Mon cher Hadrien. Marguerite Yourcenar, le Memorie, l'antico
Nunzio Giustozzi
English abstract
"... per me, il punto di partenza, la scintilla,
è stata Villa Adriana che ho visitata all'età di vent'anni."
Marguerite Yourcenar, Ad occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey
Una piccola fotografia, applicata nell'angolo in basso a destra su un cartoncino nero ruvido, forato per essere inserito in un raccoglitore ad anelli, nel suo album personale dei ricordi più cari è l'unica testimonianza della visita di Marguerite Yourcenar a Villa Adriana nel 1924. La giovane è immortalata tra le rovine "libere e selvagge", su un paesaggio lontano e severo di ulivi e cipressi, forse proprio dall'amato padre che, prima di avviarla allo studio del latino e del greco in Provenza, aveva già accompagnato la figlia undicenne al British Museum, dove le rimase l'impressione indelebile tanto del fregio del Partenone quanto del volto di Adriano dal Tamigi. Questo prezioso bronzo avrebbe dovuto essere l'esordio della mostra – Marguerite Yourcenar. Adriano, l'antichità immaginata aperta fino al 3 novembre 2013 nei suggestivi ambienti dell'Antiquarium del Canopo – che la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio in collaborazione con la casa editrice Electa ha dedicato alla scrittrice franco-belga con l'intendimento di creare una narrazione parlante nei luoghi e con le opere che ispirarono il suo capolavoro, le Memorie di Adriano. Problemi conservativi ne hanno sconsigliato il prestito – i musei di tutto il mondo sono stati sempre molto generosi con Villa Adriana sì che di volta in volta sono potuti tornare a Tivoli frammenti di un patrimonio disperso o altre opere che hanno trovato in questo luogo la loro cornice ideale, come è accaduto nella fortunata esposizione del 2012 Antinoo. Il fascino della bellezza – ma la memoria di quell'immagine è presente, fermata in una pagina di un album scuro intitolato Portraits hadrianiques in cui la scrittrice ha raccolto con acribia i volti di Adriano e degli altri membri della famiglia imperiale.
Il suo interesse per l'antichità fu sempre mediato dalle immagini che giocarono un ruolo importante nella genesi di quello che troppo facilmente chiamiamo romanzo. Le sculture la aiutavano infatti a ricostruire la psicologia dei personaggi, ad arrivare al carattere, proprio là dove gli storici antichi, letti a Yale, tacevano. Chi meglio di lei avrebbe saputo disegnare i tratti di Lucio Elio Cesare di cui solo due o tre splendidi ritratti – straordinario e misconosciuto quello esposto proveniente dagli Uffizi – tramandano la fisionomia? Una figura di sfortunato cadetto, poco incisivamente giudicato dagli studiosi moderni:
L’arbitro lievemente insolente delle eleganze romane, l’oratore agli esordi […] l’ufficialetto inquieto che tormentava la sua barba rada, l’infermo divorato dalla tosse che ho vegliato fino all’agonia […] un volto, un corpo d’alabastro pallido e rosato, l’equivalente esatto d’un epigramma amoroso di Callimaco. [...] Commisi l’imprudenza di dire che quel principe biondo sarebbe stato radioso sotto la porpora, e i malevoli si affrettarono a dichiarare che compensavo con un impero l’intimità voluttuosa d’un tempo...
Ma nella Yourcenar l'aspetto erotico prevale sul (più probabile) disegno politico.
Egualmente nel volume che accompagna la mostra si è potuto affiancare i ritratti in marmo di Plotina a quelli fotografici di Grace Frick, scattati a più riprese con un'escursione temporale fino all'incipiente malattia, nel 1954 e nel 1971, da Virginia Leirens. Magistrale il profilo che dell'augusta e della sua amicizia particolare leggiamo in una pagina delle Memorie:
Era casta per disdegno delle cose facili, generosa per elezione più che per natura, saggiamente diffidente, ma pronta ad accettare tutto da un amico, persino gli errori inevitabili. [...] L’intimità dei corpi, che non è mai esistita tra noi, è stata compensata da questo contatto di due spiriti intimamente fusi l’un con l’altro.
