Appunti per un’analisi dello schema di Endimione in ambito greco-ellenistico
con una galleria iconografica*
Maria Emanuela Oddo
English abstract
ἡ δεξιὰ δὲ περὶ τὴν κεφαλὴν ἐς τὸ ἄνω ἐπικεκλασμένη
(Luciano, Dialog. Deor. 11.2)
Endimione: mito e schema iconografico
Le fonti letterarie grazie a cui ci è noto il mito di Endimione sono un numero ridotto rispetto alle corrispondenti fonti figurative. I frammenti narrativi a noi pervenuti testimoniano l’esistenza di almeno due tradizioni mitiche, successivamente confluite in una (Koortbojian 1995, 63-64). Nella più antica delle due, quella occidentale, non si fa menzione della nota vicenda amorosa tra il giovane e la dea lunare Selene, né il sonno eterno sembra essere l'unico esito possibile della vicenda dell'eroe, che pure appare sempre destinato a una fine straordinaria. Esiodo racconta, infatti, come Endimione, figlio del re dell’Elide, ricevette in dono da Zeus la possibilità di scegliere il momento della propria morte (Hes. Fr. 8); in un altro frammento lo stesso autore narra la salita del bel pastore all’Olimpo, da dove sarebbe stato scacciato per le sue insistenti profferte a Hera per le quali, secondo una versione più tarda, sarebbe stato condannato al sonno eterno. (Hes. Fr.11; Scholia ad Theoc. 3,49-51a).
La tradizione orientale, invece, ambientata in Caria, narra l’amore del bel pastore con la dea Selene, la quale, per poterlo incontrare tutte le notti, gli dona un sonno che, anziché essere mortifero, comporta l'eterna giovinezza. Tale versione del mito ebbe un certo successo sia letterario che iconografico (Sapph. Frag. 199; Theoc. Idyllis III.48f; Herod. VIII.10; Apoll. Rhod. IV.57; Catullus LXVI.5f; Propertius II.15.15f): le fonti figurative riferibili a essa sono molto numerose e caratterizzate da convenzioni iconografiche ricorrenti, soprattutto per quanto riguarda la figura di Endimione addormentato (Gabelmann, 1986,726-742). Così viene descritto per bocca della sua amante divina:
Σελήνης
ἐμοὶ μὲν καὶ πάνυ καλός, ὦ Ἀφροδίτη, δοκεῖ, καὶ μάλιστα ὅταν ὑποβαλόμενος ἐπὶ τῆς πέτρας τὴν χλαμύδα καθεύδῃ τῇ λαιᾷ μὲν ἔχων τὰ ἀκόντια ἤδη ἐκ τῆς χειρὸς ὑπορρέοντα, ἡ δεξιὰ δὲ περὶ τὴν κεφαλὴν ἐς τὸ ἄνω ἐπικεκλασμένη ἐπιπρέπῃ τῷ προσώπῳ περικειμένη, ὁ δὲ ὑπὸ τοῦ ὕπνου λελυμένος ἀναπνέῃ τὸ ἀμβρόσιον ἐκεῖνο ἆσθμα. (Luciano, Dialog. Deor. 11)
Selene
Mi sembra bellissimo, Afrodite! E ancora di più quando, gettato il mantello sulla roccia, vi giace sopra, e nella sinistra ha i dardi che ormai gli scivolano dalla mano, mentre la destra è ripiegata in alto, intorno alla testa gli incornicia il bel volto, ed egli vinto dal sonno emette questo respiro d’ambrosia. (traduzione di chi scrive)
Nel dialogo di Luciano di Samosata risalente al II secolo d.C., il giovane pastore cario appare disposto nella medesima posa che lo contraddistingue nell’iconografia, secondo una modalità di narrazione ecfrastica tipica dell'autore (Maffei 1994, XV-XLVI). Infatti la posa recumbente col braccio intorno al capo sarà estremamente diffusa in età ellenistica e romana per la rappresentazione di eroi di bell’aspetto addormentati, che attraggono con la loro avvenenza amanti divini (cfr. McNally 1985, 171-176). A ben guardare, tuttavia, questo schema iconografico – che chiameremo convenzionalmente ‘tipo Endimione’ – caratterizza diverse categorie di soggetti e copre un vastissimo arco temporale, costituendo un perfetto esempio di ciò che Aby Warburg chiamava Pathosformeln, laddove:
Formel implicava sì fissità e ripetizione di stereotipi, ma Pathos rimandava a nozioni di instabilità, movimento e istantaneità. Nella tradizione antica, pathos è – secondo la definizione del trattato Sul Sublime (20.2) – “un’agitazione e un impeto dell’animo”; la formula che lo contiene e lo esprime è, al contrario, una convenzione espressiva destinata a perpetuarsi nel tempo, a passare di generazione in generazione, via via disseccandosi e irrigidendosi; ma potrà essere riconosciuta e rivitalizzata da un artista anche mille anni dopo (Settis 2008, VIII).
