L’arco, la grisaille, la Ninfa: dal ‘come se’ alla poetica della contrazione metaforica
Saggio interpretativo di Mnemosyne Atlas, Tavola 45
a cura del Seminario Mnemosyne, coordinato da Monica Centanni e Katia Mazzucco, con la collaborazione di Sara Agnoletto, Maria Bergamo, Lorenzo Bonoldi, Giulia Bordignon, Claudia Daniotti, Giovanna Pasini, Alessandra Pedersoli, Linda Selmin, Daniela Sacco, Valentina Sinico
Materiali Tavola 45 | appunti di Warburg e collaboratori e didascalie
Al centro del montaggio di tavola 45 campeggiano le riproduzioni del Miracolo di San Zaccaria e della Strage degli Innocenti dipinte da Ghirlandaio in Santa Maria Novella. La giustapposizione delle due opere, cardine e cerniera dell’intero pannello, identifica immediatamente gli snodi tematici principali della tavola: il contrasto tra la compostezza del miracolo e i superlativi gestuali della strage; il protagonismo formale e semantico dell’arco trionfale; l’emergere dell’espediente tecnico del rilievo antico en grisaille (battaglie, trionfi, rituali pagani); la centralità della figura di Ghirlandaio come interprete esemplare dell’evoluzione dell’atteggiamento del primo Rinascimento fiorentino nei confronti dell’antico; la pratica della copia dai rilievi antichi.
Gran parte delle figure che compongono la tavola è costituita da opere di Domenico Ghirlandaio, pittore conteso dalla committenza borghese fiorentina alla fine del ‘400: in particolare si tratta degli affreschi del pittore conservati nella cappella della famiglia Tornabuoni in Santa Maria Novella a Firenze.
Lungo il margine sinistro del montaggio si riconoscono infatti La presentazione della Vergine al tempio (fig. 1), il Banchetto di Erode (fig. 4), la Nascita del Battista (fig. 8) e il Sacrificio di Zaccaria (fig. 12), presente anche nella versione del disegno preparatorio (fig. 14). In posizione enfatica al centro della tavola, altre due opere del Ghirlandaio: ancora il Sacrificio di Zaccaria (fig. 13) e la Strage degli Innocenti (fig. 9); poi il Martirio di San Pietro Martire (fig. 6), un altro elemento della decorazione della cappella Tornabuoni; la Resurrezione di Davide Ghirlandaio, fratello del più famoso Domenico (figg. 16 e 17a) conservato alla Gemäldegalerie di Berlino; e un disegno ascrivibile alla bottega di Domenico, che riporta alcuni episodi della decorazione della Colonna Traiana (figg. 17b e 18). Infine, lungo il margine destro della tavola, un’ultima presenza: Bruto, Muzio Scevola e Camillo, dipinto a fresco conservato a Firenze in Palazzo Vecchio e attribuito a Davide Ghirlandaio (fig. 10), riferibile questa volta alla committenza medicea.
Il percorso di lettura della tavola si snoda attraverso una serie di composizioni pittoriche evidenziate da una ben definita struttura architettonica che articola e detta il ritmo a ogni singola scena: in molte delle figure l’arco funge da cassa di risonanza, da elemento che amplifica il senso delle composizioni ed esalta il ruolo dei personaggi principali. L’arco, dunque, ha certo un valore di cornice formale e compositiva – come arco reale della cappella in cui si trovano gli affreschi o come arco immaginario che funge da quinta scenica ai singoli episodi – ma risulta essere anche l’elemento protagonista della scena raffigurata da un punto di vista semantico. Negli episodi della Strage degli Innocenti e del Miracolo di San Zaccaria (figg. 9 e 12) l’arco antico contestualizza inequivocabilmente l’evento biblico nella sua realtà storica, ed è anche, in riferimento alla celebrazione ‘religiosa’ del trionfo imperiale, un rimando simbolico alla sacralità del rito, come sacrificio cruento che si rispecchia nell’empietà della strage, o come sacrificio sublimato nel miracolo che prelude all’avvento di Cristo.
L’arco sottolinea l’importanza di singole figure, come la svelta silhouette della Vergine che sale rapida i gradini del tempio (fig. 1), Erode e Salomè (fig. 4), L’angelo e Zaccaria (figg. 12, 13 e 14); o evidenzia lo stile dell’azione di gruppi di personaggi, come la furia assassina e scomposta dei soldati del re giudeo nella Strage degli Innocenti, sia nella versione del Ghirlandaio (fig. 9) sia in quella di Matteo di Giovanni (fig. 11); o come anche la composta ieraticità dei personaggi nel bassorilievo raffigurante la Presentazione di Gesù al tempio di Tommaso Rodari nel portale del Duomo di Como (fig. 15). La quinta architettonica circoscrive anche situazioni estranee al contesto religioso-rituale, ad esempio la gravità degli exempla eroici (fig. 10), e il silenzio della morte (fig. 20).
