"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

218 | novembre 2024

97888948401

Per mari e per terre. Viaggi, spazi, immaginari

Editoriale di Engramma 218

a cura di Maria Bergamo, Mario De Angelis, Fabrizio Lollini

English abstract

1 | Abraham Cresques, Atlante catalano, 1375, esemplare conservato a Paris, Bibliothèque Nationale de France, ms. Espagnol 30, f.V, t.9

Francis Alÿs, The Green Line, penna e pastello su carta, materiale correlato (serie delle mappe), Gerusalemme, Israele - Palestina, 2004, collezione David Zwirner gallery New York/Londra.

La copertina di questo numero di Engramma, dedicato al viaggio come apertura – o sfondamento – di confini reali e immaginari, ha come simbolo i due marinai che stanno solcando il Mar Caspio a bordo della loro tradizionale imbarcazione fatta di canna e palma, tra le tavole del celeberrimo Atlante catalano di Abraham Cresques (1375) [Fig. 1]. Nelle precise iscrizioni topografiche si indica con chiarezza che “aquesta mar es appellada mar del sarra (e) de bacu” perchè principia dal regno del Sarai (il cui re è l’enorme figura con turbante, scettro e globo) – e perchè nella penisola che entra nel mare si affaccia la città di Baku (LMR, Mapamundi, f.V, t.9, C). Anche la barca è raffigurata con perizia su specifiche indicazioni etnografiche, con le vele di canne e palmizi: “E sapiats que aquestes naus són appellades Inchi e […] les veles són de canes e de palma” (LMR, Mapamundi, f.V, t.10, I). D’altra parte, a fronte di questi ricercati dettagli di realismo geografico, non si può non notare che i marinai sono a testa in giù, e stanno indicando nientemeno che l’Arca di Noè posata sul monte Ararat (LMR, Mapamundi, f.V, t.9, D3) – mentre, un po’ più a sud, si innalza la Torre di Babele; nella tavola seguente invece i Re Magi iniziano il loro cammino verso Betlemme, e una carovana di mercanti su cammelli – forse Marco Polo e i suoi? – procede verso l’ignoto Oriente.

Il confine tra reale e immaginario della cartografia antica, nonché il suo rapporto con la conoscenza e la scoperta geografica, la scienza astronomica e la rappresentazione spaziale, è tra i più affascinanti capitoli della storia e della cultura umane, come è stato messo in luce ancora una volta negli studi dedicati ai 700 anni dalla morte di Marco Polo (v. in particolare il prezioso volume Simion, Burgio 2024). Ogni “disegno del mondo” – o devisement dou monde – impone una precisa direzione dello sguardo, una prospettiva, e molte scelte. Così, il viaggio implica una visione orientata, un ‘altrove’ e un moto – ex, per, ad usando le preposizioni latine. Il viaggio, d’altro canto, non è solo materiale, corporale, fisico, ma si intreccia inevitabilmente con la sua stessa proiezione mentale, e il luogo atteso diventa immaginario prima ancora che manifestazione di un itinerario, racconto prima che esperienza: un desiderio, o una prefigurazione, che si fa ricordo prima ancora di essere vissuto. Questo continuo passaggio tra diverse dimensioni percettive è l’umano, disforico, sistema di pensiero che oscilla sempre tra i due elementi del simbolo: proiezione e incarnazione, immanenza e trascendenza, materia e pensiero, qui e là, vicino e lontano.

La consapevolezza della distanza, in senso lato, e nello specifico della lontananza geografica, è d’altronde una variabile del contesto culturale cui appartiene chi la percepisce. Molti concetti contemporanei, dalle teorie sulla relatività del tempo a quella della unitarietà esperienziale dei non-luoghi, danno ormai questo per scontato. Non sempre la storiografia sul viaggio, e sulle circolazioni terrestri e marine, anche in ambito storico-artistico, tengono nel debito conto queste acquisizioni teoriche.

Il numero di Engramma che qui presentiamo si propone quindi come un esercizio di comprensione di diversi sistemi odeporici, viaggi, spazi, e immaginari – per mari e per terre. Parla di viaggi e di dislocazioni di persone e oggetti, ma anche di come la realtà oggettiva di questa esperienza si incroci con aspettative, convenzioni, e modalità di fruizione che in certi casi abbattono i kilometri (o le miglia marine) reali, verso un’idea, al limite estremo, di un unico luogo diffuso, o di una serie di luoghi che compongano una sorta di global experience (il Grand tour, le Esposizioni Universali). Talvolta, invece, l’oggetto – letterario o artistico – funge da punto di accesso per un percorso performato più nel tempo che non nella distanza fisica. 

