Rotte di sapere
Intervista ai curatori di tre Musei del Mare: Trieste, Cesenatico, Caorle
Andrea Bonifacio, Davide Gnola, Federico Bonfanti, a cura di Maria Bergamo
English abstract
§ Intervista a Andrea Bonifacio sul Museo del Mare di Trieste
§ Intervista a Davide Gnola sul Museo della Marineria di Cesenatico
§ Intervista a Federico Bonfanti sul Museo Nazionale di Archeolgia di Caorle
Con il Decreto Ministeriale del 25 settembre 2024 sono stati ufficialmente approvati i Piani di Gestione dello Spazio Marittimo (PSM) per le tre aree marine italiane – Adriatico, Ionio e Tirreno. I Piani rappresentano un importante progresso verso una gestione più efficiente delle nostre risorse marine, promuovendo uno sviluppo economico sostenibile e al contempo la tutela degli ecosistemi marini. L’Università Iuav di Venezia è stata scelta come Polo scientifico, di concerto con il CNR-Ismar e il Corila, a supporto del Comitato Tecnico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, autorità competente per la creazione e implementazione dei piani.
Varie e particolari sono le peculiarità della Pianificazione dello spazio marino, rispetto alla dimensione terrestre: uno spazio che ha più dimensioni (fondale marino e sottosuolo, colonna d’acqua e superficie acquea), il cui ordinamento giuridico non è ancora chiaramente delineato, né a livello italiano né internazionale. Si deve inoltre considerare l’interazione con altri piani di gestione, come quello per la zona costiera e paesaggistica, nonché il livello di estensione territoriale – regionale, nazionale, internazionale. A fronte dell’importante sfida del progetto sta la vastità e la profondità della ricerca, che comprende il mare in tutte le sue implicazioni. L’approccio interdisciplinare adottato per lo sviluppo dei Piani di Gestione diventa quantomai necessario. In particolare, l’implementazione del Patrimonio Culturale all’interno del PSM significa da un lato comprendere e ridefinire il concetto stesso di ‘patrimonio culturale’ propriamente marittimo, dall’altro stabilire come questo possa interagire proficuamente nella pianificazione, in termini di valorizzazione, innesco di buone pratiche, volano turistico ed economico.
I Musei del Mare, nella specificità ed eterogeneità delle loro collezioni, sono i capisaldi istituzionali nella funzione conservativa del patrimonio marittimo, nonché i primi promotori della sua valorizzazione sul territorio. Si rivelano pertanto gli interlocutori principali nella ricerca delle tematiche pertinenti e nella creazione di connessioni e reti culturali. Abbiamo pertanto scelto tre fra i curatori dei più importanti e attivi Musei del Mare dell’Alto Adriatico e, per l’importanza del loro ruolo, li abbiamo interrogati rivolgendo a tutti le stesse domande sul patrimonio marittimo, sui musei del mare e sulla collaborazione con i PSM –
Il Museo del Mare di Trieste
Intervista ad Andrea Bonifacio (Comune di Trieste)*
Il Civico Museo del Mare di Trieste, nato nel 1904, ha conosciuto diverse sedi, fino all’attuale approdo al Magazzino 26 del Porto Vecchio. Del complesso portuale costruito nella seconda metà dell’Ottocento per consolidare il ruolo di Trieste quale principale sbocco sul mare e snodo commerciale dell’Impero Asburgico, il Magazzino 26 è l’edificio più grande e uno dei più rappresentativi. La storia della città e del porto procedono parallele e si inseriscono nei più ampi percorsi degli eventi internazionali: dalla fine del dominio veneziano sui commerci in Adriatico, alla rivoluzione della navigazione data dal motore; dal completamento della ferrovia che collega la città a Vienna (1857) all’apertura del Canale di Suez (1859-1869), fino alle grandi Compagnie di navigazione commerciali, che permetteranno la navigazione diretta dal Mediterraneo all’Oceano Indiano, all’America e Australia. I visitatori possono esplorare le collezioni del Museo suddivise in sezioni tematiche che permettono di approfondire alcune figure e alcuni aspetti legati alla storia, all’economia e alla società di Trieste marittima, temi che evidenziano la relazione inscindibile tra la storia della città e il mare.
