"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

218 | novembre 2024

97888948401

Un viaggio nei sogni, dalla Preistoria al Rinascimento

Recensione a Homo imaginificus di Marco Paoli (Lucca 2023)

Damiano Acciarino

English abstract

Senza precedenti negli studi che abbracciano la variabile onirica nelle arti è il volume di Marco Paoli, Homo imaginificus, uscito a Lucca nel 2023 per i tipi di Pacini Fazi editore, auspice l’Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti. Nonostante un rifiorire delle indagini sul sogno, tangibile nelle pubblicazioni e nei gruppi di ricerca internazionali fondati in anni recenti, non solo in ambito artistico, ma che investono anche varie altre dimensioni della conoscenza (letteraria, storica, filosofica, culturale), uno sforzo di erudizione come quello compiuto da Paoli non era ancora mai stato registrato. L’opera qui analizzata nasce quasi in parallelo alle indagini della squadra allestita dal gruppo ‘Europäische Traumkulturen’ (2015-attivo), e a quelle portate avanti da ‘Dreamcultures: Cultural and Literary History of the Dream’ (2013-2019) all’interno della International Comparative Literature Association – approdate anche al varo di un utile database per monitorare il progresso bibliografico in materia. Paoli, studiando i sogni nell’arte, si relazione con una tradizione che in anni recenti vede impegnati sul fronte di questi studi i risultati della inesauribile miniera di informazioni sulla cultura onirica dell’antichità e del Rinascimento emerse, per esempio, nel commento Adelphi (2003) del Polifilo di Mino Gabrile (peraltro, si segnala che al momento è in preparazione una nuova edizione in tre volumi, notevolmente accresciuta rispetto a quella attualmente accessibile in due), nei progressi derivati dall’edizione critica del Somniale Danielis da parte di Valerio Cappozzo (2018), dalle ricerche del CNR nell’ambito dell’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo culminate con il volume Somnia - Il sogno dall'antichità all'età moderna a cura di Claudio Buccolini e Pina Totaro (2020), dagli studi di Cristina Acucella circa Il sogno dell'amata nella lirica del Rinascimento (2022), fino al recentissimo volume di Alessandro Arcangeli, Reanissance Dream Cultures (2024), e al volume di prossima uscita I sogni nel Rinascimento (2024) a cura di chi scrive e Laura Benedetti. Ma l’ideazione originale e la complessa realizzazione rende il lavoro di Paoli un esempio unico e ineguagliato in termini di approccio, metodologia di investigazione, arco temporale e vastità del campione analizzato.

A dieci anni esatti dalla celebre mostra degli Uffizi intitolata Il sogno nel Rinascimento – il cui catalogo, a cura di Chiara Rabbi Bernard, Alessandro Cecchi e Yves Hersant (Livorno 2013), è tutt’oggi una pietra miliare per gli studi sulle raffigurazioni di sogni tra XV e XVI secolo – e al culmine di un percorso personale di studi di durata pressoché trentennale, che ha visto contributi per lo sviluppo della materia di significativo rilievo (tra gli altri Il sogno di Giove [2012] e Primum somniare [2019]), Paoli effettua una summa dell’iconografia dei sogni e del loro alfabeto figurativo tanto ampia quanto auspicabile. Al di là dell’esteso arco temporale considerato, è proprio l’ambizione enciclopedica che ne deriva a conferire il maggior valore all’opera; anzi, forse si potrebbe quasi affermare che, proprio in ragione dell’estensione cronologica, l’unico approccio possibile alla materia era la compilazione di un catalogo universale dei sogni entro cui non solo riscontrare una complessa fattispecie figurativa, ma anche e soprattutto desumere dalla stessa casistica una serie di linee generali non altrimenti individuabili. Homo imaginificus, d’altronde, tenta di creare i presupposti, mediante l’accumulo sistematico, per una migliore comprensione del sogno come soggetto nei perimetri dello sviluppo artistico dell’Europa e delle civiltà mediterranee attraverso i millenni.