Tracceremo qui di seguito l’evoluzione dello schema ‘tipo Endimione’ nell’arte greca mediante una galleria di immagini, che ci aiuti a formulare in chiusura una prima chiave di interpretazione della posa in questione.
Alle origini dello schema
Per quel che ci è noto, lo schema ‘tipo Endimione’ compare per la prima volta sul vaso François, il grande recipiente da mescita a figure nere realizzato in Attica intorno al 570 a.C. (bibliografia in Torelli 2007 e galleria fotografica in Shapiro, Iozzo, Lezzi-Hafter 2013). Nel registro superiore del collo del vaso viene rappresentata la caccia calidonia: Meleagro e Atalanta tendono l’arco contro il cinghiale di Calidone sotto le cui zampe giace il corpo supino di Anceo, con un ginocchio lievemente piegato e la testa circondata dal braccio sinistro [fig. 1].
Lo schema ‘tipo Endimione’ si ritrova anche in due vasi del ceramografo Lydos, databili alla metà del VI secolo a.C.: nell’oinochoe di Berlino viene rappresentata la contesa tra Ares e Eracle sul cadavere di Cicno, abbandonato al suolo tra i contendenti con un ginocchio piegato e il braccio intorno al capo [fig. 2]; la medesima posa caratterizza il corpo di un troiano ucciso ai piedi dell’altare su cui si rifugia Priamo nella scena di Ilioupersis dell’anfora di Berlino [fig. 3]. Lo schema in esame fa presto la sua comparsa anche su supporto lapideo, nella Gigantomachia del fregio settentrionale del tesoro dei Sifnii a Delfi [fig. 4].
Gli esempi qui riportati ci consentono di affermare che la posa, che sarà poi utilizzata in età ellenistica per rappresentare il sonno languido di giovani di bell’aspetto, nelle sue prime ricorrenze era applicata alla rappresentazione di corpi morti o morenti: è solamente dall’ultimo quarto del VI secolo a.C. che essa passa a caratterizzare, oltre ai cadaveri, anche alcuni personaggi addormentati, ben diversi dai bei giovinetti che saranno immortalati in questo schema nei secoli successivi: i dormienti distesi sulla schiena col braccio intorno al capo, nella pittura vascolare attica a figure nere, non sono necessariamente (e a volte niente affatto) belli.
È infatti Polifemo il primo dormiente ad assumere la posa recumbente con il braccio intorno al capo, in uno skyphos beota collocabile intorno al 520 a.C. [fig. 5]. Perché connotare soggetti morti e dormienti con la medesima posa? Innanzi tutto è da ricordare che, come noto, in antico le nozioni e le conseguenti rappresentazioni del sonno e della morte sembravano godere di una peculiare contiguità (McNally 1985, 169; Mainoldi 1987; Kortbojian 1995, 100-114; Giudice 2003). In secondo luogo sarà utile osservare che in prima istanza lo schema ‘tipo Endimione’ viene applicato a una categoria particolare di dormienti: quelli che, secondo il mito, verranno lesi nella propria incolumità fisica a causa dell’incoscienza del sonno (esemplari i casi di Polifemo e di Alcioneo). In questo senso la posa potrebbe avere valore prolettico e sintetizzare in un solo gesto il legame cognitivo, causale e temporale che nel racconto lega il sonno al vulnus (Connor 1984, 394).
La ceramica a figure rosse
Come noto, l’introduzione della ceramica a figure rosse costituisce una svolta innovativa, non solamente dal punto di vista della tecnica decorativa, ma anche per quanto riguarda i soggetti e le convenzioni iconografiche utilizzate per rappresentarli (Mertens 1988, 424-433). Questo scarto creativo risulta evidente anche nelle modalità di acquisizione e di utilizzo dello schema ‘tipo Endimione’ nei vasi attici a figure rosse: la posa in esame non viene più applicata solo a morti e dormienti, ma viene utilizzata anche per la rappresentazione di due nuove categorie di soggetti: gli amanti e i simposiasti [fig. 6].
