"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

211 | aprile 2024

97888948401

Un saggio dimenticato di Fritz Rougemont su Warburg e la “bibliofilia” come strumento scientifico (1930) 

a cura di Monica Centanni, Giacomo Calandra di Roccolino

deutsche Version | English versionEnglish abstract 

Hans Joachim Staude, Fritz Rougemont (1922)

Il nome di Fritz Rougemont è noto agli studiosi di Warburg perché compare come co-curatore, con Gertrud Bing, dell’edizione Aby Warburg, Gesammelte Schriften, pubblicata a Lipsia dall’editore Teubner, nel 1932. Presentiamo qui un suo importante contributo pubblicato nel 1930, a pochi mesi dalla morte di Warburg, nel primo volume di “Imprimatur”, l’annuario della “Gesellschaft der Bücherfreunde zu Hamburg”. 

Nel 1930 la “Gesellschaft der Bücherfreunde zu Hamburg” [Società degli amici del libro di Amburgo] iniziò le pubblicazioni dell’annuario “Imprimatur”. Dopo la cessazione della “Zeitschrift für Bücherfreunde” nel 1936 e l’acquisizione dei diritti di pubblicazione da parte della “Gesellschaft der Bibliophilen”, l’annuario divenne la più importante pubblicazione della società. L’ultimo volume della vecchia serie apparve nel 1954/55; tre anni dopo, nel 1958, fu pubblicato il primo volume della nuova serie, con saggi incentrati sulla cultura libraria veneziana del XV e XVI secolo. Dopo la morte del primo direttore, Siegfried Buchenau, avvenuta nel 1964, la direzione passò a Konrad F. Bauer, Bertold Hack e Heinz Sarkowski: in questa nuova stagione gli interessi bibliografici e le questioni storico-artistiche passarono in secondo piano rispetto ai suggerimenti per i collezionisti. Dal 2003, l’annuario viene nuovamente pubblicato ogni due anni, sotto la direzione di Ute Schneider e si rivolge in egual misura ad antiquari, collezionisti privati, storici del libro, bibliofili e appassionati dell'arte libraria. Gli articoli coprono un'ampia gamma di aree, dal collezionismo, al restauro, dagli incunaboli alle rilegature, fino alle attuali tendenze dell’illustrazione e del design del libro (vedi la pagina web dell’Annuario). 

La fama di Fritz Rougemont (1904-1941) è dunque legata, quasi esclusivamente, alla co-curatela con Bing dell’edizione tedesca degli scritti di Warburg; nelle rassegne di studi su Petrarca, troviamo saltuariamente menzionati il suo lavoro su un ipotetico ritratto del poeta pubblicato nello stesso annuario “Imprimatur” (Rougemont 1937) e l’edizione di alcuni scritti del Petrarca (Rougemont 1939). 

Nel 1929, il giovane Rougemont risulta assunto alla Kulturwissenshaftliche Bibliothek Warburg di Amburgo, per lavorare a una serie di trascrizioni e di traduzioni dall’olandese al tedesco (in particolare per una ricerca sul Barocco di Johannes Albertus Franciscus Orbaan) e in italiano, come riporta Saxl in una serie di lettere a Warburg del 25 febbraio [WIA GC/24956], 22 marzo 1929 [WIA GC/25087], 1 giugno 1929 [WIA GC/25014]. Sul fronte degli studi petrarcheschi, tutto da indagare il rapporto con Arturo Farinelli, che gli invia materiale su Petrarca, come riferisce lo stesso Rougemont in una lettera a Saxl del 5 luglio 1929 [WIA GC/24336], e come si evince in un appunto di Bing del 26 ottobre 1929 (GS Tagebuch, 555).

