Conversando con Salvo Disca, direttore del coro del Filottete per la regia di Gianpiero Borgia
Giorgia Capozzi
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In occasione del XLVII Ciclo di Rappresentazioni classiche patrocinato dall'INDA, il Teatro greco di Siracusa tenta di bissare il successo di pubblico e critica dell'anno passato riproponendo l'accoppiata Sofocle-Euripide con i nuovi pour ainsi dire, dato che non calcavano i suoi pietrosi spazi rispettivamente dal 1964 e dal 1984, Andromaca e Filottete. L'11 maggio 2011 la prima delle prime è stata affidata proprio al Filottete di Gianpiero Borgia, per la traduzione di Giovanni Cerri, che vede tra i protagonisti Antonio Zanoletti, Massimo Nicolini e Sebastiano Lo Monaco, nei rispettivi ruoli di Odisseo, Neottolemo e Filottete. In una tragedia tutta maschile in cui, però, si riverbera l'eco di un'umanità contesa tra giustizia e convenienza, una parte fondamentale spetta soprattutto al Coro di marinai greci, sponda insostituibile di volontà combattute, ed è per questo che a parlarci del Coro medesimo è Salvo Disca, che quest'anno si è dedicato alla sua direzione.
GIORGIA CAPOZZI - Salvo, qual è il rapporto tra il Filottete di Sofocle e l'elaborazione drammaturgica che ne ha fatto Gianpiero Borgia?
SALVO DISCA - Lo spettacolo plasmato da Gianpiero, valutato sia dal punto di vista dell'azione scenica in generale sia da quello -più esclusivo- del Coro, è improntato su un'estrema fedeltà al testo di Sofocle: è fedele, dunque, soprattutto nella misura in cui non stravolge profondamente il corpo del testo tràdito, ed è allo stesso tempo onesto perché, evitando di snaturarlo impietosamente, lascia che emergano temi e riflessioni vive tanto per il pubblico di V sec. quanto per quello odierno. La natura 'sempreverde' dell'universo tragico –e di questa tragedia in particolare- è la splendida conferma del fatto che il teatro non è attuale ma eterno: come potersi sentire soltanto 'sfiorati' dinanzi a così tanti drammi nel dramma? Come non sentirsi intimamente investiti dalla potenza di un linguaggio che disegna in modo così istantaneo le nostre vite? Sulla scena, Filottete e i comprimari tutti -coro compreso- non sono soltanto il ricordo di un mito buono per leggendari racconti da bivacco ma l'immagine riflessa della nostra diffidenza seguita all'abbandono; in fondo questa tragedia siamo noi, ritratti mentre erigiamo lazzaretti in cui confiniamo il diverso che ci inorridisce, mentre eleviamo monumenti al pregiudizio e ci lasciamo sedurre dalla retorica più infida, scolpiti in movimento mentre oscilliamo nel dubbio senza passare all'azione, intenti a trovare quell'indispensabile bastian contrario che ci spinga alla scelta.
G.C. - Quindi, deduco siano state apportate comunque delle modifiche al testo sofocleo, seppur lievi.
S.D. - Sì, senza dubbio, anche se si tratta davvero di pochissimi interventi, se non addirittura uno soltanto. Ma vado per gradi. Innanzitutto mi preme evidenziare con forza come il lavoro maggiore sia stato svolto rispetto alla traduzione del Prof. Giovanni Cerri, la mediazione con l'originale sofocleo è stata operata in modo particolare dal Dott. Mattia De Poli, assunto nelle vesti di Dramaturg: per la seconda volta dopo 27 anni, l'INDA ha deciso di ri-scommettere sull'inserimento di questa figura – poco usuale in Italia e molto cara alla tradizione tedesca – per elaborare il testo attraverso una stretta collaborazione con attori e scena. Inoltre, egli non solo ha aiutato noi coreuti a correggere le imperfezioni della pronuncia in completo accordo con i musicisti, ma si è preoccupato di concepire una traduzione che fosse più teatrale possibile, chiaramente in intesa con gli attori. Penso che Sofocle riposerà tranquillo sapendo che ci siamo accostati alla sua creazione col tatto delicato dei filologi più che dei soli artisti, notoriamente più bricconi anche se non per questo meno accorti. Quindi, tutte le variazioni inserite – che, ribadisco, rifuggono da ogni forma di profonda sofisticazione che giudicherei quasi sacrilega – sono state attuate in pieno ossequio al testo e modellate anzitutto sulla base delle esigenze attoriale e scenica. Ad esempio, al secondo intervento del Coro dopo la prima pàrodos, i versi 189-190 sono stati modificati tenendo conto di altre varianti in modo che il risultato finale, da noi portato in scena, fosse "Ἀχὼ τηλεφανὴς πικράς/ οἰμωγάς ὑπηχεῖ".