Sembra dunque che questo schema iconografico esprimesse, nel linguaggio visuale antico, una condizione umana – un pathos – comune ai morti/morenti, agli addormentati, agli amanti e ai simposiasti. Ne è prova il fatto che uno stesso ceramografo, il Pittore di Nikosthenes, utilizzi la posa recumbente col braccio intorno al capo per rendere tre diverse categorie di soggetti: il corpo di Sarpedonte sorretto da Hypnos e Thanatos nella kylix del British Museum [fig. 7], Alcioneo addormentato prima di essere ucciso da Eracle nella kylix di Melbourne [fig. 8] e un uomo cui viene praticata una fellatio nel kantharos di Boston [fig.9].
È interessante notare, inoltre, che i simposiasti raffigurati nello schema ‘tipo Endimione’ sono di norma in compagnia di un auleta, colti probabilmente nell’atto di cantare [figg. 6, 10, 11]. Questo particolare è riscontrabile a partire da una kylix del British Museum [fig. 11] nella quale sono rappresentati due uomini sdraiati su una kline: uno dei due suona il doppio flauto, mentre l’altro porta il braccio dietro il capo e con la bocca dischiusa canta un verso di Praxilla, dipinto come un fumetto tra la sua bocca e il bordo (ὦ διά τῆς θυρίδος, Praxill. Fr. 5). La condizione sensoriale espressa dalla posa recumbente con il braccio intorno al capo non è, dunque, semplicemente legata all’ebbrezza, ma piuttosto al peculiare stato estatico prodotto dalla combinazione di canto e consumo di vino (Catoni 2010, 223-251).
Nella stessa ceramica a figure rosse, d’altro canto, lo schema ‘tipo Endimione’ continua a caratterizzare anche le figure di cadaveri e addormentati, oltre che le nuove categorie di banchettanti e amanti: la posa è applicata a un dormiente nella nota kylix di Pinthias, che raffigura Alcioneo addormentato prima che Eracle gli sottragga la vita [fig.12]. La stessa posa è invece utilizzata per la raffigurazione di un cadavere nello splendido tondo di kylix del Pittore di Brygos, dove il corpo morto di Aiace viene mostrato in tutta la sua imponenza, prima che Tecmessa lo copra col sudario (cfr. la successiva descrizione del velamento del cadavere di Aiace in Soph., Aj. 915-973) [fig. 13].
La grande diffusione dello schema ‘tipo Endimione’ e il suo variegato utilizzo sarà probabilmente stato favorito dalla sua presenza in luoghi pubblici di grande valore rappresentativo, come l’Acropoli di Atene: tutte le proposte di ricostruzione dell’Amazzonomachia dipinta sullo scudo dell’Athena Parthenos di Fidia prevedono la presenza nella parte inferiore del tondo di un’Amazzone supina con la testa circondata dal braccio destro (cfr. Pl. HN XXXVI 18; Leipen 1971, 41-46; Simon, Hölscher 1976); la stessa posa viene inoltre usata per raffigurare un guerriero sconfitto nel fregio meridionale del tempio di Athena Nike [fig.14].
Lo schema ‘tipo Endimione’ viene adottato anche dalle botteghe magno-greche per i vasi a figure rosse, le cui produzioni di maggior pregio sono collocabili tra l’ultimo quarto del V secolo e la fine del IV secolo a.C. (cfr. Trendall 1989,15-16; Pontrandolfo, Rouveret 1992, 405-417). In quel contesto lo schema si applica per lo più a soggetti morti e dormienti, nel contesto di una vasta predilezione per temi tragici e miti di rara attestazione figurativa (Trendall 1989, 11-13; Roscino 2012; Pots & Plays 2012; Taplin 2007) [figg. 15, 16, 17].
La medesima posa, d’altro canto, continua a essere utilizzata per la raffigurazione di simposiasti accompagnati da suonatori (cfr. Napoli, Museo Archeologico Nazionale 85873; Lipari, Museo Archeologico Regionale 18431). Mancano, invece, a partire dall’età tardoclassica attestazioni dell’utilizzo dello schema in scene a tema sessuale, ma ciò dipende da una generale dismissione nel corso del IV secolo a.C. dei soggetti esplicitamente erotici, ai quali si preferiscono allusive scene di seduzione (cfr. Calame 1996; Baggio 2004, 117-217; Lynch 2009).