Fritz Rougemont, comunque, già dal 1927 partecipava alle attività della KBW e in particolare era presente al seminario di Warburg su Burckhardt del seminario estivo di quell’anno (Sears 2012, 38 e n. 1; sul seminario si veda: Roeck 1991, e più in generale sui seminari tenuti da Warburg alla KBW, si veda Seminario Mnemosyne 2007 e Mazzucco 2007). Una lettera tra la direzione dell’Istituto e una assicurazione sanitaria data un contratto di lavoro di Rougemont dal 1 gennaio al 31 maggio 1929 [WIA GC/23110], ma la collaborazione continua certamente, in modo attivo e continuativo, anche nei mesi successivi, come testimoniano gli epistolari e alcuni appunti conservati nel Tagebuch della KBW.

Da un appunto di Warburg della fine del settembre 1929 si intende che a Rougemont era stato affidato un ruolo di peso nel progetto di ordinamento della Biblioteca:

Warburg | Rougemont schon seit Wochen beauftragt, einen vernünftigen Prospekt für die KBW
Warburg | Fritz [...] Rougemont era già stato incaricato da settimane di redigere un prospetto ragionato per la KBW
(ca. 27 settembre 1929, GS Tagebuch, 536)

A quanto apprendiamo da un appunto sullo stesso Tagebuch, la sera del 23 ottobre 1929, Rougemont è con Warburg a discutere su alcune immagini del Picatrix, a cui stava lavorando il gruppo di studiosi della KBW, nella prospettiva di una loro integrazione nell’Atlante. 

Warburg | Nachmittags Ueber Picatrix vor erweitertem Quartett (Mary, Frede, Meyer, Jaffé, Freund, Rougemont). War inhaltsreich und sehr förderlich für Jaffé und Meyer, aber sonst entsprach ich nicht meinen Erwartungen. Hatte vorher Promemoria für von Wrochem geschrieben 
Bing | Der Abend war, wenn er auch gezeigt hat, daß die ganze Frage für den Atlas noch nicht ganz so darstellbar ist, doch sehr lehrreich und als Zusammenarbeit unter lebhafter Beteiligung der andern höchst erfreulich. War auch, für jeden nach seiner Art, folgehaft.

Warburg | Serata su Picatrix davanti a un quartetto allargato (Mary, Frede, Meyer, Jaffé, Freund, Rougemont). Ricco di contenuti e molto positivo per Jaffé e Meyer, ma per il resto non ha soddisfatto le mie aspettative. In precedenza avevo scritto un Promemoria per von Wrochem. 
Bing | La serata, anche se ha mostrato che la questione nel suo complesso non è ancora così presentabile per l’Atlante, è stata comunque molto istruttiva e molto piacevole per la collaborazione e la vivace partecipazione da parte degli altri. È stata anche, per ciascuno a modo suo, coerente.
(23 novembre [sic! vere ottobre] 1929, GS Tagebuch, 552-553).

Evidentemente, il lavoro su questo nucleo tematico non era ancora pronto per essere inserito nell’Atlante, ma la nota costituisce una conferma del fatto che Rougemont collaborava attivamente con Warburg, fino agli ultimi giorni della sua vita, anche sul progetto Mnemosyne.

Due giorni dopo, Warburg appunta:

Warburg | Veranlasse Rougemont die zitierten Quellen als Desiderata einzutragen.

Warburg | Ho chiesto a Rougemont come desiderata di aggiungere le fonti citate.
(25 ottobre 1929, GS Tagebuch, 555)

D’altro canto la conoscenza diretta e approfondita dei materiali di Mnemosyne è confermata da vari spunti presenti nel saggio del 1930 che qui ripubblichiamo; in un passaggio del suo contributo Rougemont scrive:

[Warburg] sammelte er die Literatur, die heutzutage bildhaft zuordnendes Denken in Magie und Astrologie weiterdenkt, sammelte er die Spätlinge antiker Formensprache, Briefmarke und Reklamebild, sammelte photographische Aufnahmen bedeutsamer Ereignisse, Ausschnitte aus der Presse, und endlich jene Zeitungsbilderbogen, die – jüngste Nachkommen des Einblattdrucks – in ihrer wunderlichen Zusammenstellung Charakter und Tendenz der Gegenwart offenbaren. 

