Una Stagione senza stagioni di Jacopo Bassano
Carlo Corsato | Università degli Studi di Verona
L'Estate prodotta nella bottega di Jacopo Bassano è uno dei sette temi più replicati dagli anni Settanta del '500 fino ad almeno tutto il secolo successivo. Una sequenza di versioni seicentesche permette di rintracciare i possibili modelli originari, misurandone scarti e strategie semantiche.
Molteplici sono gli intrecci di contesto e di datazione che riguardano la nascita, la vita e la divulgazione delle Stagioni prodotte dalla bottega dei Bassano. Non potendo qui entrare nel merito, rimando per una panoramica generale agli studi di Aikema e Ballarin per i fatti bassaneschi, e a quelli di Meijer e di Aikema, Lauber e Seidel per gli influssi e la diffusione dei dipinti.
Concentriamoci invece subito sul linguaggio pittorico. Esso costituì non solo, come è ovvio, lo strumento di formulazione dei testi pittorici, ma, anche grazie al suo sistematico procedimento basato sullo slittamento delle forme e dei significati, risultò la formula di un successo di riproduzione, copia, replica, rimaneggiamento e infine pastiche. Vorrei concentrarmi sull’Estate attribuita a Jacopo (prima serie) e conservata presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna.
La stampa di Ossembeck
Il Theatrum pictorium di David Teniers riprodusse due serie complete di stagioni attribuite genericamente a Bassano e possedute dall’Arciduca Leopoldo Guglielmo, allora governatore asburgico dei Paesi Bassi. La stampa, seppur in controparte, riproduce fedelmente il dipinto viennese: le attività della tosatura, della mietitura, della legatura del grano e della trebbiatura sono meticolosamente ricostruite, in perfetta linea con la tradizione iconografica, che ha sempre fatto del grano o della spiga il simbolo della stagione estiva, articolandone i mesi di Giugno, Luglio e Agosto mediante i lavori.
Il tutto compone quella che a ragione è stata definita una omogenea scena pastorale, se non fosse che poi nella serena routine dei lavori dell’uomo sulla sommità di una collina stesse avvenendo un fatto del tutto straordinario: il sacrificio di Isacco. Il diretto rapporto tra stampa e dipinto non alterò questa compresenza, costituendo in tal modo un rapporto di derivazione (tradizione di I grado).
La stampa di Scolari
Una serie completa di quattro stagioni venne stampata dall'editore Stefano Scolari (con bottega a Venezia nella seconda metà del XVII secolo, con sede in San Zulian). Il dato rievoca una rete di contesti ancora da chiarire: Scolari aveva acquistato parte del patrimonio della bottega Sadeler dopo la morte di Aegidius (1629), membro della famosa famiglia di incisori che più di altri avevano riprodotto opere dei Bassano, nonché incisore e agente dell’imperatore asburgico Rodolfo II. Stuzzica la fantasia il fatto di ritrovare sempre nel medesimo contesto una serie di dodici mesi dipinti da Leandro Bassano, in una formula densa di richiami a quella seconda serie di stagioni conservata sempre a Vienna (e anch’essa riprodotta nel Theatrum pictorium).
In ogni caso la stampa è la perfetta copia di quella di Ossembeck, tranne per due particolari: l’aggiunta di due versi in calce in volgare (come nelle stampe del medesimo genere nordiche – di ascendenza umanistica e dunque dotate di citazione latina di autori antichi); l’assenza dell’unico elemento non pastorale, Isacco. Questo fenomeno, assai diffuso nelle stampe, viene generalmente definito traduzione, per la sua capacità di interpolare il testo figurativo (tradizione di II grado).
La chiamata di Abramo
Il capostipite della famiglia dei Sadeler, Jan I, nel 1595 durante il suo soggiorno veronese in casa di Agostino (de) Giusti riprodusse una Chiamata di Abramo di Jacopo, oggi perduta.
L’incisione non solo restituisce la visione di un dipinto scomparso, ma mostra anche la ripresa identica nella stagione viennese della fisionomia delle due pecore, proprio come fossero un modulo linguistico di dettaglio, capace di guidare la lettura dal piano della fenomenologia pastorale verso l’ingresso del divino. Questo fenomeno è assai frequente nelle operazioni di una bottega, che necessita di forme linguistiche ripetibili per poter mantenere sia la propria riconoscibile fisionomia sia per innestare degli “automatismi” nella prassi compositiva; ovvero si tratta di un recupero (traslazione di I grado o diretta).
