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Archeologie nautiche da Canaletto a Guy Debord
Camilla Pietrabissa
English abstract
1 |Fotogramma da Alexandre Promio, Panorama du grand Canal pris d'un bateau: Vue N° 295, 1896.
Urbanismo acquatico
Il sistema di canali e spazi d’acqua che costituisce la rete urbana di Venezia ha una doppia funzione pratica e simbolica. A Venezia l’acqua è sia l’infrastruttura che permette il passaggio e la connessione fisica tra spazi urbani, sia il medium di comunicazione tra umani e non umani: così il Canal Grande, dalla caratteristica forma a S, permette sia di collegare in senso funzionale le diverse isole di cui è costituita la città, sia, dal punto di vista simbolico, di attraversarla nella sua interezza, per sfociare nel Bacino di San Marco, vera piazza d’acqua cerimoniale sulla quale affacciano le sedi del potere politico e religioso (Padoan Urban, 1968; 1980). La progressiva definizione dell’area marciana come spazio pubblico monumentale tra il XIV e il XVI secolo ha prodotto un’urbanistica orientata dal punto di vista acquatico (“water-oriented urbanism”, Savoy 2012, 1). La costruzione di edifici e il restauro delle facciate, così come la sistemazione di fondamenta e piazze pubbliche, sono stati progettati secondo un principio scenografico che teneva in considerazione anche, se non principalmente, il punto di vista dei naviganti.
Ci si può chiedere se e come le immagini hanno registrato e rielaborato questo processo di trasformazione urbana che è il risultato di interventi di entità diverse e di lunga durata promossi e realizzati in fasi successive da figure di architetti, ingegneri, politici, e operai. In particolare, le immagini che illustrano la specificità dell’esperienza del navigatore – rispetto, ad esempio, a quella del camminatore – tendono a privilegiare quei caratteri urbanistici di Venezia che mostrano lo stretto legame tra risorse naturali e storia urbana. Siccome l’acqua nel suo scorrere comunica agli abitanti informazioni sulla condizione climatica e ambientale della laguna, la navigazione porta a fare esperienza diretta e continua dell’ambiente fisico e degli elementi naturali. Del resto, la relazione sempre stretta tra infrastruttura urbana e mediale ha un’importante dimensione territoriale, ambientale e materiale (Parks and Starosielski 2015, 5). Quali sono i dispositivi con i quali le immagini hanno rappresentato questo legame?
Un’archeologia dello sguardo acquatico su Venezia ha nella “carrellata” del Canal Grande girata nel 1896 da Alexandre Promio per i fratelli Lumière – in cui appaiono sia la gondola che il vaporetto – un punto di svolta fondamentale [Fig. 1]. Anche le serie di vedute del Canal Grande dipinte da Canaletto rivestono un ruolo importante nel campo dell’archeologia dei media (Bruno 2002, 174). Certo, l’analisi archeologica della carrellata lagunare non ha come fine quello di scoprire un’origine di tale sguardo – che è come ogni origine sempre fantasmatica – ma piuttosto di cogliere alcuni aspetti teorici che tali immagini rendono espliciti. In particolare, l’articolazione del montaggio delle incisioni tratte da Canaletto può essere analizzata come forma di mappatura di un itinerario urbano di navigazione. Laddove i monumenti o landmarks erano tradizionalmente il focus dell’immagine urbana, Canaletto sposta l’attenzione sul Canal Grande come luogo simbolico della Venezia moderna, della vita quotidiana della città e dell’architettura come fondale scenografico, illustrando così una utopia dello spettatore settecentesco (nel significato che del “luogo utopico” propone Marin 1973; 1983). Non la città come è, ma la città che si vorrebbe che fosse: una sequenza continua di facciate che si offrono alla vista dei naviganti nella loro perfetta leggibilità. Il confronto tra l’itinerario canalettiano della serie del Prospectus Magni Canalis Venetiarum (1735) e il percorso di navigazione contenuto nell’ultimo film di Guy Debord In girum imus nocte et consumimur igni (1978) permette di esaminare da un lato come le immagini rappresentano diversi itinerari acquatici e dall’altro la specificità di Venezia come testo utopico.
Una logica cinematografica?
