Testi dal Prometeo INDA 1994
Brani dalla traduzione di Benedetto Marzullo, collegabili a video o foto della scheda integrata
Prometeo, vv. 128-192 , traduzione Benedetto Marzullo
CORIFEA
Non spaventarti,
amica è la nostra flottiglia.
Con strenuo volteggio delle penne
ho raggiunto questo picco, l'animo
forzando del paterno genitore:
veloci mi spingevano le brezze.
Il fragore dei metallici colpi
percosse le viscere delle marine
spelonche, sconfisse il pudibondo
mio ritegno, scarmigliate
balzammo sull'alato carro.
PROMETEO
Ahimè, ahimè,
della prolifica Tètide progenie
e del padre Oceano figlie,
che con insonni flutti
la terra circonda,
guardate: vedete da quali
chiodi trafitto, su questo dirupo
monterò non invidiabile
guardia alle aguzze vette.
CORIFEA
Vedo, Prometeo:
angosciati sui miei occhi
si avventa un nuvolo
di lacrime, osservando il tuo
corpo rinsecchirsi sulla roccia,
scempio delle ferraglie. Improvvisati
dittatori pilotano l'Olimpo: con leggi
inaudite spadroneggia Zeus, regna
l'arbitrio, annientando
le titaniche prodezze di un tempo.
PROMETEO
Sotto la terra mi avesse scagliato,
nel Tartaro, reame sconfinato
di Ade, approdo dei morti,
ferocemente incatenandomi
con ceppi indistruttibili,
nessuno tra gli dei o d'altra
razza ne avrebbe goduto. Dei venti
ludibrio, dei nemici supremo
zimbello sono invece ridotto.
CORIFEA
Chi degli dèi è impietoso
a tal punto da goderne?
Chi non patirebbe di persona
per le tue tribolazioni? Salvo
Zeus: perpetuamente dominato
da incoercibile furia, la urania
progenie bistratta, né cesserà,
prima di saziarne il cuore: mai prima
che qualcuno, con un golpe, l'ineluttabile
potere gli strappi dalle mani.
PROMETEO
E tuttavia di me, pure straziato
da possenti catene, di me un giorno
avrà bisogno l'oppressore
dei Beati. Perché gli riveli la trappola:
chi lo spoglierà del potere usurpato,
di tutti gli onori, dello stesso scettro.
Non mi sedurrà con i mielati
incantesimi della Persuasione, le atroci
minacce non mi spaventano: nulla
gli svelerò, prima che dalle brutali
catene non mi liberi, si decida
a risarcirmi di questo scempio.
CORIFEA
Con simile protervia, mai ti liberi
dai triboli amari: eccede l'arbitrio
delle tue parole. La nostra mente è sconvolta
dall'angoscia, ho paura per la tua
sorte: potrò mai vederti libero da questi
spasimi? Irriducibile è il carattere,
inesorabile è del Cronide il cuore.
PROMETEO
Conosco la ferocia di Zeus, giustizia
brandisce a proprio arbitrio: un giorno,
sono certo, dovrà piegarsi, vedendosi
travolto. Frenerà l'implacabile furore,
verrà impaziente a riconciliarsi,
con me altrettanto impaziente.
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Prometeo, vv. 284-396, traduzione Benedetto Marzullo
OCEANO
Giungo a te, al termine
di un lunghissimo viaggio, Prometeo,
questo alipide volatile
con la mente pilotando, senza il morso.
Le tue tribolazioni, sappilo,
compiango, mi obbliga io credo
la comune parentela. Oltre alla schiatta,
per nessuno nutrirei solidarietà
maggiore, che per te: saprai che
è sincera, non sono abituato a falsi
complimenti. Coraggio, dimmi come posso
aiutarti, dimmelo: non potresti nominare un amico più fraterno di Oceano.
PROMETEO
Ehilà, che succede! Arrivi, anche tu,
testimone della mia sofferenza? Come
hai osato lasciare il tuo oceanico,
gli antri scavati nelle rocce, spingerti
in questa plaga, matrice del ferro? Vieni
forse a guardare la mia sciagura,
a consolarmi nel dolore? Osserva
lo spettacolo: ero amico di Zeus,
nella squadristica scalata al potere
lo sostenni, vedi come adesso mi schiaccia.
OCEANO
Vedo bene, Prometeo, vorrei consigliarti
per il meglio, sebbene astutissimo.