In questa affinità elettiva che ripagava Adriano del difficile rapporto con Vibia Sabina, dalla bellezza subitamente sfiorita e dalla personalità irritante, dobbiamo forse leggere in filigrana l'ideale amoroso incarnato nella relazione con la compagna, traduttrice, agente, e scudo della scrittrice, una vera e propria "moglie d'arte", pur tuttavia destinata inevitabilmente, come Plotina, a giocare un ruolo da deuteragonista, come è scritto in uno dei cammei sui personaggi del romanzo a partire da un passaggio dei Cahiers:
Impossibile anche prendere per figura centrale un personaggio femminile; porre, ad esempio, come asse del racconto, anziché Adriano, Plotina. La vita delle donne è troppo limitata o troppo segreta. Se una donna parla di sé, il primo rimprovero che le si farà è di non essere più una donna. È già abbastanza difficile far proferire qualche verità a un uomo.
La mostra e il suo catalogo, curato da chi scrive con Elena Calandra e Benedetta Adembri, corrono su binari paralleli: all'impagabile esame autoptico degli originali nelle stanze romane, profumate da centinaia di odorosi giacinti viola (come quelli che incorniciano il Musée de Saint-Jans Cappell a Marguerite intitolato e a vocazione ecologista), fanno da contrappunto i saggi affidati ai maggiori specialisti dell'antico e della Yourcenar, molti dei quali membri della Société Internationale d'Etudes Yourcenariennes, che hanno offerto una rilettura critica delle Memorie destinata a una ricostruzione globale del mondo e dell'epoca di Adriano, di Villa Adriana negli occhi della scrittrice, senza tralasciare le ripercussioni che gli eventi del Novecento ebbero su tale idea della grecità e della romanità.
Una parte non trascurabile della fortuna dell'autrice si deve all'"invenzione di una vita" – per citare il sottotitolo della sua più diffusa biografia, quella di Josyane Savigneau. Una cronologia, illustrata attraverso una folta documentazione fotografica, gentilmente messa a disposizione dal Petite Plaisance Trust, il cui nome deriva dalla casa-rifugio sull'isola di Mount Desert, nello stato del Maine, e dal Centro Documentazione Marguerite Yourcenar di Roma, indaga la vita e le opere di una scrittrice che come poche altre ha curato la propria immagine da tramandare ai posteri. Tre volumi autobiografici, una più che meticolosa selezione (e forse talora manipolazione) delle proprie lettere da concedere al dominio pubblico, addirittura un lascito di documenti 'riservati' all'Università di Harvard, autorizzata a renderli noti soltanto a cinquant'anni dalla morte, nel 2037. Sulle pareti reticolate e nella grande teca poggiata su un lussuoso pavimento composto negli anni Cinquanta da scaglie di marmi colorati rinvenuti in Villa l'occhio scorre e l'attenzione si appunta: ecco le foto, lucide e opache dei più diversi formati, della madre troppo precocemente scomparsa, dell'aristocratico padre, le istantanee dall'età dell'innocenza (nelle giornate all'aria aperta trascorse come Heidi tra bambole, caprette e improbabili vestimenti o come Lolita a Mont-Noir) all'anticonformismo giovanile degli anni parigini, le sue dimore, i suoi viaggi, fonte perenne per la sua sete di conoscenza, le amicizie e gli amori, anche non corrisposti come il desiderio ardente per André Fraigneau, suo editor presso Grasset, il successo letterario e la nolente "assunzione" fra gli Immortali di Francia con relativo bozzetto griffato YSL per l'abito da cerimonia all'Académie Française. Firme celebri ed esercizi di stile a segnare sul volto quella ruga in più, quell'espressione di una infinita cultura e del suo successo letterario, quella tenerezza nel veder spuntare come un'indiana i primi fiori di primavera nella landa al disgelo.