[Warburg] raccoglieva la letteratura che si occupa del pensiero figurato nella magia e nell’astrologia, così come i prodotti tardivi del linguaggio formale dell’antico, i francobolli e le immagini pubblicitarie, ma anche fotografie di eventi significativi, ritagli di giornale e infine la pagine illustrate delle riviste che – come ultime discendenti delle stampe artistiche a buon mercato – proprio nella loro casuale e curiosa composizione rivelano i caratteri e le tendenze del presente.
(Rougemont 1930, 17) 

Il riferimento è, con tutta evidenza, ai materiali presenti negli ultimi pannelli dell’Atlante, in particolare agli inserti illustrati tratti dalla rivista “Hamburger Fremdenblatt” inseriti nel montaggio di Tavola 79 di Mnemosyne.

Dagli elementi sopra elencati risulta dunque, con tutta evidenza, che Fritz Rougemont non ebbe, soltanto, l’importante ruolo di co-curatore per l’edizione dell’opera postuma di Warburg del 1932. Prima, nell’ultimo, intenso, anno di vita di Warburg e in particolare nell’autunno del 1929, dopo il ritorno di Warburg e Bing ad Amburgo dal viaggio in Italia, Rougemont fa parte della stretta cerchia dei collaboratori della KBW e partecipa attivamente ai seminari di ricerca, al progetto di ordinamento della Biblioteca, all’impresa in fieri dell’Atlante.

Negli anni immediatamente successivi alla morte di Warburg, all’interno del Warburgkreis Fritz Rougemont doveva avere un ruolo di rilievo se sarà lui a essere designato all’interno del gruppo per affiancare Gertrud Bing nella pubblicazione degli scritti completi di Warburg. La domanda è: per quale motivo la sua figura, e in particolare il saggio importante che qui ripubblichiamo, sono caduti nell’oblio nella letteratura critica degli studi warburghiani? 

Maja Einstein, Fritz Rougemont e Paul Winteler a casa ‘Samos’, Quinto Fiorentino.

La risposta all’interrogativo sta nella spinosa vicenda biografica di Rougemont: nella rarefazione delle notizie, qualche dato sulla sua biografia si rintraccia nei materiali pubblicati nel sito dedicato al pittore Hans-Joachim Staude (1904-1973), che di Rougemont era coetaneo e compagno di scuola ad Amburgo. Nel bel saggio Il pianoforte di Einstein. Una cronologia, Jacob Staude riferisce alcuni dati relativi alla amicizia tra Fritz e il padre che si lasciano così riassumere: nel 1923 dopo la maturità, Fritz mettendosi sulle tracce del viaggio giovanile di Warburg e con l’intento di ripercorrere la sua esperienza di formazione italiana, precede l’amico a Firenze dove conosce Maja Einstein, la sorella di Albert, e diventa intimo della sua cerchia. Maja lo prende sotto la sua protezione e scriverà di lui: “Fritz ha un’anima fine e buona. È l’unica persona che io abbia conosciuto finora, che, non appena si accorge di qualche mio imbarazzo o dolore, sempre fa subito di tutto per procurarmene sollievo. Questo, specialmente in una persona tanto giovane, è davvero una qualità rara”. Negli anni successivi Rougemont fa ritorno ad Amburgo, dove viene coinvolto nella KBW, restando in stretto contatto con Maja e con il circolo degli intellettuali che avevano base a Firenze. Nel 1931 è nuovamente a Firenze, per cinque mesi, con Gertrud Bing per visitare biblioteche e archivi e raccogliere dati per la confezione delle Gesammelte Schriften che saranno pubblicate l’anno successivo. Nel 1933, l’anno dell’ascesa al potere di Adolf Hitler, Rougemont aderisce con grande entusiasmo all’ideologia nazionalsocialista. Nella cerchia degli amici intellettuali, molti di origini ebraiche (come noto Albert Einstein stesso deciderà di non far ritorno in Germania da Princeton), lo sconcerto e l’incredulità per la scelta di Fritz è grande; Maja stessa si rifiuta per molto tempo di credere alla sua adesione al nazismo, e nelle lettere agli amici comuni continua per anni a difendere l’amico contro ogni evidenza, fino a quando anche lei dovrà cedere di fronte al dato oggettivo. Nel 1941 Fritz Rougemont, che ancora nel 1939 aveva inviato a Maja il volumetto con le sue raffinate traduzioni del Petrarca, porta fino in fondo il suo impegno di convinta militanza nazista e cade in battaglia combattendo sul fronte di guerra orientale. Queste le vicende biografiche, e più in generale le coordinate storiche, che hanno causato la decisa damnatio memoriae della figura di Fritz Rougemont cancellando anche, quasi completamente, le tracce della sua attività di studioso. 

