Tra metafora e storia
Il ritratto dell’Aretino di Tiziano per il Museo di Paolo Giovio
Lionello Puppi
English abstract
Con lettera datata dall’8 settembre 1780 e che sarà resa nota dal Campori qualche decennio appresso [1], Giambattista Giovio segnalava a Girolamo Tiraboschi – all’interno di una sommaria descrizione della galleria dei ritratti delle persone illustri allestita dall’avo Paolo nella sua villa comasca – che, per quella destinazione, l’Aretino aveva “spedi[to] il proprio ritratto di mano di Tiziano”: ed il suo corrispondente non mancava di render pubblica l’informazione nella sua monumentale Storia dalla letteratura italiana [2]. Non era tuttavia destinata a riscuotere risonanza e, men che mai, credito, sovrattutto perché emersa, giusta l’avvertimento di Wethey, “more than two centuries later” il momento in cui veniva sfoderata [3]. Ch’è conclusione, invero, affrettata perché alla denuncia della data tarda non associa la realtà, di indiscutibile autorità, dell’informatore. Giambattista Giovio (Como, 10 dicembre 1748 – 17 maggio 1814), infatti, non è un personaggio insignificante e dal credito limitato al peso del nome che portava giacché si tratta, come gli studi di Guido Gregorio Fagioli Vercellone e, in ispecie, di Alessandra Mita Ferraro hanno ampiamente documentato [4], di un esponente, nel raggio del Settecento riformatore disegnato da Franco Venturi, di quella “repubblica delle lettere” frequentata dagli Spallanzani, dai Beccaria, dai Verri, dai Volta, di cui fu interlocutore e con cui ebbe corrispondenza epistolare. Ma non solo, dal momento che lo constatiamo studioso caparbio della realtà storica e attuale del Comasco e, all’interno di essa, del ruolo della sua famiglia e, in particolare, di quel “monsignor Paolo Giovio il vecchio”, al quale dedicherà un Elogio, pubblicato nel 1783 [5] fondato sulla recognizione di fonti – oggi non più disponibili – che lo avevano suggestionato al punto di indurlo a tentar di acquistare ciò che restava della villa dall’avo a Borgovico, col proposito, chissà, di resuscitarne il museo, siccome attesterebbero la collaborazione a quegli Elogi Italiani assemblati da Andrea Rubbi (Venezia, 2 novembre 1738 – 3 marzo 1817) e i dati raccolti dall’Angelini [6]. Insomma, non si vede come l’affermazione della destinazione alla galleria di Paolo Giovio di un “ritratto” dell’Aretino “di mano di Tiziano”, possa legittimamente esser revocata in dubbio, e a maggior ragione in quanto, con suadente eloquenza d’argomenti, permette di aggiustare, e provvederemo subito, la lettura connessa di una triade di documenti già variamente interpretati, e a dispetto dell’assenza di una copia del ritratto in questione tra quelli “del museo dell’illustrissimo et eccellentissimo Signor Cosimo, duca di Firenze e Siena” [7].
Sulla figura di Paolo Giovio, a muovere dal miliare Convegno promosso dalla Società Storica Comense nel 1983, e dalla monografia di T. C. Price Zimmermann del 1995, gli studi si son venuti moltiplicando, grazie all’impegno instancabile di Franco Manonzio culminato nel coordinamento e introduzione dell’edizione einaudina degli Elogi nel 2006 e alle sintesi monografiche della Michelucci, nel 2004, e della Agosti, nel 2008, ma – ovviamente – senza dimenticare altri contributi di punta quali le illuminanti riflessioni di Sonia Maffei sull’ecfrasi tra 2001 e 2005, anticipate, in qualche misura, della rivelatrice esplicazione della predilezione del Comasco per i ritratti di Tiziano in quanto leggibili “come metafora e come storia”, proposta da Pier Luigi De Vecchi sin dal 1977 [8]. Si esplica così la peculiarità di un atteggiamento teso a verificare l’esigenza necessaria dell’obiettività dello storico – metodologicamente maturata sull’inderogabile istanza De conscribenda historia di Luciano interpretata ella luce del canone di Tucidide – in quanto verificata dalla corrispondenza, anzi – e meglio – dalla specularità, dell’elogio letterario dei protagonisti illustri nelle “verae imagines” di essi [9], intese, per dirla con Francis Haskell, non già quali raffigurazioni fedeli delle sembianza del personaggio” ma come forme “create in maniera da corrispondere a impressioni derivate della conoscenza della vita e delle azioni del personaggio rappresentato [10].