Per quanto i capitoli che suddividono l’opera siano allestiti intorno a nuclei geografico-culturali (nove in totale), quattro macro-sezioni, disomogenee per ampiezza, sembrano sussumere tale partizione all’interno di un più essenziale impianto di carattere cronologico: Preistoria, Antichità, Medioevo e Rinascimento. Naturalmente, un approccio di questo genere è mero espediente funzionale a organizzare la materia secondo convenzioni spesso frutto della tradizione bibliografica piuttosto che dell’autonoma e isolata natura di ciascun fenomeno nel tempo. E ciò è ben visibile dai risultati acquisiti: quanto emerge con sorprendente consistenza è infatti la continuità di certuni elementi – non solo di carattere iconolografico – nelle rappresentazioni del sogno attraverso i secoli, continuità che, in accordo con criteri induttivi, Paoli volge a strumento ermeneutico per individuare e caratterizzare, se non proprio comprendere e interpretare, anche eventuali rappresentazioni oniriche di epoche in cui fonti letterarie sul ruolo dei sogni potevano essere labili o proprio del tutto inesistenti, al punto che risultava incerto come un determinato immaginario potesse ricadere all’interno della categoria onirica in sé.

Il sogno, rilievo votivo, IV sec. a.C., Athens, Archaeological Museum of Piraeus, inv. n. 405

La prima macro-sezione è quella dedicata alle pitture rupestri del Paleolitico superiore, che, alla luce di una teoria intrigante, sebbene formulata su esclusiva base congetturale, vengono considerate quali esito di un processo rappresentativo frutto di una ancestrale dialettica tra realtà e immaginazione, innescata proprio dalla sfera del sogno. L’incertezza, in questi casi, resta d’obbligo. Nondimeno, si segnala che la percezione della grotta come luogo appartenente alla sfera onirica permane nella mitopoiesi occidentale, testimoniata com’è non solo dall’ovidiano met. XI, 592-649, ma anche dal Paleotti (Discorso II, cap. 39) e dal Marino (Adone X, 99-103) in età controriformistica e barocca.

La seconda macro-sezione è invece dedicata all’evo antico, con indagini rivolte al sogno nell’arte mesopotamica, a quello dell’Egitto, della Grecia e di Roma antica. Se per le civiltà sumere, assiro-babilonesi e accadiche, il sogno come soggetto artistico è di dubbia identificazione, la rilevanza di questo tema, che, si suppone, possa tradursi in soggetto artistico, si riscontra nel cosiddetto Libro dei sogni assiro (VII sec. a.C.), curato negli anni Cinquanta del secolo scorso da Leo Oppenheim (Philadephia 1956), ma soprattutto nei poemi eroici: Il sogno di Dumuzi, che rappresenta la più antica testimonianza letteraria di un sogno oggi nota, e L’epopea di Gilgameš, in cui una molteplicità di sogni sono raccolti e descritti. L’affinità tra una mitologia teriantropica e le ibride figurazioni generalmente riconosciute come manifestazioni oniriche viene riconosciuta come possibile punto di tangenza tra sogno e figurazione artistica anche nell’arte egizia, facendo ipotizzare una qualche connessione anche mediante l’idea che l’esperienza onirica prefigurasse la dimensione oltremondana.

Per i Greci e i Romani, invece, il sogno, in ambito letterario, teatrale, filosofico e scientifico, ottiene un rilievo senza precedenti. Da Omero a Ovidio, da Aristotele a Euripide, da Macrobio a Sinesio, è grazie alle continue meditazioni su e creazioni fittive di momenti onirici che le immaginazioni e visioni notturne guadagnano in complessità e articolazione. Paoli riscontra, tuttavia, che questa proliferazione teoretica e letteraria non trova un corrispettivo altrettanto ricco nelle sopravvissute rappresentazioni artistiche di sogni – per esempio, non si conosce il simulacro di Oneiros, mentre è noto quello di Hypnos – nella statuaria, nelle pitture murali e vascolari. Il rilievo votivo di Archinos (Museo Nazionale Archeologico di Atene n. 3369) viene indicato, tra gli altri, come esempio preclaro di rappresentazione onirica secondo uno schema, già esperito in letteratura, per cui sarebbe il sogno o la visione a visitare il dormiente. Al pari di quella greca, si registra l’esiguità di sogni artistici dei romani – non più di qualche moneta raffigurante il cosiddetto sogno di Silla, due tarde miniature da manoscritti virgiliani, con il canonico episodio del sogno di Enea, e frammenti pittorici ritraenti Marte e Rea Silvia.