Il saggio – che qui pubblichiamo in una nuova edizione della versione originale tedesca del 1930, in prima traduzione inglese, e in prima versione italiana – costituisce una testimonianza primaria sulla particolare declinazione scientifica della “bibliofilia” di Warburg, che illumina in modo originale e con importanti spunti ermeneutici il suo inedito metodo di studio, la sua analisi dei meccanismi della tradizione classica, il tracciante innovativo delle sue ricerche rispetto ai dettami disciplinari vigenti. È un testo denso di complice passione, scritto a caldo, a distanza di pochi mesi da quella serata dell’ottobre del 1929, in cui il giovane Fritz Rougemont era assieme a Warburg, tre giorni prima della sua morte, impegnato a discutere con Bing e gli altri su come integrare le immagini del Picatrix in Mnemosyne.

Bibliografia 
Saggi e curatele di Fritz Rougemont
  • Rougemont 1930
    F. Rougemont, Aby Warburg und die wissenschaftiche Bibliophilie, “Imprimatur” I (1930), 11-17.
  • Rougemont 1937
    F. Rougemont, Ein neues Petrarca-Bildnis, “Imprimatur oder Jahrbuch für Bücherfreunde”, 7 (1937), 11-30.
  • Rougemont 1939
    F. Rougemont (Übersetzt und herausgegeben von), Der Bücherfreund. Eine Auswahl aus Schriften, Briefen und Gedichten Francesco Petrarcas, Berlin 1939.
  • Bing, Rougemont 1932
    G. Bing, F. Rougemont, unter Mitarbeit von F. Rougemont, herausgegeben von G. Bing, Aby Warburg, Gesammelte Schriften, Leipzig-Berlin 1932.
Riferimenti bibliografici

Aby Warburg, una scientifica “bibliofilia” (1930*)

Fritz Rougemont. Traduzione italiana a cura di Giacomo Calandra di Roccolino, Monica Centanni

deutsche Text | English version

Con la morte del professor Aby Warburg (26 ottobre 1929) la “Gesellschaft der Bücherfreunde zu Hamburg” (“Società degli amici dei libri di Amburgo”) ha perduto uno dei suoi dei suoi membri più antichi e più attivi. Non è nostro compito, non ora, non in questa sede, ricordare lo studioso e l’uomo Warburg in tutta la sua profondità, la ricchezza e la versatilità delle sue energie intellettuali. Ma non è neppure opportuno limitarsi a ripercorrere le sue attività all’interno della Società, per quanto vivaci siano state in varie forme, dalla conferenze alle azioni di stimolo. La prima opzione sarebbe troppo ambiziosa, la seconda limitata. Infatti Warburg apparteneva a quella categoria di persone la cui ricchezza, in ogni attività, non si esaurisce nelle azioni che compiono. La loro reale importanza e, allo stesso tempo, l’inestimabile beneficio che gli altri traggono dalla loro vicinanza, sta nel fatto che si tratta di persone che sono più di quello che fanno, che lo stimolo più profondo che possono dare ha radice nella loro stessa esistenza, nelle forze, nelle tensioni, nei problemi che il loro demone li costringe ad affrontare – come accade per noi. Quindi se si deve parlare di un’eredità essa consisterà, semmai, più in compiti da svolgere che in risultati, ovvero del significato che la ricerca di Warburg potrebbe, dovrebbe, avere per il lavoro di chi ama i libri. 