Come definirebbe il concetto di Patrimonio culturale marittimo?
Se è difficile in generale la definizione di patrimonio culturale, quella relativa al mare lo è ancora di più. Un passo molto importante sta proprio nella definizione di patrimonio culturale marittimo e quindi nella relativa classificazione museale: alcuni conservatori si stanno attivando per creare una specifica sezione nell’indice internazionale Icom (International Council of Museums). Ad esempio, in Italia, sotto la categoria ‘musei del mare’ ricadono due tipologie che sono invece ben differenti in altri paesi: ricorrendo all’inglese, il Sea museum e il Maritime museum. Il primo riguarda propriamente la sfera naturalistica, ambientale ed ecologica del mare, ovvero le scienze naturali; il Maritime museum si occupa invece del patrimonio antropologico e storico, della marineria, della pesca, commercio o navigazione, delle scoperte scientifiche, e più in generale del rapporto dell’uomo con il mare. Questa è una prima separazione molto importante. Ma è evidente che nel concetto di patrimonio culturale del mare si incrociano livelli diversissimi: scienza e tecnica, geografia, storia, archeologia, esperienze belliche, usi e costumi. Anche il patrimonio immateriale o intangibile è fondamentale e chiama in causa da molto vicino la categoria demo-etno-antropologica.
Le città portuali come Trieste, d’altro canto, sono profondamente e costitutivamente connesse all’elemento acqueo, e la storia del rapporto con il mare diventa la rappresentazione della sua vocazione originaria: il museo del mare è, di fatto, un museo della città. Per questo è importante la valorizzazione del patrimonio culturale marittimo come riscoperta dell’identità locale, della comunità a cui appartiene, ma con una fondamentale differenza rispetto ai musei territoriali, ovvero che il mare non è un territorio, ma uno spazio aperto che apre gli orizzonti e collega a degli Altrove, ben lontani da dove si è. Per Trieste era chiaro l’orientamento verso il commercio internazionale e interoceanico, verso le Americhe e, in seguito, verso l’Oriente estremo, soprattutto dopo l’apertura del canale di Suez, uno degli snodi storici cruciali per la crescita della marineria e della città stessa. Ogni museo del mare sarà quindi specchio del territorio e della comunità in cui si trova: dalla sua storia dipende la sua dimensione, mentre dalla sensibilità locale dipende la capacità di azione e di racconto di sé e dei tanti Altrove con cui si è connesso.
Quali sono attualmente i vostri progetti più importanti?
Il Museo del mare di Trieste ha più di cento e dieci anni di vita e nel tempo ha raccolto – in maniera abbastanza disordinata – un grande numero e varietà di cimeli, ma rimane ben definita l’impronta data dalla storia della grande marineria, quella dei transatlantici, delle compagnie di commercio coloniale, delle lunghe rotte intercontinentali e oceaniche. Molto apprezzata è la collezione di modelli di navi in differenti scale – dalle piccole imbarcazioni tradizionali agli enormi transatlantici – e degli antichi strumenti di navigazione, oltre alle mostre e agli eventi temporanei.
L’azione principale che si vuole svolgere in questi anni è la valorizzazione del Museo nella città, che sembra spesso ignorare questa risorsa culturale, ma anche aver dimenticato la propria identità. Un progetto importante è stato quello di raccogliere la memoria, attraverso interviste con chi ha vissuto il passato più o meno prossimo, e ricorda ancora tanto: grazie a un finanziamento della Regione Friuli Venezia Giulia stiamo provvedendo alla creazione di una piattaforma per la raccolta e digitalizzazione delle testimonianze e dei documenti e con un supporto tecnico multimediale sarà possibile ascoltare e consultare queste memorie all’interno del museo. Ai nostri partner abbiamo affidato inoltre la didattica museale, ovvero l’alfabetizzazione sul patrimonio del mare nelle scuole e nei giovani. Altra azione è la presenza e coinvolgimento del Museo del mare negli eventi più importanti per la comunità locale, come ad esempio la Barcolana.