La serie di quattordici incisioni che Antonio Visentini ha tratto dai dipinti di Canaletto, pubblicata presso Giambattista Pasquali e finanziata da Joseph Smith, costituisce il primo esempio di restituzione in immagine del percorso di navigazione lungo il Canal Grande nella sua interezza (Succi 1986). Essa fu pubblicata inizialmente nel 1735, cioè quasi un secolo e mezzo prima della carrellata di cinquanta secondi con cui Alexandre Promio filmava lo scorrere delle facciate dei palazzi costruite proprio per essere ammirate dall’acqua. Una seconda edizione della serie, pubblicata nel 1742, includeva le prime tavole rilavorate e una nuova sequenza di vedute che completavano il percorso lungo il canale. Di entrambe è stato scritto che mostrano uno sguardo ‘cinematografico’ perché utilizzano alcuni dispositivi compositivi e prospettici per produrre un effetto di continuità. Alla selezione di edifici pubblici più conosciuti e ai punti di vista ricorrenti nei compendi di architettura veneziana, Canaletto sostituisce in questo caso un’articolazione delle immagini che funziona secondo una logica topografica del tutto originale.
2 | Mappa delle vedute incluse nel Prospectus…, 1735 (Elaborazione grafica: Cesare Sartori).
3 | Mappa delle vedute incluse nel Prospectus…, 1742 (Elaborazione grafica: Cesare Sartori).
La prima serie del 1735 dispone le vedute attorno all’asse del Ponte di Rialto, considerato come centro commerciale e insediamento urbano originario, per continuare verso la zona Marciana con una veduta in controcampo verso l’imbocco del Canale e la Dogana [Fig. 2]. A partire dalla Tavola VII (num. 7 in figura), il percorso riprende da Rialto verso Nord fino a Santa Chiara. Le due tavole finali, probabilmente aggiunte alla serie sotto suggerimento di Joseph Smith, rappresentano la Regata (Tavola XIII, num. 13 in figura) e il Bacino di San Marco (Tavola XIV, num. 14 in figura). Si dovrà attendere la nuova edizione del 1742 per avere un percorso che segue un principio lineare, che comincia dal canale di Santa Chiara e avanza fino alla zona marciana con una sequenza di campo e controcampo irregolare [Fig. 3]. L’ultima serie, realizzata a partire dalle vedute di Canaletto e unita alle altre due in una pubblicazione dal titolo Urbis Venetiarum Prospectus Celebriores (1750), non include nessuna veduta del Canal Grande, ma mostra campi sparsi per la città e, nelle ultime due tavole, Piazza San Marco in campo e controcampo.
4 | Prospectus a Templo S. Eustathii ad Substructiones Rivoalti, Tavola 5, 1742, 275 × 432 mm, Rijksmuseum, Amsterdam (Public domain).
5 | Prospectus ab Aedibus Pisaurorum ad S. Jeremiam, Tavola 6, 1742, 275 × 432 mm, Rijksmuseum, Amsterdam (Public domain)
Come ha scritto per primo André Corboz, nelle vedute di Canaletto la continuità del movimento lungo il Canal Grande risulta dall’utilizzo di una logica compositiva che ricorda la tecnica del controcampo per il quale, nei punti di stazione scelti, le vedute cominciano esattamente dove finisce quella precedente, e anche in modo incrociato tra la prima e la seconda serie (Corboz 1985, 413-415). Un esempio lampante di tale articolazione è nelle Tavole 5 e 6 della seconda serie, che mostrano Ca’ Pesaro prima sullo sfondo del campo visivo all’altezza di San Stae e poi in controcampo, guardando in direzione di San Geremia [Figg. 4 e 5]. Operando come una cerniera, in questa seconda tavola Ca’ Pesaro è l’edificio delineato in dettaglio.