L’arco diviene il luogo in cui si intersecano e si allacciano il tema della storia cristiana e quello della storia romana, i valori espressivi classici e il mondo rinascimentale: è l’arco del tempio (figg. 12, 13 e 14) ma è soprattutto l’arco trionfale romano (fig. 9), che, nella pratica artistica del XV secolo, costituiva l’oggettivo ‘magazzino di spolia antichi’, il deposito visibile e accessibile in cui si conservava un vasto repertorio di forme e modelli figurativi da cui l’artista moderno poteva trarre confronti.
A questo proposito, uno snodo tematico fondamentale del montaggio è la decorazione en grisaille presente in molte figure della tavola: la ripresa di temi e formule iconografiche classiche nella finzione pittorica diviene il ‘poro’, l’espediente e il passaggio, attraverso il quale il pathos antico penetra nelle singole scene, sia dal punto di vista prettamente formale di riuso del modello, sia dal punto di vista dell’assimilazione delle formule patetiche come engrammi validi per l’espressione dell’esperienza emotiva umana. Come pratica artistica, la grisaille costituisce uno dei primi supporti eloquenti della trasmissione della classicità: gli spolia dell’antichità vengono innanzi tutto copiati consapevolmente dagli artisti del Rinascimento nei taccuini di disegni e quindi riutilizzati nei dipinti (figg. 16 e 17a, 17b e 18). Nel saggio del 1914 L’ingresso dello stile anticheggiante nella pittura del primo Rinascimento Warburg scrive:
"Il dipinto centrale della tavola d’altare, creata dal Ghirlandajo e dai suoi fratelli per la cappella Tornabuoni, ha sul tergo la risurrezione di Cristo, e qui irrompe la formula-modello del pathos degli antichi, giungendo sino all’espressione del timore tragico. Il Redentore, che si leva dalla tomba, spaventa ed agita sommamente i tre custodi pagani. L’uno di essi fugge, il vestito mosso e lo scudo sollevato in atto di difesa sopra la testa barbuta. Il libro di disegni del Ghirlandajo ci mostra il modello: il barbaro fuggente della colonna traiana. […] Il custode che si precipita via verso sinistra può addirittura essere riferito direttamente al suo ideale, certo non raggiunto in tutto, cioè alla testa dell’urlante Medusa alata che egli porta in rilievo come stemma sullo scudo. […] Ora, guardando meglio la posizione e il rozzo viso baffuto del guerriero seduto, il quale alza le mani, mi sembra che anche il suo prototipo si potrà un giorno ritrovare nell’ambito di quella scultura trionfale che celebra le vittorie sui Galli".
È dunque dalla dynamis delle grisailles tratte dall’antico che, secondo l’intenzione ermeneutica di Warburg, dagli artisti del primo Rinascimento viene derivato il pathos di alcune figure di tavola 45. In particolare, l’inaspettata rottura della staticità che caratterizza il ritratto borghese dei committenti è stigmatizzata, nella serie di figure a sinistra nel montaggio, dall’irruzione della figura gradiva con ventilata veste, sia essa personaggio femminile protagonista (figg. 1 e 4) o secondario (figg. 1 e 8), oppure figura angelica (figg. 12, 13 e 14). Così Warburg:
"Se con questi libri di disegni [con copie di opere d’arte antiche], consideriamo il mondo delle figure generalmente così placide e dignitose del Ghirlandajo, notiamo che alcune di esse, che si staccano dall’insieme per la mobilità dell’espressione e delle vesti, del tutto inopportuna in quell’ambiente, ubbidiscono in quella loro patetica condotta all’autorità degli antichi riscoperti; hanno dovuto infatti imparare (come è dimostrabile appunto nei particolari in base ai libri di disegni) il loro stile vivacemente espressivo all’antica da veri sarcofaghi antichi formulanti il tragico pathos dei miti greci, e dalle sculture trionfali che formularono plasticamente il pathos imperatorio della vita eroica romana. Dunque, come quelle formule patetiche della mimica riuscirono a penetrare perfino in questo mondo della monumentale pittura sacra narrativa che più delle altre resisteva, la robusta fortezza del realismo era già scossa fin dal Quattrocento".