Diciamo subito che fin dalla sua prima giovinezza Warburg stesso è stato un appassionato “bibliofilo”, e che tutto il suo collezionismo, la sua ricerca di libri si basavano su una innata sympatheia animata da una motivazione continuamente rinnovata. In questo Warburg si inserisce in quella lunga schiera di umanisti per i quali, dal Rinascimento fino a Burckhardt, paideia e libri rappresentano un’unità inscindibile. Fu l’etica della paideia, la responsabilità, in altre parole, nei confronti dell’eredità della cultura occidentale antica, che portò Warburg al libro. Per lui il libro era tanto una fonte di conoscenza quanto un modo di auto-educazione e di auto-formazione.

“Il libro – diceva – è uno dei mezzi più misconosciuti di auto-educazione”. E Warburg sapeva leggere: intendeva la lettura in un senso ampio e nuovo, che abbracciava coraggiosamente ogni espressione umana, dalle forme evolute della parola all’immagine preconcettuale. Warburg amava sentirsi circondato dai suoi libri ovunque andasse o si trovasse, nei viaggi brevi o lunghi, ed essi lo accompagnavano anche nei territori più remoti della sua ricerca. Si può dire che con le sue scoperte nel campo della storia intellettuale egli abbia contribuito alla riscoperta del libro e del suo valore come fonte, come documento. La sua tendenza a leggere, ovunque volgesse lo sguardo, aveva radici più profonde di un mero interesse bibliofilo. Né pensava di poter sintetizzare l’interpretazione delle diverse forme di espressione umane attraverso analogie delle une con le altre. Era invece, il suo, un modo particolare di immaginare, che sfondava e confondeva con passione i confini tra le singole “forme” così come li aveva tracciati una attardata geografia della conoscenza, ed era rivolto con determinazione a cercare continuamente nuove distinzioni: questo modo di immaginare gli apriva la comprensione di un mondo storico in cui arte, scienza e religione si intrecciavano, in modo sempre irrisolto, per formare un’unità sotto il dominio del mito e dei suoi simboli. Questi simboli dovevano essere letti, e parole e segni, testi e immagini, dovevano essere riconosciuti come portatori, tutti in egual misura, di quei simboli.

Per uno storico d’arte, quale Warburg era in origine, una tale considerazione del libro non era affatto scontata. L’interpretazione estetica non vorrà mai comprendere l’opera d’arte in quanto tale, a partire dalla sua materialità o dalla vita del suo creatore: la fonte letteraria che fornisce dati su entrambi, è uno strumento di servizio, niente di più. Soltanto la decisiva evoluzione di Warburg da una visione puramente estetica dell’opera d’arte verso una visione culturale-scientifica e iconografica ha abbattuto i vecchi confini: è l’approfondita comprensione di ciò che l’espressione pittorica significa, anche al di là e prima di ogni “arte”, nell’intero simbolismo umano e nella sua storia, nelle sue trasformazioni e migrazioni.

Il pensiero immaginativo non si esaurisce nell’opera d’arte. L’arte nel senso puro dell’estetica è piuttosto una tarda trasfigurazione e umanizzazione della visione mitica generale del mondo. L’arte deve sempre liberare l’immagine dalle catene della magia e dell’astrologia, per poterla trattare nella sua ‘pura luce’. A suo modo, anch’essa partecipa alla battaglia condotta dalla scienza, anche se con una radicalità diversa e secondo principi propri. Con una radicalità diversa: la peculiarità della creazione artistica è quella di non distruggere la formula mitica dell’espressione, ma di assorbire il pathos delle “immagini” elementari – morte, sacrificio, ratto, inseguimento – e di conservarlo in sé in una forma temperata. È questa la peculiarità che è il fondamento del metodo di Warburg. Le opere di Raffaello, Dürer e Rembrandt devono ancora essere viste e analizzate: nella loro geniale unicità, esse sono parte tanto della tradizione del pensiero delle immagini quanto dell’ambito della considerazione storico-artistica.

