Che sia visto da un aereo in fase di atterraggio o su una mappa nel quartiere generale della CIA, l’Albania è sempre un'astrazione, o meglio una costruzione artificiale su un territorio sconosciuto. Nel film Mrs Pollifax Spy del 1971, tratto da una fortunata serie di libri di genere letterario poliziesco, Dorothy Gilman narrava le avventure di una attempata vedova del New Jersey che nel periodo della Guerra Fredda riesce a farsi assumere come spia part-time dai servizi segreti americani. Improbabile nel suo ruolo, ma patriottica quanto basta per servire il suo paese, la protagonista, interpretata da Rosalind Russell, registra mentalmente codici e ordini prima di partire per la sua missione a Città del Messico. Ovviamente nulla di quanto meticolosamente pianificato segue il suo corso, e una intricata e prevedibile serie di eventi portano alla sua cattura. Ancora sotto gli effetti della proverbiale droga nel caffè, Emily Pollifax si trova a bordo di un Hawker-Siddeley HS 125-400, di fabbricazione inglese, in compagnia di Jonny Farrel, un cinico agente americano. La destinazione è ignota. Il velivolo sorvola un territorio impervio e atterra su una pista disabitata e anonima. L’aquila nera bicipite in campo rosso sventola sul vessillo nazionale e svela la destinazione, quella dell’Albania. Un drappello di militari attende i due prigionieri per condurli nel luogo segreto dell’interrogatorio a bordo di una Rolls Royce Phantom I del 1929. A parte l’incongrua miscellanea di veicoli, c’è da registrare che non c'era alcuna intenzione di girare le sequenze del film al di fuori degli Stati Uniti, eccetto per un breve interludio in Messico. Bisognava trovare dunque un modo di rappresentare l’Albania, allora totalmente inaccessibile, o meglio riuscire a duplicarla attraverso la lente distorta del mondo visto da uno dei due blocchi politici.
Nell’immaginazione degli autori, Jackson Hole nel lontano Wyoming era il terreno perfetto per catturare il remoto mistero del paesaggio albanese e sostituirlo con un luogo di svago ben conosciuto nella terra del wild west americano. Proprio a Jackson Hole, infatti, Mies van der Rohe progettò nel 1937 la sua prima opera americana, la Resor House, mettendone in scena il paesaggio in maniera drammatica: la casa avrebbe offerto poco più di una cornice per godersi la vista panoramica delle Montagne Rocciose, presidiate dalle vette dei Grand Tetons. Per darne un’impressione mozzafiato, Mies anticipò l’effetto con uno dei suoi foto-collages, come li aveva di recente brevettati in Germania. L’intento di queste 'invenzioni di paesaggi' era di far sparire ogni parete incollando stampe fotografiche in formato panoramico a scala reale. Appena lasciato con riluttanza e rammarico il proprio paese, ormai fermamente nelle mani dei nazisti, Mies, che viaggiava con un visto turistico attraverso gli States, immaginava una casa attrezzata con pochissimi mobili e quadri interamente aperta su uno splendido paesaggio battuto da venti gelidi. Che la spia Pollyfax atterri proprio nelle alpi americane come se fosse nella remota Albania provoca su questo progetto un effetto di parallasse: portato avanti da una donna pioniera del marketing moderno e membro del consiglio del Museum of Modern Art di New York, la casa Resor, mai costruita ma molto conosciuta ai suoi tempi, mette a fuoco la profonda contraddizione tra trasparenza e segretezza, tra territorio roccioso e finissima invenzione architettonica, tra paesaggio e invenzione.
In chiave grand-guignolesca, alla signora apprendista spia che chiede dove l’abbiano portata i suoi rapitori, viene risposto in forma 'cifrata' [A, L, B, A, N, I, A]. Si tratta dunque di un terreno altro rispetto a quello che sembra, così come la casa trasparente concepita da un architetto appena uscito dal paese della GESTAPO moltiplica nel montaggio di immagini l’illusione di conoscerlo, sposando il primitivo con il raffinato, l’America con l’Europa. Quello che rivela l’avventura della Pollyfax è il potere che lo sguardo politico esercita sulla terra, dividendola e squarciandola, anche nello spostamento attraverso la visione privilegiata di un passaggio aereo. Una terra viene sostituita da un’altra, anche se la sua scala supera di gran lunga quella originale (la superficie del Wyoming si avvicina a dieci volte quella dell’Albania). Ancora maggiore, poi, è la differenza delle quote, che si riferiscono da un lato alle alture delle Montagne Rocciose, dall'altro al livello del mare del territorio albanese. In ambedue i casi, gli orizzonti diventano astratti e ogni riferimento richiede un calcolo preciso. Per la politica dell’Albania, questi orizzonti stabiliscono lo sfondo strategico di terra e mare. Come spiega con chiarezza Peter Szendy in un recente libro sullo spazio nel pensiero politico moderno, Kant chez les extraterrestres: Philosofictions cosmopolitiques, la terra sostiene il partigiano, il mare appartiene all’aggressore.