Nella sua disamina dell’uso della prospettiva nell’opera di Canaletto, Corboz ha anche osservato che nelle vedute più ampie si assiste a un fenomeno che si potrebbe battezzare “carrellata incorporata”, cioè un invito all’esplorazione del dipinto che non privilegia una direzione né richiede una certa distanza dalla tela (Corboz 1985, 170) [Fig. 7]. Si tratterebbe quindi di riconoscere che Canaletto ha stabilito un rapporto con lo spettatore caratterizzato dall’assenza di momenti di sosta per lo sguardo: una forma di navigazione libera all’interno dello spazio pittorico e urbano. Questa tesi ha un corrispettivo iconografico nell’idea di Francis Haskell che le vedute del Canal Grande non fossero volte a celebrare né alcuni eventi specifici, né tantomeno aspetti architettonici come le facciate viste dall’acqua o la particolare forma del canale stesso. Piuttosto, il gruppo di dipinti da cui sono tratte le stampe sarebbe da considerare come una semplice “testimonianza documentaria”, la prima dell’età moderna:
Fatte due eccezioni il gruppo è formato da dodici piccole vedute di Venezia, scelte non già per l’interesse, l’importanza o la bellezza dei luoghi rappresentati, bensì perché costituivano una testimonianza documentaria dell’intero corso del Canal Grande. Il pittore ha percorso da un capo all’altro, sistematicamente, la grande arteria, lasciandoci una testimonianza visiva di Venezia di una bellezza e a un tempo una essenzialità quale mai un’altra città ha avuto. Del tutto nuovo era un simile atteggiamento nei confronti dell’arte. Molti pittori, anche fra i più noti, erano stati spesse volte impiegati per rappresentare scene tratte dalla vita contemporanea che rivestivano particolare importanza per i loro committenti, oppure edifici e paesaggi a cui essi si sentivano particolarmente legati […] Altri ancora avevano dipinto singoli edifici di eminente interesse architettonico. Ma sono proprio queste le caratteristiche che mancano nel ciclo del Canaletto…: fissando lo sguardo decisamente sul canale, l’artista disegna spesso chiese e palazzi secondo una prospettiva così ardua che non è possibile ammirarli di per sé (Haskell [1963] 1985, 465-466).
Per Haskell la serie costituirebbe quindi il primo esempio di un approccio documentario alla città che produce un’opera al contempo elegante e modesta: “as fine and yet as unpretentious a memorial as any city has ever had”. Il termine unpretentious ha qui la funzione di segnalare la mancanza di celebrazione simbolica, se lo intendiamo nel senso di “senza pretese”, nello stesso modo in cui Corboz parlerà di mancanza di punti di vista privilegiati.
6 | Canaletto, Veduta del Bacino di San Marco, c. 1738, olio su tela, 124.5 x 204.5 cm, Museum of Fine Arts, Boston (Foto: Didier Descouens).
Immagini scenografiche
Nella letteratura sul pre-cinema le vedute di Canaletto sono accostate alle forme di serialità specifiche della rappresentazione dello spazio come i dispositivi del Mondo nuovo e gli altri spettacoli di strada che ebbero il massimo di diffusione nel Settecento, di cui il travelogue Ottocentesco costituisce l’esito finale (Brunetta 1997; Riva 2025). Infatti, anche in queste forme storiche di intrattenimento popolare veniva rappresentata la vita quotidiana delle città sullo sfondo di punti d’interesse principali. Rispetto alle vedute usate per questi dispositivi, l’assenza di un punto di vista privilegiato sui punti di riferimento urbani o landmarks è la novità principale delle vedute a stampa canalettiane. Se infatti si escludono le ultime due tavole che illustrano la Regata all’altezza della volta del canal dove veniva allestito un palco temporaneo (Tavola XIII) e il Bacino di San Marco durante la festa della Sensa (Tavola XIV), la serie è composta da singole stazioni lungo il percorso del Canal Grande di cui talvolta non viene messo in luce alcun edificio in particolare.
Inoltre, il Prospectus si distingueva dalle forme popolari di rappresentazione urbana per il grande formato delle incisioni che venivano così rilegate in album, o talvolta incorniciate per essere esposte a parete. Le stampe legate in volume venivano così sfogliate: una modalità di fruizione che – in modo forse più marcato dell’esposizione di tele o stampe a parete – stimolava il lettore a ricomporre nella mente (a “ri-montare”) il percorso urbano virtuale. Nel formato della stampa si compie così la messa in forma di un percorso immersivo per immagini che tenta di rendere l’esperienza di mobilità lungo uno spazio determinato (nei termini già indicati da Bruno 2002). In questo senso, il titolo di Prospectus Magni Canalis Venetiarum ha un doppio significato: si riferisce sia alla natura di catalogo delle composizioni di Canaletto (pensate principalmente per clienti stranieri), sia alla tipologia dell’immagine, cioè la veduta prospettica e sintetica della città. Nel 1821, una delle prime guide strutturata su itinerari divisi in giornate, utilizza il termine “prospetto” con il significato architettonico di rappresentazione sintetica in proiezione ortogonale sul piano verticale. La terza giornata della guida è infatti dedicata a percorrere tutto il Canal Grande in barca: “Molti sono gli oggetti, che in questo si offrono; nullaostante non mancherà il tempo necessario a vederli, giacché il maggior numero non altro domanda, che uno sguardo passeggiero all’esterno Prospetto.” (Quadri 1821, np).