G.C. - Oltre a questi ritocchi rispettosi, ci sono state delle parti del testo originale volutamente depennate (ma altrettanto coscienziosamente) in seguito alla rilettura drammaturgica del regista? Mi riferisco in maniera particolare alle parti relative al Coro, al quale tu ti sei dedicato in prevalenza.
S.D. - Anche in questo caso la mia risposta è affermativa. E' chiaro che ogni singola modifica, dalle piccole variazioni del testo alle soppressioni vere e proprie di alcune parti -per tornare in linea con la domanda-, risponde a un unico criterio: quello logistico o, più semplicemente, pratico. Insisto sul fatto che, dietro a queste preferenze testuali, non ci sia stata alcuna volontà di esaltare dei concetti piuttosto che altri. Tutti quei versi che si è convenuto di sottrarre, diciamo così, alla gloria della rappresentazione erano un sovrappiù: indispensabili poeticamente per una lettura individuale (secondo un uso tutto contemporaneo piuttosto che antico), all'interno di un contesto puramente teatrale risultavano invece eccedenti e drammaturgicamente non necessari, ed è per questo che la loro mancanza non ha per nulla svigorito il risultato finale.
G.C. - Forse proprio in accordo con questo sano conservatorismo, ciò che risalta maggiormente all'udito dello spettatore del Filottete è il mantenimento del dialetto greco antico, nell'accezione dorica tipica degli stasimi corali. In qualità di direttore del Coro cosa ti è stato chiesto di fare?
S.D. - Innanzitutto questa è stata la mia prima esperienza al Teatro Greco di Siracusa sia come coreuta sia, quindi, come direttore del Coro: la sfida si è concentrata tutta nel sapere convogliare al meglio sia la naturale tensione da prestazione sia l'entusiasmo del neofita, entrambi bilanciati nei loro eccessi dalla consapevolezza di un ruolo di grande responsabilità, assegnatomi in relazione alle mie competenze in materia di canto lirico e recitazione. L'idea di conservare il dialetto dorico nelle sezioni affidate al canto esclusivo del Coro è stata partorita da Gianpiero (Borgia, ndr) e corroborata, poi, dai musicisti. A me, in sostanza, è stato chiesto di rendere eseguibili le musiche appositamente scritte per questo spettacolo e di fungere da indispensabile mediatore tra i 24 coreuti e la volontà dei musicisti medesimi: impresa non facile se si considera non solo che la maggioranza del Coro è formata da cantanti non professionisti, ma anche che non tutti i suoi membri sono a conoscenza del greco antico. Eppure – come paradossale contropartita – questa base di partenza così informe si è rivelata il suolo più fertile per la costruzione di uno spettacolo che corrispondesse effettivamente alla visione dello stesso nella mente del regista: se il Coro (ed anche gli attori) comprende personalmente le naturali lacune di un pubblico non sempre preparato a ciò che si appresta a vedere, sarà di certo più semplice imbastire una rappresentazione in cui musica, movimenti e ritmo si uniscano in un tutto armonico che non perda affatto in eloquenza ed intensità. Ad ogni modo – risultati ottenuti a parte – tutta la mia stima ed il mio apprezzamento sono rivolti ai miei 24 compagni di lavoro che hanno ottimamente risposto ad un'operazione così audace.
G.C. - Da spettatrice non posso che associarmi a questo plauso. In breve, quindi, suggestione emotiva a scapito della comprensione totale delle parole, in perfetto accordo con la dottrina dell'ethos per cui – parola di Platone – "chi ascolta una musica che imita una determinata passione, rimane ispirato dalla medesima".
S.D. - Ipse dixit... e io non posso che trovarmi d'accordo. Ovviamente, quando parlo di musica, non mi riferisco al solo sostrato sonoro ma a tutto il complesso di linguaggi espressivi che – in armonia con essa – concorrono a creare le basi perché si compia una completa catarsi.