Preso atto che i primi segnali dell’avvio, e delle ragioni, delle raccolte dei ritratti son offerti dalle lettere indirizzate dal Giovio in Firenze, addì 2 giugno 1521, ad Alfonso d’Este per ringraziarlo del ritratto del Leoniceno che il duca gli aveva mandato, significativamente ricambiando col dono di “un libro delle Historiae” sue e da quello spedito sempre da Firenze qualche settimana dopo, il 28 agosto, contenente l’elenco dei ritratti di letterati che sino a quel momento il Comasco aveva radunato [11], constatiamo che la richiesta all’Aretino di una sua immagine realizzata da Tiziano risale all’11 marzo 1545, ed è quanto mai cauta, quasi timorosa, si contenterebbe, in effetti, il mittente, di un disegno a colori qualora l’interpellato non fosse stato in grado di ottenergli un dipinto su tela [12].
E, veramente, non lo era, come si preoccuperà di far sapere al postulante suppergiù un mese dopo: e si tratta di uno scambio epistolare la cui connessione non mi sembra che, sinora, sia stata colta ed enfatizzata. Scrive, infatti, l’Aretino al Giovio, nell’aprile del 1545: “Duolmi benché il di man propria del gran Tizian non possa esser vostro, con ciò sia che non si è ancora vista una si terribile meraviglia” [13], ed è palese l’allusione al ritratto che Pietro, ottenutolo dal pittore non senza il contorno di screzi e ripicche puntualmente raccolti dagli studiosi, il 17 ottobre 1545, farà recapitare in dono al duca Cosimo, accompagnando con una lettera esaltante un’immagine che “respira, batte il polso e muove lo spirito nel modo che [il soggetto rappresentato] fa nella vita” [14].
Sappiamo ora con chiarezza, grazie alla puntigliosa e lucida analisi di Francesco Mozzetti, che la recensione dell’opera, oggi nella Galleria Pitti di Firenze [16] [Fig. 1] avverrà a capo d’estenuante vicenda cortegiana – una sorta di "giallo storico", la si é voluta definire –, mentre siamo edotti, dallo stesso Mozzetti, il quale attinge alla corrispondenza del Giovio, che quest’ultimo, un anno dopo la richiesta dell’aprile del 1548, la avrebbe rinnovata riscuotendo l’assicurazione che avrebbe ottenuto la pittura [17]. L’accertamento, sull’affermazione di Giambattista Giovio dianzi prodotta, della presenza di un ritratto di Pietro nella galleria dell’avo Paolo, ci convince che il letterato alfine dovette mantener la promessa, intimandoci – per così dire – una conseguente scoppiata di domande la cui risposta tuttavia, non può contare sul suffragio di documenti certi ma deve appoggiarsi ad indizi peraltro suggestivi: nel momento in cui riteniamo di aver rintracciato il ritratto tizianesco dell’Aretino da costui poi trasmesso al Giovio per il suo Museo [Fig. 2]. E però, quando sarà stato eseguito? Quando e come consegnato al suo destinatario finale?