Il grande progetto – un progetto di lungo termine – sarà il raddoppio degli spazi del museo grazie al completamento del restauro architettonico del Magazzino 26: la sfida sarà l’elaborazione di un’esposizione che sappia conservare e restituire il patrimonio dell’antico Museo del Mare ma anche guardare verso il futuro.
Come pensa il PSM possa integrare o aiutare la rete museale?
In riferimento al PSM, penso che i Musei del Mare possano svolgere un’importante funzione: i Musei garantiscono la presenza e la consapevolezza di quelle che sono le radici storiche del fenomeno marittimo in una precisa area geografica. Quello che può essere utile per i Musei, attraverso l’ampia scala del Piano, è migliorare le relazioni e costruirne di nuove, soprattutto in una prospettiva futura. Infatti il patrimonio culturale cresce senza sosta in connessione con l’evoluzione del rapporto uomo-mare: il Museo ha fortemente voluto impegnarsi con il Cluster per l’innovazione tecnologica marittima di Trieste, perché nel progettare il futuro si costruisce ciò che tra 100 anni sarà patrimonio culturale e la presenza di una memoria storica come il Museo del Mare è molto importante.
Sempre guardando al PSM, e avendo una minima idea di cosa vuol dire essere legati al mare – quindi avere un costante riferimento al viaggio e all’altrove senza limiti e confini – la scala delle connessioni tra Musei e Piano del Mare non può che essere sovranazionale. Attualmente la rete AMMM, dei Musei del Mare Mediterraneo, organizza un congresso ogni anno e crea un solido partenariato per i rispettivi progetti o studi. La nostra aspirazione sarebbe tessere una rete più specificamente locale, che coinvolga anche altre realtà istituzionali, o associative, e sarebbe auspicabile che il Piano del Mare potesse facilitare questo incontro, dandone un senso e un obiettivo.
*[intervista registrata l’8.11.2024]
Il Museo della Marineria di Cesenatico
Intervista a Davide Gnola (Comune di Cesenatico)*
La realizzazione del Museo della Marineria di Cesenatico è stata avviata nel 1977, a partire da un convegno che ne aveva fornito il progetto culturale, e portata avanti attraverso alcune tappe quali la campagna di acquisizioni e restauri, culminata nell’apertura della Sezione Galleggiante nel 1983, e l’inaugurazione, dopo l’allestimento nei due nuovi edifici, della Sezione a Terra nel 2005. Il Museo è diventato così punto di riferimento per la rete di Musei del Mare incentrati sulla conservazione del patrimonio immateriale degli antichi saperi della marineria. Esso è l’unico in Italia (e tra i pochissimi al mondo) dove è possibile esplorare anche una Sezione Galleggiante composta da dieci barche tradizionali complete di vele, ormeggiate all’antico Porto Canale accanto al centro storico. Nel Porto Museo il Comune ha invece riservato il posto a trenta barche tradizionali, che in estate alzano le loro caratteristiche e colorate vele al terzo e partecipano a raduni e regate di barche storiche. Con loro viene conservato intatto il patrimonio culturale intangibile, ovvero la vita della gente di mare, i metodi e i saperi della pesca e della navigazione, i loro usi e costumi.
Può definire il concetto di Patrimonio culturale marittimo?
Il punto di partenza per definire il patrimonio marittimo fa riferimento soprattutto al concetto di patrimonio culturale materiale e immateriale, declinato poi nella specificità del legame con il mare. Il mare, che per sua natura ha questa caratteristica di ampiezza e spazialità, richiede uno sguardo allargato, e un approccio multidisciplinare e rapsodico. Si parte da elementi e oggetti concreti come le navi, le imbarcazioni tradizionali, gli strumenti, per poi arrivare a elementi della storia marittima, fino a tutto l’universo ancora più ampio di patrimonio immateriale attivato dalle comunità che vivono e hanno vissuto il mare. E ancora, ci sono le narrazioni di poeti e scrittori, le opere degli artisti, le architetture dei luoghi e le città stesse che raccontano della complessità della nozione di patrimonio culturale marittimo. Traspare questo nei più importanti libri sull’Adriatico scritti da autori come Pedgrad Matvajevic (Breviario mediterraneo; L’altra Venezia) e Fabio Fiore (Ánemos; Isolario italiano) o negli studi di Niccolò Carnimeo (Com’è profondo il mare; Le aree marine protette nella prospettiva europea) e nell’ultimo lavoro collettivo – Adriatico. Mare d'inverno.