Il tema è articolato e sviluppato nelle successive tavole 46 (immagine della ninfa) e 47 (angelo). Altro esempio di pathos amplificato è l’atto di aggressione irruente e violenta concentrato nell’episodio della Strage (figg. 9 e 11) e nella Morte di San Pietro Martire (fig. 6). Scrive ancora Warburg:
"Delle formule patetiche dell’arco di trionfo romano il Ghirlandajo fece uso ancor molto più drastico nell’affresco della strage degli innocenti. […] Il Ghirlandajo lavora qui con un temperamento mutuato da altri: egli ispira a uomini e donne il pathos dell’arco trionfale, stranamente non in base ai rilievi fittizi dell’arco di trionfo sullo sfondo, bensì in prima linea in base alla vittoria di Traiano sui barbari, che è l’altro rilievo sul lato interno dell’arco di Costantino. […] La cosa essenziale è che qui il Quattrocento primitivo che noi contempliamo con tanto gusto per la sua "ingenua" placidità, precipita nell’estremo stile barocco della mimica; e precisamente con l’espressa responsabilità dell’arte pagana degli avi, vorremmo dire "colla licenza degli anteriori". È significativo che già il Vasari, da vero cinquecentista, ammirasse con entusiasmo proprio questa "baruffa bellissima". Un motivo di orrore trova il suo particolare elogio: il lattante che sanguina per una ferita al collo succhia ancora dal petto della madre in fuga latte e sangue insieme. […] Certo, nel 1490 Domenico poteva ancora accudire tranquillamente ai suoi tentativi di mescolare vita attuale e antichità; era ancora in vita Lorenzo il Magnifico, e Lorenzo Tornabuoni non aveva ancora dovuto piegare il capo sotto il colpo dei partigiani del Savonarola".
L’espediente tecnico della grisaille è innanzi tutto forma pittorica della figura retorica del paragone: in quanto scultura dipinta, la grisaille ripropone il modello mantenendolo su un piano altro rispetto alla realtà – anch’essa ficta – dell’affresco. La pittura è ‘come’ la scultura, e la deduzione dall’arte classica resta letterale: nei taccuini di disegni e negli sfondi architettonici, pur traslate in pittura, le figure del bassorilievo sono esattamente ‘come’ le sculture antiche. Anzi, nella logica interna della raffigurazione, sono vere sculture antiche che ornano un vero arco, sia quello trionfale romano, sia quello dell’edificio religioso. Ma, nel tentativo di "mescolare vita attuale e antichità", il ‘come’ del paragone viene meno, a favore di una contrazione metaforica in cui i soldati – dipinti sì, ma ‘in carne ed ossa’ rispetto alla grisaille sullo sfondo – assumono i medesimi atteggiamenti patetici dei loro prototipi di marmo: diventano anch’essi, investiti dalla ‘emozione’ dell’antico, figure antiche che si muovono all’antica.
Compositivamente, la trasformazione stilistica che intensifica il movimento delle figure in primo piano nella Strage, si mantiene invece a un livello intermedio nel Sacrificio di San Zaccaria (fig. 13): l’accentuazione patetica investe la sola immagine dell’angelo, a metà tra le sculture dello sfondo architettonico, già presenti sull’arco in figura 9 e dunque genuinamente antiche, e i personaggi composti della Firenze contemporanea che arrivano fino al boccascena dell’affresco, testimoni oculari per fede, in età ormai sub lege christiana, della verità del miracolo.
Ed è proprio al centro della tavola, coprotagonista della composizione insieme alla scena del massacro di figura 9, che si autocelebra la committenza: la borghesia fiorentina simboleggiata dalla consorteria Tornabuoni si raccoglie al cospetto dell’evento miracoloso del messaggio divino. La pacatezza del mercante borghese contemporaneo si trova dunque ad essere contrapposta alla violenza incontenibile del guerriero antico. Ne Il Cicerone del 1855 Burckhardt, di fronte al dipinto, suggerisce:
"Ciò che qui ci conquista col suo fascino, non è il contenuto drammatico ma la rappresentazione nobile e convincente dell’esistenza, di cui sappiamo che è la trasfigurazione della vita fiorentina contemporanea: un’esistenza piacevole, dignitosa e sana, che tanto più c’innalza lo spirito, quanto più ci parla un linguaggio reale".