Il viaggio sacro per definizione, quello pellegrinale, si svolge con continuità dalla tarda Antichità post-costantiniana sino all’età moderna, e costituisce uno dei motori primi per lo svolgimento della produzione e la fruizione delle forme dei manufatti artistici per come le conosciamo nell’età di mezzo: basti pensare alla lunga tradizione storiografica sulla cosiddetta ‘arte pellegrinale’, in relazione agli scambi iconografici e formali che si determinano nel campo dei prodotti pittorici, scultorei e architettonici. Di recente, sulla scorta di una tradizione critica legata agli studi antropologici, si è cercato di ricostruire la prassi e le aspettative dei viandanti religiosi, cui per esempio fu dedicata una sezione della bella mostra del Bargello del 2015 Medioevo in viaggio, che esaminava anche il viaggio economico e commerciale, quello militare, o quello motivato da altre cause. Ne parla Giuseppe Cuscunà, in un contributo che ripercorre, da una prospettiva filologica e non storico-artistica, le testimonianze in prima persona della letteratura pellegrinale, che si propone ormai come un vero e proprio genere letterario autonomo di cui l’autore tenta una repertorializzazione. È lo stesso che avviene nel caso di una tipologia di viaggio ben più tarda e del tutto differente, quello della esperienza culturale e antropologica del Grand Tour, che si sviluppa nei secoli moderni e si è da tempo consolidata come uno dei topic più rilevanti della storia delle arti e delle idee tra fine XVII e XIX secolo. David Lyons esamina un caso emblematico, soprattutto in chiave gender: quello delle testimonianze sui viaggi in Italia di intellettuali femminili, e nello specifico il caso della inglese Anna Jameson che nei suoi testi miscela arte e letteratura a creare uno specifico immaginario italiano. Come abbiamo più sopra accennato, l’attesa, le forme del ricordo, e i topoi costituiscono elementi di grande importanza per la nascita e lo sviluppo di forme più o meno antropologicamente organizzate di viaggio, come appunto nei due casi oggetto qui di esame: lo dimostrano gli esempi assai precoci di loro ‘guide’ scritte, come quella per Santiago, poi giù per i secoli fino ai Baedeker, o alla Bradshaw rimessa da qualche tempo in auge dai programmi televisivi di Michael Portillo. Il viaggio come esperienza sociale e personale, e come ricordo – magari in futuro da impartire attraverso un impianto artificiale, come nel We Can Remember It For You Wholesale di Philip Dick (in italiano la traduzione migliore è stata Ricordiamo per voi), da cui sono stati tratti due film, entrambi dal titolo Total recall, nel 1990 e nel 2012.

Due contributi interrelati proseguono nell’iter dell’esplorazione verso l’oriente come orizzonte onirico: Laura Tomasi passa in rassegna il programma di manifestazioni elaborato per celebrare il settimo centenario della morte di Marco Polo già ricordato; Maria Bergamo e Alessandra Pedersoli concentrano il loro contributo su alcune versioni televisive sulle avventure del celeberrimo mercante veneziano, e su come il suo resoconto commerciale Devisement du monde (o Il Milione) sia diventato un concentrato del sentimento di alterità tra noi e i mondi lontani, in cui i miniatori del basso Medioevo, così come appunto i registi dei media della contemporaneità, trovano un repertorio pressoché infinito.

Segue nel numero l’ampia lettura di Mattia Angeletti e Christian Toson, una recensione sui generis della mostra dedicata a un contesto lontano: Uzbekistan, l’Avanguardia nel deserto (Venezia-Firenze 16 aprile – 8 settembre 2024) che racconta le visioni e i viaggi degli artisti del primo Novecento sovietico nelle regioni del Turkestan, luogo immaginifico tra la purezza nomadica del deserto e la tensione politica postrivoluzionaria.

In ambito contemporaneo si muovono altri due saggi. Irene Galuppo, riferendosi alla categoria di odologia in quanto scienza delle strade, o del viaggio, individua nella pratica del belga Francis Alÿs un esempio paradigmatico di come la produzione artistica – e specificamente performativa – possa assurgere al ruolo di argine rispetto agli svantaggi endemici della “crisi della ragione cartografica” in atto, che è parte di un più ampio processo che vede il Reale sparire progressivamente sotto una rete informativa iper-visibile (Baudrillard), infallibile e disumanizzante. Attingendo a fonti per lo più inedite e difficilmente accessibili allo studioso italiano, e lato sensu occidentale, Rui Ji si propone invece con il suo saggio di fornire una prima mappatura (temporale e geografica) delle esposizioni all’estero – principalmente in Europa ed Unione Sovietica – che hanno visto come protagonisti artisti e intellettuali cinesi. Come l’autrice mette bene in luce sulla scorta di Liu Guopeng, queste iniziative appaiono oggi come un “cuore extra-corporeo”, le cui pulsazioni hanno contribuito (e ancora contribuiscono) in modo determinante a plasmare l’immagine cangiante e contraddittoria della Cina contemporanea, non solo agli occhi dei popoli ospitanti ma anche e soprattutto agli occhi del popolo cinese stesso.