Un museo, attraverso mostre e attività, deve rendere conto di questo, per poi scendere nello specifico: alle origini del Museo della marineria di Cesenatico c’è la scoperta dell’esistenza di un patrimonio legato alla cultura e tradizione materiale delle piccole comunità della pesca e del trasporto marittimo di basso cabotaggio. Questo è scaturito da un progetto culturale elaborato a margine del convegno “La marineria romagnola, l’uomo e l’ambiente”, organizzato nel 1977 dalla locale Azienda di Soggiorno, che curò di fatto la nascita del museo per affidarlo poi in eredità al Comune. In una storiografia generale che ha sempre considerato la storia marittima come la storia delle grandi capitali del mare, è stato importante scendere di scala e aprire lo sguardo: ancora oggi a scuola si insegnano le Repubbliche marinare, mentre non si riflette sul fatto che l’Italia ha una ricchissima storia e tradizione marittima ‘minore’ legata alle piccole comunità diffuse sulle coste come parte integrante della storia e identità nazionale.
La consapevolezza che c’è un patrimonio sia materiale che immateriale che rischia di scomparire guida la nostra attività museale. Oltre al recupero e alla salvaguardia delle imbarcazioni tradizionali – il trabaccolo e il bragozzo, per esempio, le due barche protagoniste dell’ultima vela adriatica – il nostro lavoro è stato soprattutto esplorare, raccogliere, conservare e promuovere quello che è il patrimonio immateriale. Il progetto in corso sulla vela al terzo di cui parlerò tra poco è il finale di una sperimentazione fatta con il recupero della tradizione, ma anche del coinvolgimento della comunità, che si riconosce e ama visitare, vedere, provare a navigare nella tradizione.
Qual è la specificità del vostro museo?
Noi rimaniamo uno dei pochissimi musei in Italia che ha come sua destinazione le imbarcazioni tradizionali e la marineria tradizionale. Dopo quarant’anni di attività siamo diventati un punto di riferimento e un nodo di raccordo per tutti coloro che intendono occuparsi di tali argomenti, riconosciuti a livello nazionale e internazionale. Nelle nostre ricerche abbiamo limitato l’area geografica dell’alto e medio Adriatico escludendo la Laguna di Venezia, con la consapevolezza che lì c’è un patrimonio diverso che noi non potevamo rappresentare. Abbiamo invece una rete importante con la Croazia e col Mediterraneo in generale: è una nostra caratteristica di lavorare molto in rete, attivare collaborazioni, partecipare ad attività, studi e progetti a livello transnazionale, come Erasmus, Interreg e programmi di finanziamento europei. Adesso abbiamo in varo un obiettivo molto importante, ovvero l’iscrizione della pratica della vela latina e della vela al terzo nella lista Unesco per il patrimonio immateriale. Noi stiamo facendo i coordinatori per l’Italia, ma la candidatura ovviamente è transnazionale e riguarda la Croazia, la Spagna, la Francia, la Svezia e la Grecia.
Il Museo da oltre vent’anni è parte attiva dell’Associazione Musei Marittimi del Mediterraneo, della quale attualmente io sono il presidente. Si tratta di una realtà internazionale che riunisce musei e comunità legate al mare, di diversa natura e grandezza: c’è un convegno annuale, ma soprattutto una rete di collegamento tra grandi musei, come quelli di Barcellona o Genova, con musei ed ecomusei molto più piccoli, come quelli in Croazia. Da questa visione ampia e connessione, nascono molti progetti e si ha una consapevolezza e monitoraggio continuo del lavoro di ciascuno.
Come pensa che la Pianificazione del mare possa integrarsi?
