Il cimitero nella Grande Guerra: funzioni, utilità, rappresentazioni
Lisa Bregantin
English abstract
E ho veduto poi quando le ondate vittoriose dei fanti procedevano avanti, ho veduto i cimiteri improvvisati, alcuni enormi, vere necropoli popolate di croci, di erbe, di fiori, di serenità, di silenzio; altri più piccoli, a ridosso di monti, o nel fondo di qualche vallata, o sull’aspra pietraia carsica come piccole famigliole isolate; e infine croci sperdute, lungo il solco che sulla neve fanno i portatori coi muli, o isolate sul picco di qualche montagna, o affacciatesi all’entrata di qualche caverna (Raffaele Paolucci).
L’immagine che abbiamo oggi delle sepolture durante la Grande Guerra si richiama a due topoi consolidati nella memoria collettiva: da un lato il corpo disfatto del soldato caduto nella terra di nessuno e rimasto insepolto, dall’altro l’ordine e la maestosità dei grandi sacrari eretti negli anni ’30. Parrà dunque strano parlare di cimiteri durante la guerra; eppure la necessità pratica di seppellire ordinatamente i morti durante il conflitto, unita a quella spirituale di garantire ai compagni un trapasso degno e una memoria duratura, fanno sì che la pratica acquisita dalle società più evolute di costruire dei luoghi di riposo per i propri morti non cessi nemmeno di fronte alla guerra.
Fermo restando che numerosi corpi resteranno comunque insepolti, fu però pratica comune cercare di seppellirli già a guerra in corso; all’inizio in modo spontaneo e senza un ordine preciso, poi seguendo regole sempre più definite. Inizialmente e secondo consuetudine, vennero utilizzati i cimiteri civili esistenti lungo il fronte. Venivano normalmente ampliati in modo da creare uno spazio separato nel quale seppellire i soldati. L’utilizzo di questi cimiteri civili è durato per tutto il corso del conflitto; anche se con il passare dei mesi i cimiteri creati ex novo per i bisogni di guerra supereranno il numero dei primi. Questa pratica fece sì che, nei paesi delle retrovie, ci fossero anche solo singole tombe di soldati di passaggio, feriti, malati o magari, come nell’ottobre del ’17, fucilati per diserzione. Questo amplifica di molto l’estensione delle presenza di tombe militari nei cimiteri civili, che creerà non poche discussioni per anni dopo il conflitto.
La gran parte di queste sepolture oggi non esiste più. Quasi tutte, infatti, vennero fatte confluire nei grandi sacrari in costruzione. Le poche rimaste, scarsamente visibili, sono soggette ad una legge speciale – come tutte le sepolture dei soldati italiani del primo conflitto mondiale – rispetto alle altre tombe; quelle militari hanno infatti diritto ad un riposo perpetuo ovunque esse si trovino, patrimonio dello stato al quale i caduti hanno dato la vita. È perciò possibile imbattersi in queste tombe anche nei nostri cimiteri, le si riconosce perché spesso sorgono agli angoli della recinzione, un tempo adorne, oggi con qualche fiore di plastica consunto e i nomi stinti dal tempo.
Si può dire che questa sia l’immagine forse più appropriata che la nostra società ha della Grande Guerra. Se i cimiteri civili furono il primo luogo di sepoltura per i soldati caduti, quasi parallelamente e sempre più a ridosso delle prime linee iniziarono a sorgere nuovi cimiteri e tombe di fortuna. Spesso nell’impossibilità di trasportare i corpi, questi venivano sepolti dove si trovavano, segnalando il luogo con una croce, ma molto più spesso con massi di fortuna incisi con parole essenziali, quasi un abbozzo di monumento, che tante volte non durava nemmeno il tempo di un mattino a causa dei bombardamenti. Queste circostanze in cui l’importante era dare una sepoltura degna al caduto, come se si trovasse nel cimitero del suo paese, porta i soldati ad inaugurare quella che a pieno titolo si può chiamare arte di guerra, la quale troverà spazio soprattutto nei cimiteri nati dalla nuova regolamentazione sulle sepolture.