Questa parte, nella prospettiva orientata da Paoli, oltre a tracciare un profilo della dimensione onirica nell’arte antica, evidenzia bene come, per quanto l’antichità incarni l’effettivo periodo di sviluppo del pensiero onirico e delle sue evocazioni di carattere letterario, sia invece lasciato al Medioevo e al Rinascimento il compito di recuperarne gli stilemi e ampliare la casistica iconografica applicandola al più ampio spettro dell’immaginario risultante però solo dalla contaminazione con il repertorio delle Sacre Scritture.

Le sezioni relative al Medioevo e al Rinascimento sono molto più estese, per ovvie ragioni legate alla sopravvivenza di un più folto lascito di testimonianze; la parte rinascimentale, da sola, copre più di metà dell’intero volume, ponendosi come l’esito di maggior valore dell’intero studio. Nondimeno, essa perderebbe di significato senza le precedenti, certamente quella greco-romana, ma soprattutto quella medievale, che, come dimostrato da Paoli, costituisce la premessa ineludibile degli schemi iconografici poi perpetrati durante il Quattrocento e il Cinquecento.

Il sogno di Giacobbe, mosaico, XII-XIII sec., Monreale, Duomo.

Il Medioevo, infatti, introduce nelle rappresentazioni del sogno una pletora di scene derivanti dalla Bibbia, dai martirologi e dai repertori agiografici, che, grazie alla mediazione di varie fonti – da Agostino all’enciclopedismo cistercense, da Alberto Magno a Tommaso d’Aquino, fino a Jacopo Passavanti – erano sostenute da una sempre più complessa architettura speculativa ben inscritta nei perimetri della teologia cristiana. Il sogno, in età medievale, diventa un tema iconografico fondamentale proprio perché ingenito nella e compartecipe alla storia della Salvezza: sognavano i Patriarchi, sognava Cristo, sognavano i Santi e i Martiri. E anzi, sin dalle fasi prodromiche dell’arte paleocristiana, s’introduce in maniera molto più chiara la dicotomia tra sogno notturno e visione. Se il primo fosse potuto risultare soggetto a interpretazione, la seconda avrebbe trasmesso direttamente verità rivelate. Ma se la ricca componente onirica e visionaria dell’Antico Testamento dominava le scene creando un paradigma figurativo che sarebbe perdurato nei secoli – dalla vita di Abramo alle vaticinazioni di Daniele, dalle interpretazioni di Giuseppe all’ascensione di Elia – soprattutto da uno studio comparato delle iconografie neotestamentario – dal sogno di Giuseppe, a quello dei Magi, alla visione del Noli me tangere – Paoli riesce a definire scarti rappresentativi che trovano ragione nelle mutazioni del clima culturale attraverso i secoli, e nell’uso che di questi soggetti potevano fare, quando identificabili, le committenze artistiche.

Lo stesso vale per i sogni e le visioni dei Santi, spesso inclusi negli apparati figurativi di codici miniati, nelle storie agiografiche parietali e nei bassorilievi delle chiese. I più celebri, o meglio, trattati con maggiore approfondimento, sono quelli di San Martino di Tours, di Sant’Ambrogio, San Francesco, San Domenico e Santa Monica; donde, è possibile ricostruire anche l’uso che, per esempio, i vari ordini predicatori o mendicanti potevano fare di certuni episodi onirici delle vite delle proprie figure eponime.

E, nonostante il Medioevo registri anche la presenza di sogni intervenuti a figure laiche, su tutti quelli di Costantino e di Carlo Magno, questi sogni non possono non essere sussunti all’interno del più largo spettro delle apparizioni di carattere ecclesiastico, ai cui sviluppi le loro conseguenze finivano per contribuire. L’unica effettiva difformità viene riscontrata nei sogni di natura profana, dove, in alcune miniature che ne accompagnano le narrazioni, emergono elementi di assoluta originalità. Questo, per esempio, è tanto il caso del Roman de la Rose – ove si pongono problemi spaziali e temporali per rendere in maniera narrativamente felice lo svolgimento della scena onirica – quanto della Commedia di Dante – ove, talvolta, ci si confronta con la resa grafica del sogno che avrebbe originato la visione del poeta e dei sogni purgatoriali.