Dal mio punto di vista la questione è chiara proprio alla luce dei nostri quarant’anni di esperienza e della collaborazione con molte istituzioni regionali, nazionali e internazionali. È necessario partire ancora una volta dalla riflessione sul senso dei Musei del Mare, sul loro valore e sulla loro missione: bisogna superare il concetto che il museo serva solo come offerta culturale generica per le cittadine costiere, da visitare quando piove perché non si può andare in spiaggia. Questa visione è estremamente limitativa. Il museo marittimo è quello che riesce a fare percepire alla comunità di persone a cui appartiene, a chi le governa, e quindi a chi attua le politiche sul territorio, che il mare ha una caratteristica specifica e che chi vive sulla costa – come chi vive in montagna – ha necessità di conoscere e ri-conoscere questa specifica identità. Un museo come quello della Marineria di Cesenatico ha il suo proprio compito di conservazione e trasmissione di conoscenza, ma ha soprattutto la missione di rendere la comunità consapevole della sua storia e rapporto con il mare, e quindi di attivare delle politiche riferite: politiche di salvaguardia del paesaggio, ma anche economiche e gestionali, attuate alla luce di una comprensione del territorio nella sua specificità costiera.
L’esperienza per noi illuminante è stata proprio quella della costa romagnola, che – ora lo si può dire tranquillamente – investita dalla rivoluzione del turismo dagli anni Sessanta e Settanta, ha visto distrutto il paesaggio, distrutto il territorio, e distrutta anche la società. Perché, se da un lato il turismo ha portato un grande benessere economico, esso ha provocato anche la perdita di tutto il sistema sotto-sociale, rendendo di fatto il paesaggio costiero un non-luogo, sfruttato in una stagione e poi disabitato. Il Museo è servito a ripercepire la propria storia e identità, a rendere le persone consapevoli del fatto che Cesenatico era un porto dall’antichità, con una tradizione centenaria, e non un terreno vergine e neutro dove fare quello che si vuole. Alcuni esempi concretissimi di buone pratiche: sulle banchine diventate strade passavano le macchine e c’erano ormai parcheggi a spina di pesce ovunque, ma con la pedonalizzazione è nata una nuova consapevolezza dello spazio, e anche il tempo viene vissuto in maniera differente; altro esempio è stata la riqualificazione del porto storico, abbandonato nell’ultimo tratto perché non aveva più valenza economica commerciale nel traffico marittimo: posizionandovi trenta barche tradizionali lo si è reso molto attrattivo e quindi frequentato. Un altro aspetto, forse più tecnico, è nella problematica dei cambiamenti climatici, che negli ultimi anni ha portato esondazioni, allagamenti e gravi danni: il museo, dando una consapevolezza del rapporto secolare con l’acqua, aiuta quindi gli ingegneri e i tecnici nel progetto di soluzioni, aiuta i politici a capire che questo rapporto va vissuto anche nel presente, nelle attività di salvaguardia e realizzazione.
Quindi, il ruolo che hanno i musei, ma anche gli enti di ricerca, è di avere un dialogo continuo e costante con chi attua delle politiche territoriali, per fare in modo che siano ispirate nelle azioni di salvaguardia: purtroppo questo non avviene sempre, e spesso iniziative che cascano dall’alto arrivano sul territorio costiero senza alcuna consapevolezza e quindi utilità, ponendosi, anzi, in frizione con il contesto. Un esempio attuale di questo dialogo è legato alla navigazione tradizionale a vela latina e al terzo e alla sua promozione come patrimonio Unesco: con la Soprintendenza stiamo cercando di attivare un protocollo tra i Comuni costieri e la Capitaneria di Porto per fare in modo che questa buona pratica possa essere estesa anche ad altri porti. È una cosa apparentemente molto semplice e legata al riuso di strutture come aree portuali abbandonate, ma spesso il comune o l’autorità portuale che deve intervenire non ha la conoscenza o la cultura storica del territorio e serve qualcuno che si occupa di patrimonio marittimo che spieghi cosa è quel luogo e che cosa può diventare. Il dialogo con le autorità diventa uno strumento di supporto che implementa l’approccio esclusivamente tecnico o giuridico e attiva delle politiche innovative.