Eppure, nonostante questo dispiegamento di dispositivi compositivi che mettono in movimento le immagini in sequenza, le singole vedute del Prospectus non includono elementi che suggeriscono il movimento continuo di persone e cose sull’acqua. Per ottenere l’omogeneità compositiva e creare la sequenza di vedute del Canale, il pittore adotta la stessa profondità di campo per ciascuna immagine della serie. Inoltre, facendo uso delle distorsioni prospettiche imparate nell’ambito della scenografia teatrale in cui si era formato, Canaletto dipinge vedute identiche nella composizione e ottiene così quella limpida descrittività che produce, in ultima analisi, un potente “effetto del reale” nei termini descritti da Roland Barthes:
[Le details realistes] ne disent finalement rien d'autre que ceci: nous sommes le réel; c'est la catégorie du «réel» (et non ses contenus contingens) qui est alors signifiée; autrement dit, la carence même du signifié au profit du seul référent devient le signifiant même du réalisme: il se produit un effet de réel, fondement de ce vraisemblable inavoué qui forme l'esthétique de toutes les oeuvres courantes de la modernité (Barthes 1968, 88).
Le barche e le figure (macchiette) che abitano il primo piano acquatico non sono altro che elementi riempitivi che rafforzano questo effetto.
Come ha scritto Corboz, “la folla delle vedute resta come sospesa nel vuoto newtoniano” (Corboz 1985, vol. 2, 417). Vi sono motivi materiali per questo, dati dal processo pittorico con cui le macchiette venivano aggiunte solo dopo aver completato lo sfondo architettonico e il primo piano acquatico. Così, le gondole non hanno scia, e il moto ondoso è regolare, indipendente dall’interazione tra elementi diversi della composizione. Inoltre, il punto di vista prescelto nelle vedute a stampa è sempre posizionato un po’ più in alto del livello dell’acqua, che pure fu adottato da Canaletto stesso in alcuni casi della sua produzione pittorica. In termini semiotici, il cronotopo canalettiano della navigazione lungo il canale (per Bachtin il cronotopo esemplare era la strada) non produce movimento ma stasi. L’effetto di movimento è delegato interamente all’articolazione tra le immagini che conferisce senso al progetto del Prospectus.
Se, come riteneva Manfredo Tafuri, la traduzione a stampa delle vedute voluta da Smith aveva come scopo primario la creazione di un catalogo di composizioni disponibili per i clienti, queste sequenze vanno considerate come l’immagine di un itinerario turistico ideale (Tafuri 1980, 56; si veda anche Brusatin 1980, 96-97). Le immagini “senza pretese” della città sarebbero dunque da intendersi come souvenirs per turisti e residenti stranieri prodotte da un artista che anticipava il tramonto della Repubblica. La linea interpretativa di Corboz, invece, vede nella messa in sequenza del Canal Grande una postura autoriflessiva volta a illustrare la peculiarità dell’ambiente acquatico veneziano non solo nelle sue funzioni turistiche che, a partire dal Settecento, stabiliscono un nuovo polo di potere, ma anche in continuità con i processi urbanistici già in atto almeno dal Quattrocento. Le vedute commissionate da Joseph Smith tenderebbero infatti a naturalizzare i caratteri ambientali veneziani attraverso un lavoro di distorsione dell’immagine, come si farebbe a teatro, creando una visione utopica della città. Nella sua opera Canaletto, consapevole di denunciare l’illusorietà delle utopie urbane, rovescia con le sue vedute – reali o immaginarie – lo storicismo che vuole restituire in pittura l’esattezza di un luogo e un tempo. Nel caso specifico del Canal Grande, egli traduce in immagine un percorso che è soggetto all’appropriazione del committente e dei potenziali clienti stranieri, in quanto proiezione ideale di un’esperienza del luogo creata attraverso l’impressione di movimento concessa dal medium seriale.