Sfuggito ai più il ritratto che l'armeno Yousuf Karsh le scattò con la grossa camera fotografica che aveva immortalato Ernest Hemingway col suo maglione di lana grezza, dive, artisti e potenti della Terra. Abbiamo scelto quel bianco e nero per l'immagine della mostra, per la copertina del libro – e Marguerite ci perdonerà – pur avendo saputo che quella fotografia non amava. Nel suo studio, alla scrivania ci guarda intimamente con la commozione negli occhi: alla vigilia della sua morte, nel 1987, e la consolazione sta nello sfogliare un'edizione antica del Panegirico a Stilicone di Claudiano. La posa è rotta nella lunga e bellissima intervista concessa a Francesca Sanvitale cui si deve la prefazione alle Memorie in un'edizione dei Supercoralli Einaudi: abbiamo preferito questo delicato colloquio di anime al più serrato incalzare delle domande di Giovanni Minoli in una puntata di "Mixer", occasione nella quale Marguerite non aveva mancato di mostrarsi insofferente ad essere considerata l'autrice di un solo libro, le Memorie, evenienza deprecata da Tommaso. L'intervista al femminile andò in onda nel gennaio del 1987 e fu bagarre sui giornali perché trasmessa in concomitanza con la lotteria della Befana di Pippo Baudo, condannata dunque a un minimo share e ad alimentare l'annoso quanto sterile dibattito sulla cultura in TV.
Françoise Bonali Fiquet ha ricomposto in uno dei suoi interessanti contributi al volume i frammenti di un Album italiano, le esperienze formative della giovinezza nei primi soggiorni degli anni venti, in compagnia del padre, a ripercorrere le tappe canoniche dei viaggiatori del Grand Tour: Milano, Venezia, Verona, Firenze, Napoli e la Sicilia. Durante il soggiorno fiorentino nel 1923 Marguerite Yourcenar, in visita alla sezione romana del Museo Archeologico, fu particolarmente affascinata dal “profilo giovane, serio, dolce” di Antinoo, del quale acquisterà una copia nel 1926, e dalle curve armoniose e dall’eleganza dell’Idolino al quale diede voce nei versi di un sonetto dedicato alla statua bronzea rinvenuta agli inizi del Cinquecento nel centro di Pesaro.
L’Idolino
Nella gara dei ragazzi senza inganni ho trionfato;
mio padre o qualche amante, arconte o sovrano,
legando il suo al mio nome nelle strofe di un’ode
fece la mia fondere immagine in questo bronzo caduco.
Appena meno mortale della carne giovane e calda,
la mia bella statua ha sofferto nell’umido terreno;
ma uscito dalla notte e dal suolo che corrode,
ho ritrovato un piedistallo e l’occhio del giorno sereno.
Come sono dolci i suoi riflessi sulla mia patina pura!
I miei lombi, i miei fianchi diritti hanno curve di purezza,
effimero ragazzo imitato nel metallo.
Le mie dita sempre intatte non stringono più la palma,
ma insegno al passante, conquistato da un gesto calmo,
di quali sapienti numeri si compone la bellezza.
(M. Yourcenar, I doni di Alcippe, 1924, traduzione di Manrico Murzi)
Altri componimenti poetici Marguerite dedicò al David di Michelangelo, colpita dallo sforzo dello scultore nell'arduo scoprire l'uomo nel blocco di marmo, o agli affreschi dell'Angelico nel suo convento cercando di restituire l'atmosfera della visita. Ma la scrittrice rimane affascinata specialmente dalle vestigia della civiltà greco-romana: il Foro Romano, Pompei, Ercolano e Baia, il sorriso “delle statue greche sepolte tra Paestum e Metaponto”, benché non sia facile ricostruire gli itinerari precisi di questi viaggi giovanili in mancanza dei dettagliati resoconti (compresi gli appunti di Grace Frick) che accompagneranno quelli sempre più numerosi a partire dagli anni cinquanta, dopo la pausa forzata della Seconda Guerra Mondiale, e diverranno inesauribile materia letteraria.
