si possono ricavare sullo stato dell’allestimento nei primi anni ’60 da una sequenza del film L’assassino di Elio Petri del 1961; vedi anche il contributo di Filippo Perfetti sul film Lo specchio di Diana di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, del 1996).

Oggi il museo, dopo un restauro avvenuto dal 2014 [Fig. 12], grazie a importanti investimenti ministeriali può diventare un polo culturale di importanza nazionale. Ma per restituire la qualità e la funzione del museo di Morpurgo prima di tutto è necessario recuperare la memoria della sua storia, eccezionale e travagliata – una storia che si intreccia non solo con la storia dell’architettura italiana ma con la storia politica italiana ed europea.

Riferimenti bibliografici

English abstract

The comparison of two of the most important archaeological 'enterprises' of Fascism - the recovery and construction of the pavilion of the Ara Pacis and the recovery of the Nemi Ships and the construction of the Museum of Roman Ships in Nemi - brings to light the role of Fascist propaganda, which helped to make these enterprises possible. The events surrounding the architecture of the Nemi Museum, built like the one for the Altar by the architect Vittorio Morpurgo, offer insights that will be pursued in the coming years thanks to the collaboration between the Nemi Museum, the Iuav of Venice, the Roma Tre University and other important institutions.

keywords | Vittorio Ballio Morpurgo; Museo Nemi; architettura archeologica.

questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e al comitato scientifico della rivista

Per citare questo articolo/ To cite this article: G.Calandra di Roccolino, Architettura e propaganda. Il Museo delle Navi di Nemi, spunti per una ricerca. ”La rivista di Engramma” n.203, giugno 2023, pp. 25-34 |PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.203.0014