Si tratta di un dipinto a olio su tavola unica in pioppo (di cm 65.0 x 40.5) recante in alto la iscrizione in capitali PETRUS ARETINUS e ne risultano buone le condizioni di conservazione a dispetto di interventi di restauro avvenuti in epoche diverse mentre la provenienza all’attuale privata proprietà – che per un accurato esame diagnostico e per una cauta operazione di restauro lo ha affidato al Laboratorio di Gianfranco Mingardi di Brescia – è dal mercato antiquario italiano inedito, è stato tuttavia analizzato da Mina Gregori la quale, in comunicazione scritta, pur sottolineando l’elevata qualità del tizianismo permeante l’opera, suggeriva un’attribuzione a Palma il Giovane. Occorre aggiungere che, nel retro, direttamente sul legno è tracciata a inchiostro la scritta di nitidi caratteri tondi "Portato da Roma dal Sig [no] r March[es]e de Angelis" e che, a sovrastarla appare incollato un foglietto cartaceo rettangolare su cui si leggono le parole buttate giù frettolosamente in rozzi caratteri corsivi “creduto per Lorenzo Lott– / che [?] venit nell oreto /n° L6”: la prima databile attorno alla metà del Cinquecento, la seconda ai primissimi decenni del secolo successivo. [Figg. 3.4]
Tutto ciò constatato ed avvertito, e passando ad un concreto esame dell’immagine pittorica, immediatamente si sbalza la sua relazione con il ritratto fatto recapitare dall’Aretino al duca Cosimo il 17 ottobre 1545 ma che sin dal precedente aprile – come s’è visto – Pietro ricordava al Giovio rammaricandosi che non potesse esser suo, ma con variazioni quanto mai significative. Se “la figura de la […] natural sembianza” del soggetto é, all’evidenza, evocata dalla stessa mano e siam al cospetto di un duplice “istesso esempio” di una “medesima sembianza” che “respira, batte i polsi e muove lo spirito nel modo che” il rappresentato fa, tuttavia son palesi scarti di ordine compositivo e di attitudine stilistica che denunciano, con la rinunzia al “miracolo” di un effetto di “terribile meraviglia” quale mai “ancora visto” nel momento in cui attestano la precedenza del dipinto oggi a Pitti rispetto a quello che qui si presenta, e veniam commentando. E son la ripresa dell’effigiato a mezzo busto anziché a tre quarti di figura, mentre la possanza dell’espansione del petto viene come compressa dal restringersi del campo della rappresentazione e nè la sontuosità abbagliante del soprabito, pur senza spegnersi, sopravvive in brevi sciabolate di luminosità riverberando sull’espressione più pacata del volto: tutto che, pur nel legame di dipendenza, asserisce un momento di introspezione, e di interpretazione, della inquieta spiritualità del soggetto che distingue il nostro dipinto anche dal Ritratto oggi presso la Frick Collection di New York [Fig. 5] che troviam rammentato da Francesco Marcolini in lettera all’Aretino da Venezia addì 15 settembre 1551 e Wethey sorprende in palazzo Chigi a Roma già nell’inventario 1692 del cardinal Flavio e sino al 1904 allorché sarà consegnato a Colnaghi che l’anno dopo lo cederà alla Frick [18]. Non dovette, comunque, dedicar gran tempo, Tiziano, ed agisce con rapidità – non frettolosità, e sia chiaro –, come chi fosse pressato nell’intimo dall’urgenza di sbrigare un impegno anzitutto con se stesso. Lo stato preparatorio, infatti, composto di gesso mescolato a colla animale, è effettuato in stesura unica sebbene con un’accuratezza che leviga sapientemente la pellicola pittorica, mentre, al controllo dell’infrarosso, non appaiono né traccia di disegno preparatorio, né pentimenti in corso d’opera. Conseguirne che il ritratto sia stato eseguito su sollecitazione dell’Aretino pressato dal Giovio agli inizi del 1546 mi par plausibile e tanto più interessante in quanto in quel torno di tempo Tiziano si trovava ancora a Roma, quantunque vicino ormai al termine di un soggiorno sul quale continuiamo a saper abbastanza poco, a partir proprio dalla data esatta della sua conclusione che vien rimessa al passo della lettera dell’Aretino a Cosimo I addì 12 giugno 1546 ov’è accenno all’arrivo, avvenuto o imminente, del pittore a Firenze [19].