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Nonostante il punto di vista elevato delle vedute canalettiane sia lontano dalla visione soggettiva delle prime carrellate cinematografiche, la sequenza del Prospectus richiama la navigazione in barca come forma privilegiata di movimento urbano. La barca è un elemento importante di tale processo. Le gondole e i galeoni che occupano i primi piani delle vedute del Canal Grande danno l’impressione di trovarsi nell’ambiente descritto, come leggiamo in una lettera di Francesco Algarotti che descrive uno dei capricci di Canaletto con il progetto mai realizzato per il Ponte di Rialto:
Ella può ben credere che non mancano al quadro né barche, né gondole che fa in eccellenza il Canaletto; né qualunque altra cosa trasferir possa lo spettatore in Venezia; e le so dire che parecchi veneziani hanno domandato qual sito fosse quello della città ch’essi non avevano ancora veduto (Lettera di Francesco Algarotti a Prospero Pesci, 28 settembre 1759, in Algarotti 1792, 93).
L’itinerario virtuale lungo la via d’acqua, per le sue caratteristiche di continuità e passività, restituisce dunque allo spettatore l’intensità che caratterizza il primo sguardo del cinema e in particolare la carrellata dal treno (Friedberg 1993; Kirby 1997). Per il filosofo dei media elementali John Durham Peters, inoltre, la barca è lo strumento che trasforma il mare in un medium, in virtù del fatto che la natura è sempre tale come forma di elaborazione culturale. Così, il mare e la barca diventano medium in relazione reciproca (“No medium has its meaning alone or in isolation from other media”, Durham Peters 2016, 111).
7 | Fotogramma di apertura da Guy Debord, In girum imus nocte et consumimur igni, 1978.
Tra i tanti film che includono sequenze di navigazione nei canali di Venezia, uno in particolare sembra richiamare l’analisi delle forme di rappresentazione dello spazio urbano suscitata dall’opera di Canaletto. Un altro visitatore straniero del ventesimo secolo, il francese Guy Debord, ha scelto Venezia come città da percorrere virtualmente nel suo ultimo film. In girum imus nocte et consumimur igni, realizzato nel 1978 e distribuito nelle sale nel 1980, è il testamento intellettuale di uno degli ultimi protagonisti delle avanguardie storiche [Fig. 7]. Il film è un assemblaggio di fotografie, immagini pubblicitarie e sequenze di film diversi, legate dalla voce fuori campo di Debord che legge un testo di dura denuncia alla cultura e alla società del suo tempo e ripercorre le tappe della sua vita politica. A intervalli irregolari appaiono anche alcune sequenze di un percorso in barca nei canali di Venezia, che ricordano, proprio per la loro frammentarietà, le pratiche situazioniste con cui si tentava di liberare la città, diventata luogo esemplare di sfruttamento della società dello spettacolo (McDonough 2002). Il “détournement”, la “deriva psicogeografica”, confluite ad esempio nelle pratiche di cartografia (mapping), sono tutte strategie con cui i Situazionisti tentavano di criticare la trasformazione territoriale in atto e riappropriarsi delle immagini dominanti nel tardo capitalismo (McDonough 2005). ll montaggio di frammenti di navigazione nell’ultimo film di Debord sono dunque tentativi di decostruzione territoriale che si inseriscono in tale orizzonte culturale.
8 | Mappa delle sequenze veneziane all’interno del film In girum... Elaborazione grafica di Cesare Sartori.
Il percorso tracciato da Debord nelle acque veneziane ha una sua logica che si potrebbe definire “centrifuga” [Fig. 8]. Nelle prime due sequenze la barca percorre il canale di San Giorgio, cioè quella via cerimoniale da dove entravano nel Bacino di San Marco i visitatori stranieri per le visite diplomatiche alla Repubblica (Fortini Brown 1990). Nelle sequenze centrali la barca si muove tra il canale della Giudecca, di fronte alle Fondamenta degli Incurabili, e il periferico canale di San Pietro che conduce all’Arsenale. Le ultime tre sequenze, tornando nella zona iniziale, mostrano il faro del porticciolo di San Giorgio Maggiore, la Punta della Dogana, e il Rio del Ponte Lungo alla Giudecca. Alla fine del film, avendo percorso quest’ultimo canale verso la laguna Sud, la barca esce da Venezia e si trova in mare, nella zona da dove era venuta originariamente.