Alla luce di questa estesa raccolta di casi onirici, che già di per sé registra un valore notevole, Paoli ha la lucidità di razionalizzare la materia identificando i principali schemi iconografici di consueto applicati all’immaginario del sogno. Il primo concerne la “modalità di trasmissione del messaggio onirico”, ossia come il sognatore figurato riceve il contenuto che dal sogno deve essere desunto: ossia il ‘digitus argumentalis’, il contatto fisico e il raggio di luce. Il secondo concerne la presenza di un testimone del sogno che assista il sognatore che e quindi possa in qualche modo confermare la veridicità dell’esperienza onirica. Il terzo riguarda la presenza effettiva del contenuto onirico che si materializza agli occhi del sognatore. Il quarto determina come questo contenuto onirico entri nella spazialità della scena. In quest’ultimo ambito viene riconosciuta una tripartizione ulteriore, per cui i sogni appaiano talvolta in volo nell’ambiente in cui il sognatore si trova, irrealisticamente collocati (a); altrimenti, i sogni popolano lo spazio del sognatore, presentandosi come personaggi equiparabili a quelli attivi sulla scena (b); in ultima istanza, i sogni vengono disposti in spazi separati, circoscritti cioè in una dimensione altra rispetto a quella del sognatore (c).

Tutta la sezione medievale si conformerebbe come uno studio autonomo e pienamente compiuto, se non fosse seguita da quella dedicata al Rinascimento, di cui finisce, a causa dell’estensione più che del grado di approfondimento, per diventare ancella. Infatti, sono proprio i paradigmi della rappresentazione onirica sviluppatisi durante il corso del Medioevo a farsi premessa per i successivi utilizzi. Paoli affronta la questione con il medesimo piglio: prima analizzando i sogni biblici, per poi dedicarsi più estesamente a quelli di carattere profano. La differenza più notevole rispetto al Medioevo, tuttavia, sta nella riscoperta rinascimentale del paganesimo antico, che apre le vie all’inclusione di una sostanziosa casistica di sogni attestati nella mitologia greca e latina.

I sogni veri e propri, intesi come immaginazioni svolte nel sonno, potevano invece beneficiare non solo della riscoperta di Aristotele e della teologia platonica inaugurata da Ficino e dai suoi seguaci, ma anche del ritorno in auge della trattatistica onirologica antica, dimenticata per secoli, e poi riportata alla ribalta anche grazie a una serie di latinizzazioni del greco e di volgarizzamenti: su tutti, basti ricordare la parafrasi latina di Temistio condotta da Ermolao Barbaro, e le varie traduzioni e volgarizzamenti di Artemidoro seguiti alla riscoperta del manoscritto in lingua greca nel secondo decennio del XVI secolo.

Pur seguendo le principali convenzioni oniriche risultanti dal Medioevo, il Rinascimento, proprio in ragione delle fonti letterarie, estremamente più ramificate rispetto all’età medievale, potenziava l’incidenza dell’allegoresi onirica nella rappresentazione, attiva com’era anche la variabile geroglifica che, dall’Orapollo in avanti, codificava in maniera più complessa le tessere dell’immaginario simbolico a cui era possibile accedere.

Gislebertus, Il sogno dei Re Magi, capitello scolpito, 1130, Autun, Cathédrale Saint-Lazare.

Andando per ordine, i sogni sacri, si direbbe di matrice cristiana, ripercorrono il canone medievale, con rappresentazioni di sogni della Bibbia tanto del Vecchio quanto del Nuovo Testamento e dei sogni dei Santi. Tale aspetto non è da sottovalutare, perché, soprattutto nell’ultimo quarto del XVI secolo, la questione del sogno sacro dovette confrontarsi anche con le restrizioni controriformistiche – per esempio, l’episodio del Sogno di Giacobbe, che coinvolgeva la visione di angeli, trova una maggiore diffusione solo dopo il Concilio di Trento che, nella sessione XXV, riammetteva nell’ortodossia l’adorazione delle entità angeliche. Comunque, sia gli schemi iconografici del Medioevo che le fonti da cui gli episodi erano tratti, incluse quelle agiografiche e laiche, continuano a irradiare senza soluzione di continuità le composizioni rinascimentali – anche se bisognerebbe analizzare caso per caso gli episodi, confrontandoli anche con le varie versioni della Bibbia accessibili nel Cinquecento, che spesso offrivano versioni poliglotte, volgarizzate ed eterodosse, che consentivano riforme iconografiche anche sottili.