Ma non solo, laddove, viceversa, si continua a ritener esaurita quell’esperienza in una frenetica attività pittorica per il clan Farnese, alle perlustrazioni archeologiche, al dibattito – davanti alla Danae oggi a Capodimonte – con Vasari e Michelangelo su disegno e colore. In realtà, ci sarà stato ben altro, e basterebbe interrogarci su quell’attribuzione al Maestro della cittadinanza romana, avvenuta – siccome, perplesso, annotava, documentandola, il Gregorovius [20] – e siamo alla data del 20 marzo 1546 – non già come onoranza tributata ad approvazione dell’istanza avanzata dal cardinale proponente, ma a capo di una votazione dove vedeva in lizza altri concorrenti. E per ciò che qui a noi interessa, non va allora dimenticato che in quei giorni continuava a risiedere nell’Urbe, e sia pur emarginato dall’ostilità di Paolo III, proprio Paolo Giovio [21], e su mandato dell’Aretino, Tiziano potrebbe avergli consegnato, come qui ci piace ipotizzare, l’agognato dipinto. Buon conforto ad una ipotesi siffatta offre la summenzionata scritta sul retro della tavola attestante arrivo del dipinto “da Roma” – e con quale destinazione se non il Museo gioviano? – per mano di un marchese de Angelis che potremmo riconoscere – sovratutti in ragione del suo rapporto con Alfonso d’Avalos, profondamente legato al Giovio che gli dedicò un commosso Elogio – nel Ferrante che Giambattista Pacichelli e Michele Broccoli rammentano per il “moltissimo valore” “nelle guerre di Lombardia” “come ne fan fede gli attestati del marchese del Vasto allora capitan generale d’Infanteria nell’ esercito di Carlo V” [22]. Ove poi fosse disposto entro i percorsi della galleria, il nostro ritratto, ignoriamo, nel momento in cui la reticenze che affaticano la costruzione della sua vicenda esterna inducono a sospettare che fosse marginale, e a maggior ragione in quanto, disperso in seguito allo smantellamento del patrimonio gioviano, finirà sul mercato privo d’indicazioni di paternità, così da venir intercettato nel primo Seicento da un collezionista innominato che, impressionato dalla qualità dell’immagine, farà seppur con riserva il nome abusivo di “Lorenzo Lotto” celando quello della matrice vera, ch’è Tiziano Vecellio.
Note
1. G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, 167.
2. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Firenze, 1805-1812, l. III, 897.
3. E. H. Wethey, The painting of Titian, 2. The portraits, London 1971, 77, n. 2.
4. G.G. Fagioli Vercellone, Giovio Giambattista, in Dizionario Biografico degli Italiani, 56, Roma 2001; Id. Profilo di un conservatore illuminato, in “Archivio Storico Lombardo”, XXL, 2014, 275 - 304 Ma veda si anche G. Angelini, Auso non municipali aere Iovio. Giovanni Battista Giovio e la memoria del Museo gioviano nella Como del Settecento, in Il collezionismo locale: adesioni e rifiuti, atti del Convegno (Farrara, 11 novembre 2006), a cura di R. Varese, F. Veratelli, Firenze 2009, 215-248.
5. G.B. Giovio, Continuazione dell’Elogio di Monsignor Paolo Giovio il Vecchio Vescovo di Nocera, in “Continuazione del Nuovo Giornale de’ Letterati d’Italia”, XXXV, 1786, 83-125 e XXXVI, 1787, 1-66. Ma vedasi la nota seguente.
6. A. Rubbi, Elogi italiani, 8, Venezia 1782 (tra gli Elogi firmati da Giambattista Giovio, non sarà ozioso ricordare quello dedicato a Palladio che, non sfuggito al Magrini – Memorie intorno la vita e le opere di Andrea Palladio, Padova 1845, 339 –, fu poi, a torto, bandito dai repertori bibliografici palladiani). Se, per un profilo del Rubbi, il necessario rinvio è a F. Scolari, Della vita e degli studi del p. Rubbi, memorie storiche. in “Giornale dell’italiana letteratura”, 46, 1817, 352ss., sull’attenzione di Giambattiata Giovio per il museo dell’avo, vedasi Angelini.