Va da sé che questa considerazione apre al ricercatore un ricco orizzonte di nuove prospettive. Con una consapevole consequenzialità, tutte le espressioni della vita vengono qui considerate insieme, i loro confini vengono superati per vederle, in ultima analisi, come parte dello stesso processo storico. Il problema di tale emersione, di tale soluzione e liberazione, è quindi iscritto nel cerchio dell’indagine storica. Una volta riconosciuto questo principio, una volta precipitato in una ricchezza di problemi storici tangibili – e questo vale particolarmente per Warburg – nella questione del confronto dello spirito occidentale con l’antica eredità duale – la libertà artistica dell’essere umano e l’oscura credenza nei demoni – allora alla ricerca storico-intellettuale si apre un materiale di fonti “parlanti” che ancora è tutto da elaborare: infatti, fino ad ora, questo era considerato un materiale fragile e incerto, e perciò disprezzato.

Il contenuto patetico di un’opera d’arte entra nel più stretto contatto con i sentimenti e i pensieri, i costumi e le feste, di una comunità sociale, e quindi con quei documenti della vita quotidiana in cui essi hanno trovato una loro espressione diretta e non manipolata. In questo modo Warburg ha cercato, per fare un esempio, di visualizzare il mondo intellettuale della cerchia medicea e dei mercanti fiorentini attraverso lettere e documenti, inventari e testamenti, che gli hanno permesso di comprendere le creazioni di Botticelli e Ghirlandaio. L’intera, movimentata, vita di un’epoca è stata qui “intercettata”, le sue tensioni, come spesso diceva Warburg, “registrate” con la precisione e la sensibilità di un “sismografo”. Il libro diventa parte di questa cerchia di fonti come un fratello minore. Ed è qui che va ricercata la reale importanza di Warburg per la “bibliofilia”: il suo modo, completamente nuovo, di sfruttare il libro per tutti i settori della ricerca storica, in termini di psicologia culturale, non poteva che giovare direttamente allo studio e alla cura sistematica dei libri, come egli stesso aveva auspicato in occasione della riunione fondativa della Società di Amburgo. Certo, la “bibliofilia" propriamente detta, non è compatibile con le arti applicate. Il problema che Warburg coltivava lo portò in una direzione diversa, così come era accaduto parimenti nel campo della sua disciplina specifica, la storia dell’arte: il suo lavoro non si concentrava sul bello, ma sul libro “interessante”, sulla “bibliofilia” in senso non già estetico, ma scientifico.

A prima vista, potrebbe sembrare che Warburg sia stato attirato verso lo strano, il remoto, il curioso per la vaga passione di uno spirito eccentrico. Rivivono nei suoi lavori la letteratura minuta del passato e del presente, gli aborti bislacchi di una pubblicistica influenzata dalle superstizioni, documenti che un altro storico avrebbe completamente trascurato: trascurato – come diceva Warburg – “per seppellire la curiosità e le stranezze che sono invece la più profonda fonte di conoscenza della psicologia dei popoli”. Come abbiamo visto, quei documenti forniscono una svolta decisiva alle ricerche sul Rinascimento. La situazione culturale di un determinato momento si manifesta più direttamente nelle espressioni della vita quotidiana, negli opuscoli che – specifici per il giorno e l’ora – riflettono la vita reale delle persone con le loro paure e speranze in forma di profezie, o come calendari astrologici o pratiche ermetiche, o come pamphlet religiosi o politici. In questo senso diventa evidente il flusso quasi sotterraneo della fede nelle immagini e della tradizione delle immagini, e il grado e l’estensione della ricezione dell’antico. E il libro stampato, al tempo degli inizi dell’arte della stampa, diventa il veicolo decisivo dello sviluppo e del suo primo utilizzo. Fino ad allora, il servizio dello scambio culturale internazionale era stato faticosamente svolto da manoscritti, pale d’altare e arazzi; erano questi i supporti di avanguardia mediante i quali Nord e Sud lottavano per il patrimonio classico con i loro propri mezzi di espressione intellettuale e artistica. Ma ciò che ora sostituisce quegli ingombranti messaggeri, ciò che rende effettivamente possibile la grande diffusione in Europa delle forme classiche, ma anche la magia delle immagini pagane, in un’epoca culturalmente tollerante, è un mezzo di scambio incomparabilmente più leggero, più agile, più popolare: il libro.