Bisogna tenere conto che il cimitero in tempo di guerra non ha quasi mai una natura stabile, soprattutto se si trova a ridosso della prima linea, esso è soggetto all’andamento del fronte; un luogo che ieri sembrava riparato o irraggiungibile dall’artiglieria, oggi ne era invece sconvolto. L’instabilità di queste tombe e dei primi cimiteri di fortuna crea non pochi problemi anche dal punto di vista sanitario; tombe continuamente sconvolte, aperte e distrutte alimentano quella pericolosa contiguità tra vita e morte che abbiamo imparato a conoscere dalle pagine di Carlo Salsa. Questa precarietà fu perciò un problema morale ed igienico; sul finire del 1916 iniziò così una grande opera di regolarizzazione delle sepolture vecchie e nuove. Fino a questo momento la gestione dei cimiteri era stata lasciata alla competenza e alla sensibilità dei singoli comandi, nonché spesso alla pietà dei singoli soldati e dei cappellani. Con il proseguire del conflitto divenne necessario accentrare la gestione di questi luoghi, ma soprattutto imporre un’uniformità nei criteri della scelta del luogo dove erigere il cimitero e nell’escavazione delle tombe.
La posizione dei cimiteri, per quanto possibile, deve rispondere a due necessità essenziali: la facilità di essere raggiunti anche durante un combattimento dagli addetti a questo servizio, assieme a una collocazione in terreni poco soggetti a fattori ambientali sfavorevoli (friabilità del terreno, pendenza, vicinanza a corsi d’acqua, ecc.) e a sconvolgimenti dovuti alla guerra. Questi due fattori si elidono a vicenda, come è evidente, o per lo meno nella maggior parte dei casi. Tutto ciò non impedisce, comunque, la ricerca di una normativa e di una prassi che tenda a soddisfare queste due condizioni. Con la circolare n. 63912 dello S. M. del 20 dicembre 1917, l’Intendenza Generale stabilisce le norme di inumazione delle salme; vale qui riportare interamente alcuni capitoli di questa circolare:
a) Le Intendenze d’Armata stabiliranno, previ accordi con le autorità civili e secondo la dislocazione delle dipendenti unità, uno o più cimiteri comunali, dove le unità stesse dovranno inumare i propri deceduti. Se questi per la loro ristrettezza non lo consentissero assegneranno a queste unità aree possibilmente cintate con sottosuolo asciutto e poste a lontananza di almeno 200 metri a valle degli abitati ed in zone che non intralcino le vie di comunicazione della regione.
b) I riparti che si trovano in prima linea usufruiranno, per le salme, dei cimiteri comunali viciniori. In caso di forza maggiore, scelte alcune zone riconosciute adatte, procederanno, tutti i riparti indistintamente, all’inumazione delle salme nella località fissata. Detti riparti, per ogni richiesta di mezzi riguardante la sistemazione di tali zone, si rivolgeranno sempre alle rispettive Intendenze alle quali dovranno poi sempre specificare i cimiteri preesistenti e nuovi usufruiti per il seppellimento dei caduti. Ogni unità di prima linea stabilirà dei cimiteri sempre quando non abbia cimiteri già in funzione nella propria zona e non vi sia possibilità di trasportare le salme in cimiteri viciniori.
La costruzione dei cimiteri, in linea come presso gli ospedaletti da campo, nel corso del 1917 e del 1918, passa da un’importanza generica e inseguita più o meno casualmente e alla meno peggio dai vari comandi a uno stato di regolamentazione comune che tende, per quanto possibile, a controllare il riposo dei caduti. Numerose sono, tra le relazioni periodiche, le argomentazioni sui luoghi dove sarebbe più opportuno collocare un cimitero, tenendo presenti soprattutto le aree più facilmente raggiungibili, in caso di un’offensiva nemica, senza essere sottoposti al tiro delle artiglierie; citiamo uno stralcio da una di queste relazioni, unaProposta di ampliamento e di nuove costruzioni di cimiteri di guerra nella zona del V° Corpo d’Armata del 21 aprile 1918:
I due cimiteri di porte Pasubio possono per ora continuare a raccogliere salme e potranno servire, in un primo periodo di combattimento, per sgombrare la linea dal Dente ai Sogli Bianchi, ma sarà opportuno costruire un nuovo cimitero di guerra nei pressi di Malga dei Busi a sud di M. Forni Alti ove si può sgombrare per la mulattiera di Val Canale. Impossibilitato eventualmente il trasporto dai tiri di sbarramento, si potrà allora usare la strada della Bella Laita che scende da Bocchette di Campiglia.