Adriano e soprattutto la Grecia, con la sua arte, i suoi scrittori e i suoi miti, restarono sempre i due poli intorno ai quali si è concentrato l'interesse della scrittrice per l'antichità: l'Olympieion ateniese è il "contrappeso esatto del Partenone, adagiato nella pianura come l'altro si erge sulla collina, immenso dove l'altro è perfetto: l'ardore ai piedi della calma, lo splendore ai piedi della bellezza". La passione per la Grecia si approfondì leggendo e traducendo i suoi grandi poeti – i viaggi erano giunti più tardi delle letture –, mentre l'amore per Adriano si spiega proprio con il filellenismo che faceva sentire l'imperatore romano molto vicino a Marguerite. Adriano voleva essere ricordato come nuovo Augusto, e come Augusto voleva restaurare e rifondare la grecità classica. Il princeps del romanzo si erge dunque a guardiano del “dio disarmato” ovvero della cultura greca, sentendosi “responsabile della bellezza del mondo”. Per questo nel romanzo ella lo scelse come un saggio e lucido portavoce dei valori greci e l'ampio spazio dedicato alla relazione con Antinoo è indubbiamente ragione e parte di tale scelta. Nell’armonia, nella bellezza dell’eròmenos, nel suo rapporto con un erastès capace di gesti inesorabili quanto dei più raffinati raggiungimenti in architettura e poesia risiede forse una delle chiavi di lettura di questa “meditazione sulla storia” che sono le Memorie di Adriano. La malinconia di Antinoo è quella della scrittrice – spesso tutt’uno con l’io narrante dell’imperatore – nel giudicare l’ultima aurea aetas dello Stato guidato da un intellettuale amante del bello, che come uomo e come politico incarna il modello perfetto di governante, capace di superare con le sue qualità i limiti del suo tempo e di proporsi come un esempio di equilibrio anche all’oggi. La Roma colta e civile di Adriano diventa una patria felice, vagheggiata dalla stessa Yourcenar, in opposizione all’idea marziale e sanguinaria della romanità che aveva prevalso fino a pochi anni prima con il fascismo e la sua propaganda. La scrittrice aveva casualmente assistito diciannovenne alla Marcia su Roma nel 1922. Non dimenticherà più quell'episodio, evocandolo nel secondo volume del Labyrinthe du Monde con queste parole:
È sempre un momento grave quello in cui una giovane mente finora incurante di politica scopre improvvisamente che l’ingiustizia e la cupidigia passeggiano sotto i suoi occhi nelle vie di una città in uniforme e mantellina, o stanno sedute al caffè sotto le apparenze di buoni borghesi che non si schierano da nessuna parte.
Fu materia di discussione con l'amica traduttrice Lidia Storoni che ricordava di aver visto, dalla finestra della sua casa sul lungotevere, Hitler e Mussolini attraversare ponte Sant'Angelo su una decappottabile. Le parole umanità, libertà e giustizia avrebbero dovuto idealmente riflettersi in quella pace auspicata per il mondo appena uscito dal secondo conflitto mondiale.
Se nel pensiero della Yourcenar la Grecia è dunque l'unico vero faro della civiltà contro il caos della barbarie, Roma svolge comunque un ruolo più ambiguo, per la violenza insita nella sua sete di dominio e per gli scontri di potere che vi avvengono: il calcolo traspare chiaramente anche nelle relazioni fra i personaggi del romanzo, eternati nei busti e nelle statue in marmo esposti in mostra, e nella vexata quaestio della successione, così come si può evincere da una tradizione storiografica purtroppo povera, parziale e non sempre attendibile. Lo spiegano bene gli interventi in catalogo che trascorrono dall'ortodossia accademica del tempo cui la scrittrice aderì alla più attuale rivalutazione critica della romanità dell'imperatore. In effetti solo il governo di un imperatore amante della Grecia come Adriano poteva trasformare Roma in una forza pacifica e positiva, capace di difendere le conquiste della grecità e (forse) di ellenizzare i barbari o almeno di sopravvivere a essi. E in tale ottica la scelta del giovane Marco (Aurelio, l'imperatore filosofo) come destinatario della lunga epistola yourcenariana è dunque verisimile.
La devozione all'antico è testimoniata dalla collezione di immagini riunite con tanta cura in tre album tematici presenti fisicamente in mostra e sfogliabili virtualmente: di quello dei volti di Adriano abbiamo detto. Altrettanto significativo il raccoglitore dei capolavori dell'arte greca, perché ci rivela il gusto e le preferenze della scrittrice, e l'Antinoüs a corredo di un catalogo dattiloscritto e annotato di tutte le sculture del giovane bitinio presenti e il più possibile ammirate nei musei e nelle collezioni private. Dalla corrispondenza con l'archeologa Raïssa Calza, moglie del direttore degli Scavi di Ostia antica, amica e consulente nel reperimento e nell'identificazione delle immagini di Antinoo, sappiamo che Marguerite Yourcenar aveva ravvisato ad esempio nella testa allora al Museo delle Terme una qualche somiglianza con il ritratto di Rimbaud, in un altro busto con Nijinski:
Stavamo osservando alcune effigi di Antinoo; le andavo raccogliendo per cercare di sovrimporne i tratti, allo scopo di arrivare ad una somiglianza totale, risultato di quei diversi sembianti. E la signora Calza (era la prima moglie di De Chirico e, prima di sposarlo, aveva fatto parte dei Balletti russi), la signora Calza, dunque, osservando una di quelle effigi, mi disse: ‘Nijinski!’. Questo mi ha aiutato molto a capire. Era la persona che, improvvisamente, rappresenta le aspirazioni di qualcuno, di un grande regista, e, in un certo senso, l’imperatore è un grande regista. Il che non offusca la dimensione passionale, ma spiega quella idolatrica (Ad occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey).