Conosci te stesso, adeguati al nuovo
corso: nuovo è lo stesso Cavaliere,
impostosi agli dèi. Se aspre, taglienti
minacce continui a scagliare, non impossibile
sarà che Zeus, dal suo scranno pur in cima
all’universo, non riesca a sentirti. La caterva
di mali che ora soffri, ti sembrerà uno scherzo.
Deponi l’ira che ti infiamma, sciagurato:
cerca di liberarti dal martirio. Antiquato
ti sembrerà il mio dire, la tua è soltanto
conseguenza di una lingua scatenata. Tu ignori
chi sono i moderati, non ti pieghi sotto i colpi
delle sventure: alle attuali, altre vuoi
aggiungerne. Se mi ascoltassi (sono buon maestro),
non scalceresti contro lo sprone, vedendo
che un nuovo Presidente, a nessuno sottomesso,
ha il potere. Gli chiederò udienza, cercherò
con ogni mezzo di liberarti: ma tu càlmati,
non eccedere con la bocca. Ignori forse,
malgrado l’acutissimo intelletto, che
sovversiva lingua va pulita.
PROMETEO
Ti ammiro: ti credi lontano da quel pasticcio:
tu protervo antemarcia al mio fianco.
Ma rinuncia, non darti pena. Non riesci,
mai lo convinceresti: attento, piuttosto,
a non cercarti guai per la strada.
OCEANO
Sei più abile ad ammaestrare
il prossimo, che te stesso: dai fatti,
non a parole, si può dimostrare.
Non cercare di trattenermi: confido,
io confido che Zeus a me concederà
questo regalo, liberarti da simile tortura.
PROMETEO
Te ne ringrazio, mai smetterò!
Non ti manca premura: ma non affliggerti,
ad affliggerti non guadagni nulla,
inutile insistere. Calmati, tirati indietro:
non vorrei, che troppa gente pagasse
per simile storia. Assolutamente, perché
ancora mi tormentano le sventure del mio
fratello Atlante: lui è conficcato sui confini
occidentali a sostenere, neanche fosse un pilastro
sulla schiena, cielo e terra assieme, gravame
da schiantare. Altro strazio provai, al vedere
il terrigeno abitatore degli antri Cilici,
a viva forza schiacciato da lui, con le sue cento teste:
tremendo lo spettacolo, di Tifone il furioso.
Si avventò contro tutti gli dèi, dalle ganasce
orrende sbuffava terrore, dagli occhi sprizzava
bagliori mostruosi, credeva così di sradicare
quel fascista di Zeus. L'insonne saetta di Zeus
lo centrò, precipite fulmine, fiamme spirando:
ne spezzò la protervia spavalda. Colpito
al cuore, già tramortito dal tuono, incenerì. Adesso
giace smisurato, ma inutile cadavere, presso
il marino stretto di Sicilia, è sprofondato sotto
e radici dell'Etna. Sulla più alta cima siede
Efesto, martella il ferro infocato: eromperanno
un giorno fiumane di fuoco, mordendo con crudeli
mascelle le pianeggianti membra della Sicilia,
dai frutti dolcissimi. Riprenderà Tifone
a sfogare furibondo la terrifica furia, sprizzando
lapilli ardenti: lui carbonizzato dai fulmini
di Zeus. Hai esperienza, non serve che io
ti ammaestri: salvati, ne sei capace. Io fino
al fondo ingoierò la sventura, che mi colpisce,
fin quando si sgonfi la mente furibonda di Zeus.
OCEANO
Non sai, caro Prometeo, che contro
il morbo dell'ira, medico è la parola?
PROMETEO
Solo al momento giusto, accarezzane la piaga:
non irritarne la piaga, mentre ribolle.
OCEANO
Se uno tentasse, di che danno hai paura?
PROMETEO
L'eccesso di premure, che ingenua velleità!
OCEANO
Lasciami delirare, come voglio: è meglio
apparire dissennato, che esserlo davvero.
PROMETEO
Potrebbe apparire anche il mio difetto.
OCEANO
Chiaro: con queste parole, mi rispedisci a casa.
PROMETEO
Non procurarti inimicizie, per compiangere me.
OCEANO
Intendi il lider máximo, quel giovane gaglioffo?
PROMETEO
Attento a lui, non attizzarne l'ira.
OCEANO
Mi ammonisce, Prometeo, la tua sventura.
PROMETEO
Parti, auguri: conservati così, doppiogiochista.
OCEANO
Stavo partendo, è inutile che strepiti.