Questo itinerario veneziano che inizia e finisce con i canali di entrata e uscita dalla città, navigando sempre intorno al limite, sembra fungere da metafora del percorso biografico dell’autore. Ciò è reso esplicito nell’unico momento del film in cui parola e immagine si sovrappongono [Fig. 9]:
De toute façon, on traverse une époque comme on passe la pointe de la Dogana, c’est-à-dire plutôt vite.Tout d’abord, on ne la regarde, pas, tandis qu’elle vient. Et puis on la découvre en arrivant à sa hauteur, et l’on doit convenir qu’elle a été bâtie ainsi, et pas autrement. Mais déjà nous doublons ce cap, et nous le laissons, après nous, et nous nous avançons dans des eaux inconnues (Debord 2006, 1395-1396).
La punta della Dogana è qui considerata come punto di svolta, capo che segna un confine tra periodi differenti all’interno di una temporalità e una topografia eterna e circolare. La deriva, come metafora della vita e come esperienza di vita, è una pratica senza chiara destinazione che conduce verso “acque sconosciute”: “Le sentiment de la dérive se rattache naturellement à une façon plus générale de prendre la vie” (Debord 2006, 257).
9 | Punta della Dogana, fotogramma da Guy Debord, In girum imus nocte et consumimur igni, 1978.
10 | Fotogramma di chiusura da Guy Debord, In girum imus nocte et consumimur igni, 1978.
Se la posizione delle sequenze in cui lo spettatore riconosce Venezia è volutamente frammentaria, secondo la natura anti-narrativa del cinema situazionista, l’esperienza della navigazione trasforma il film in un flusso continuo e chiuso di pensieri e di immagini (Milan 2009). In un appunto su In girum, Debord ha scritto che tutto il film è costruito sul tema dell’acqua e contiene le citazioni dei poeti sullo scorrere del tutto, sull’uso metaforico dell’acqua come forma del tempo:
Tout le film (aussi à l’aide des images, mais déjà dans le texte du ‘commentaire’) est bâti sur le theme de l’eau. On y cite donc les poètes de l’écoulement de tout (Li Po, Omar Kháyyám, Héraclite, Bossuet, Shelley?), qui tous ont parlé de l’eau: c’est le temps (Debord 2006, 1410).
Più in generale, il punto di vista su Venezia è distante dalla città e vicino alla superficie dell’acqua, come se, appunto, i monumenti (le epoche) sorgessero naturalmente dall’acqua sorprendendo il viaggiatore, staccandosi dal flusso del tempo per un attimo, comunque troppo tardi per avvicinarsi o rallentare. In girum quindi non è un film “situazionista” che restituisce l’esperienza di una “deriva” nei canali di Venezia. Come ha scritto Michele Canosa, l’idea di “vagare di notte” suggerita dal titolo “non basta a fare di Guy Debord un flâneur o un girovago”, e quindi questo film non può essere annoverato a pieno nella lista dei dé-tournage sperimentali del cinema novecentesco né tra le esperienze di flânerie veneziana (Canosa 2011). Canosa suggerisce di considerare il film di Debord un “giro lungo” – un détournement nel senso letterale del termine – che invece di far perdere il senso dello spazio, assume la forma di una circoscrizione e cioè di un tentativo di aggirare lo spazio. Si tratterebbe dunque di un film oroboro, che si morde la coda, la cui forma è rappresentata dal cerchio ma anche dallo specchio, come del resto suggerito dal titolo, che è un verso palindromo (Bartezzaghi 2010). Per suggellare questa argomentazione, si noti che alla fine del film, quando la barca torna in laguna, appare una didascalia dove si legge: “À reprendre depuis le début” (“Da riprendere da capo”) [Fig. 10].
Alla forma del labirinto evocata dall’esperienza di molti viaggiatori che si perdono nelle calli veneziane, Debord sembra voler sostituire la forma circolare dell’esperienza della navigazione, o quella spiraliforme dell’acqua in un bacino: la laguna. Come ha scritto Nicola Emery a proposito dei diari scritti da Benjamin durante il suo soggiorno a Venezia, nella continuità acquatica il tempo e lo spazio “sembrano incardinati a una sorta di sempre-uguale, a una sorta di inerzia destinale.” (Emery 2019, 89). Come le vedute di Canaletto, in cui il controcampo non corrisponde a una funzione narrativa, ma procede per interruzioni senza giungere, infine a costruire un percorso di senso al di là della celebrazione del quotidiano; così anche il cinema anti-narrativo di Debord sembra costruire un percorso chiuso all’interno della laguna. Riviste secondo questa prospettiva, i video di Debord e le vedute di Canaletto sembrano davvero restituire quell’esperienza indifferenziata e insignificante in cui si perde l’orientamento non come in un labirinto ma proprio come se si fosse sempre immersi in un elemento primigenio, una materia antica e fluida da cui non si può comunque uscire.