L’età ellenistica: Sleeping Beauty
In età ellenistica si può registrare un certo scarto rispetto all’uso che dello schema ‘tipo Endimione’ si era fatto in precedenza. È in questo periodo, infatti, che vanno collocate le sue prime applicazioni ai ‘belli addormentati’ – uomini e donne di bell’aspetto che nel languore del sonno attraggono l’attenzione di amanti divini.
Si tratta in particolare di statue di Arianna e Endimione a noi pervenute per il tramite di copie di età romana [figg.18-19]: il braccio disteso a circondare il capo scopre le loro belle carni e dispone le membra in un atteggiamento di languido abbandono, esaltandone la bellezza ma anche la sottomissione impotente davanti al proprio amante divino. Anch’essi sono vittime di un vulnus, quello amoroso, secondo una metafora comune al sentire ellenistico, in cui l’amore è lotta, battaglia e, infine, sconfitta (Murgatroyd 1975, 68-79; Rissman 1983).
Non mancano, d’altro canto, aspetti di continuità con la tradizione precedente: sul fronte del sarcofago di Alessandro [fig. 20] è raffigurata una scena di combattimento e uno dei soldati sconfitti, in basso al centro, tra i piedi degli altri combattenti, è disposto secondo lo schema ‘tipo Endimione’, col corpo arcuato e la testa gettata all’indietro, in una resa formale enfatica che ci ricorda le esasperazioni della postura rilevate in area magno-greca [cfr. fig. 16].
Un’altra nota rappresentazione di combattente sconfitto disposto nella posa recumbente col braccio intorno al capo è la statua di Gigante morto conservata a Napoli [fig. 21], probabilmente una copia romana dal Piccolo Donario Attalide (cfr. Coarelli 2014, con bibliografia).
L’uso dello schema per la raffigurazione dei banchettanti prende una piega alquanto singolare nel Cratere Derveni (cfr. Bandinelli 1974-1975; Grassigli 1999; Magnelli 2009), un grande recipiente in bronzo dorato e sbalzato, databile intorno al 330 a.C., sul quale è rappresentato il banchetto di Dioniso, che siede sulla kline con le ginocchia lievemente piegate e il braccio intorno al capo [fig. 22]. C’è da chiedersi come questa posa, altrove utilizzata per soggetti incoscienti o vulnerabili, possa applicarsi a un dio. Ma non a caso è proprio Dioniso l’unico soggetto divino a essere rappresentato secondo questo schema (cfr. anche la statua del Museo di Delo A 4121, la coppa a rilievo di Atene, Mus. Naz. 2345, la terracotta del Louvre Myr 180, N 1107: tutti manufatti databili intorno al II secolo a.C.).
Per dare una lettura di questa particolare applicazione dello schema, sarà da considerare – oltre all’evidente prossimità tra le comuni figure di banchettanti e il dio del vino – che Dioniso è un dio "vulnerabile" (Henrichs 1984). Com’è noto, gli ἆθλα del dio – così come sono narrati da Nonno di Panopoli (XIII 19-34) – attraversano vicende di morte e di rigenerazione, e alcuni scoli all’Iliade riportano una versione del mito secondo la quale sarebbe ucciso da Perseo che ne getta il cadavere nella palude di Lerna (Scolii T ad Il. XIV 319). Bene attestata è anche la tradizione secondo la quale Dioniso sarebbe la reincarnazione di Zagreo, figlio di Zeus e Persefone, smembrato dai Titani per ordine di Era (Nonn. Dionysiaca VI). La partecipazione di Dioniso allo status umano di morte e di sofferenza è forse una delle ragioni che inducono gli artefici antichi a disporlo secondo lo schema ‘tipo Endimione’: vedremo infatti di seguito come la nozione di vulnerabilità faccia parte del nucleo semantico che lo schema ‘tipo Endimione’ veicola nel linguaggio visuale antico.
Morte, sonno, eros e simposio: uno schema per quattro concetti
Brunilde Sismondo-Ridgway per prima ha tentato un’analisi organica della posa illustrata nelle immagini qui elencate. La studiosa, tuttavia, considera distintiva la sola posizione del braccio, tanto da denominare lo schema in esame “the Gesture of the Right Arm” e include nel medesimo gruppo l'Apollo Liceo, l'Amazzone di Policleto, i cadaveri dei vasi attici a figure nere, i simposiasti dei vasi a figure rosse, gli Endimione, le Arianne e le Rea Silvia dei sarcofagi romani [figg. 23-24-25].