Le morbide vie dell'etere carezza con le ali
il quadrupede augello: gli sorride potersi
finalmente riaccucciare nelle familiari stalle.
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Prometeo, vv. 561-886, traduzione Benedetto Marzullo
IO
Quale terra, quale gente? Chi sarà
costui, inchiodato sulla roccia,
dalle tempeste sferzato, quale
colpa sconta? Spiegami: dove
approda stremato, il mio peregrinare?
Ahi, ahi, ahimè!
Nuovamente mi trafigge
il mitico ronzone: spettro
del diabolico Argo. Scaccialo,
Madre Terra. Mi atterrisce questo
mandriano, dai mille occhi: il ceffo
mi svolazza intorno, neppure morto
lo accoglierebbe la terra. Sventurata,
dal regno dei morti mi persegue
famelico, lungo la sabbia del mare.
Sentite, languidamente risuona
il flauto, di cera connesso, induce
al sonno la melodia. Ahimè, dove
mi condurrà la fuga randagia?
Quale mai, figlio di Kronos, per quale
colpa ferocemente mi punisci?
Ahi, ahi,
con il terrifico assillo, mi spingi
alla follia. Bruciami col fuoco, sotto
terra sprofondami, dammi in pasto
alle marine belve: non respingere,
Signore, le mie suppliche. Sono sfinita
dal vagare infinito, non so capire, come
sottrarmi alla persecuzione. Ascolta la voce
di una vergine, mutata in cornigera bestia.
PROMETEO
Come non dare ascolto alla ragazza,
tormentata dall'assillo: di Inaco è figlia!
Il cuore di Zeus ha intenerito
d'amore: di qui la fuga interminabile,
di lei si vendica la gelosia di Hera.
IO
Come conosci il nome di mio padre?
Sono sfinita: dimmi chi sei, spiega
tu sofferente la verità a me sofferente.
Hai dato un nome al mostro scagliatomi
dal cielo, per consumarmi di trafitture
allucinanti. Ahimè, ahimè, con balzi
da animale affamato, sono giunta qui,
con impeto furioso: sono vittima
di Hera, una perfida vendetta. Di quanti
infelici, simile è la sofferenza?
Chiaramente prospettami, ti prego,
quanto resta da soffrire. Quale rimedio
o farmaco contro il malanno, saprai
indicarmi? Spiegalo, alla vergine raminga.
PROMETEO
Chiaramente ti dirò, quanto chiedi di sapere.
Senza veli enigmatici, con schiette parole:
è giusto parlare agli amici apertamente.
Ho dispensato il fuoco ai mortali, sono Prometeo.
IO
Il Santo protettore, per la comunità dei mortali!
Ma tu, quale errore stai scontando, Prometeo?
PROMETEO
Ho appena smesso di piangere le mie sciagure.
IO
Mi concederesti una sola grazia?
PROMETEO
Dimmi quale: da me saprai tutto.
Spiegami, chi ti ha inchiodato su questo dirupo?
PROMETEO
Di Zeus è il decreto, di Efesto la mano.
IO
Per quali errori, sconti la pena?
PROMETEO
Quanto ho detto, basti!
IO
Allora spiegami, dove si fermerà il mio
vagare, quanto tempo dovrò soffrire ancora.
PROMETEO
Meglio non sapere, piuttosto che saperlo.
IO
Non nascondermi, ti prego, le altre sofferenze.
PROMETEO
Non ti rifiuto il favore.
IO
Che aspetti, allora, a svelarmi tutto?
PROMETEO
Non è scortesia, ma non vorrei sconvolgerti.
IO
Non affliggerti troppo: è comunque un sollievo.
PROMETEO
Se non resisti, mi obblighi a parlare. Ascolta!
CORIFEA
Aspetta, concedimi la mia parte di piacere.
Innanzitutto, facciamo la diagnosi del morbo.
Lei stessa esponga lo strazio della sua vicenda:
il resto del calvario, lo apprenderà da te.
PROMETEO
Tocca a te, lo, procurargli questo favore:
loro sono, del resto, sorelle di tuo Padre.
Alle proprie lacrime dare fondo e al dolore,
lacrime spremendo dagli spettatori, paga bene.
IO
Impossibile deludervi: a chiare lettere
saprete, quanto invocate. Arrossisco al solo
parlare della infernale bufera, lo scempio
di tutto il mio aspetto, che infelice mi colpì.