Nel romanzo la scrittrice ha coraggiosamente cercato di colmare le lacune sulla psicologia di Antinoo, trovando proprio in questa straordinaria diffusione delle immagini del giovane in buona parte dell'impero, riflesso del dolore di Adriano, lo spunto per ricostruirne il carattere e abbozzarne quasi una biografia. Le statue, i busti e le gemme – splendida quella Marlborough (rintracciata invano ma "presente" in mostra grazie a una rara impronta in vetro del Museo di Roma) che Marguerite aveva potuto maneggiare con apprensione a Roma dal collezionista Sangiorgi come forse l'imperatore secoli fa – raffiguranti Antinoo sono diventate così un ingrediente fondamentale del racconto e sono state usate dalla Yourcenar sia, direttamente, per ricostruire la personalità del giovane, sia, indirettamente, per aiutare la memoria di Adriano, che sembra più volte in difficoltà nel tentativo di fermare il tempo e di rievocare la figura amata, l'incontro e i momenti felici passati insieme. Della tragica fine d'altronde si tace, come se un blocco psicologico avesse cancellato quella oscurità. Ecco quindi l'imago ideale, bella e malinconica di tanti ritratti di Antinoo, riflettersi nelle pagine del romanzo nella creazione della figura di un fanciullo silenzioso e imbronciato, pronto però anche a trasformarsi in un agile levriero, fedele compagno di Adriano nella vita come a caccia. Tuttavia, come ha sottolineato Matteo Cadario, questa ineguagliata e straordinaria molteplicità di immagini umane e al contempo 'divine', non giova ai ricordi di Adriano, il quale, proprio quando cerca di fissarli nel marmo delle sculture, li vede perdere di consistenza:
Nelle ore di insonnia, percorrevo i corridoi della Villa, erravo di sala in sala... mi fermavo davanti ai simulacri di Antinoo. Ogni stanza aveva il suo, ogni portico perfino. Facevo schermo con la mano alla fiamma della mia lampada; sfioravo con un dito quel petto di pietra.
Alla fine, Antinoo, trasformato ormai in una sintesi degli opposti, sfugge così al 'suo' imperatore.
Adriano incombe nella mostra da un grande busto che lo fissa in un'espressione di matura e fiera volitività ma anche nella riflessione ultima del bilancio su una vita. Come ha saputo vedere Livia Capponi, la scrittrice tenta di conciliare il tradizionale ritratto dell’imperatore, omnium curiositatum explorator, tollerante e pluralista con quello, sgradevole a tutti, di persecutore degli ebrei, cancellando ogni riferimento all’antigiudaismo. E l’Adriano romanzesco coglie molte contraddizioni non ancora smentite: professionista della guerra e filosofo pacifista; iniziato ai misteri e alieno da ogni superstizione ma appassionato di astrologia e oroscopi; critico nei confronti dell’imperialismo, pur avendo passato la vita a difendere l’impero. Un volto invece giovanile da Villa Adriana, quasi imberbe, rovesciato in un'estasi pseudobarocca è il miglior commento a una delle pagine più suggestive delle Memorie:
Una volta, nella mia vita, ho fatto di più: ho offerto il sacrificio d'una intera notte alle costellazioni. Ciò avvenne dopo la mia visita a Osroe, durante la traversata del deserto siriaco. Disteso supino, gli occhi bene aperti, tralasciando per qualche ora ogni pensiero umano, mi sono abbandonato dal tramonto all'aurora a quel mondo di cristallo e di fiamma. È stato il più bello dei miei viaggi.