Fa da controcanto a questa serie di contributi un saggio che si pone sul fronte specularmente opposto, di quello che può essere definito un viaggio endogeno, in un contesto chiuso, e quasi esclusivamente domestico: il contribito di Elisa Forest esamina infatti con acribia, e ricostruisce tassonomicamente, il fitto reticolo dei riferimenti di Carlo Goldoni alla pittura veneziana del suo tempo, anche in relazione alle virtù ritrattistiche dei suoi artisti, e alla possibilità di un contest tra poesia e arti visive. Ma con le aperture alle sue esperienze in Francia, Goldoni si apre a suggestive descrizioni delle location – tra architettura tout court e architettura di paesaggio – che ebbe modo di visitare e conoscere.

Di rappresentazioni, percorsi e rotte tratta un’altra serie di contributi connessa alla progettazione, ovvero alla visione attiva sullo spazio. Un traguardo molto importante è stata l’approvazione da parte del Ministero italiano delle Infrastrutture e Trasporti (MIT) del Piano per la gestione dello Spazio Marittimo, raggiunto dal gruppo di pianificazione facente capo all’Università Iuav di Venezia. In questo contesto, Francesco Musco, Fabio Carella e Folco Soffietti con Maddalena Bassani e Maria Bergamo affrontano l’implementazione del Cultural Heritage nella Pianificazione dello Spazio Marittimo, riflettendo sulle differenti valenze del patrimonio culturale dei mari, nella fattispecie in rapporto al caso mediterraneo, in prospettiva interdisciplinare, diacronica e multi-scalare: l’obiettivo è comprendere e mappare la continua ridefinizione della geografia culturale e degli spazi attraverso i viaggi e i collegamenti via mare, individuando polarità ed esigenze diverse della dimensione marittima rispetto a quella terrestre. Lo sviluppo di una coscienza collettiva culturale nel legame con il mare può esplicarsi in forme stabili di norme di tutela e di valorizzazione, anche espositiva: su questo insiste l’intervista di Maria Bergamo a tre direttori di musei marini dell’alto Adriatico: Andrea Bonifacio a Trieste, Federico Bonfanti a Caorle, Davide Gnola a Cesenatico.

Completano il numero, come sue parti integranti, e integrate al tema guida, due recensioni di libri che trattano ‘viaggi’ intrapresi su spazi diversi rispetto allo spazio fisico. Damiano Acciarino presenta un volume dedicato al sogno (Marco Paoli, Homo imaginificus, 2023): un lungo percorso nell’intimità e nella profondità della dimensione onirica, anche nella sua rappresentazione visiva. Fabrizio Lollini illustra invece i contenuti del libro di Gianluigi Viscione Il reimpiego della scultura altomedievale in Toscana. Riuso, pseudospolia e arcaismo tra XI e XIII secolo, 2024: il tracciato, in questo caso, è quello, a ritroso nei secoli, del riciclaggio di forme e manufatti altomedievali utilizzati come reimpiego materiali – ma anche come modello visivo – nei secoli successivi, tra fine XI e XIII secolo.

English abstract

Awareness of ‘distance’, in a broad sense, and specifically of geographical remoteness, is moreover a variable of the cultural context to which the perceiver belongs. Many contemporary concepts, from the theories on the relativity of time to that of the visual and experiential unity of non-places, now take this for granted. Historiography on travel, and on land and sea circulations, does not always take this into due account, even in the field of art history. This issue of Engramma therefore wants to be an exercise in understanding different odeporic systems, voyages, spaces, imaginaries “over lands and seas”. It therefore wants to talk about voyages and dislocations of people and objects - by seas and by lands - but also about how the objective reality of this experience intersects with expectations, conventions, and modes of fruition that in some cases break down the real kilometres (or sea miles), towards an idea, exaggeratedly, of a single widespread place, or a series of places, in a sort of global experience (pilgrimages, geographical discoveries, the Grand Tour, Universal Expositions). Sometimes, on the other hand, the object, literary or artistic, acts as an access point for a journey more performed in time than in its physical distance.

keywords | travel literature; pilgrimage; odeporic art; maritime cultural heritage; Grand tour; Marco Polo

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Bergamo, M. De Angelis, F. Lollini, Per mari e per terre: viaggi, spazi, immaginari. Editoriale di Engramma 218, “La Rivista di Engramma” n.218, novembre 2024.