Penso che questo possa essere esteso anche al livello del Piano strategico del Mare e, per un dialogo proficuo, noi Musei marittimi possiamo contribuire nel legame con il Ministero della Cultura e l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, con il network dei Musei del mare Adriatico che è già attivo e forte, con le conoscenze acquisite. Negli ultimi vent’anni sono infatti cambiate molte cose nel nostro settore, e in meglio: una volta chi si occupava di patrimonio immateriale era assolutamente malvisto, mentre ora in ogni Soprintendenza c’è il funzionario demoetnoantropologico; chi si occupava di patrimonio marittimo poi era isolato, nessuno sapeva quello che faceva l’altro, eravamo considerati una categoria ‘minore’. Ora conosciamo molto di più e chi lavora sulla cultura del mare può contare su una rete internazionale che accoglie e promuove i progetti e le relazioni.
*[intervista registrata il 13.11.2024]
Il Museo nazionale di Archeologia del Mare di Caorle
Intervista a Federico Bonfanti (Direzione regionale Musei nazionali del Veneto)*
Il Museo del mare di Caorle, in provincia di Venezia, è archeologico e nazionale, di pertinenza quindi del Ministero della Cultura e della Direzione regionale Musei Veneto. Il museo ha una sede storica in alcuni edifici agricoli degli inizi del Novecento e ha una collezione eterogenea. Al primo piano è collocata la mostra permanente “TerredAcque”, dove sono esposti i reperti archeologici più significativi rinvenuti a Caorle e nei siti limitrofi, databili all’interno di un ampio arco cronologico che va dall’età del Bronzo all’epoca moderna. Essi raccontano dell’evoluzione storico-archeologica dell’area: dal villaggio protostorico di San Gaetano, al Portus Reatinum citato da Plinio il Vecchio, all’antica città di Caprulae, fino alle testimonianze di epoca medievale e moderna. Nel cortile esterno è presente una tensostruttura che ospita un trabaccolo, tipica imbarcazione utilizzata fino al secondo dopoguerra nell’Adriatico per la pesca o per il trasporto di merci. Nelle sale al piano terra è invece raccontata la storia del brick (brigantino) Mercurio, un’imbarcazione da guerra francese a due alberi, affondata nel 1812 durante la battaglia di Grado, combattuta dagli Italo-francesi contro gli Inglesi. Per rendere la visita più immersiva ed esperienziale, adatta a diversi tipi di pubblico, sono stati realizzati diversi dispositivi multimediali e interattivi: dalla ricostruzione della poppa del veliero in scala 1:1 a postazioni immersive di realtà virtuale, a schermi touch che permettono di esplorare la ricostruzione del Mercurio o lo scavo del relitto e di sfogliare documenti digitalizzati, postazioni per la realtà virtuale, videoproiezioni usate per “aumentare” la capacità narrativa degli oggetti e degli eventi più significativi presenti al museo.
Cos’è il patrimonio culturale marittimo secondo lei?
Il Patrimonio culturale marittimo è un concetto ibrido, che non riguarda solo un patrimonio di natura concreta, fisica e tangibile nella sua definizione comune, ma comprende anche una parte immateriale, intangibile, che concerne i saperi, spesso antichi, legati al mondo della pesca o della navigazione. Il Museo di Caorle rappresenta bene questa concezione, nella sua composizione come nella sua azione sul territorio. La collezione archeologica e i resti dei relitti, il patrimonio ritrovato sui fondali marini, raccontano del sistema terra-mare dall’antichità a oggi, nonché dell’importanza dell’Adriatico attraverso i secoli: al museo di Caorle si può avere una buona panoramica storica dalla protostoria degli insediamenti lagunari, fino alle guerre dell’età moderna con il relitto del brigantino Mercurio.