È una delle citazioni che compaiono nella corposa antologia illustrata e commentata delle Memorie. Già negli anni cinquanta la Yourcenar aveva in animo di illustrare il libro procurandosi le immagini delle “cose notevoli” citate, descritte o evocate e il suo desiderio si concretizzò nel 1958 presso Librairie Plon con tavole di un’elegante bicromia virata sui toni della ghisa e poi con Éditions Gallimard nel 1971 con illustrazioni in nero non sempre all’altezza. Il nostro intendimento stavolta era di andare oltre la restituzione del corredo iconografico scelto dall’autrice in vita, accompagnato da una didascalizzazione fatta esclusivamente di specifiche archeologiche, per addivenire a un vero e proprio commento dell'opera affidato a una nutrita schiera di specialisti dell’antico, e non solo, enucleando, sempre irrelati alle pagine, interessanti espansioni e preziosi approfondimenti critici di carattere storico, artistico, letterario, religioso, filosofico, antiquario.
L'incontro con Adriano e l'apparizione sognata di Antinoo fra le vestigia solitarie della grandiosa residenza dove l'imperatore aveva vissuto e sofferto in un'evocativa sospensione tra presente e passato, tra cielo e terra, sono decisivi per l'ambientazione delle Mémoires che in più punti contengono richiami ai luoghi della dimora tiburtina. Gli imponenti resti la scrittrice aveva visto ancora parzialmente interrati e avvolti nella vegetazione così come li ricordava attraverso le acqueforti di Piranesi acquistate in America e le guide del tempo, fonti condivise alla base dei rapidi schizzi di Le Corbusier, visti recentemente anche in una bella mostra al MAXXI. Nelle sale e in una passeggiata archeologica fra le frondose arcate cartoline d'epoca ci mostrano la villa com'era, gli angoli più suggestivi e quelli più discosti in cui immergersi in un rapporto intimo e solitario con la natura e la storia per meditare sul destino dell'uomo: il cosiddetto Teatro Marittimo, quell'isola artificiale che diventa il rifugio segreto, lo studiolo dell'imperatore; il Canopo con la sua ampia volta aperta su un oscuro ambiente che rimanda ai riti misterici e ai responsi oracolari nelle liturgie per Antinoo; quel leccio così lontano... Nell'inesorabile elaborazione del 'paradiso perduto' va annoverata la delusione dei ritorni della scrittrice in un luogo che era divenuto dell'anima tra ecologia e disincanto.
Siamo certi che il visitatore del Terzo Millennio possa ancora provare la suggestione di allora grazie alla caparbia tenacia dei conservatori che sono riusciti a tenere fuori dagli antichi cancelli le brutture di una frettolosa e disordinata modernità: e proprio le mostre di questi anni aiutano a riscoprirlo. Come l'ispirata serie di fotografie di un giovane Marco Delogu scattata durante lunghe passeggiate solitarie in Villa nella linea sottilissima dell'adesione al testo delle Memorie senza scadere nel didascalico e nel sentimentale, come Lidia Storoni Mazzolani gli aveva insegnato. Sono di nuovo apprezzabili – ma due 'notti' e una Venere sono variate – così come venticinque anni fa in un'esposizione romana rimasta allora inedita.
Proprio durante la lunga gestazione della mostra ho avuto il privilegio di assaporare al Parioli 'il ritratto di una voce' e di conoscere il maestro Scaparro, subito entusiasta di documentare nell'esposizione attraverso filmati, locandine, fotografie, copioni più volte annotati, quello spettacolo che nella riduzione scritta da Jean Launay è in scena dal 1989 con un successo mai venuto meno. Pieni di emozione i ricordi suoi e di Giorgio Albertazzi della rappresentazione nella Villa in cui visse Adriano e danzava ora Vu-An al posto di Antinoo: una delle esperienze più straordinarie della loro vita teatrale.
Una sezione della mostra, e naturalmente alcuni scritti nel volume, trattano della genesi e della fortuna delle Memorie di Adriano con documenti inediti come un dattiloscritto della scrittrice per un articolo su "Avanguardia", la prima edizione Plon, volumi con dediche speciali o esemplari tradotti in più di trenta lingue e dalle vesti grafiche disparate. Per la prima volta presenti anche le opere d'arte usate per le copertine dei volumi come quel fantastico tondo musivo con il ratto di Ganimede, fissato all'ingresso della direzione dei Musei Vaticani, che ha fatto riconoscere per decenni il libro tra gli Struzzi. La scena era stata erroneamente interpretata come Apoteosi di Antinoo e l'emblema creduto proveniente da Villa Adriana: si tratta in realtà di un finissimo lavoro antiquario realizzato dallo scultore-restauratore Carlo Albacini prima del 1812.