7. Se ne veda la tavola compilata da G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura R. Bettarini, P. Barocchi, Firenze 1982, 541-543. Ma vedi anche W. Prinz, La serie gioviana e la collezione degli uomini illustri, in Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze 1980, 603–604 e B. Fasola, Altri elenchi di ritratti gioviani, in “Periodico della Società Storica Comense”, 54, 1990, 245-250.
8. Si vedano nell’ordine: Paolo Giovio. Il rinascimento e la memoria, Atti del Convegno (Como, 3-5 giugno 1983), in “Raccolta storica della Società Storica Comense”, XVII, Como 1985; T. C. Price Zimmermann, Paolo Giovio. The Historian and the Crisis of Sixteenth-Century Italy, Princeton 1995 (ma dello stesso anche la voce Giovio Paolo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 56, Roma 2001, oltre che l’edizione italiana della monografia del 1995 per le edizioni Lampi di stampa 2012); L. Michelucci, Giovio in Parnaso. Tra collezione di forme e storia universale, Bologna 2004; B. Agosti, Paolo Giovio: uno storico lombardo nella cultura artistica del Cinquecento, Firenze 2008; F. Minonzio, Studi gioviani. Scienza, filosofia e letteratura nell’opera di Paolo Giovio, voll.2, Como 2002; Id. (a cura di, con S. Maffei e C. Sodini), Sperimentalismo e dimensione europea della cultura di Paolo Giovio, Como 2007, accanto a numerosi altri saggi e ad una preziosa attività di editore di opere del Nostro che trova il suo culmine nella cura e nei testi di P. Giovio, Elogi degli uomini illustri, Torino 2006. Quindi, S. Maffei, L’ecfrasi gioviana tra generi e imitatio, in “Quaderni della Scuola Normale Superiore di Pisa”, 2, 1998 (ma 2001), 15–29 (della stessa, sempre per le edizioni della Scuola Normale, l’antologia Paolo Giovio, Scritti d’arte. Lessici ed ecfrasi, Pisa 1999 ); Ead., Spiranti fattezze dei volti. Paolo Giovio e la descrizione degli uomini illustri dal Museo agli Elogia, in Ecfrasi. Modelli ed esempi fra Medioevo e Rinascimento, a cura di G. Venturi, M. Farnetti, I, Roma 2005, 227–268. Infine, P. L. De Vecchi, Il museo gioviano le verae imagines degli uomini illustri, in Omaggio a Tiziano: la cultura artistica milanese nell’età di Carlo V, catalogo della mostra, Milano 1977, 87–96, 90.
9. F. Minonzio, Il ‘Museo di carta’ di Paolo Giovio, in P. Giovio, Elogi cit., XLIX–L.
10. F. Haskell, Le immagini della storia. L’arte e l’interpretazione del passato, Torino 1997, 41.
11. Pauli Jovii Opera. Lettere a cura di G.G. Ferrero, I, Roma 1996, 85 e 100.
12. G. Bottari, Raccolta di lettere […] continuata fino ai nostri giorni da S. Ticozzi, Milano 1822, V, 282–283. L’allusione del Giovio ad un uso del ritratto per il suo incisore, induce a pensare ch’egli, di ritratto, avesse in mente una divulgazione a stampa: un impegno che, però, sarà assunto, nell’imminenza della dispersione della galleria, tra 1569 e 1570, da un protagonista dell’editoria su raggio europeo e dell’universo cattolico e riformato, dello stampo di Pietro Perna (sul quale vedasi L. Perini, La vita e i tempi di Pietro Perna, Roma 2002), ingaggiando Tobia Stimmer per l’illustrazione dei Pauli Iovii novocomensi episcopi nucerini Elogia virorum bellica virtute illustrium apparsi nel 1575 a Basilea “opera ac studio Petri Pernae tipographi”.
13. Abbiamo consultato la lettera nell’edizione B. Pertile, E. Camesasca, Lettere sull’arte di Pietro Aretino, Milano 1957–1960, II, 60–61, doc. CCXV.