Senza tregua, notturni fantasmi
nella mia stanza si aggiravano, con dolci
parole mi tentavano: "Fortunata ragazza,
perché rimandare le nozze? Grandissimo,
un matrimonio ti attende. Trafitto dal desiderio,
Zeus arde per te, tra le tue braccia vuole
Venere godere. Figliola, al talamo di Zeus
non puoi recalcitrare: alla fonda pianura
di Lerna vai subito, raggiungi la mandria
nelle paterne stalle, soddisfa gli ardenti
occhi di Zeus". Tutte le notti consimili
sogni mi assillavano infelice, finché decisi
di confidare al padre i nottivaghi sogni.
A Pito, a Dodona, profetici siti, instancabile
inviava messaggeri, desiderava sapere con quali
azioni o parole compiacere agli dèi. Loro
tornando riferivano mirabolanti oracoli,
insensati, indecifrabili. Finalmente, ad Inaco
arrivò un limpido messaggio, chiarissimo.
Perentoriamente ordinava di scacciarmi dalla
casa, oltre il confine: senza sosta vagassi,
fino alle lande estreme della terra. Se mai egli
rifiutasse, l'assalto incendiario del fulmine
di Zeus, la distruzione della famiglia intera.
Piegato da siffatti oracoli del Lossia,
mi esiliò, mi scacciò dalla reggia: lui
nolente, io stessa nolente. Lo costringeva,
infatti, la briglia di Zeus ad agire, contro
voglia. Improvvisamente la mia figura, il mio
animo stravolti: le corna che vedete. Trafitta
dagli aguzzi morsi del tafano, con frenetici
balzi, mi avventai verso le acque dolcissime
di Cercnía, alle fonti della Lerna. Un bovaro,
figlio della terra, Argo mi tallonava, d'ira
schiumando: con occhi innumerabili spiava
i miei salti. Repentina la morte lo privò,
finalmente, della vita. Io pungolata dallo
sprone divino, di terra in terra vagavo.
Il passato hai udito: se tu vuoi spiegarmi cosa
mi resta da soffrire, parla. Non blandirmi,
da pietà mosso, con romanzesche favole: ritengo
la simulazione il più ignobile malanno.
CORO
Ehilà, smettila: ahimè!
Mai, giammai avrei creduto
di porgere l'orecchio
a racconti così sconvolgenti.
Ancora meno, che cosí orribile,
insopportabile spettacolo
potesse raggelarmi l'anima:
è un altro fendente, ahimè,
questa storia agghiacciante di lo.
PROMETEO
Troppo presto ti lamenti, già colma di paura:
aspetta, prima di sapere tutto il resto.
CORIFEA
Allora spiègati: conforta gli ammalati,
sapere in anticipo quanto resta da soffrire.
PROMETEO
La richiesta iniziale, non toccava a me:
lei stessa vi ha spiegato i fatti, di cui
vi informavate. Ascoltate il resto, quante
sciagure la figliola patirà, per opera
di Hera. Ma tu, d'Inaco germoglio, nell'animo
configgi le mie parole: dove finirai di errare.
Prima di tutto, in direzione del sole
nascente ti dirigi. Attraverserai incolte
lande, fino a raggiungere i nomadi Sciti:
abitano ricoveri intrecciati sui veloci carri,
sono esperti di lungisaettanti frecce. Non accostarli,
ma ormeggiando le risonanti scogliere,
attraversane la terra. Più a sinistra abitano
i Calibi: da questi occorre che ti guardi,
salvatica gente, agli ospiti riottosi. Arrivi
ad un fiume Irruente, dal turbinoso nome:
non traversarlo, è impossibile guadarlo,
prima di avvistare, più alto dei monti,
il Caucaso: dai suoi fianchi si sprigiona
questa irruenza del fiume. Le vette dovrai
scavalcarne, sfiorando le stelle, scendere
verso mezzogiorno, dove l'armata incontrerai
delle Amazzoni, nemiche del maschio. Temiscira
occuperanno un giorno, sul Termodonte: ove s'apre
aspra una ganascia sul mare di Salmidesso,
ai naviganti inospite, matrigna per le navi.
A te faranno strada, spontaneamente, con tutta
cordialità. All'istmo dei Cimmèri, sullo strozzato
accesso alla palude, quindi arrivi: attraversalo,
lasciandoti alle spalle (i visceri frenando)
il Meotico stretto. Per i mortali questo passaggio
tuo diventerà leggenda, grandiosa, eterna: riceverà
il nome di Bosforo, che significa "Passo della
giovenca”. Abbandonata la piana di Europa, giungi
sul continente asiatico. Vorrete ora negare,
che il Dittatore degli dèi alla violenza ricorra
senza freno? Deciso a possedere questa mortale,
le ha inflitto raminga sorte. Selvaggiamente,
figliola, aspira alla tua mano. Quanto hai sentito,
ricordalo è appena il prologo della vicenda.