Ma il reale slancio verso un’ostentata originalità è raggiunto durante il Rinascimento dalle rappresentazioni artistiche di sogni profani. Non solo nella raffigurazione di soggetti palesemente onirici, come possono essere i sogni del Polifilo, o sogni tratti dalle letterature antiche, quali il Sogno di Paride o il Sogno di Ecuba, ma soprattutto nelle numerose allegorie del sogno che venivano allestite combinando una molteplicità di elementi simbolici. Paoli, in questo contesto, come già fatto in precedenti lavori, decodifica gli elementi ricorrenti in una sorta di tavola combinatoria – la presenza o meno delle personificazioni dell’Aurora e del Sonno, di animali o architetture più o meno realistiche, di dinamiche di trasmissione di conoscenza, di maschere o altri elementi topici di tali composizioni, zoologi e botanici. Dosso e Battista Dossi, Marcantonio Raimondi, Michelangelo, Vasari, Tintoretto, sono solo alcuni tra gli artisti le cui allegorie del sogno vengono esaminate e trasformate nel serbatoio di dati donde trarre conclusioni.

Il volume si chiude con una serie di appendici in cui si osservano più nel dettaglio alcune rappresentazioni di sogni particolarmente problematiche e un catalogo dei trattati onirologici del Cinquecento. Paoli era già intervenuto su alcune di tali questioni altrove; nondimeno, la collocazione di questi casi di studio a seguito di una tanto dettagliata analisi consente di rileggerli proprio alla luce della grande mole di materiale che li precede, conferendo un’ulteriore percezione enciclopedica all’opera.

Questo approccio integrato rende l'opera non solo un riferimento per storici dell'arte, ma anche per studiosi di discipline come la letteratura comparata, la psicologia storica e la semiotica visiva. La sua capacità di intrecciare teorie sul sogno con le loro rappresentazioni visive offre nuove prospettive su come il pensiero umano abbia elaborato l'inconscio attraverso i secoli. A fronte di questo strumento messo alla disposizione dei critici, bisogna cercare di capire come servirsi del materiale quivi raccolto. Infatti, la costituzione di un catalogo ragionato della maggior parte di sogni noti alla storia dell’arte dall’antichità al Rinascimento consente di accedere a una mole di informazioni eterogenea, ma soprattutto fruibile. L’Homo imaginificus di Paoli potrebbe porsi in dialogo diretto con le teorie onirologiche dei tempi in cui le opere artistiche erano realizzate, di fatto creando i presupposti per un dialogo sistematico tra i sistemi di conoscenza. Se sono note le varie tipologie di sogno, come descritte, per esempio, da Macrobio o da Aristotele e dai loro commentatori, sia medievali che rinascimentali, da Galeno o Artemidoro, diventa opportuno lo sforzo di comprendere se e in che misura l’accesso all’analisi filosofica e fisiologica influisse sulla resa spaziale del sogno raffigurato. Diventa altresì possibile comprendere se gli schemi iconografici consolidati nella rappresentazione onirica subissero qualche tipo di osmosi con le rappresentazioni letterarie che dei sogni venivano parallelamente composte. In questo modo, si comprenderebbe se i meccanismi che guidano l’immaginazione artistica e quella letteraria si servono di analoghi o differenti strumenti per raggiungere l’esito condiviso della fictio.

Dosso Dossi, La ninfa e il satiro, 1524, Los Angeles, Getty Museum (dettaglio)

English abstract

Marco Paoli's Homo imaginificus (Lucca, 2023) is a groundbreaking work on the representation of dreams in art from prehistory to the Renaissance. This encyclopedic volume bridges millennia of artistic traditions, offering a systematic catalog of dream iconography. Paoli's analysis transcends geographical and chronological boundaries, organizing material into four macro-sections: Prehistory, Antiquity, the Middle Ages, and the Renaissance. He uncovers recurring iconographic patterns and interpretive frameworks, including the interplay between artistic and literary representations of dreams. The Renaissance section, the largest, illustrates how medieval Christian iconography and rediscovered classical sources reshaped allegorical and profane dream representations. The work establishes a unique dialogue between dream theories and their artistic realizations, enriching our understanding of how philosophical, theological, and literary interpretations influenced visual culture. Paoli's methodological approach makes Homo imaginificus an interesting reference for dream studies in Art History.

keywords | Dream Iconography; Cross-Cultural Onirology; Dreams in Art; Renaissance Dreams; Medieval Dreams

Per citare questo articolo/To cite this article: D. Acciarino, Un viaggio nei sogni, dalla Preistoria al Rinascimento. Recensione a Homo imaginificus di Marco Paoli (Lucca 2023), “La Rivista di Engramma” n.218, novembre 2024.