In modo simile a quanto aveva fatto Canaletto con la serie di vedute del Canal Grande, nel suo ultimo film Debord rappresenta le vie d’acqua veneziane come luogo utopico. Se per Debord Venezia sembra essere l’unico antidoto alla vita borghese irregimentata finanche nell’intrattenimento – un fenomeno che secondo l’autore ha alterato irrimediabilmente la vita culturale di Parigi – lo è solo in quanto luogo da sempre soggetto di rappresentazioni utopiche. Il video di Antoni Muntadas In girum revisited (2017) che ripercorre in barca gli stessi itinerari di Debord mostra bene che la città è rimasta pressoché uguale in quasi cinquant’anni. Il reenactment della navigazione di Debord compiuto da Muntadas a distanza di decenni finisce così per rafforzare l’impressione che l’immobilità veneziana sia un paradossale antidoto alla sua rovina definitiva (Costa 2021). Navigando in alto mare, tenendo la città e i turisti a debita distanza, non si rischia di vedere la trasformazione continua operata dalla storia negli aspetti più quotidiani. Se vista all’interno di un discorso utopico, anche l’opera di Canaletto può sembrare così una risposta al declino imminente di una vita politica e culturale che aveva trovato ispirazione dalle immagini e pratiche urbanistiche visionarie dei secoli precedenti (Brusatin 1980).
Le immagini girate dalla barca a Venezia – che siano sequenze di stampe, fotografie, o filmati – tracciano un percorso che costituisce un medium utopico. Tramite la navigazione viene prodotta performativamente un’idea di città secondo un paradigma ben conosciuto al viaggiatore moderno. Come in tante esperienze di viaggio – per esempio nei percorsi aeroportuali obbligati – l’esperienza del visitatore sembra dover seguire itinerari predeterminati, che non lasciano spazio alla scoperta. Da decenni, ma in modo sempre più evidente, Venezia è luogo per eccellenza di itinerari già scritti, e iscritti fisicamente nelle sue calli oltre che nelle guide (si pensi alla segnaletica gialla che spinge i turisti a seguire la stessa via per raggiungere Piazza San Marco). Per coloro che scelgono la navigazione in gondola o su altra barca privata, i percorsi sono spesso obbligati dall’infrastruttura urbana, ma provocano un maggiore coinvolgimento sensoriale dell’ambiente fisico e naturale. A partire dall’esperienza fisica della navigazione, e dalle sue immagini utopiche, si può forse riconfigurare un rapporto con la laguna e il suo ambiente anfibio che tenga conto della profondità di campo offerta dal tessuto urbano veneziano.
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D. Savoy, Venice from the water, New Haven and London 2012. - Succi 1986
D. Succi, a cura di, Canaletto & Visentini. Venezia e Londra, catalogo della mostra (Venezia, 18 ottobre 1986-6 gennaio 1987), Cittadella/Padova 1986. - Tafuri 1980
M. Tafuri, La sfera e il labirinto : avanguardie e architettura da Piranesi agli anni '70, Torino 1980. - Vidler 2006
A. Vidler, Terres Inconnues: Cartographies of a Landscape to Be Invented, “October”, 115 (2006), 13-30.
English abstract
The article discusses the different kinds of images of navigation in the Venice lagoon. Canaletto's printed series of views of the Grand Canal (1735-1742) play an important role in the field of media archaeology. Depicting everyday life on the canal, these prints construct a sequence that transports the viewer virtually along the watercourse. Guy Debord’s last film, In girum imus nocte et consumimur igni (1978) contains fragments shot in Venice which use the metaphor of navigation for the artist’s life. The article maps these different itineraries in the city’s waters in order to illustrate the utopian character of Venice. Like cinema, the experience of navigation is only apparently characterized by uninterrupted movements: Canaletto’s and Debord’s maps are anti-narrative and fragmentary.
keywords | Venice; Navigation; Media archaeology; Canaletto; Guy Debord; Etchings.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Camilla Pietrabissa, Navigare in immagine. Archeologie nautiche da Canaletto a Guy Debord, “La Rivista di Engramma” n. 220, gennaio 2025.