G.C. - Detto ciò, ci sono state delle richieste preliminari che Borgia ha voluto fare al Coro? E quali passaggi hai dovuto affrontare, in concreto, per organizzare tutto il lavoro di preparazione?
D.C. - Ciò che il regista ci ha sollecitato ad acquisire quanto prima, si può riassumere in un vero e proprio motto: essere compartecipi alla vicenda. Il nostro scopo era quello di sottolineare determinati snodi cruciali della tragedia (dalla prima parodos in cui il Coro è ipostasi del dubbio ai dialoghi con Neottolemo in forma di kommoi, che fanno del coro stesso la voce di quell'alternativa che porta alla κρίσις e dunque alla scelta del protagonista) ed evidenziarli quasi plasticamente per lo spettatore, come una moderna forma di musica a programma. Per raggiungere questo scopo, in primis ho lavorato per creare il gruppo, operando in modo da disciplinare gli estri tipici dei miei colleghi attori abituati a percepirsi come singoli (con le loro individualità più o meno spiccate) e renderli così più avvezzi a riconoscersi come unità di un tutto più ampio; ho poi cercato di impostare i brani senza l'ausilio di spartiti, incentivando sin da subito l'apprendimento mnemonico con l'aiuto di una lavagna su cui, di volta in volta, mi premuravo di riportare i versi greci graficamente disambiguati. Da qui, ho proseguito predisponendo esercizi ritmici e di movimento fondamentali per creare quell'omogeneità che un Coro deve mantenere nel gioco polifonico dell'incastro tra tre sezioni di voci (in questo caso tenori primi, tenori secondi e bassi), tenendo in gran conto l'ulteriore difficoltà di un canto da svolgersi interamente a cappella, senza alcun tipo di riferimento sonoro. Solo alla fine del lavoro prettamente tecnico, mi sono preoccupato di curare l'interpretazione conferendo il giusto contenuto emotivo all'opera, altrimenti sterilmente incompleta.
G.C. - Guardando lo spettacolo, è apparsa quanto mai viva la compenetrazione tra entità espressive e diversi linguaggi – musicale, gestuale e visuale. Come è avvenuta, nei fatti, la collaborazione tra coreografo, musicista e scenografo?
S.D. - La collaborazione tra le parti è stata totale. Benché ogni 'sezione espressiva' ignorasse per gran parte i passi delle altre nella realizzazione dello spettacolo, è stato inevitabile – oltre che estremamente fruttuoso – incontrarsi in corso d'opera. L'unica sezione predisposta fin dall'inizio e immutata fino alla fine è stata quella scenografica: tra le altre si sono aperti dei canali di comunicazione innestatisi tutt'altro che staticamente sulla linea-guida dello spettacolo, la sola ad essere rimasta invariata. Io e il coreografo, in accordo col regista, abbiamo ad esempio sentito via via la necessità di dover conferire maggiore corposità plastica alle movenze del coro: si tratta di aggiustamenti che si susseguono ancora adesso, nelle forme di assottigliamenti e addensamenti vari, e che agiscono nei confronti della tragedia per salvarla da un asettico stato di ibernazione che vorrebbe dire avvizzimento, gelido riproporsi di calchi fintamente animati; e sarebbe uno svolgimento, questo, del tutto innaturale se invece, come disse Amleto, lo scopo del teatro è di reggere lo specchio alla natura. E nella natura nulla è immobile, nulla è prestabilito: tutto accade giorno per giorno...
English Abstract
Talking to Salvo Disca, Choir director of Philoctetes directed by Gianpiero Borgia
edited by Giorgia Capozzi
Lights and melodious shades of Sophocles' Philoctetes at the presence of the fabulous frame of the Greek Theater in Syracuse. Out of the darkness that a careless column would reserve him, in this valuable interview the Chorus'director Salvo Disca talks about the tiring work done to stage the chorus of Philoctetes 2011. He lets us peek behind the wings of the tragedy directed by Gianpiero Borgia, revealing secrets of the great success and focusing on gems of choral art.
keywords | Philoctetes; Syracuse; INDA; Theatre; Gianpiero Borgia; Salvo Disca; Choir director; Choreography; Dramaturgy; Sophocles; Interview.
Per citare questo articolo / To cite this article: G. Capozzi, Conversando con Salvo Disca, direttore del coro del Filottete per la regia di Gianpiero Borgia (Siracusa 2011), “La Rivista di Engramma” n. 90, maggio/giugno 2011, pp. 64-70 | PDF di questo articolo