Tra i tanti ritratti della scrittrice nel suo studio spicca quello, ancora poco noto, realizzato ad olio su tela dal più celebre degli iperrealisti americani, Richard Estes, oggi proprietà dello Stato francese. La base fotografica è evidente ma il colore sembra tradire l'atmosfera di un tempo, restituita invece dalle cartoline che la Rizzoli stampò con l'immagine di Marguerite al lavoro rubata da Jean-Louis Saporito, a sorpresa, dalla finestra. Solo i grandi ritratti di Antinoo ormai sbiaditi alle pareti paiono gli stessi degli anni cinquanta. Il pittore aveva conosciuto la scrittrice fra le mille luci di New York e la raggiungeva d'estate nella tiepida quiete di Mount Desert.
Come è accaduto per altre figure della letteratura, anche la fama di Marguerite Yourcenar è legata al successo universale di un romanzo, Mémoires d’Hadrien, pubblicato a Parigi nel 1951. Dopo lo scoramento, dovuto all’abbandono della stesura, iniziata negli anni venti, e la “fuga” negli Stati Uniti, dal momento in cui ricevette dall’Europa un baule contenente alcuni effetti personali e ritrovò un foglio che iniziava con Mio caro Marco, per Marguerite “non si trattò che di scrivere questo libro, a qualunque costo”. Anche dai Taccuini di appunti, aggiunti nelle edizioni successive del volume, conosciamo esattamente i luoghi e i tempi della sua scrittura avvenuta nel giro di due anni tra slanci creativi, pause emotive, in un lavoro appassionante fino all’identificazione.
Il favore italiano del romanzo si deve anche alla colta e raffinata traduzione di Lidia Storoni Mazzolani pubblicata finalmente da Einaudi nel 1963: quasi dieci anni prima era apparsa presso un editore napoletano, dopo essere stata oggetto di pesanti ed erronee manipolazioni, volte a una più facile presa sul pubblico, senza la necessaria revisione e autorizzazione dell’autrice. Persino la copertina con l'epigrafe "La storia di colui che domò la lupa romana..." era in aperta contraddizione con il contenuto del libro riecheggiando anche nella tipografia tempi e modi che si sarebbe voluto dimenticare. Vicenda ancora più triste vista la maniacale attenzione con la quale Marguerite Yourcenar seguiva la traduzione dei suoi scritti – per l’inglese affidata in esclusiva alla compagna Grace Frick – ma che favorì l’amicizia tra due grandi conoscitrici del mondo antico in una profonda condivisione di valori umani. È stato il nipote Simone Piazza a mettere generosamente a disposizione per la mostra una parte significativa del loro carteggio che conferma il labor limae sui testi, nella ricerca lessicale – già in parte svelato dalla Storoni medesima nell'illuminante scritto in calce all'edizione einaudiana delle Memorie da lei curata – ma anche l'ammirazione reciproca per la cultura di cui erano portatrici, e nel suo scritto per il volume lo storico dell'arte riesce a dipingere con le loro parole un ritratto esatto e appassionante di "chi era troppo umile, o troppo fiero, per parlare di sé".
Grazie alle Memorie, divenuto ormai un classico del Novecento, Marguerite Yourcenar continua a suscitare l’ammirazione di generazioni di lettori, a nutrire l’ispirazione di artisti: e questo favore “non è frutto del caso ma di un lungo lavoro e di una volontà di imporsi, con una saggezza che non esclude una certa bramosia di vita, unita a una buona dose di sensualità e a una padronanza di sé conquistata dopo numerose prove”.
“Io adoro viaggiare perché ogni viaggio insegna qualcosa e sono importanti in egual misura i paesaggi e le persone”: questo credeva fermamente Marguerite Yourcenar che negli anni Ottanta torna diverse volte in Italia non più però per visitare musei ma per incontrare amici, come Paolo Zacchera, un giovane floricoltore del Lago Maggiore, con il quale condivideva l’amore per la natura, inserito nell’elenco delle “persone di buona volontà incontrate sulla propria strada”. Egli ha appena pubblicato la corrispondenza con l'amica e raccontato gli affabili incontri: suoi sono alcuni volumi con dedica in mostra.