IO
Ahimè, ahi, ahi!
PROMETEO
Urli di nuovo, muggisci: che farai,
quando saprai il resto della storia?
CORIFEA
Il resto della storia? Diglielo, a questa sciagurata!
PROMETEO
Pelago burrascoso, di tremende sciagure.
IO
Quale scopo ha la mia
vita: perché non buttarmi
da questo picco scosceso,
sfracellarmi al suolo,
liberandomi da ogni angoscia?
Meglio in un solo colpo morire,
che tribolare tutti i santi giorni.
PROMETEO
Insopportabili giudicheresti le mie
sciagure: per destino, a me la morte
è vietata, certissima fine del male.
Nessun termine, infatti, è destinato
alla mia sofferenza: almeno fin quando
non venga rovesciato Zeus.
IO
Mai possibile? Zeus, rovesciato dal trono!
PROMETEO
Ti piacerebbe, credo, assistere al crollo!
IO
Come negarlo, a Zeus io devo la mia sofferenza!
PROMETEO
Stando così le cose, preparati a festeggiare.
IO
Chi lo spoglierà dello scettro, l'usurpatore?
PROMETEO
Cadrà da solo: è un vero paranoico.
IO
In che modo, se non corri altri rischi?
PROMETEO
Farà tale matrimonio, da pentirsene.
IO
Con divina stirpe, o mortale: puoi spiegare?
PROMETEO
Non posso rivelarlo.
IO
Per opera dell'amante, perderà il trono?
PROMETEO
Gli partorirà un figlio, più forte del padre.
IO
Non riuscirà a scansarla, simile sventura?
PROMETEO
Mai: tranne io venga, liberato dai ceppi!
IO
Chi potrebbe liberarti a dispetto di Zeus?
PROMETEO
Sarà uno della tua progenie, è destinato.
IO
Che dici, un mio figliolo, liberare te dai ceppi?
PROMETEO
Della tredicesima generazione, sarà.
IO
Incredibile, un vaticinio simile.
PROMETEO
Non cercare, adesso, di frugare nelle tue sciagure.
IO
Tu prima offri un favore, poi subito lo strappi!
PROMETEO
Di due domande, una te la concedo.
IO
Quali sarebbero, fammi almeno scegliere!
PROMETEO
Concesso: o il tuo calvario, oppure
chi mi libera, ti spiegherò. Tu scegli.
CORIFEA
Col primo soddisfi lei, l'altro rendilo
a me, non privarmi del racconto. Rivela
a lei il resto delle peripezie, a me
che smanio, chi mai riesca a liberarti.
PROMETEO
Smaniate, non rifiuto di rivelarvi, quanto
chiedete. Per prima a te voglio svelare
l'andirivieni esasperante: annotalo bene,
nei quinterni della tua memoria.
Superata la fiumana che divide i continenti,
punta verso il mattutino barbaglio del sole,
affronta lo stagnante pèlago, fino
a raggiungere la gorgonea pianura
di Cistène, dove abitano le Forcidi:
tre vecchie zitelle, assomigliano
a cigni, ma solo un occhio posseggono
in comune, unico un becco, né mai le degna
i sole dei suoi raggi, mai la notturna
luna. Lì vicino tre sorelle, le pennute Gòrgoni,
anguicrinite, nessun mortale a vederle
sopravvive: attenta,
sei avvertita! Senti,
un altro spettacolo terrificante, guardati
dai cani rabbiosi di Zeus, i Grifoni
cagli aguzzi musi, e dalle cavalcanti armate
degli Arimaspi monocoli, che abitano sul guado
dell'aurifero Plutone: tieniti lontana!
Ai confini della terra raggiungerai
una stirpe nera, che dimora verso il sole
sorgente, sul fiume Etiope. Costèggiane
le rive, finché la cataratta non raggiungi,
ove dai monti Bíblini la augusta corrente
riversa il Nilo, dolcissima. Ti condurrà
questo alla Nilotide, triangolare sua foce,
ov'è destino che tu, cara lo, i tuoi figli,
fonderete una grande colonia. Se qualcosa
di questo ti rimanesse oscuro o difficile,
ripeti la domanda, chiedi spiegazione:
a me rimane più tempo, di quanto io voglia.
