Il tallone d'Achille
Achille Adriani e la tomba di alabastro nel Cimitero latino di Alessandria d’Egitto
Cinzia Dal Maso
La notizia risale addirittura al 1962. In due conferenze tenute al Cairo e ad Alessandria d’Egitto, l’archeologo Achille Adriani rivelò di aver finalmente identificato il cosiddetto Sema di Alessandro Magno, cioè il monumento fatto erigere ad Alessandria per accogliere le sue spoglie. Il monumento che tutti cercano dal IV secolo d.C., quando, a quanto pare, già se ne erano oramai perse le tracce. Dopo che per secoli fu visitato e raccontato da molti, e persino gli imperatori romani gli avevano reso omaggio, d’improvviso il monumento era svanito, al punto che Giovanni Crisostomo chiedeva ai cittadini: “Dov’è, ditemi, la tomba di Alessandro?”.
Per secoli i musulmani avevano attribuito al Macedone, e fatto oggetto di venerazione, un bel sarcofago di breccia verde in una moschea della città, ma poi Champollion decifrò i geroglifici e sulla tomba si lesse il nome di un faraone.
Allora si fece avanti chi collocò la tomba nel Serapeo, e chi ai piedi della collina di Kôm ed-Dick. E poi giunse Achille Adriani, forte della sua profonda conoscenza dell’archeologia di Alessandria acquisita con lunghi anni di direzione del Museo greco-romano della città (dal 1932 al 1940 e dal 1948 al 1966).
Nel 1936 Adriani aveva restaurato una bella stanza in pietra nel Cimitero latino, già scavata dal suo predecessore Evaristo Breccia nel 1907.
Una stanza veramente unica in Alessandria, e troppo bella per essere una tomba qualsiasi. Adriani la studiò con pazienza, negli anni, leggendo con attenzione tra le righe degli scrittori antichi. E alla fine si convinse che era l’unica stanza rimasta (forse un ambiente di raccordo tra altri due) della grande sepoltura del Macedone.
Ne parlò anche nel 1971 in una conferenza all’Accademia dei Lincei, e negli anni continuò ad arricchire la sua tesi di argomenti, ma non pubblicò mai una riga. Solo dopo la sua morte (avvenuta nel 1982) il suo allievo Nicola Bonacasa iniziò un lungo lavoro di riordino di testi sparsi e di appunti culminato nella pubblicazione del volume La tomba di Alessandro. Realtà, ipotesi e fantasie, L’Erma di Bretschneider, Roma, 2000.
Per aggiungere poi prove a prove, Adriani comincia a vagare per Alessandria con gli autori antichi alla mano, e ripete i percorsi descritti da Strabone, da Zenobio, da Achille Tazio. Tutte le vie conducono inevitabilmente a quella stanza. Una stanza sontuosa, come la descrive lui stesso, soprattutto per la “bellezza del materiale, un alabastro rosato, dal fluido e ricco gioco di larghe venature”.
E forse sta proprio qui, tra tanto inconfutabile rigore, il possibile 'tallone d’Achille'. Quell’alabastro è veramente così bello come dice Adriani? Nella nota di Lorenzo Lazzarini, pubblicata in questo stesso numero di "Engramma", l’esperto di marmi antichi ci parla di quell’alabastro, della cava da cui proviene, e in generale dell’uso dell’alabastro nel mondo antico. Si utilizzò molto per gli scopi più vari. E tra i diversi tipi di alabastro conosciuti, quello egiziano non era di certo il più raffinato e trasparente. Era sicuramente materiale prezioso ma forse – lascia intendere Lazzarini – non così prezioso da essere il materiale scelto per ospitare le preziosissime spoglie di Alessandro il Grande.
Per citare questo articolo / To cite this article: C. Dal Maso, Il tallone d’Achille. Achille Adriani e la tomba di alabastro nel Cimitero latino di Alessandria d’Egitto, “La Rivista di Engramma” n. 76, dicembre 2009, pp. 312-314 | PDF di questo articolo