L’obiettivo di un Museo del mare è quindi sviluppare il racconto del rapporto tra uomo-acqua, uomo-mare, mantenendo un occhio di riguardo al territorio e alle sue tradizioni. Perché è in esse – nel patrimonio immateriale quindi – che si declina l’identità storica del luogo, e quindi la funzione del museo stesso. La memoria storica e la relazione con il territorio è fondamentale per un sito come Caorle che ha vissuto lo stravolgimento completo della sua identità originaria: da borgo di pescatori a località balneare, l’economia nel giro di alcuni decenni si è del tutto trasformata, così come la relazione con il mare stesso. Infatti è proprio il patrimonio immateriale quello più a rischio, perché i saperi che lo compongono stanno scomparendo, come ad esempio la navigazione con vela al terzo. Altro esempio significativo sono i cosiddetti “Casoni”, caratteristiche abitazioni dei pescatori della laguna veneta, con alti e spioventi tetti di paglia. Edifici comuni e diffusi nel paesaggio lagunare, abitati dai pescatori fino a pochi decenni fa, necessitano oggi di una adeguata valorizzazione che metta a fuoco il senso di ciò che si sta visitando. Importante diventa la narrazione, il racconto storico e culturale che tramanda il sistema di vita del territorio: esistono ancora le testimonianze delle persone, abitanti in grado di descrivere il paesaggio e il vissuto dell’epoca, “caorlotti” di novant’anni che raccontano di come abitavano nei casoni e andavano a scuola a piedi o in barca tra le lagune e il fiume…
Due progetti europei di cui siamo stati beneficiari finali hanno aiutato il Museo di Caorle ad avanzare nel programma di racconto, conoscenza e diffusione con alcune postazioni multimediali di ultima tecnologia: uno è stato UnderwaterMuse, che si è focalizzato su tutto il patrimonio archeologico sommerso presente sui fondali del mare Adriatico di entrambe le sponde, ovvero delle acque di pertinenza sia italiana che croato-dalmata. L’esito è un grande touch screen esposto al museo che permette al visitatore di esplorare i vari siti sommersi. L’altro progetto, più dedicato al patrimonio immateriale è stato ARCA Adriatica, che grazie all’expertise e alle competenze messe a disposizione dall’Università Ca’ Foscari ha prodotto un’innovativa sezione di digital exhibit curata da Cristina Barbiani e Carlo Beltrame. Nella promozione e racconto di conoscenze tradizionali si è ricostruito virtualmente uno squero, analizzato documenti d’archivio, antiche rappresentazioni, tecniche tradizionali di pesca nell’alto adriatico e di navigazione e costruzioni di imbarcazioni di tipo tradizionale.
Oltre che con il turista che trascorre le vacanze in spiaggia e si gusta l’allestimento multimediale nei giorni di pioggia, importante è creare un rapporto forte con la comunità locale, che rischia di percepire il museo come un’entità estranea. Grande vanto è stato quindi quest’anno la donazione al museo da parte di un abitante di Caorle di quattordici modelli di imbarcazioni tradizionali da lui realizzati, ora entrati a far parte della collezione permanente ed esposti al museo.
Quali sonoi vostri progetti in corso?
I progetti che il nostro museo ha iniziato e che impegneranno i prossimi anni sono particolarmente rilevanti: l’ampliamento della superficie museale con il restauro di edifici contigui, a cui si affianca il ricollocamento del trabaccolo, ora esposto all’esterno sotto una tensostruttura. Il Museo attualmente è ospitato nei complessi di un’importante azienda agricola dei primi del Novecento appartenuta alla famiglia Chiggiato che aveva legami con gli Stucky di Venezia e si prevede il restauro di una superficie di tre piani, per un’esposizione decisamente maggiore. Accanto a questo è previsto lo spostamento del trabaccolo ottocentesco Marin Faliero, bene culturale vincolato e passato di proprietà al museo: il progetto è – seguendo un modello svolto nei paesi baschi – trasformare il relitto in un cantiere di restauro, in un laboratorio didattico permanente. In questo modo il Museo diventa un mezzo che unisce la conoscenza dell’antico al lavoro contemporaneo, alla cantieristica: l’obiettivo è creare una struttura dove i restauratori possano lavorare e formarsi, ma che sia aperta e visitabile al pubblico, che possa guardare le competenze dell’artigianato nel racconto storico.
Che relazione potrebbe esserci tra il Museo e il PSM?