In una conferenza tenuta alla nostra “Società degli amici del libro di Amburgo”, Warburg stesso tracciava così il percorso di quella migrazione delle forme delle immagini antiche, dal gioco di carte dell’Italia settentrionale fino al “Calendario Nygen” di Lubecca di Steffen Arndes:

Secondo la letteratura scientifica, questo calendario del 1519 dovrebbe essere solo un prodotto ingenuo della letteratura popolare, ma in realtà si tratta di un prodotto artistico molto significativo in termini di storia dell’evoluzione, per il suo interesse storico-culturale che va ben oltre l’interesse storico locale. Esso testimonia infatti la perdita della via di comunicazione lungo la quale le immagini potevano viaggiare avanti e indietro; ora, liberate e mobilitate dall’arte della stampa, sono i nuovi media che danno inizio a una nuova era di scambi della cultura artistica tra Nord e Sud.

Questi problemi legati alla sua ricerca condussero Warburg alla “bibliofilia”. O forse dovremmo piuttosto dire che la passione primaria del collezionista ricevette direzione e contenuto dai problemi scientifici. C’è un aspetto dell’attività collezionistica di Warburg che potrebbe, a ben guardare, apparire incomprensibile, stravagante e bizzarro. Si tratta del suo archivio di documenti contemporanei di uso quotidiano, in particolare giornali, che raccoglieva e ordinava con una appassionata costanza. Se però consideriamo con più attenzione questi documenti, diventa chiaro che sono analoghi alle rarità e curiosità del passato che lo storico Warburg aveva elevato al rango di fonti preziosissime. Di norma, è una regola deontologica della ricerca storica escludere il presente e il suo sviluppo dall’ambito di lavoro dello studioso, perché la vicinanza troppo personale degli eventi, il pregiudizio del ricercatore stesso, tenderebbe a confondere la visione “oggettiva”. In realtà per Warburg accadeva che lo sguardo sereno e distaccato dello storico si accendeva continuamente per le fiammate delle sue personali simpatie, e ciò che era lontano nel passato poteva diventare per lui una prossimità minacciosa, una tensione che scuoteva la sua stessa esistenza; analogamente, viceversa, non poteva ignorare i sommovimenti che nel presente, ancora in fieri, mettevano in discussione via via i valori culturali consolidati. E anche se il suo particolare tipo di intuizione psico-culturale non si lasciava impigliare in soluzioni affrettate, in dogmatiche profezie del destino o in pericolose previsioni, coglieva immediatamente i problemi e si preoccupava di fornire i materiali adeguati alla loro soluzione, anche solo per la comprensione del loro significato. In questo senso raccoglieva la letteratura che si occupa del pensiero figurato nella magia e nell’astrologia, così come i prodotti tardivi del linguaggio formale dell’Antico, i francobolli e le immagini pubblicitarie, ma anche fotografie di eventi significativi, ritagli di giornale e infine la pagine illustrate delle riviste che – come ultime discendenti delle stampe artistiche a buon mercato – proprio nella loro composizione casuale e curiosa rivelano i caratteri e le tendenze del presente. Valori e forme espressive dell’Antico sopravvivono ovunque, in varie forme, nell’epoca moderna, a volte in una forma completamente ‘inflazionata’, e ovunque riemergono le antiche relazioni e tensioni tra Nord e Sud. Il moderno “lavoratore” lotta per la sua libertà intellettuale; ma l’Idra del pensiero mitico-magico si solleva contro di lui e sfonda lo “spazio per il pensiero e della riflessione” che l’uomo ha faticosamente conquistato. Anche Warburg ha combattuto in questa battaglia. Psico-cultura e politica culturale si incontrano qui in una fase finale: i problemi della sua ricerca diventano gli strumenti per le discussioni e le decisioni del presente.