14. Pertile, Camesasca, Lettere cit., 107, doc. CCLV.
15. F. Mozzetti, Tiziano. Ritratto di Pietro Aretino, Modena 1966
16. Cfr. E. Allegri, Ritratto di Pietro Aretino, in Tiziano nelle Gallerie fiorentine, a cura di M. Gregori, Firenze 1970, 31–36. Dalla diagnostica cui il dipinto è stato sottoposto, della quale l’autore fornisce relazione, non risulterebbe che il ritratto sia stato “più tosto abbozzato che fornito”, siccome l’Aretino, nella lettera a Tiziano genericamente datata dell’ottobre 1545, lamenta (vedila in Tiziano. L’epistolario, a cura di L. Puppi, Firenze 2012, 120–121).
17. E. Allegri, Tiziano cit., 16, n. 1.
18. Wethey, The painting cit., 77-77, n. 6.
19. Si veda, per la lettera dell’Aretino, il Mozzetti, Tiziano cit., 28. Lo stesso studioso allude ad altra testimonianza, producendo una lettera di Pierfrancesco Riccio al segretario del duca Cristiano Pagni (Firenze, Arch. di Stato, Mediceo del Principato, filza 380, c.48r), 29 e 32, n. 14. Quanto al passo vasariano in proposito, lo si legga in G. Vasari, Le vite […] a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, VII, 448.
20. F. Gregorovius, Alcuni cenni storici sulla cittadinanza romana, Roma 1877, 24–25. La segnalazione dello studioso prussiano é stata prontamente raccolta da J.A. Crowe, G.B. Cavalcaselle, Tiziano. La sua vitae i suoi tempi, Firenze 1877-1878, II, 67, ma non più utilizzata in seguito, mentre impone approfondimenti suggestivi che ci auguriamo di poter effettuare quanto prima. Ma, intanto, vedasi F. Magni (e continuatori), Repertorio delle creazioni di cittadinanza romana (secoli XIV–XIX), a cura di C. De Dominicis, Roma 2007, 19, alla data 30 marzo 1546 (“Tiziani [sic!] veneziano pittore”: la creazione è fatta in Consiglio per votazione che approva, con il Maestro, un piccolo manipolo di altri postulanti). Ci piace soggiungere che il Repertorio del Magni ci consente di segnalare i nomi di personaggi che, a vario titolo gravitarono intorno al Vecellio e che ottennero la dignità a lui attribuita: “Valerio Belli de Vicenza” (15, 6 marzo 1540); “Giulio Clovio macedone” (16, 7 dicembre 1542 ); Claudio Tolomei (18, 21 novembre 1543); “Girolamo Ruscelli” (37, 2 dicembre 1560); “Federico Zuccari” (41, 13 gennaio 1562); “Giovanni Genova cadubriense” (57, 14 marzo 1571).
21. Price Zimmermann, Giovio Paolo cit., 433.
22. G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva […] opera postuma, Napoli 1703, I, 124; M.Broccoli, Teano Sidicino antico e moderno, Napoli 1821, 231–232.
English abstract
Paolo Giovio, for the famous collection of portraits of illustrious men in his villa-museum on Lake Como, had foreseen that there was also a portrait of Aretino painted by Titian. The work is believed lost or even never painted. His existence is instead attested by a letter from his descendant Giovanbattista Giovio to Girolamo Tiraboschi and other documents known but little considered that the author reports to scholars. Lionello Puppi, after having reconstructed which portraits of Aretino were painted by Titian according to the sources and which actually survived, suggests recognizing the portrait of Aretino for the Giovio museum in a painting in private collection.
keywords | Paolo Giovio, Aretino, Titian, painting.
Per citare questo articolo / To cite this article: L. Puppi, Tra metafora e storia. Il ritratto dell'Aretino di Tiziano per il Museo di Paolo Giovio, “La Rivista di Engramma” n. 154, marzo 2018, pp. 153-162 | PDF