Sicuramente il nostro obiettivo è tutelare e valorizzare il ruolo che il mare ha avuto nei secoli: l’Adriatico ha sempre avuto un ruolo osmotico di passaggio e trasmissione dei saperi da terra a mare, da nord a sud e viceversa, così come ha avuto anche una funzione di barriera durante i conflitti, diventando teatro di guerra. L’Adriatico racconta quindi una sequenza di vicende che interessano l’antico come i giorni nostri. È importante quindi agire con cognizione di causa quando si va a progettare lo spazio marino, per capire l’impatto e la compatibilità di questi interventi con il sistema esistente e con il preesistente, se sono proattivi nella valorizzazione del patrimonio o se invece creano degli scompensi o mettono in crisi l’equilibrio attuale.
La speranza è che il Piano difenda quanto si sta facendo in termini di protezione e valorizzazione, e anzi, che sappia promuovere e far conoscere un patrimonio che non è ancora conosciuto quanto meriterebbe. C’è ancora molto da fare in termini di divulgazione e percezione della collettività. Il museo è importante per i residenti nel territorio, ma anche per i turisti, che a Caorle sono una grande risorsa: tale tipo di conoscenza potrebbe anche avere un’importanza strategica da un punto di vista economico, potenziando e arricchendo l’offerta culturale del Veneto orientale e decongestionando la zona balneare.
La promozione attraverso il Piano potrebbe avvenire mediante la diffusione di informazioni con la creazione di una rete di collegamento, di network e relazione. Caorle era di fatto, in età romana ma anche medievale, un importante crocevia di traffici e hub commerciale dell’antica Venezia orientale, oltre che un passaggio fondamentale nel filtro tra entroterra e costa, tra rete fluviale e marittima. Attraverso il fiume navigabile Lemene, si univa la colonia romana di Iulia Concordia, ora Concordia Sagittaria, con l’Adriatico. E da qui si potrebbe anche ricostruire il dipanarsi della rete di navigazione a piccolo cabotaggio, endolagunare quindi, con quelle litoranea, e ricostruire un paesaggio straordinario nella sua diversità. L’area dell’altoadriatico, e in particolare la Venezia orientale, è l’unico comparto territoriale dell’intera regione Veneto ad avere una concentrazione di ben nove tra musei e aree archeologiche statali, che sono tutte legate all’Adriatico. Dal Parco archeologico di Altino al complesso paleocristiano di Concordia, da Adria fino al Museo nazionale concordiese di Portogruaro. La narrazione è infinita e procede di pari passo con la ricerca e la scoperta: grazie all’interessamento e alle risorse messe a disposizione dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, verranno esposti al museo alcuni resti di una imbarcazione antica realizzata con la tecnica a cucitura ritrovati in zona Alberoni che testimoniano la navigazione a piccolo cabotaggio, quindi endolagunare, del II secolo d.C.; ma il mare restituisce continuamente anche relitti contemporanei, come il timone di un brigantino prussiano dell’Ottocento incagliato al largo del Lido, oggi esposto nell’atrio d’ingresso del museo. Ciò che conta primariamente però – ripeto – è la salvaguardia del patrimonio immateriale, di tradizione, che rischia di perdersi nel mare del tempo che passa.
*[intervista registrata il 19.11.2024]
English abstract
The Ministerial Decree of September 25th, 2024, officially approved the Maritime Spatial Planning (PSM) for the Adriatic, Ionian, and Tyrrhenian Seas. These plans represent a significant step toward efficient marine resource management, fostering sustainable economic development while protecting marine ecosystems. Iuav University of Venice, in collaboration with CNR-Ismar and Corila, was appointed as the scientific hub supporting the Ministry’s Technical Committee, responsible for implementing the plans. Marine spatial planning differs from land-based planning due to its multi-dimensional nature and legal uncertainties. Interdisciplinary approaches, including the integration of cultural heritage, are essential, with Maritime Museums playing a key role in conservation and promoting local heritage.They are therefore interviewed – with three identical questions on maritime heritage, maritime museums, and collaboration with PSM – in their primary role, three of the curators of the most important and active Maritime Museums of the Upper Adriatic.
keywords | Maritime museum; PSM; Maritime Cultural Heritage.
Per citare questo articolo / To cite this article: A. Bonifacio, D. Gnola, F. Bonfanti, Rotte di sapere. Intervista ai curatori di tre musei del mare: Trieste, Cesenatico, Caorle, a cura di M. Bergamo,“La Rivista di Engramma” n. 218, novembre 2024.