Primavera
La prassi del recupero in Bassano è praticamente sistematica, con una particolare insistenza dalla metà degli anni Sessanta in poi, dopo l’entrata progressiva a regime delle collaborazioni dei figli. Della seconda serie delle Stagioni di Vienna e firmata da Francesco Bassano, la Primavera si è conservata solo nelle repliche e nelle copie, oltre che nell’incisione di van Troÿen per il Theatrum pictorium.
È possibile ritrovarvi il vecchio tosatore, già presente nell’Estate della prima serie, ripreso in controparte sul lato sinistro con un roseto alle spalle: il riuso nuovamente non è soltanto formale, ma anche semantico, dal momento che la medesima attività della tosatura con l’attributo della rosa denota il mese di Maggio, il terzo della serie della primavera e dunque correttamente posto sull’estrema destra (per una usuale lettura da sinistra verso destra). Questo fenomeno (semantizzazione) è assai più ricorrente nel linguaggio dei Bassano che in qualunque altro loro contemporaneo veneto (persino di Tiziano, piuttosto incline al recupero).
Un Mercato
Questo processo di stratificazione per paratassi linguistica investì soprattutto i temi altamente replicati, e dunque cosiddetti di bottega. Nel caso di Jacopo la loro insistenza all’interno di iconografie apparentemente desengagé ha creato il roveto della pittura di genere (sulla quale per brevità espositiva a malincuore sorvolo). A questo gruppo di dipinti appartiene certamente il Mercato dipinto da Leandro attorno al 1585 (in collezione privata bassanese).
Il gioco linguistico è sempre il medesimo: la donna accovacciata, la dama con la sua inconfondibile acconciatura, e persino la scimmia o le anatre sono tutti gruppi della grammatica dei Bassano e senza problemi ricompaiono disseminati nella prima e nella seconda serie delle Stagioni, oltre che già parzialmente anche in precedenti dipinti di Jacopo (come per esempio nel Lazzaro e il ricco, ancora inciso da Jan Sadeler). Questo fenomeno di prestito linguistico interno è un vero e proprio processo di contestualizzazione: medesimi gruppi figurativi acquistano o cedono attivazione semantica in relazione al contesto figurativo in cui risiedono; essi possono all’occorrenza determinare semplicemente la coerenza figurativa (o diegetica) del dipinto oppure connotarlo aprendo altri enunciati.
“Una rondine non fa primavera” (forse)
Semantizzazione e contestualizzazione figurative costituiscono una prassi iconograficamente assai diffusa, e genericamente definita “riuso” (traslazione di II grado): esso investe la capacità da parte di un artista di reimpiegare materiali del proprio vocabolario figurativo in funzioni di nuove formulazioni. Tuttavia in Jacopo Bassano e nella prassi della sua bottega sembra persistere un codice che lega queste configurazioni figurative alla loro possibilità di produrre significato. Obiezione legittima: una prassi non fa una teoria. La pratica tuttavia delle repliche seicentesche dell’Estate (ma in generale dei temi di genere) dimostra in realtà una tendenza opposta: mentre per gli altri grandi maestri della pittura veneta un modello iconografico rimane per lo più fisso e semplicemente reiterato (o smembrato nei soli effetti stilistici), nel caso dei Bassano esse ne innescano un rilancio delle composizioni in nuove formulazioni, che giocano con il sistema dei gruppi figurativi ricollocandoli e rimpiazzandoli con altri esterni all’originaria formulazione, fino a raggiungere i limiti del pastiche.
Bibliografia di riferimento
B. Aikema, Jacopo Bassano and His Public: Moralizing Pictures in an Age of Reform, ca. 1535-1600, Princeton (New Jersey) 1996
Il collezionismo a Venezia e nel Veneto ai tempi della Serenissima, a cura di B. Aikema, R. Lauber, M. Seidel, Venezia 2005
A. Ballarin, Jacopo Bassano: scritti 1964-1995, Cittadella (Padova) 1995
B. W. Meijer, Italian Paintings in 17th Century Holland: Art Market, Art Works and Art Collections, in L’Europa e l’arte italiana, a cura di M. Seidel, Venezia 2000, pp. 377-417