Quanto all'interpretazione del gesto, la studiosa ritiene che il braccio rivolto indietro caratterizzi in età arcaica i cadaveri; dal III secolo a.C. esso sarebbe passato a rappresentare i dormienti, indotti al sonno dalla stanchezza, dal dolore, o dal vino; una successiva evoluzione avrebbe portato dal riposo dei dormienti al riposo da svegli, producendo le tipologie dell'Apollo Liceo e dell'Amazzone policletea (Sismondo-Ridgway 1974, 9-12).
Questa analisi, che intenderebbe proporre una lettura organica della postura, presenta qualche punto debole. Da prendere in considerazione, innanzitutto, il fatto che il braccio destro sollevato sopra la testa, in varie gradature di posizione e in diverse accezioni di significato, è un elemento molto comune nell'iconografia antica e caratterizza una gamma di soggetti molto più ampia di quella esplorata dalla studiosa: esso si trova nei mourners del compianto funebre; nella pittura vascolare uomini e donne talora portano una mano al capo in segno di preoccupazione o spavento; infine una delle più comuni rappresentazioni della sposa coglie la donna nell’atto di togliere il velo dal capo davanti al marito nel gesto rituale dell’anakalypsis.
Va considerato perciò che esiste un ampio repertorio di schemi iconografici che, nell’arte antica, prevedono che un personaggio porti una mano alla testa. All’interno di questi possiamo circoscrivere il nostro caso in cui il personaggio curva bensì il braccio sopra il capo in una particolare, languida, disposizione (senza battere la mano sulla testa, in segno di dolore) ma, al gesto, si associa anche una distintiva postura delle gambe e del busto: si tratta dei soggetti sdraiati o semisdraiati con una gamba piegata e il braccio rivolto indietro a circondare la testa. Lo schema iconografico, difatti, non è un gesto, ma una peculiare disposizione delle membra del corpo, considerate nel loro insieme (Catoni 2005, 1-7, 71-78): ovvero, una vera e proprio Pathosformel. In secondo luogo l’analisi della Sismondo-Ridgway non prende in considerazione soggetti quali i simposiasti e gli amanti, che sfuggono vistosamente alla categorizzazione proposta: l'attestazione di simposiasti in questa posa viene annotata ma non discussa dall'autrice (Sismondo-Ridgway 1974, 10 n. 59), mentre i soggetti erotici non vengono affatto menzionati.
In contrasto con la Ridgway si pone Claudio Franzoni, autore di un lavoro che si ripropone di stabilire una tassonomia degli schemata dell’arte classica a partire dalla disposizione delle singole parti del corpo (Franzoni 2006). Anche Franzoni considera il gesto del braccio come caratteristica unica e connotante dello schema e inserisce le Amazzoni ferite e l’Apollo Liceo nella medesima categoria del ‘tipo Endimione’ ma, a differenza della Ridgway, sostiene che non vi sia una variazione diacronica nel contenuto emotivo della posa: lo studioso italiano è persuaso che essa non veicoli affatto uno specifico pathos, ma ne comunichi piuttosto l'intensità. Perviene dunque alla conclusione che esso caratterizzi i soggetti che vengono sopraffatti da un pathos, sia di tipo positivo – come l’amore e il vino – che di tipo negativo – come il dolore o la morte (Franzoni 2006, 160-161). Nel merito dell’analisi che stiamo qui proponendo, il concetto di “abbandono” suggerito da Franzoni al termine del suo studio pare prezioso e molto convincente, anche se la galleria iconografica qui presentata depone a favore della variabilità diacronica del messaggio veicolato dallo schema ‘tipo Endimione’.
Per tracciare una prima conclusione di questi “appunti per una galleria iconografica” possiamo affermare che gli esempi riportati hanno evidenziato che la posa recumbente con un braccio intorno al capo nasce originariamente per la rappresentazione dei morti e degli agonizzanti, ma si applica ben presto ad altri soggetti, apparentemente eterogenei: i dormienti, i simposiasti e gli amanti. Della contiguità di questi concetti ci sono testimoni le fonti letterarie antiche: Thanatos e Hypnos, considerati fratelli sia nei poemi omerici (Hom. Il. XIV 231 ; XVI 671-682) che nella Teogonia di Esiodo (Hes. Th. 211-213), nella narrazione epica condividono i medesimi epiteti formulari (μαλακός cfr. Dee 2002 s.v. ὓπνος B10, s.v. θάνατος B9). La morte, inoltre, è talvolta connotata come “sonno bronzeo” (χάλκεος ὗπνος cfr. Dee 2002 s.v. ὓπνος B17) e Hypnos viene definito nell’epos “colui che tutto vince” (πανδαμάτωρ Hom. Il. II 5; Od. IX 360), attributo che viene utilizzato anche in relazione alla morte nell’Antologia Palatina (Anth. Gr. XVI 213).