La conoscenza dei luoghi si accompagnava a quella, profonda e precoce, della poesia italiana: 'la fine di Ulisse' dell’Inferno dantesco, il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi e l’Infinito di Leopardi hanno accompagnato la scrittrice per tutta la vita: li leggiamo nella Voix des choses, il suo testamento spirituale, accanto a frammenti del pensiero orientale e alle eteree immagini di Jerry Wilson, ultimo e amato compagno di viaggi ai confini del mondo. Quelle foto incollate una ad una tra le pagine scritte furono, dopo il dolore per la sua perdita, l'unico sollievo alle estreme sofferenze.
Riferimenti bibliografici
La bibliografia su Marguerite Yourcenar è, come si suol dire, sterminata, tanto che sono stati editi interi volumi che la raccolgono, in continuo aggiornamento. Fondamentali le ormai numerosissime pubblicazioni della Société Internationale d'Etudes Yourcenariennes tra le quali, sul tema, gli atti del convegno di Tours Marguerite Yourcenar et l'art. L'art de Marguerite Yourcenar, a cura di J.-P. Castellani e R. Poignault, Tours, S.I.E.Y., 1990. E oltre alla imprescindibile lettura dei suoi opera omnia si consigliano:
- E. Calandra, B. Adembri, N. Giustozzi (a cura di), Marguerite Yourcenar: Adriano, l'antichità immaginata, Milano 2013.
- F. Fiquet (a cura di), Un'amicizia particolare. Paolo Zacchera, corrispondenza e incontri con Marguerite Yourcenar 1978-1987, Sant'Oreste (Roma) 2013.
- M. Sapelli Ragni (a cura di), Antinoo. Il fascino della bellezza, Milano 2012.
- Aa.Vv., Adriano. Ritratto di una voce, Roma 2007.
- M. Goslar, Marguerite Yourcenar biografia, Sant'Oreste (Roma) 2003.
- M. Yourcenar, Lettere ai contemporanei, Torino 1995.
- J. Savigneau, Marguerite Yourcenar. L'invenzione di una vita, Torino 1991.
English abstract
After the successful show "Antinoo, the Allure of Beauty", mounted in the ideal venue of Hadrian's Villa, the Superintendence for Archaeological Heritage of Lazio in collaboration with Electa has dedicated an exhibition to Marguerite Yourcenar "Marguerite Yourcenar: Hadrian and the Imagined Antiquity" on view until Novemebr 3rd 2013. In the exhibition, the places and works which inspired the writer's masterpiece, Memoirs of Hadrian are brought back to life. The writer's Italian "passion", her relationship with the ancient world, the genesis and the success of the novel and of the marvellous translation into Italian by Lidia Storoni Mazzolani are illustrated through original documents in the rooms of the Antiquarium of Canopus and in a "literary" path through the archaeological park. What accompanies the exhibition is not an ordinary catalogue but a whole volume edited by Elena Calandra, Benedetta Adembri and Nunzio Giustozzi.
The book contains a critical reinterpretation of Marguerite Yourcenar's work by some of the greatest scholars of the ancient world, who offer a thorough reconstruction of Hadrian's world and time also including the main twentieth-century events and their repercussions on the idea of the Greek and Roman ages. The various essays are followed by an illustrated anthology of Memoirs of Hadrian containing historical, archaeological, artistic, literary and philosophical in-depth analysis, which upholds the writer's inspiration and observations combining the vestiges of the ancient world collected over the years with new meditations on her correspondence with her contemporaries. Besides, the anthology includes some unpublished albums, courtesy of the Petite Plaisance Trust, that are displayed here for the first time.
keywords | Hadrien; Marguerite Yourcenar; Architecture; Memory; Ruins; Memoirs of Hadrian.
Per citare questo articolo / To cite this article: N. Giustozzi, Mon Cher Hadrien. Marguerite Yourcenar, le Memorie, l’antico, “La Rivista di Engramma” n. 106, maggio 2013, pp. 79-93 | PDF