E Warburg, nel saggio Arte del ritratto e borghesia fiorentina (1902), sottolinea come:
"Il modesto privilegio del fondatore, di trattenersi devotamente in un angolo del quadro, è ampliato liberamente dal Ghirlandajo e dal suo committente a diritto di libero ingresso dalla loro completa raffigurazione nella sacra narrazione stessa, come spettatori o addirittura come persone agenti della leggenda".
Ma in realtà le figure dei mercanti fiorentini agiscono in tutt’altro modo rispetto alle figure antiche agitate dall’impeto patetico che sono relegate nello sfondo artificiale della grisaille o rispetto all’immagine dell’angelo che irrompe al centro della scena da una dimensione altra: i committenti non parlano il linguaggio delle Pathosformeln, ma dialogano con trattenuti gesti eloquenti e scambi di sguardi, combinando il tono monumentale della pittura sacra italiana con quella "candida innocenza dell’osservare" che caratterizza la ritrattistica devozionale nordica in voga nella Firenze medicea.
Nelle due figure centrali nella sintassi di tavola 45 vediamo un continuo rimbalzare di temi, di periodi storici e di modalità di ricezione e rappresentazione dell’antico: secondo le parole di Warburg, da una parte i rilievi classici sembrano "semplicemente essere appesi alla lista di presenza della riunione familiare, quasi una specie di solenne sigillo in stile romano" che conferisce autorevolezza alla presenza tutta realistica, prosastica, della consorteria Tornabuoni – profana ma devota. Dall’altra, nella scena del massacro – pagano e profanatore rispetto alla pietas del sacrificio – "i liberti dell’antica mimica patetica non si lasciavano più trattenere a una pia distanza" nei rilievi dello sfondo, ma si incarnano metaforicamente nei soldati e nelle madri in lotta, diventano cioè immagini vive e reali, tanto quanto i mercanti fiorentini della figura 13 sottostante, e addirittura più impulsivamente spontanei. Allo stesso modo la serie di personaggi religiosi che si susseguono a sinistra nel montaggio ha come inconfessata protagonista la figura patetica della ninfa, che "non ha nulla di orgiastico; ciò nonostante anch’essa fa parte, nella visione del mondo savonaroliana, dei tipi di quella insolente vanità pagana, la cui immagine non doveva più essere tollerata nelle chiese".
Accanto alle opere del Ghirlandaio e della sua bottega, tutte strettamente legate alla realtà fiorentina, compaiono pitture e sculture ascrivibili alla realtà tosco-fiorentina di quegli anni o ad artisti ad essa legati e assonanti per tema o suggestioni iconografiche con il resto della tavola: il bassorilievo bronzeo di Bertoldo di Giovanni raffigurante una Scena di battaglia tratta da un sarcofago antico conservato a Pisa (figg. 2 e 3) e la medaglia di Maometto II che raffigura sul verso il sultano come triumphator (figg. 21 e 22), due dipinti dei fiorentini Bartolomeo di Giovanni – la Pace dei Romani coi Sabini (fig. 5) – e Matteo di Giovanni – la Strage degli Innocenti (fig. 11). E ancora altre opere direttamente o indirettamente legate al contesto fiorentino: a iniziare da un bassorilievo in marmo di Maso di Bartolomeo del palazzo Medici-Riccardi (fig. 19), fino ad opere del Rinascimento maturo, come l’incisione dalla battaglia di Anghiari di Leonardo per Palazzo Vecchio (fig. 23) e l’incisione di Marcantonio Raimondi da Raffaello (fig. 20), quando ormai la rappresentazione dell’intensificazione del movimento è una prassi artistica consolidata.
Due sole sono le eccezioni rispetto al milieu fiorentino, significativamente poste agli antipodi del montaggio: il bassorilievo di Tommaso Rodari per il Duomo di Como (fig. 15), ma soprattutto la tavola di Giovanni Bellini con il Sangue del Redentore (fig. 7) in posizione enfatica al vertice destro della tavola. Bellini non solo ha una posizione eccentrica ed eccezionale nel montaggio, ma l’inserzione di un’opera belliniana risulta essere addirittura un hapax nell’intero Atlante: un’unicità che rafforza il significato di questa presenza nella sintassi della tavola in esame. Il dipinto veneziano è veramente, e da più punti di vista, straordinario rispetto al superamento della logica del ‘come’ che percorre, irradiandosi dalle figure centrali, tutta la tavola: qui le grisailles della balaustra mantengono il loro status di ‘paragone figurativo’ e corrispondono simbolicamente – testimoni del compimento del sacrificio pagano nel sacrificio perfetto di Cristo – alla scena in primo piano, in cui il Salvatore è contemporaneamente sacerdote e vittima del rito. Tutto è simbolico-allegorico nei significati (come il temenos artificiale, qui privo della cornice architettonica dell’arco, in cui avviene quest’altra ‘sacra allegoria’ belliniana), ma anche realissimo nella resa dei dettagli: la finzione artistica è ‘icona’, nel senso di veridico ritratto, della rivelazione religiosa. Ancora, Cristo con la Croce è insieme attore della formula di pathos per eccellenza, ma interpreta anche una formula posturale in quanto figura stante, e infine propone con le mani un doppio gesto eloquente, di compassione – la mano al costato – e di ostensione salvifica – la mano esposta a mostrare le stigmate – nuova versione della salus romana.