Il dittatore Enver Hoxha tenne l’Albania dal 1948 al 1985 nell’ansia costante di un'invasione che non avvenne mai e portò progressivamente il paese a un isolamento assoluto in seguito alla rottura con la Cina, avvenuta tra il 1977 e il 1978. La Cina susseguiva all’Unione Sovietica come alleato di fiducia di Hoxha, ma il progressivo mutamento della politica cinese sanciva un isolamento totale, bloccando ogni possibile sviluppo politico. Se la Cina accoglieva, durante gli ultimi anni di Mao, il presidente americano in visita ufficiale, questa svolta pragmatica non era di buon auspicio per il leader albanese. Anche in questa missione, il volo del presidente Nixon dava una dimensione territoriale alla sua azione, un fatto che la stampa occidentale non perdeva l’occasione di reiterare ad nauseam — lungo un viaggio che toccava le Hawaii, Guam e Shanghai, prima di raggiungere Pechino con l’udienza singolarmente privata con Mao. Anche ai piedi della Grande Muraglia, Nixon ribadiva le distanze che separavano i due poteri (16.000 miglia e più di vent’anni di silenzio assordante tra i due paesi). Impliciti negli enigmatici scambi erano la Corea del passato e il Vietnam di allora, per non parlare dell’Albania.
Eccezionale fu la decisione da parte del regista Peter Sellars e del compositore americano John Adams di scegliere questa improbabile visita di Nixon come soggetto di un dramma lirico che ebbe il suo debutto nel 1987, un decennio dopo lo storico distacco dell’Albania dalla Cina. Il primo atto di Nixon in China si apre con l’atterraggio del velivolo presidenziale, lo Spirit ‘76, da cui emergono Nixon, sua moglie Pat e Henry Kissinger. L’aereo è ancora una volta metafora della distanza ma anche di un ponte possibile tra le due realtà politiche e territoriali. La musica si basa su dissonanze metriche con un costante spostamento dei ritmi, lanciando cellule melodiche nei vari registri. Le figure principali esigono ciascuna il proprio territorio sonico, contrastando gli estremi dei vocalizzi di Madame Mao con il basso profondo di Kissinger. Durante il volo, Nixon rifletteva sulla guerra nel Pacifico alla quale aveva partecipato come giovane recluta, ricordando i compagni annegati nel cimitero marino. Sorvolando la Cina, quello che la coppia Nixon vede è un paesaggio invernale, desolato come la superficie della luna, lo stesso territorio che il coro cinese celebra come una campagna fertile che matura per il raccolto. Il contrasto tra queste due visioni dello stesso territorio si presta come metafora delle diverse aspettative dei protagonisti.
Il territorio albanese è seminato da centinaia di migliaia di piccoli bunker, mentre una sua penisola sul mare Adriatico è traforata da un tunnel di seicento metri di lunghezza. Tagliando la penisola della Baia di Panorma, questo tunnel è allo stesso tempo un valico terrestre e una grotta marina; si colloca dunque esattamente a metà tra i due orizzonti della terra e dell’acqua, ossia tra partigiani e aggressori, come precisa il libro di Szendy. Le due situazioni strategiche si giustappongono, a seconda dell'intenzione politica, come in un'erma bifronte, perché il paese viene teso tra un'ultima difesa di ogni metro e una rivendicazione sui mari. La Baia di Panorma era una zona militare completamente segreta, occupata solo dai militari addestrati nelle tecniche di ultima difesa. Rasato dai Sovietici, il covo nord della Baia rimane spoglio di alberi. L’immenso tunnel era in grado di proteggere diversi sommergibili con i loro missili. Invisibile dal cielo e nascosto dai due lati della penisola, il tunnel collegava gli orizzonti di terra e mare. Come territorio sottratto alle mappe, inaccessibile a tutti e nascosto tra acqua e terra, la base di Panorma illustra quindi perfettamente la condizione dell’Albania durante la Guerra Fredda, e perciò richiede oggi di essere aperta a tutti, come nel 1938 la casa Resor nel Wyoming si sarebbe dovuta aprire non solo alla vista del territorio ma a una visione immersiva del mondo.
In questa complessa idea di luogo siamo entrati dall’interno, e senza conoscerne la storia abbiamo avuto le chiavi di accesso dal mondo militare, con un progetto complesso di ricerca svolto in team tra l’Italia, gli Stati Uniti e l’Albania, ideato da Elisabetta Terragni, Studio Terragni Architetti (Como/New York; installazioni e architettura), Jeffrey T. Schnapp, (Cambridge, Mass, USA metaLAB (at) Harvard, curatore e coordinatore scientifico) e Daniele Ledda, xy-comm (Milano, grafica e comunicazione) che parla della gente comune, si interroga sul controverso periodo della Guerra Fredda e scava negli archivi storici e nella memoria. Il progetto è ora esposto nella Mostra Erasmus Effect. Architetti italiani all’Estero al MAXXI di Roma.