Ma non era questo ciò di cui dovevamo parlare. Si trattava invece di mettere in luce ancora una volta, e da una nuova angolazione, la peculiare prospettiva che Warburg ha aperto alla bibliofilia in senso scientifico.

In conclusione, vorrei spendere qualche parola sull’opera che Warburg ha costituito e che ci ha lasciato come monumento e testimonianza del suo profondo amore per il libro: la sua Biblioteca di Scienza della cultura (Kulturwissenschaftliche Bibliothek). Alla sua creazione hanno contribuito in egual misura lo studioso e il collezionista. Il progetto, come lo presentava con passione in diverse occasioni, consisteva da una parte nel mettere il libro al servizio della ricerca storico-intellettuale, specialmente della storia delle immagini; dall’altra nell’accostare al libro la stessa ricerca, portandola verso il testo, verso la “parola”, familiarizzandola con le zone più esclusive del sapere bibliofilo. L’intera struttura della Biblioteca è stata concepita per costringere il ricercatore ad avvicinarsi ai libri. Il principio di organizzazione è stato dettato dagli ambiti tematici che derivano dagli studi di Warburg, da intendere non già come raggruppamenti di temi ‘oggettivi’, ordinati nel senso di una teoria tradizionale della scienza (che sarebbe solo il risultato di una proposizione superata del problema). Ed è questa stessa struttura che caratterizza la crescita e lo sviluppo della Biblioteca come anche, naturalmente, i suoi necessari limiti. Una Problembibliothek – una “Biblioteca organizzata per problemi” – non può e non vuole rivendicare per sé l’universalità di una biblioteca generalista. Deve completarsi progressivamente dal suo interno. E così Warburg ha raccolto nel campo dei problemi della sua indagine, andando oltre le risposte date e al di là della loro stretta funzionalità, il materiale e gli strumenti necessari per la ricerca stessa: e lo ha fatto – lo ripeto ancora una volta – forse mosso da una sua prima passione originaria, ma con una ratio e una intenzione sempre più nitide e definite, di raccogliere quei materiali e quegli strumenti per se stesso, per i suoi collaboratori e per tutti i futuri ricercatori del “Laboratorio di storia per immagini della scienza della cultura” – ovvero per tutti i responsabili chiamati ad amministrare il patrimonio culturale mediterraneo.

*da “Imprimatur” I (1930), 11-17.

English abstract

The name of Fritz Rougemont (1904-1941) is known to Warburg scholars because he appears as a co-editor, together with Gertrud Bing, of the edition of Aby Warburg’s Gesamellte Schriften, published in Leipzig by the publisher Teubner in 1932. Since 1927 Rougemont had actively collaborated with the Kulturwissenschaft Bibliothek Warburg, but later his biographical events, and in particular his adhesion to Nazism, caused a definitive damnatio memoriae of his figure, also erasing the traces of his scholarly activity almost completely. We present here an important contribution of his published in 1930 in the first volume of “Imprimatur”, the Annuary of the “Gesellschaft der Bücherfreunde zu Hamburg”. The essay, hitherto neglected in the extensive literature of Warburgian studies, is presented in a new edition of the original German version of 1930, and in the first English and Italian translations. Rougemont’s contribution represents a primary testimony of the specifically scientific meaning of Warburg’s “bibliophily”, which originally illuminates his unprecedented method of study, the analysis of the mechanisms of the Classical tradition, and the innovative trajectory of his research with respect to his contemporary, and dominant, disciplinary dictates.

keywords | Fritz Rougemont; Warburg; Bibliophilia; Hamburg KBW.

questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.211.0003