L’ubriachezza, dal canto suo, viene assimilata da Aristotele al sonno e alla follia perché tutte queste condizioni causano una diminuzione delle facoltà razionali (Arist. Eth. Nic. 1146 b 31-1147 b 19). Anche Eros, infine, è accostato a Hypnos dall’epiteto “colui che scioglie le membra” (λυσιμέλης), utilizzato nell’epica per descrivere il sonno (cfr. Dee 2002 s.v. ὓπνος A1) e nella lirica per indicare il piacere sensuale (cfr. Sapph. Fr. 137; Archil. Fr. 118).
Le fonti letterarie e iconografiche sembrano, dunque, concordare sulla convergenza di nozioni apparentemente dissimili come sonno, morte, ubriachezza e piacere sensuale. La condizione umana espressa dallo schema “di Endimione” è dunque uno stato percettivo che accomuna tutte queste categorie di soggetti, che nel loro insieme si può dire raffigurino uno stato alterato della coscienza. I morenti perdono definitivamente ogni facoltà fisica e psicologica, i dormienti si trovano in un momento di sospensione della ragione, i simposiasti hanno rinunciato a un certo grado di lucidità intellettuale in cambio di un maggiore slancio immaginativo ed emotivo, le capacità razionali degli amanti sono dissolte da Eros nel momento del piacere. L’alterazione della coscienza razionale, tuttavia, rende il soggetto inattivo e provoca anche un drastico calo delle capacità difensive: il gesto del braccio che circonda la testa rende esplicita la vulnerabilità della figura, esponendo letteralmente il fianco all’attacco degli avversari.
In età ellenistico-romana il contenuto della posa inizierà a includere una certa componente voyeristica: lo schema “di Endimione” verrà usato per rappresentare giovani seminudi addormentati di ambo i sessi, amanti di divinità. La perdita del controllo su sé stessi e la vulnerabilità dipenderanno, in questo caso, da una condizione emotiva, dal vulnus d’amore che rende i soggetti inermi, tanto più nella disparità tra il polo umano e quello divino della coppia.
In epoca tardo-antica il tema dello sbilanciamento tra l’uomo e Dio verrà riproposto nei monumenti cristiani per l’iconografia di Giona, addormentato sotto il ricino alle porte di Ninive [fig. 26]. Intorno al VI secolo d.C. tuttavia le attestazioni di questo schema si affievoliscono sino a scomparire, ed esso rimane quiescente per circa otto secoli. Sarà il Rinascimento a riesumare questa posa, grazie all’imitazione dei monumenti antichi che vengono man mano riscoperti: non a caso il pathos sotteso alla ripresa moderna dello schema ‘di Endimione’ ricalca quello di età ellenistico-romana, ossia la combinazione di sonno e voyerismo [cfr. fig. 27]. Vengono tuttavia perse quasi del tutto le nozioni di vulnerabilità e di incoscienza, che facevano parte del nucleo semantico originario.
Galleria
English abstract
Endymion – a beautiful shepherd loved by the goddess Selene, who made him sleep forever to preserve him from oldness and death – has always been considered the prototype of sleeping beauty. One of the most represented subjects in roman art, he is often shown in the same posture: laying on a rock, he sleeps with a knee slightly bent and an arm around his head. This iconographical schema is also used to represent other handsome human lovers of divinities, such as Ariadne or Rea Silvia. Though this posture is mostly known for sleeping beauties’ representations, it has a long lasting history, which goes back to the first quarter of the 6th century B.C. and prosecute to the present day. The aim of this work is to trace the evolution of this schema through Greek art: by means of an image gallery I will show that in ancient times this posture was used to represent not only beautiful sleeping heroes, but also dead bodies, banqueting figures and lovers.
keywords | Iconography; Greek culture; Selene; Myth; Ariadne; Rea Silvia; Sleeping Beauty; Endymion.
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Per citare questo articolo / To cite this article: M. E. Oddo, Appunti per un’analisi dello schema di Endimione in ambito greco-ellenistico con una galleria iconografica, “La Rivista di Engramma” n. 122, dicembre 2014, pp. 35-60 | PDF di questo articolo