Significativa è la giustapposizione della figura stante in contesto cristiano e pagano, come testimone di un sacrificio sublimato o superato: è la sofferenza composta e memore del Cristo belliniano (fig. 7), ma è anche il trionfo del Cristo risorto, vittorioso sulla morte, di Ghirlandaio (fig. 16) e l’exemplum virtutis dell’eroe romano, Muzio Scevola (fig. 10). Questi modelli ideali di sacrificio e di vittoria dovevano essere ben presenti ai committenti rinascimentali – l’affresco di Palazzo Vecchio in figura 10 era stato eseguito per conto della famiglia Medici – tanto che la medesima consapevolezza di sé promana anche dai ritratti dei Tornabuoni, che perseguono contemporaneamente l’atteggiamento del condottiero antico compos sui e la devozione dell’imitatio Christi.
Immagine stante è anche la figura della sovranità rappresentata en grisaille dall’imperatore nelle scene di adlocutio (figg. 9, 12, 14, 20) e da due altri personaggi regali, entrambi, a diverso titolo, avversari della cristianità: il sultano turco conquistatore di Costantinopoli, Maometto II (fig. 21), ed Erode, involontario mandante del sacrificio di Giovanni Battista – rappresentato anche a banchetto, ‘in maestà’, in Ghirlandaio (fig. 4) – terribile e malvagio sterminatore di infanti in Matteo di Giovanni (fig. 11).
Un confronto con il pannello precedente e quello successivo alla tavola 45 consente di identificare parentele formali e semantiche che rivelano una sorta di antesignana struttura ipertestuale di Mnemosyne.
Il montaggio del pannello 44 è concentrato su uno degli elementi ripresi, ma con altro accento, nella tavola 45: la tecnica del finto rilievo a grisaille come possibile ‘permesso d’entrata’ del pathos antico, anche nei contesti devozionali della borghesia. Tanto i rilievi veri di Sangallo nel monumento sepolcrale Sassetti, quanto quelli finti di Ghirlandaio in Santa Trinita e Santa Maria Novella sono presentati come testimonianza di questa pratica di inserimento dell’antico, in controluce, in scene apparentemente incongrue.
Come una sorta di sviluppo del tema anticipato nella fascia sinistra di tavola 45, l’immagine della Ninfa antica riemerge nelle opere della tavola 46 (rinascimentali ma non solo) come figura della forza del pathos antico che irrompe anche in scene ‘domestiche’. La Ninfa-gradiva, figura dalle sottili vesti mosse, compare sul pannello come emanazione sempre nuova e risemantizzata di uno stesso antico modello (immaginario?): è levatrice e ancella (addomesticata e depurata dal suo aspetto selvatico prima di irrompere dietro alle dame Tornabuoni nella scena della Natività); è angelo e Giuditta nelle Istorie in rima; è Venus Virgo ed emblema; è rilievo en grisaille delle Tavole Barberini; emerge – agli occhi di Warburg – persino nel passo naturale di una comune contadina, colta in istantanea dallo scatto fotografico.
*La numerazione delle singole riproduzioni contenute nelle tavole fa riferimento alla numerazione dell'edizione dell'Atlante Vienna 1994.
English abstract
Plate 45: Antiquity in the forefront: the loss of 'the how of metaphor'. Superlatives in the language of gesture, the pride of self-consciousness, heroic individuality taken from the typology of grisaille.
Keywords | Mnemosyne Atlas, Ghirlandaio, grisaille
Per citare questo articolo/ To cite this article: A cura del Seminario Mnemosyne, L’arco, la grisaille, la Ninfa: dal ‘come se’ alla poetica della contrazione metaforica. Saggio interpretativo di Mnemosyne Atlas, Tavola 45, ”La Rivista di Engramma” n. 21, novembre/dicembre 2002, pp. 13-16 | PDF