Per poter aprire questi luoghi segreti abbiamo fatto emergere le memorie nascoste e sepolte nella topografia del sito che include, oltre a un tunnel di 650 metri di lunghezza, edifici abbandonati, installazioni militari e sottomarini. Il covo del potere che servì a scopo difensivo è stato scoperto, i suoi attrezzi sono stati ridotti a campionari industriali e il passaggio tra la baia e il mare è stato aperto per la prima volta e reso accessibile con un'imbarcazione civile. Come nascondiglio il tunnel era per forza invisibile e inaccessibile — e lo rimane tuttora anche su Google Earth — ma diverrà ora nuovamente teatro degli 'atti' che hanno scandito il secolo.
Il paesaggio, come protagonista di guerre reali o immaginarie, si rivela in verità essere il teatro di una grande psicomachia. La base militare fu simbolo dell’ossessione del regime e dell’isolamento del paese, ma oggi vive il paradosso tra strutture (per ora) presidiate ancora dai militari e minacciato da un’altra follia contemporanea, le costruzioni abusive e la speculazione edilizia. Le fotografie di Armin Linke non spiegano la realtà ma ne registrano l’enigma, ne arrestano l’attimo senza illuderci sulla sua natura. Queste immagini si prestano al tentativo di riconoscere negli oggetti i simboli che il territorio ancora custodisce e ci aiutano nella trasformazione di una terra vietata in un luogo della memoria, dove quasi niente viene scartato e pochissimo introdotto. Il percorso delle trasformazioni proposte rimane inconcluso, ma le impressioni raccolte aprono brecce nel silenzio. La base di Panorma scambierà, attraverso la delicata (ri)scrittura della memoria, il suo carattere nascosto in una topografia che risveglia in ognuno dei suoi luoghi quello che prima le era stato sottratto.
* Il titolo è ripreso dall’ultima riga del libretto che la scrittrice Alice Goodman ha steso per l’opera Nixon in China di John Adams ("How much of what we did is good?"). Lungi dall'essere un verdetto sul primo passo verso la costruzione di un accordo tra le grandi potenze, la domanda mira a sottolineare il valore dell'azione politica.
English abstract
When the spy novel Mrs Pollifax, written by Dorothy Gilman, a popular author of the genre, was to be brought to the screen in 1971, the histrionic Rosalind Russell was cast in the role of Pollifax, along with another American operative. After a brief stint in Mexico, their ludicrous adventures put them in the hands of their Albanian captors. An American location had to make do for Albania, so the location scouts came up with the remote alpine state of Wyoming as a facsimile. The plane abducting the would-be spies is a Hawker-Siddeley HS 125-400 and the limousine awaiting them an incongruous Rolls Royce Phantom I of 1929. The rest of the movie proceeds in style, confining the operatives to a rocky castle for interrogation, only to allow them an improbable getaway.
The location in Wyoming is Jackson Hole, the site of Mies van der Rohe’s first American project, the famous Rezor House for which the architect reduced the building essentially to floor and ceiling slabs on slender posts, offering a panoramic view of the spectacular landscape. On a first voyage to America, and still traveling on a visitor’s visa, Mies drew on a recently patented idea of his, for which photomurals were to cover the walls entirely so that any desired ‘location’ could be mounted for viewing. This maximum transparency creates a counter-foil for the darkening conditions established by the GESTAPO in the country Mies was about to leave.
Just as the immense tunnel in the Bay of Panorma cuts through the peninsula, confirming the notion that the coastline is the most threatened while the land can be held by partisans, the base casts a sharp light not only on Albania’s geography but on its territorial condition during the conflict between the great power blocks. A decade after Hoxha’s breakup with China, the American composer John Adams wrote his opera Nixon in China in which the land and its geopolitical implications play a central role. Flying over the Pacific, Nixon muses on American war experiences in that theater, and, after a number of stopovers on the way, crossing the wintry expanse of the Chinese mainland, the Nixons are treated to a song-and-dance celebration of Chinese soil awaiting springtime. What is a barren and desolate landscape to the American visitors turns into the promise of harvest for the starving Chinese.
We approached the project of creating in the Bay of Panorma a Museum of the Cold War in a similar vein. Curated by Jeffrey Schnapp of Harvard University and drawing on the graphic design by Daniele Ledda of Milan, the Studio of Elisabetta Terragni (Como and New York) conceived of the Panorma location as a site of its time, calling for only minimum interventions in order to give voice to its traumatic transformation during the decades of the powerful East-West conflict. The more enigmatic aspects of the site have been captured by the photographer Armin Linke (Berlin) and the few installations that will make this now suppressed hotspot accessible to visitors attempt to evoke the terrifying aspects of its past without applying a heavy editorial hand.
keywords | Architecture; War; Memory; Dorothy Gilman; Mrs Pollyfax; Albany; Mies van der Rohe; Landscape; Bay of Panorama.
Per citare questo articolo/ To cite this article: Elisabetta Terragni, ”Quanto di quello che abbiamo fatto va bene?”, in “La Rivista di Engramma” n.113, gennaio/febbraio 2014, pp. 71-80 | PDF