Se questo è il lato più pratico legato alla normativa che regolamenta la costruzione dei cimiteri, è bene ricordare come non venga mai a mancare in questi la spontaneità dei commilitoni, che non solo li visitano e li abbelliscono con fiori, ma vi erigono monumenti a simbolo dell’unicità del rapporto tra soldati vivi e morti.
Come si vede anche dalle foto riportate, benché esse ritraggano cimiteri in via di sistemazione, si può coglierne ancora l’aspetto architettonico originale: muro di cinta ben visibile, uniformità delle tombe, vi manca solo la casualità e il disordine della guerra. Questi luoghi di dimensioni variabili hanno rappresentato, nell’immediato dopoguerra fino agli anni ’30, il significato e il peso della vittoria. Hanno segnato la terra creando una sorta di confine morale, oggi completamente dimenticato, all’Italia nascente. Quasi nessuno dei cimiteri di guerra è sopravvissuto all’erezione dei grandi sacrari; nel migliore dei casi, sul luogo dove sorgevano, si trova ora una lapide che li ricorda.
Bibliografia
- Lisa Bregantin, Per non morire mai. La percezione della morte in guerra e il culto dei caduti nel primo conflitto mondiale, Il Poligrafo, Padova 2010
- Giuseppe Cobòl, In pellegrinaggio ai cimiteri di guerra, in «Le vie d’Italia», XXXIII, 11, novembre 1922, pp. 1081-1087
- Luciano Cremonini, Una piccola storia sconosciuta. I cimiteri militari di Conco, Conco (Vicenza) 1999
- Gino Damerini, Cimiteri di guerra in montagna, in «Le vie d’Italia», XXVIII, 4, aprile 1922, pp. 377- 382
- Mario Isnenghi e Giorgio Rochat, La Grande Guerra. 1914-1918, La Nuova Italia, Milano 2000
- La morte per la patria. La celebrazione dei caduti dal Risorgimento alla Repubblica, a cura di Lutz Klinkhammer e Oliver Janz, Donzelli, Roma 2008
- Guido Liuzzi, I servizi logistici nella guerra, Corbaccio, Milano 1934
- Renato Michelesi, Dove riposano gli eroi della Grande Guerra, in «Le vie d’Italia», XLV, 11, novembre 1939
- Raffaele Paolucci, Per quelli che più non ritornarono, Stab. Tip. Francesco Giannini, Napoli 1919.
- Francesco Pastonchi, Cimiteri alpestri, in «Touring club italiano», XXII, 11, novembre 1916
- Michel Ragon, Lo spazio della morte. Saggio sull’architettura, la decorazione e l’urbanistica funeraria, Guida editori, Napoli 1986
- Carlo Salsa, Trincee. Confidenze di un fante [1927], Mursia, Milano 1982
English abstract
Almost forgotten or little impressed today in collective imagination, that associates the Great War only with unburied corpses and ravaged trenches, war cemeteries have disappeared from our cultural background. Yet these resting places were widely diffused along the lines of the front, so as to accumulate a history and characteristics of their own. As a place shared to human spirituality, even in war cemeteries have a double feature: to isolate for hygienic reasons the alive from the dead; to recover a known dimension for mourning, devastated by the war. At the end of the conflict cemeteries were gradually abandoned for the necessary clearance of the front, then they were completely supplanted by memorials of the 1930s. And today all that remains of those cemeteries that braved the bombs are but rare inscribed plaques.
keywords | Collective imagination; Cemetery; Architecture; Great War.
Per citare questo articolo / To cite this article: L. Bregantin, Il cimitero nella Grande Guerra: funzioni, utilità, rappresentazioni, “La Rivista di Engramma” n. 95, ottobre 2011, pp. 272-276 | PDF