CORIFEA
Se altro restasse da spiegarle, che magari
hai tralasciato, sul rovinoso peregrinare,
parla. Se tutto hai detto, facci il favore,
di cui ti scongiurammo: te ne ricorderai!
PROMETEO
Ha sentito addirittura la fine del viaggio.
Perché non creda di avere ascoltato frottole,
racconterò tutte le peripezie patite,
prima di raggiungerci: le offro quale prova
del mio racconto. Tralascio la maggior parte
della narrazione, vengo direttamente alla fine
del tuo vagabondare. Appena raggiunta la piana
dei Molossi, vicino alle aspre pendici
di Dodona, dov'è l'oracolare sito di Zeus
Tesprozio, incredibile il prodigio delle
querce che parlano: da cui apertamente,
senza ambagi, l'annunciazione ricevesti
delle imminenti, sacre nozze con Zeus. Tutt'ora
ti lusingano. Spronata dall'assillo, spiccasti
quindi la corsa lungo la riva del mare, verso
l'ampio golfo di Rea: qui ti perdesti,
perché respinta dalla bufera. Nel futuro,
sarà chiamato Ionio questo marino golfo,
a ricordo, per tutti i mortali, del tuo errare.
Questa per te sia prova, come la mia
mente scorga più di quanto sembri affiorare.
Il resto lo dirò a voi tutte, oltre che a lei,
ritornando sul medesimo sentiero del racconto
iniziale. C'è una città, Canòbo, ultima della
terra, allo sbocco del Nilo, sui detriti:
è lì che Zeus ti restituirà il senno, lieve
sfiorandoti, carezzerà con affettuosa mano.
A ricordo, il nero figlio che a lui
generi si chiamerà Epafo, fondatore
della negritudine: godrà i frutti
di quanta terra il Nilo inonda. La quinta
generazione, di cinquanta figlie, ad Argo
tornerà suo malgrado: sono tutte femmine,
fuggono le nozze coi cugini. Ma questi,
la mente sconvolta, come falchi che da presso
incalzano colombe, le raggiungeranno, decisi
a catturarle, nuziali prede. Ne disporrà
lo scempio domineddio: la pelagia terra
ne accoglierà i cadaveri, da femmine sgozzati,
nella notturna strage. Ciascuna donna sopprime
il proprio uomo, rivolta il filo della lama
nel collo squarciato: consimili nozze auguro,
a quel notorio mio nemico. Ma una soltanto,
sedotta dal maschile desiderio, non ucciderà
l'amante, ottenebrata la mente. Delle due,
sceglierà l'una: passare per vile, piuttosto
che assassina. Sarà lei a generare in Argo
regale una progenie. Lungo discorso occorre,
esporne i particolari. Da questa nascerà
celeberrimo un tiratore d'arco, che saprà
liberarmi dagli attuali travagli. Eccoti
l'oracolo, che la giurassica antenata
dei Titani mi interpretò, Tèmide. Come e
qualmente, lunghissimo sarebbe raccontare:
anche a saperlo, non guadagni proprio nulla.
IO
Ahimè, ahi, ahi!
Continuano a bruciarmi convulsi
furori, aguzzo mi consuma
l’assillo, senza fiamma. Terrorizzato,
il cuore mi scalcia contro
il petto, stravolti mi si torcono
gli occhi, fuori pista il delirio
mi trascina, non domino la lingua,
melma inceppa la mia parola:
sotto i colpi di marosi, vendicativi.
CORO
Saggio, fu un saggio,
chi primo intuí con l'intelletto,
tradusse in proverbio: che sposare
al proprio livello è virtú somma.
Rifiuti, quindi, lussuose ricchezze,
una prosapia altisonante il proletario,
che ardentemente brami sposarsi.
Mai, giammai, o Moire
sempiterne, il talamo di Zeus
mi vedreste condividere,
né accostarmi ad un marito
disceso dai cieli. Che sgomento,
lo spettacolo della vergine Io,
ferocemente casta, condannata da Hera
a labirintici vagabondaggi.
Sposarsi alla pari, non
desta paura: mi angoscia,
se mai l'occhio irresistibile
degli dei prepotenti mi colpisse,
desiderandomi. Una battaglia senza
scampo, una impresa disperata. Di me
che sarebbe, non potrei dire:
al volere di Zeus non saprei sottrarmi.